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Autore: Trigger    23/10/2012    11 recensioni
Ho immaginato un posto dove donne e uomini randagi possano riscattarsi in modo fantasioso. Se la rabbia è un cubo di ghiaccio, la fantasia è il whisky che lo scioglie. Un essere umano ha l’obbligo di trovare la bellezza anche nell’orrore della realtà. —A. Mannarino su Bar della Rabbia
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Quella che in origine era una one-shot dedicata a Giovanni, adesso è diventata una raccolta di vite solitarie come la sua, scritte sulle note di un pentagramma che non mi appartiene.
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Vecchio titolo: Giovanni grida solo per la via
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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01 - Giovanni grida solo per la via

 
Giovanni grida solo per la via: "Fermatevi! Parliamo di poesia!"
ma tutti vanno avanti, contano i contanti, 
minaccian di chiamar la polizia.
[1]

 
 
 


Giovanni era quel tipo di ragazzo che veniva emarginato da qualsiasi tipo di gruppo sociale: era stato allontanato dal gruppo del catechismo perché diceva in giro che se Dio fosse realmente esistito, allora tutti gli uomini avrebbero dovuto estinguersi già da tempo per via della loro malvagità; da quello di arti marziali perché si faceva pestare senza reagire, dal gruppo classe quando si andava in gita e dall’ospedale perché rubava morfina.

Giovanni era quello che solitamente viene definito reietto della società.

Aveva due occhi scuri come il petrolio e la pelle chiara come la luna, ma non era bello; i capelli gli ricadevano ricci e disordinati sulla fronte e le gambe erano così magre – così, fatte solo di pelle e qualche ossa – che sembravano non poter reggere il peso di tutto quello che Giovanni si trascinava dietro; al polso destro portava una catenina d’oro finissima che ogni tanto finiva per mangiucchiare e nella mano una raccolta di poesie di Baudelaire che aveva letto trilioni di volte, ma dalla quale non riusciva a separarsi. Sul petto aveva un tatuaggio fatto di cicatrici e dietro l’orecchio una bruciatura da sigaretta.

Apriva e chiudeva le dita della mano sinistra in continuazione, come se volesse afferrare qualcosa, o come se fosse in uno stato costante di tensione. Nessuno sapeva che Giovanni fosse mancino e che con quella mano passava le notti a scrivere – d’amore impossibile, d’odio, di rabbia e solitudine – sotto la luce di una lampadina quasi del tutto fulminata e con la schiena piegata sulla scrivania. Scriveva così tanto e così velocemente che la mano poi continuava a formicolargli per tutto il giorno.

Giovanni dentro di sé covava tanta – forse troppa – rabbia nei confronti del mondo intero, da quel giorno in cui aveva visto suo padre tirare uno schiaffo sulla guancia candida di sua madre. Aveva sì e no dieci anni e qualche mese e sua madre gli aveva appena regalato una raccolta di poesie scritte da Rodari. La sua preferita era L’avventura dello Zero, perché anche lui era alla ricerca del suo Uno personale.

A sedici anni poi aveva scoperto Baudelaire e a diciotto si era fatto scrivere con dell’inchiostro nero, sul collo: Hymne à la beauté. Nessuno capì mai quale significato nascosto ci fosse dietro quelle parole scritte in francese, perché era una città fatta di gente disinteressata, lavoratrice, persone che non avevano tempo per un po’ di cultura.

Non aveva mai avuto una ragazza, Giovanni, ma non gli importava. A lui piacevano gli uomini, ma non aveva avuto mai neanche uno di loro.

Passava i pomeriggi nel bar vicino al mare, a far finta di studiare per l’esame di letteratura inglese, con una maglietta sgualcita sui fianchi e due occhiaie violacee sul viso. Sembrava non dormisse mai e perfino il proprietario del locale aveva rinunciato a cacciarlo via, quando si rifiutava di prendere qualcosa da consumare e pretendeva comunque di occupare quel tavolino poco illuminato nell’angolo più solitario della stanza.

C’erano dei giorni in cui gli altri clienti potevano giurare di aver sentito quel ragazzo parlare tra sé, e altri invece, che credevano fosse muto. Loro la sua voce, non l’avevano mai sentita con chiarezza. Eppure Giovanni gridava. Gridava nella sua stanza, con il cuscino sulla faccia, ricordando le urla terrorizzate di sua madre e quelle astiose di suo padre; gridava per la strada, alle cinque del mattino  ripetendo i versi delle poesie più sconosciute, barcollando su piedi instabili qua e là, con un po’ di alcol nel sangue e nel fegato; e gridava nella sua testa, quando i pensieri erano troppi e ingombranti s’accavallavano tra loro.

Giovanni gridava, ma nessuno ascoltava.

Non si era mai presentato a qualcuno in particolare, eppure tutti conoscevano il suo nome. A volte la gente cercava d’evitarlo per via di quello strano sguardo che t’incollava addosso e sembrava scavarti fin dentro le ossa.

Solo una persona aveva il coraggio di cercare costantemente quegli occhi: Pietro.

Pietro era il fratello maggiore di Giovanni, ma neanche questo poteva essere affermato con certezza. La famiglia da cui  provenivano era sempre stata avvolta di un tale mistero da inquietare tutti, al punto da essere quasi sempre al centro di pettegolezzi infondati, inventati per passare il tempo di fronte ad una tazza di tè fumante.

Di Pietro non si conosceva nulla - se non che fosse un ex-tossico – perché lo si vedeva in giro soltanto due volte all’anno: il 14 di aprile e il giorno di Natale, insieme a Giovanni naturalmente.

I due non parlavano molto, eppure sembravano legati da qualcosa di più forte di semplici parole. Pietro e Giovanni sembravano condividere le stesse emozioni, come fossero un’unica persona, e di solito, quando erano insieme, entrambi s’illuminavano di una luce diversa da quella della solitudine. Una luce fatta del ritrovo di due amici di vecchia data.

Anche Pietro pensava che Giovanni fosse un po’ strano, ma gli voleva bene e sembrava capirlo anche quando diceva cose di cui non capiva il senso. Era vero, Pietro si drogava ma aveva smesso quando Giovanni gli aveva detto delle cose che gli avevano segnato il cervello e il cuore. Ricordava bene la posizione del sole sull’acqua, di quel pomeriggio, allo stesso modo con cui ricorda gli occhi del fratello penetrargli la pelle.
 
- Giovanni, cosa stai facendo?
- Leggo.
Ma Giovanni non aveva alcun libro tra le mani bianco sporco, aveva dimenticato persino Baudelaire, quel giorno.
- Cosa leggi?
- Una poesia.
- E com’è?
- Triste.
- Dove stai leggendo questa poesia, Giovanni?
- Dentro i tuoi occhi e sulle tue mani.  
 
Pietro sapeva che doveva smetterla con tutto quello schifo, e lo doveva fare per se stesso e per suo fratello, che quando iniziava a leggere poesie tristi, dentro di sé, sulla pelle degli altri, su pagine ingiallite e stropicciate, voleva dire che non stava bene. Faceva così quando era ancora un bambino, e allo stesso modo continuava a farlo anche a venticinque anni. Era il suo modo di urlare il suo rifiuto verso il dolore. Leggeva cose tristi, e poi te ne parlava, perché non era capace di dire: mi stai facendo del male, lo stai facendo a te stesso e io sono stufo.
 
Per le strade buie della città vecchia, girava la voce che Giovanni fosse pazzo perché vedeva cose che non esistevano.

È un allucinato, completamente fuori di testa, dicevano.

Tutti parlavano, ma nessuno sapeva che Giovanni dietro quell'aria assente e un po' maledetta,  e quegli occhi scuri,  nascondesse nient’altro che l’anima allucinata più profonda della città.
 
 
 

 


[1] Citazione tratta dalla canzone “Svegliatevi italiani”, di Alessandro Mannarino.
 





Note random di un'autrice (?) a caso

Non vi biasimerei se, arrivati alla fine, vi foste chiesti una cosa del tipo: “E quindi?”, perché una volta terminata, me lo sono chiesta anche io. Giuro. C’è un nonsense di fondo davvero inquietante, lo so, ma ho voluto assecondare l’ispirazione del momento fornitami da Sonia, a cui dedico questa cosa e che ringrazio, perché tra una canzone e l’altra, è riuscita a farmi uscire da quel periodo di crisi che io e Word abbiamo attraversato durante i mesi precedenti.
 
Ma passiamo alle cose importanti, che io di deliri, ne ho scritti già troppi.
Le fotografie a inizio capitolo son state rubate dalla pagina Facebook Jack Batchelor Photography, che ringrazio per avermi fornito, inconsapevolmente, il volto di Giovanni.
La canzone di cui sopra,  di cui consiglio l'ascolto, è qui sul tubo.
Trovate semplicemente me, invece, qui allegata a qualche ritardo immenso o ad un dinosauro di peluche.
 
In conclusione, grazie a te, se hai avuto il coraggio di arrivare fino all'ultima riga.
   
 
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