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Autore: Firelight_    24/10/2012    10 recensioni
Harry sta affogando nell'oceano della sua ultima occasione per vivere e, al suo fianco, Louis barcolla oltre i confini di un dolore che brucia ogni speranza. Quanto si può soffrire, prima di arrivare a spegnersi?
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[Louis/Harry; tematiche delicate, death!fic]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Bitterness.

 



L’unica cosa che Harry riesce a sentire è la forma bitorzoluta del materasso che si accartoccia sotto la sua schiena, opponendosi ai suoi movimenti e raggomitolandosi su se stesso ogni qualvolta gli sfugge un respiro di troppo. Apre e chiude le palpebre di scatto, venendo accecato dallo scorcio bianco del soffitto della stanza, memorizzandone all’istante ogni crepa invisibile e ogni ragnatela nascosta negli angoli; sembra che nulla, a parte lui, abiti quella prigione così candida e pulita.
Harry sospira, rigirandosi fra le lenzuola che lo carpiscono lentamente, il fiato che in quel silenzio ghiacciato diventa un’onda e lo invade, sommergendogli il capo sotto una coltre d’acqua opprimente. Come di consueto, è da solo: gli viene da sorridere con amarezza perché, in fin dei conti, lasciarlo con l’unica persona alla quale vorrebbe fare del male – se stesso –, non sembra essere una saggia decisione. È un omicida rinchiuso insieme alla sua vittima prediletta e, mentre crea quei pensieri torbidi e confusi, gli sfugge un sibilo insensato fra i denti serrati che stridono.
È stanco di essere in trappola, è stanco dei paroloni roteanti ed enormi nelle bocche degli psichiatri senza identità, è stanco delle sedute interminabili e delle medicine agri sul palato. Non ne può più di tutte le ricette mediche accartocciate sotto il comodino e, soprattutto, non ne può più degli infermieri sorridenti che di tanto in tanto fanno capolino per controllare che il suo cuore batta ancora. Non dovrebbe esserci nulla di rischioso in quella sala: niente di tagliente, niente di pericoloso che possa aiutarlo a farla finita, niente che lo lasci scappare da una realtà dalla quale è quotidianamente soffocato. Tutto è studiato perché lui continui ad annaspare, in agonia e nella continua ricerca di qualcosa che non riuscirà a trovare.
Harry fa scattare gli occhi da una parete all’altra e il suo sguardo rimbalza, caotico e assonnato, oscurato da quell’asetticità disarmante. Improvvisamente, quel che vede gli sembra assumere una sfumatura di velata minaccia, come una luce sinistra in iridi mentitrici, e flette velocemente le dita per assicurarsi di esserci. Si rannicchia per quanto può in un angolo del letto cigolante, le coperte stropicciate tirate su fin sotto il mento, e cerca di immaginare di essere in un luogo sicuro, lontano dal resto. Gli viene in mente soltanto Louis – è lui, il suo luogo sicuro – e si chiede disperatamente perché egli non sia lì, perché non gli stringa forte la mano abbracciandolo per impedirgli di non esistere, perché… che non gliene importi?
Harry respira a fondo dalla bocca, l’aria che gli graffia ruvida i polmoni provati da strida soffocate, e si sente piccolissimo e insignificante, come se di colpo tutto si gonfiasse e lo sovrastasse, immenso. La porta si spalanca di scatto e lo fa sussultare, ma è solo un altro di quei fantasmi con le camicie allacciate sino all’ultimo bottone, è solo una di quelle occhiate talmente appesantite d’indifferenza da barcollare, che però lo inchioda e affonda pugnali nella sua carne. Rimane impietrito finché l’uscio non si richiude, lasciandolo con se stesso e con le sue paure annidate nella polvere, poi riprende a dondolarsi in quel terrificante limbo sempre più denso e fuligginoso.
E quando la soglia si dischiude per la seconda volta, Harry è sul punto di gridare e chiamare aiuto, di cercare salvezza – e dove, e da chi, e per chi? – tuttavia poi capisce, e piomba in un universo soleggiato e irreale. Louis resta immobile per alcuni secondi, i capelli scompigliati che gli celano il profilo della fronte e gli occhi azzurri e sottili che lo osservano guizzanti e liquidi, mentre le labbra femminee si piegano in un sorriso appena accennato. È smunto, il viso è scavato da ombre scure e il suo cappotto è più frusto che mai, ma Harry non se ne accorge neppure perché, dopo un tempo che gli è sembrato essere eterno, anche lui sta sorridendo.
Allora si sente sulla terraferma, smette di ondeggiare e i suoi piedi poggiano di nuovo sulle rocce, lo spavento fugge via come tenebra all’alba e ogni sua cellula cade nell’ostacolo della vita; tende le grandi mani verso di lui, tentando di trarlo a sé per non lasciarlo più andare, e sente che finalmente l’unico farmaco valido per lui sta facendo effetto, stavolta senza controindicazioni.
 
Louis vorrebbe che ogni cosa finisse. Vede Harry, prostrato e distrutto dalle fondamenta alle guglie, accucciato su quel letto come un bambino indifeso, che quando lo scorge s’illumina tutto. E avrebbe voglia di urlare ma si trattiene, fingendo che vada tutto bene e supplicando il destino, per poi avanzare verso colui che lo lega a quel pianeta che gira vorticoso e non si ferma.
In un attimo sono l’uno ancorato all’altro, infelici e grigi più del fango che scivola via dalle strade, il volto contro il collo caldo e la bocca fra i ricci perduti e spenti. E il più piccolo lo serra con tutte le forze che ha, con quelle ultime energie che sono rimaste al suo spirito bruciato, lasciandosi cullare in quell’abbraccio profumato e morbido che sa di casa. Gli crolla addosso la consapevolezza di essere inutile e ingombrante, d’essere un peso che impedisce a Louis di raggiungere la gioia, di essere una presenza scomoda, fastidiosa e sgradevole che non merita altro che di esser dimenticata. Quelle certezze sono sul punto di abbatterlo al suolo, però il suo ragazzo lo bacia sulle labbra e a quel punto nulla ha più valore, niente esiste oltre quelle labbra che lo riportano a se stesso, che gli soffiano aria dentro e permettono al suo corpo di arrancare in avanti.
Si allontanano l’uno dall’altro unicamente quando non hanno più fiato, provati dalla siccità e con i cuori riarsi, e Harry giura a se stesso che l’ultimo ricordo che vuole tenere per sé è il sapore di Louis che gli scivola dolcemente sulla lingua, familiare come l’odore del camino nella loro baita invernale e lieve come quello delle ortensie che – nonostante le sue continue proteste – il castano gli regalava a ogni anniversario.
“Ti trovo in forma, curly”.
Annuisce anche se sa che sta mentendo, intreccia le dita alle sue e deglutisce al suono argentino della sua voce squillante, che risuona e scampanella fra travi e maniglie d’ottone.
“Anche io, sweetheart”.
E anche la sua è una bugia, ma che altro possono fare? Cosa rimarrà se tutto il passato, il presente e – esiste ancora un futuro? – andranno perduti nell’angoscia e si frantumeranno insieme a quella che era la loro speranza?
Parlano, Harry e Louis, parlano per ore e neanche loro sanno di cosa; del concerto della loro band rock preferita che si terrà in città e al quale nessuno dei due andrà mai, del maglione imbarazzante che Johanna ha spedito da Doncaster, della mostra in centro di quel fotografo tanto famoso del quale non ricordano il nome, dello Yorkshire Tea che Louis tanto ama ma che, sorseggiato da solo in un cantuccio della loro cucina in legno, non è più lo stesso.
E “Ho preso i biglietti per il concerto, sai?” dice il più grande in tono allegro, le loro mani allacciate così strette da far male, gli occhi pieni di lacrime perché non vuole crederci.
“Davvero?” Harry sorride, un po’ si stringe nelle spalle “Quanti sono?”
La mancata risposta si dilata fra loro e riempie tutto, poi Louis bisbiglia e singhiozza un: “Due, babycake”, e si morde le labbra talmente forte che l’altro pensa che da un momento all’altro sanguineranno.
“Ci divertiremo” afferma dunque, perché sa che se dicesse qualcos’altro entrambi crollerebbero e non saprebbero come rialzarsi in piedi.
“Sì” conviene quello, assentendo convulsamente “Ci divertiamo sempre, insieme”.
E probabilmente passano altre ore, ma questo Harry non lo sa, in un cosmo fatto solo di pelle e minimi contatti; le dita che s’insinuano sui fianchi asciutti, labbra che sfiorano reverenti la mascella marmorea, gli occhi che si cercano e hanno paura d’incontrarsi, unghie aggrappate alla schiena e lacrime nascoste fra le ciglia chiare come perle di vetro.
A Louis gira la testa, distingue a stento i flaconi di plastica abbandonati sul mobiletto da qualcuno di troppo distratto, e non sa come sentirsi.
“Quante ne devi prendere?” si schiarisce la voce, tentando di renderla sicura “La tua dose, intendo. Qual è la dose, Harry?”
E lui sorride ancora, quel sorriso che lo fa impallidire e fa smettere il vento di spirare, il sorriso di chi ha già perso e ha deposto le armi dietro una muraglia di parole non dette.
“Che buffo” modula piano, le sillabe che nascono e si schiantano giù “non lo ricordo più”.
Louis li guarda, quei flaconi, e sa che c’è qualcosa di storto, sa che qualcosa non va perché la voce del suo Harry è così lenta e roca da fargli venire i brividi, sa che c’è qualcosa di sbagliato, sa che
Louis sa che ormai
sa che
Louis sa che non c’è più niente da fare.
“Harry”.
Il sorriso è al suo posto, gli occhi sono semichiusi, la carnagione ha sempre quella luminosità di porcellana che l’ha sconcertato sin dalla prima volta che l’ha visto.
“Harry”.
Lo scuote. Prima delicatamente, con accortezza, poi sempre più violentemente e senza rendersi conto di star gridando e piangendo, ma lo farebbe fino a strapparsi le corde vocali perché
“Harry!”
lo guarda e non c’è e non capisce, Rispondi, ti prego! Perché non rispondi, Harry?
Mille mani sconosciute lo allontanano e lo scacciano, ma Louis non se ne va perché è sempre rimasto, perché dentro di sé sa di essere appena morto, perché sa che non solo una vita si è spenta. Lo sta chiamando.
Chiama il suo nome, lo prega e si rinchiude nella rovente camicia di forza del dolore, scrolla Harry e lo scongiura di sorridergli anche se capisce che ora è davvero finita, lo scrolla forte per svegliarlo quando sa che non riuscirà mai più a vederlo splendere. Piange e invoca il suo nome senza più conoscere nulla, anela alla sua risata infinita e sempre adorabilmente inopportuna che gli empiva le vene sino a farle scoppiare diventando sangue, ossigeno e cielo.
Ed è a quel punto che Louis, implodendo, si spezza.

 
 
 
















Autrice:

Salve a tutti e, innanzitutto, grazie di aver letto!
Come sempre, mi sembra da non pubblicare nulla da molto tempo e, come sempre, non è così. Bé, probabilmente vi aspettavate che ritornassi con qualcosa di nuovo, ma forse non con una one shot del genere. D’accordo, non è il periodo migliore di sempre e la mia passione per il dramma si fa sentire, dunque… questo è quel che passa il convento, purtroppo.
Non ho molto da dire, spero solo che la storia vi sia piaciuta, per quanto caotica e giù di tono; io l’avevo progettata già da un po’, ed avere finalmente un pomeriggio libero mi ha dato modo di scriverla. È molto breve e esageratamente angst, lo so bene, ma che cosa ci posso fare se la mia mente riesce a concepire solo roba del genere?
Comunque sia, ringrazio tutti i miei lettori perché siete sempre stupendi e, above all, riuscite a sopportarmi quando persino io stessa mi detesto! Mi lasciate una recensione, giusto per farmi sapere cosa ne pensate di quel che scrivo?
Grazie ancora, a presto (:
 
Jun.
 
ps: meglio che pubblichi in fretta, di già me ne sto pentendo ç_ç

 
 
 
 
 
 
   
 
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