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Autore: Melie Devour    24/10/2012    1 recensioni
«Do fastidio?» lui alza le sopracciglia.
«No, ma mi fai paura.» Lei sente le labbra impastate, e i polmoni non si dilatano abbastanza da permetterle di respirare con serenità.
«Lascia parlare me.» Fa lui «Non sono un chiacchierone. Il disegno nel tuo sketchbook l'ho fatto io.» Si ferma, guardandola. «Ti piace?»
Lei annuisce.
«Unice, io sono morto. Tu lo sai, no?»
«Sì.»
«Ma tu senti la mia voce nel cortile della scuola.»
«Cosa? Eri tu?»
«Già.»
Parole totali: 20k ca; Lunghezza capitoli: 2/3k ca;
[COMPLETATA]
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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[Il nome della protagonista si pronuncia ˈjuːnɪs, iu-ni-s.]

 

Cap.1 ~ A good day.

 

Due di notte. Gli occhi fissi ma disinteressati davanti allo schermo catodico le bruciavano, quando li chiudeva. Se li strusciò premendoseli con i polpastrelli. Forse era abbastanza stanca per provare a dormire. Magari stanotte sarebbe stata quella giusta. Magari non si sarebbe svegliata una volta ogni ora e magari non si sarebbe alzata più stanca del giorno prima. Ormai erano tre giorni che andava avanti così.

Svogliata appoggiò un ginocchio sul fondo del letto e si buttò in avanti appoggiandosi sulle braccia. La testa le ciondolava dalle parti come se le pesasse una tonnellata. Tirò con tutte le sue forze il bordo del piumone che copriva il cuscino e vi infilò sotto le gambe.

Un'ora dopo era accucciata, curva su se stessa, con le mani sulla faccia. Non c'era niente da fare, anche quella notte sarebbe stata un inferno.

 

Cammina per le strade del suo paese, con la stessa fatica con cui si cammina con l'acqua fino alla vita. Addosso ha solo una maglietta leggera, e intorno a lei c'è la neve. Ha freddo e si tiene le mani strette intorno al petto. Sente rumori fastidiosi e striduli provenire dalla finestra di una casa, in un piano alto, da una finestra illuminata. Sì, ora era buio. Lei si ferma e guarda in su, e i suoi occhi che ancora frizzano sfidano i fiocchi di neve pesanti come sabbia. Poi un accordo di chitarra, suonato forte, deciso, le graffia i timpani da dietro le spalle. Lei si gira, e davanti si trova un uomo accucciato a terra, che abbraccia la sua chitarra, con la testa china in avanti ed i capelli lunghi e biondi che gli cadono sul viso. Era caduto, o si era buttato, o era planato, chissà, dall'alto. Non l'aveva visto, ma lo sa. Lei muore dal freddo, e con a voce tremante gli scandisce «Canta Something In The Way» 

L'uomo alza lo sguardo, e un lato della sua bocca sorride. Suona qualche accordo ma non è Something In The Way. A dire il vero la sua chitarra classica suona come una chitarra elettrica. E quelli non sono accordi e non sono note, sono suoni distorti. Sembra che stia uccidendo la chitarra. Merda, sembra l'inizio di Tourette's. Allora lei si tappa le orecchie e corre via, corre più forte che può in mezzo a quell'aria densa come catrame, dove la neve si muove delicata mentre lei non può. La musica non diminuisce di volume, e lei continua a scappare. Batte contro un muro che le taglia la strada, e cade a terra. La musica non c'è più. E nemmeno il ragazzo biondo. Lei non stacca le mani dalle orecchie, ma si alza in piedi, e con le spalle al muro, riprende fiato. Un respiro profondo, un altro, e poi comincia a urlare, a urlare a squarciagola, anche se dalle corde vocali esce solo vapore e poco altro «È triste, non è giusto! È troppo triste! Io sono triste e mi fa male, non è giusto!»

Un attimo dopo i suoi polmoni vanno in cortocircuito, e l'aria non entra più dalla sua bocca. Lei spalanca le labbra e gli occhi, si pietrifica contro il muro dietro a lei. Morirà, lo sente. Morirà di non respiro.

 

"Aria. Dentro i polmoni. Presto." E allora il suo cervello decise di svegliarla. In un millisecondo si era messa a sedere sul letto, reggendosi dritta con le mani, appoggiate dietro di lei. Poté respirare, riempirsi i polmoni. Apnea notturna, nuovo sintomo "Quale gioia." Si prese qualche minuto per godersi l'aria attorno a sé e poi girò il capo verso il comodino. La sveglia al LED segna uno sbiadito 04:48.

Incrociò le gambe e appoggiò il mento sulla mano. "Sarà un anticipo di ansia da esami", se la spiegava così, quell'impossibilità di riposarsi che l'aveva affetta.

"Kurt". Il Kurt del sogno che le faceva il dispetto di cantargli Tourette's. Con una chitarra acustica che suona come un'elettrica. "Così imparo a farlo piangere cantando le sue canzoni." pensò lei storcendo la bocca. Sospirò, era tempo di risdraiarsi e provare a richiudere gli occhi, sempre più in fiamme.

 

"Cazzo è tardi, cazzo se è tardi!" pensava Unice a denti stretti mentre correva tenendosi stretta tra le braccia la tracolla. Pregava dentro di sé che il professore di anatomia non fosse ancora arrivato. La porta dell'aula era chiusa. "Merda". Si fece coraggio, abbassò la maniglia. Prese con filosofia il rimprovero del docente. Aveva la netta impressione che la odiasse a morte. Andò a sedersi senza aggiungere una parola, non si sarebbe messa a discutere con quell'odioso uomo, sfinita com'era.

«Ehilà, come va, zombie?»

«Come ti sembra che vada, Sam?»

«Cazzo, ancora niente sonno? Ma hai provato con dei sonniferi?»

«Sì. Mi addormento e faccio incubi pazzeschi.»

La sua compagna di banco e migliore amica sospirò guardandola. Unice fece spallucce sconsolata e dalla tracolla tirò fuori l'astuccio, un quaderno e un libretto più piccolo. Il suo fedele sketchbook, con il quale mandava a farsi fottere ore e ore di spiegazioni e lezioni.

lo aprì svogliatamente, alla prima pagina. Le fece scorrere con le dita della mano destra. Due dozzine di pagine piene di scritte, disegni, schemi, ritratti. Mostri, facce, animali di fantasia, lettere ghirigorate, vignette e fumetti. Estrasse la bic dall'astuccio, e tenendola tra l'indice e il medio, girò un'altra pagina, che doveva essere bianca. Invece c'era uno scarabocchio, sopra. Sbatté le palpebre un paio di volte, giusto per assicurarsi non fosse una conseguenza dell'insonnia, poi trattenendo un impeto d'ira si voltò verso l'amica.

«Sei tu questa simpaticona?»

La ragazza lì per lì non le diede retta, era presa a scrivere degli appunti. Unice le tirò un pugno sulla spalla.

«Che c'è?»

«Bella trovata. Hai imparato a falsificare gli autografi?»

«Perchè, è un autografo, quello? Sembra uno scarabocchio.» Disse lei inclinando la testa e osservando la scritta sullo sketchbook.

«Davvero non l'hai fatto tu?» Chiese Unice. 

«Eh no.» Concluse Sam.

Unice scorse il polpastrello sulla scritta, avvicinando gli occhi. Sembrava fatta con un pennarello indelebile nero. K grande, u piccola, r piccola, D grande, t piccola. Poi una C grande e una serie di riccioli tutti di seguito. Alzò gli occhi, si guardò intorno. Controllò se qualcuno la stesse guardando e ridendo. Nessuno se la filava, invece. Si chinò nuovamente sul libretto e prendendo in mano la penna, al lato della scritta, provò a ridisegnarla. Le lettere erano abbastanza sovrapposte e non si capiva quale linea era stata scritta prima. Non le riuscì granchè bene. Allontanò la faccia da foglio per vedere la pagina nel suo intero. L'amica di tese verso di lei e anche lei guardò il libretto. Ridacchiando fece «L'insonnia fa brutti scherzi. Ma è la firma del drogato?»

Due giorni prima Sam, ragazza simpatica ma abbastanza bigotta, le aveva preso dalla cartella il lettore CD, durante l'intervallo, e aprendolo aveva trovato In Utero. Da quel momento aveva cominciato a chiederle cose tipo "Ma davvero ti piace Cobain? Ma lo sai che è un drogato? Quand'è che è morto? Sono passati già due anni? Ma l'hai sentita quella che canta "Stuprami?" Ti sembra normale?". Era dovuta ricorrere a tutto il suo autocontrollo, in quell'occasione. Quell'uomo era stato ricoperto di luoghi comuni e maldicenze gratuite, e la cosa si era amplificata dopo che il 5 aprile di due anni prima, era stato trovato con un foro in testa nella sua casa di Seattle. Quei pregiudizi erano impossibili da guarire per chi non conosceva Kurt da abbastanza tempo da capire la profonda depressione e il senso dei suoi testi. La sua inadeguatezza per questo mondo.

Si era limitata a contraddirla, senza esporsi più di tanto. Il primo anno al college era iniziato da poco, non voleva già mettersi contro qualcuno. E meno ancora Sam, ragazza con cui si era trovata bene fin dal primo momento. Strano anche a dirsi, dato i caratteri opposti. Di qua la ragazza studiosa, casa e chiesa, educata e socievole, e dall'altra parte.. Unice. Atea dalla nascita, solitaria e esperta sognatrice ad occhi aperti. Timida ed introversa a livelli imbarazzanti, difficilmente trovava qualcuno con cui si sentisse a suo agio. Ma Sam era una di quelle persone.

«Sam, non ti chiedo di amarlo, ma potresti almeno non chiamarlo così?»

«Ma lo è!» rispose lei. Unice le regalò l'ultima parola. Cercò di dimenticarsi della faccenda dell'autografo e cominciò a scarabocchiare la copertina di Incesticide nella pagina accanto.

 

Era tardi, le otto e mezzo, quando rientrò a casa dall'accademia. Buttò le chiavi sul tavolino di fianco all'ingresso e prese tra le dita il bigliettino di sua madre "Ci sono gli avanzi del pollo di ieri nel frigo", era già uscita per andare a fare il turno di notte all'ospedale. Accese il fuoco nella piccola stufa di metallo, e ci spostò una sedia davanti. Tirò fuori gli avanzi, li scaldò nel fornetto elettrico. Mentre aspettava i due minuti che scorrevano in countdown sulla manopola del forno, le tornò in mente lo sketchbook. Voleva riguardare quella misteriosa scritta. Si chinò sulla poltrona dove aveva buttato la tracolla e ne estrasse il quadernino nero. Scorse velocemente all'ultima pagina. Eccolo lì, l'autografo di Kurt. "Merda" rimase in piedi, immobile, fissando la pagina. C'era un altro disegno, adesso, accanto alla firma. Era un cerchio con una Y rovesciata nel mezzo, un cazzo di segno della pace come quelli che Kurt disegnava accanto agli autografi. La rabbia le montò dai piedi fino alle mani, che strinsero lo sketchbook fino a incrinare le pagine. Furiosa, tirò il libretto contro il muro, dall'altra parte della stanza, con tutta la forza che aveva. "Chi cazzo è che mi prende in giro?! Appena lo scovo gli spacco la faccia!". Perchè cazzo qualcuno avrebbe dovuto farle uno scherzo del genere? Chi è che si diverte così male? Lei era una ragazza riservata, come faceva qualcuno che non fosse Sam a conoscere il suo amore per i Nirvana? Non poteva essere stata lei, sembrava sincera, quella mattina. E non poteva essere stato nessun altro, aveva tenuto lo sketchbook con lei per tutto il giorno. Attanagliata da mille pensieri estrasse gli avanzi dal forno e si sedette sulla sedia davanti alla stufa, mentre la testa cominciava a farle 

 

 

"Che posto è questo?" Si chiede Unice guardandosi attorno. I suoi piedi scalzi poggiano sul cemento caldo di sole e sporco di pioggia. Su di lei, l'ombra di un ponte. Davanti le scorre un canale di acqua marrone. Le piante inselvatichiscono il calcestruzzo ed escono fuori da ogni foro o crepa, in orizzontale e in verticale. Si voltò, dietro di lei c'era un muro pieno di graffiti, di tutti i colori. Lei fa due passi in avanti, e subito le appare, sopra le altre, una scritta in particolare, bianca, tracciata con un pennello da parete.

God is gay.

«Unice?» chiama una voce alla sua sinistra. Ma lei non si volta, sa chi è.

«Kurt. Siamo a casa tua?» chiede.

«Beh, sì. In realtà non ho mai realmente vissuto sotto un ponte.» dice lui portandosi la mano sui capelli e tirandoseli indietro.

«Lo so.» dice lei, osservando ai suoi piedi tante piccole creature, coniglietti batuffolosi e bianchi, topi di fogna sporchi e puzzolenti. Ci sono anche gatti, più in là. Può sentire un cane abbaiare. Alza la testa verso il soffitto lurido del sottoponte. Ci sono stallattiti di sporco e muschio che penzolano dal soffitto. Lei allunga la mano, e nonostante fossero molto lontano da lei, ne tocca una, che si rompe e cade a terra. Quando riabbassa lo sguardo Kurt è di fronte a lei.

«Ti fa piacere se ti mostro la mia città?»

«Certo che mi fa piacere. Ti fa piacere se sto con te?»

«Sì, mi fa piacere.»

Kurt sfiora la schiena di lei con una mano, la fa voltare dall'altra parte, iniziano a camminare. Sono in una strada di Aberdeen, e Unice guarda tutti i fast food e le case che Kurt aveva conosciuto. La ragazza però non riesce a mettere a fuoco ciò che vede. Le succede sempre, nei sogni. Ciò che vede si riduce a una fessura sfocata, e lei procede a tentoni. Appena riesce a vedere di nuovo, si trovano su di un prato. Un prato anonimo, con nessuno all'orizzonte, solo alberi e colline verdi. Unice si sdraia a terra, Kurt incrocia le gambe seduto accanto a lei. Le posa la mano sugli occhi, e le dice «Dormi.»

 

Suonò la sveglia. Unice si alzò a fatica e si mise a sedere sul letto. Si strusciò gli occhi con i pugni, poi con estrema lentezza tirò le braccia al cielo e si stirò la schiena con estrema soddisfazione. Solo dopo qualche secondo si rese conto che era completamente, estremamente riposata. Sorrise, tra sé e sé. Quella sarebbe stata una bella giornata.

 

***

  
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