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Autore: Cloe901s    24/10/2012    2 recensioni
-Io amo gli uomini.- dicesti, intrecciando le tue dita alle mie e io non potei fare a meno di sorridere.
-No, meglio, amo te.- tremai al suono di quelle parole e, quando mi baciasti, come fosse la prima volta, il tremore aumentò.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cazzo.
Va a farti fottere, brutto stronzo.
 
 
 
 
 
 
-Non farti illusioni, piccoletto.- avevi ridacchiato, mischiando la voce alla tua risata calda e maledettamente perfetta.
-Perché dici così?- ti avevo chiesto, stringendomi a te e portando il piumone fin sotto il naso.
Avevi quindi iniziato a solleticarmi il braccio e, notando la mia pelle d’oca, avevi sorriso, passando una mano tra i miei capelli, arruffandoli e accarezzandoli.
-Mi piacciono le donne. Amo le donne.- avevi riso ancora, portando la mano, che prima infiltravi nella mia chioma , all’occhio destro, liberandoti di qualche granello di polvere fastidioso.
Mi ero sollevato sui gomiti per osservarti meglio, per capire se scherzavi , se mi stessi prendendo in giro, ma intanto, nonostante non conoscessi la risposta, mi sentii morire.
-Non guardarmi così.- un sorriso, uno di quelli che tolgono il fiato e poi un piccolo bacio sulla punta del naso.
-Diciamo che tu sei la mia eccezione.- un sussurro e poi un altro bacio nello stesso punto del precedente.
 
 
 
 
 
 
Lo avevi portato a casa, cazzo, nella nostra fottutissima casa. Lo avevi presentato a tutti. Era simpatico a tutti, sarebbe stato simpatico persino a me se non fosse che era con te e non potevo non odiarlo per questo.
Vi eravate seduti sul nostro divano.
Cazzo, tu sapevi cos’era successo su quel divano, lo sapevi perché c’era ancora l’odore delle mie lacrime impresso sulla stoffa blu scuro che io odiavo, ma tu avevi insistito tanto per averla.
-Ricorda il colore dei tuoi occhi- mi avevi detto. E io mi ero lasciato convincere.
Balle, tutte balle. Tu non sapevi nemmeno di che colore erano i miei occhi.
Lo avevi baciato con una lentezza estenuante, speravi vedessi forse, e io avevo visto.
E ti odiavo per quello che mi stavi facendo.
Lo schiocco delle vostra labbra, il palparsi della vostra lingue, il tuo sorriso contro la sua bocca, sentivo e vedevo tutto, sentivo anche gli occhi bruciare, ma ti odiavo talmente tanto da non riuscire a staccarti lo sguardo di dosso.
 
 
 
 
 
 
Tu eri una di quelle cosa preziose che senti non ti apparterranno mai, ma vuoi custodirle ugualmente. Le maneggi come se le avessi in prestito, come se un giorno dovessi riconsegnarle al vero proprietario, perché non possono essere tue. Sono troppo per te.
Tu eri troppo per me, ma nessuno ti aveva ancora reclamato e io potevo tenerti.
Vivevo con te i momenti più belli della mia vita, tanto che più di una volta pensai che il mio posto fosse al tuo fianco, non poteva essere da nessun altra parte.
Io ne ero certo.
Il problema eri tu.
Il tuo posto non era al mio fianco, saresti andato via, presto il mio Paradiso sarebbe scomparso, venendo sostituito da un Inferno senza fine.
Lo sapevo, ma non me ne curavo. Fin quando tu eri con me non riuscivo proprio ad immaginare l’Inferno.
-Dormi?- ti avevo chiesto sottovoce, stendendomi accanto a te e poggiando il mento sulla tua spalla a pochi centimetri dal tuo viso.
-Sì..- avevi mugugnato, senza aprire gli occhi e muovendo la schiena, cercando di scrollarti il mio peso di dosso.
-Devo dirti una cosa..- avevo sussurrato, continuando ad osservare i tuoi occhi chiusi cerchiati da profonde occhiaie e le tue labbra carnose leggermente dischiuse.
-Non puoi dirmela domani?- avevi aperto un occhio, quello che non poggiava sul cuscino, e sospirato.
-Sì, ma non sarebbe lo stesso..- continuavo a parlare piano, forse era il buio che c’era nella stanza ad indurmi a farlo o forse il panico a cui ero soggetto in quel momento.
-D’accordo.- avevi infine detto, sistemandoti a pancia sopra e mettendoti a sedere, poggiando la schiena alle testiera del letto. –Dimmi questa cosa.. Spero per te sia importante.- ti eri passato una mano sul volto, sbadigliando, e io non potei fare a meno di afferrare la tua mano e stringerla.
I tuoi occhi assonnati seguirono il mio gesto e poi cercarono i miei ed erano talmente dolci e indifesi che mi venne voglia di soffocarti di baci, ma mi contenni, ricordando cosa dovevo dire.
-Mi sono innamorato di una persona.- tutto d’un fiato.
Stringesti la mia mano, guardandomi male, molto male.
-Ti amo.- avevo replicato, rigirando le tue dita tra le mie.
 
 
 
 
 
 
Non mi avevi mai tenuto per mano.
Mai.
Ma le sue dita le stringevi, le tenevi strette come se potessero sfuggirti da un momento all’altro.
Seduti a tavola, tutti insieme. Dieci persone, forse dodici, tutti allo stesso tavolo.
Tutti sorridenti, tranne me;  tutti occupati a conversare, tranne me che, con gli occhi puntati sul piatto, stavo in silenzio a sminuzzare le patate.
-E tu, Vale? Cosa fai?- la sua voce così odiosa che si rivolgeva a me, quella voce che doveva piacerti tanto per preferirla alla mia. Certo, la mia era roca e spezzata, la sua quasi sensuale. Doveva essere piacevole sentirlo gemere. I miei gemiti, d’altronde, non ti piacevano. I suoi erano di sicuro molto diversi, più puliti, più femminili…
Lo ignorai, feci finta di non aver sentito, magari ci avrebbe anche creduto e avrebbe rivolto la sua adorabile voce a qualcun altro, a te magari.
-Vale.. sta parlando con te.- e poi la tua voce a rimproverarmi, a riportarmi nel mondo, in quel mondo fatto di me senza te, di te con un altro, quel mondo schifoso e vomitevole.
Spostai lo sguardo annoiato su di te, portando la forchetta alla bocca. Tu mi guardasti scocciato, quasi afflitto a causa del mio comportamento.
Che fidanzato modello…
Estrassi lentamente la forchetta dalla bocca, spostando con riluttanza il mio sguardo ghiacciato su di lui, che mi guardò a dir poco terrorizzato con quel suo viso da bambino e i suoi occhi da cerbiatto.
Cazzo, quanto lo odiavo per essere così perfetto, così dolce, dannatamente preferibile, dannatamente migliore di me.
-Solo i miei amici mi chiamano Vale.- cominciai, beccandomi un’occhiataccia da te che lasciasti cadere la forchetta sul piatto, provocando un tintinnio quasi piacevole, che smosse ancor di più la mia rabbia.
Tu non avevi il diritto di arrabbiarti, tu non potevi pretendere che fossi carino con lui, non potevi chiedermi questo.
-Oh, scusami..- sussurrò lui, alzando lo sguardo verso di te e cercando conforto.
Stringesti la sua mano, da sotto il tavolo. Forse pensavi non lo avessi visto, ma io vedevo tutto.
E, cazzo, faceva male, male davvero.
Tu non dovevi stringere la sua mano, dovevi stringere la mia, cazzo, solo la mia.
-Studia. Ingegneria.- avevi risposto al mio posto.
Avevo sentito un suo –Ah-, mentre riportavo lo sguardo al mio piatto, riprendendo a torturare la patate che avevo cucinato solo poche ore prima con poca cura. Non avevano nemmeno un bell’aspetto.
Spinsi il piatto lontano da me e mi alzai da tavola.
-Scusate, non mi sento bene.- dissi, ma forse talmente a bassa voce che mi sentisti solo tu e lui, ovviamente. Ma non mi importava, volevo solo andare via da quella stanza, rinchiudermi in camera e dormire, circondato da buio e silenzio, fin quando non sarei stato troppo stanco per tenere gli occhi chiusi.
Tu mi guardasti, perplesso ma arrabbiato, uscire dalla sala da pranzo.
Non potevi fingere preoccupazione per una volta? Non potevi far finta che ti importasse di me solo per un’ora? Ti stavo chiedendo troppo? Forse sì, per te era troppo.
 
 
 
 
 
 
Eravamo rimasti in silenzio per un po’.
Io ti avevo detto tutto e tu nulla.
La tua reazione tardava ad arrivare: continuavi a stringere la mia mano, segno che non ti fossi arrabbiato, oppure che fossi troppo scioccato per muoverti e mettere fine a quel contatto.
Avevi poi scostato le coperte e, sfilando le tue dita dalla mie, ti eri alzato, prendendo una sigaretta dal pacchetto sulla scrivania.
-Sei arrabbiato?- ti avevo chiesto, cercando di studiare la tua espressione.
Ma tu era rimasto in silenzio, aspirando diverse volte.
-Mi.. mi dispiace.- sussurrai, abbassando lo sguardo.
E tu mi avevi guardato, scuotendo la testa.
-Ma io.. io credo sia una bella cosa..- forse parlavi a te stesso, ma sicuramente volevi farti sentire e io ti avevo sentito.
-Davvero? Quindi non sei arrabbiato?- ti avevo chiesto di nuovo.
-No, perché dovrei esserlo?- mi guardasti, espirando praticamente sul mio viso e costringendomi ad abbassare lo sguardo a causa del bruciore.
-Non lo so, sembravi arrabbiato.- sussurrai, mantenendo lo sguardo basso.
Ricordo ancora il modo in cui poggiasti entrambe le mani sul mio viso, la delicatezza con la quale lo sollevasti; ricordo persino il solletico che mi fece il filtro della sigaretta, ma soprattutto mai dimenticherò il tuo sguardo raggiante e il sorriso timido che mi donasti.
-Dillo ancora.- avevi detto, tornando serio.
-C..cosa?- il tuo viso perfetto e così vicino mi confondeva e mi sentii quasi un idiota in quel momento, ma tu non ti curasti di nulla. Posasti le tue labbra sulle mie, donandomi un bacio talmente leggero da farmi il solletico e allora mi venne spontaneo, mi ero già dimenticato della tua richiesta , nella mia mente c’era posto per un solo pensiero.
-Ti amo.- sussurrai, cercando i tuoi occhi raggianti.
Guarda caso, anche quando non me ne accorgevo, ti rendevo felice, anche quando non lo facevo volontariamente.
Evidentemente ero al mondo per quello.
 
 
 
 
 
 
Richiusi violentemente la porta alle spalle, lasciando fuori tutte quelle voci, tutti quei pensieri; lasciando fuori te e anche lui; lasciando fuori i ricordi e le promesse. Sì, quelle che non mi avevi mai fatto.
In quella stanza c’era posto solo per me e per il mio dolore.
Lasciai scivolare la schiena sul legno freddo della porta, la maglietta si sollevò lentamente e il materiale mi gelò la pelle, ma non me ne curai.
Il mio stomaco era in subbuglio, tutto girava, non riuscivo nemmeno a mettere bene a fuoco gli oggetti, forse perché stavo male o forse perché avevo gli occhi pieni di lacrime.
Presi la testa tra la mani a cominciai a sfogare lentamente il mio dolore e di certo sarei andato avanti per giorni se non avessi sentito qualcuno bussare.
No, meglio, se non avessi sentito te bussare.
Sapevo distinguere anche il modo in cui battevi le dita su una porta, ero messo davvero bene.
Volevi entrare, ma io non lo volevo.
Non volevo mi vedessi in quello stato, ancora.
Non te lo meritavi e io non volevo umiliarmi con te, di nuovo.
Abbassasti la maniglia, spingendo per aprire, ma io premetti i piedi per terra, spingendo la schiena contro la porta fino a farmi male.
-Apri, cazzo!-
Urlavi, avevi persino il coraggio di perdere la pazienza. Forse volevi intimidirmi, spaventarmi, ma io non ero debole. Io non ero come te, sapevo di avere ragione, sapevo persino cosa pensavi tu, come ti sentivi, ma ero io a stare male. Ero io, in ogni caso.
Non mi mossi e asciugai tutte le lacrime, ma più mi ripetevo di smettere, più cercavo di convincermi che non ne valesse la pena, più loro uscivano, fin quando non riuscii più a fermarle e mi arresi, lasciandole libere di rigarmi il volto.
-Vale…- mi chiamasti piano.
Ti eri calmato, ma non ti avrei aperto comunque, non volevo vederti, non volevo stare nella tua stessa stanza, né respirare la tua stessa aria, non volevo le narici inondate del tuo odore. Era troppo e faceva già abbastanza male.
-Vale, ti prego…- stavi continuando..
E il mio cuore batteva ed ero vicino a cedere e avrei ceduto, perché, quando tu mi parlavi in quel modo, io non potevo non cedere. Avrei preteso troppo da me stesso. Ero forte, ma non abbastanza.
-Voglio parlarti. Ti prego fammi entrare.- un sussurro, ma al piano superiore eravamo da soli e poi io sentivo sempre la tua voce, ovunque ci trovassimo.
Io sentivo sempre la tua, tu poche volte la mia.
Rimasi immobile come se fossi solo uno spettatore. Sentivo le tue parole, ma era come se non fossero rivolte a me, ma mi alzai comunque, poggiando una mano sulla maniglia. La ritrassi subito dopo, non dovevi entrare, io non volevo, non mi sarei fatto ipnotizzare dalla tua voce: questa volta io avrei resistito.
Ero forte, non dovevo cedere. Tu eri il debole, ti saresti arreso, saresti tornato giù e non ci avresti più pensato, solo questione di secondi.
-Cucciolo...- un altro sussurro e crollai, di nuovo, e il baratro si riaprì, inghiottendomi.
Che stronzo, che colpo basso, sapevi che mi venivano i brividi quando mi chiamavi in quel modo.
Ma quale via più semplice per ottenere ciò che volevi?
La mia mano tornò sulla maniglia e, senza che potessi fermarla, ti aprì.
 
 
 
 
 
 
-Non ci andare…- ti avevo pregato, per la milionesima volta.
-Devo farlo, lo sai.- non mi avevi nemmeno guardato.
-Uffa.- sbuffai e mi rintanai in bagno.
Ti sentii sghignazzare. Odiavo quando lo facevi: significava che non mi prendevi sul serio.
Mi raggiungesti in poco tempo, poggiando il viso sulla mia spalla e dandomi un piccolo bacio sul collo.
-Ti ho promesso che tornerò presto. Cos’altro devo fare?- ti lamentasti, senza toglierti quel dannato sorriso dal volto.
Mi girai di scatto, portando le mani al tuo collo.
-Rimanere qui, con me.- dissi, mettendo su un finto broncio.
Tu sorridesti, baciandomi.
-Lo preferirei, ma non posso.- un altro bacio.
-Che palle, non è giusto!- mi lamentai, allontanandomi e tornando in soggiorno, fingendo di aver qualcosa da fare.
-La smetti di fare il geloso?- mi venisti dietro, a passo sostenuto –Non che mi dispiaccia, ovvio,- un sorriso.
-ma vorrei che tu stessi tranquillo- sospirasti, cingendo i miei fianchi.
-Cazzo, Gù, è la festa della tua ex. Come faccio a stare tranquillo?- sbuffai.
-Fidandoti di me, ad esempio.- prendesti le mie mani, impegnate a sistemare dei libri, tra le tue.
-Vi chiamate ancora con nomignoli da fidanzati.- sussurrai, abbassando lo sguardo.
-Mmh,- sorridesti ancora, portando le tue mani sulla mia schiena. –mi piace quando sei geloso, dovrei uscire più spesso.- dicesti, guardandomi divertito.
E che cazzo! Non sapevi far altro che scherzare, ma io ero serio: non volevo andassi alla sua festa.
-Fanculo.- sussurrai e mi voltai, facendo per andarmene, ma tu non me lo concedesti.
Mi afferrasti per un braccio, bloccandomi.
-Vieni qui, cucciolo.- mi spingesti verso il tuo corpo e mi baciasti, infiltrando una mano tra i miei capelli.
Forse uno dei nostri baci più belli, o semplicemente uno di quelli che ricordo meglio.
-C..come mi hai chiamato?- ti chiesi, fissando i miei occhi nei tuoi, stranamente sereni.
-Cucciolo.- rispondesti, sorridendo ancora e accarezzandomi il viso con due dita.
Cosa avrei dato per sapere cosa ti stesse passando per la testa in quel momento; a cosa stessi pensando guardandomi…
-E perché?- sorrisi anche io, senza motivo, forse eri tu. No, di certo eri tu.
-Nomignoli da fidanzati.- scrollasti le spalle, ridendo.
E risi anche io, dimenticando la festa, la gelosia, la tua ex, dimenticando anche il mio nome.
Nella mia mente c’era solo una parola, quella che avevi pronunciato poco prima, rivolgendoti a me.
E avrebbe occupato i miei pensieri per molto tempo ancora.
 
 
 
 
 
 
Ci guardammo in silenzio per attimi che parvero interminabili. Poi tu parlasti.
-Mi fai entrare?- mi chiedesti, abbassando lo sguardo.
Eri così dolce e bello che per un attimo pensai quasi di darti ascolto, ma poi mi svegliai. Sapevo il tuo gioco.
-No. Cosa vuoi?- ti risposi con quanta più freddezza possibile.
Tu sospirasti, passandoti una mano sul volto.
-Perché.. mi parli così?- non eri arrabbiato, anzi sembrava quasi stessi scoppiando a piangere, ma era di fatto impossibile. Tu non piangevi mai, soprattutto di fronte a me.
Risi sonoramente, sistemandomi i capelli in un gesto meccanico e nervoso.
-Davvero non ti sei fatto un’ idea?- ti guardai e, per la prima volta da quando ti conoscevo, vacillasti a causa di un mio sguardo, il che mi fece sentire stranamente potente: con te quei giochetti non funzionavano mai.
Che avessi avuto in quel momento, per la prima volta, l’occasione di vederti debole? I ruoli si erano quindi invertiti per qualche minuto? Sarei potuto essere te, allora: il più grande stronzo esistente. Bene, la cosa non mi dispiaceva affatto, soprattutto se dovevo  esserlo con te.
-Sì che me la sono fatta.- tornasti forte, con quel tuo tono stanco, ma eri ancora fragile e io dovevo colpirti, perché tu lo meritavi, perché forse era l’unico modo per riaverti.
-Bene, allora divertiti di sotto.- feci per chiudere la porta, ma tu la bloccasti con un piede.
Sospirai, ma sentivo che il mio coraggio andava piano piano a svanire e il tuo si fortificava. Tutto stava tornando normale.
-Vale..- prendesti delicatamente la mia mano, quella non impegnata a tenerti fuori, la stringesti e io te lo lasciai fare, chiudendo gli occhi e poggiando la testa allo stipite della porta.
Quanto mi erano mancate le tue mani gelide…
Dissi addio alla forza, all’orgoglio, al coraggio e strinsi di rimando le tue dita.
-A me non hai mai stretto la mano in pubblico.- sussurrai, senza aprire gli occhi.
Addio orgoglio.
Nessuna risposta.
-Non mi hai mai nemmeno dato coraggio in una lotta contro qualcuno.-
Addio forza.
Nessuna risposta.
-Io… davvero… non ci riesco.- aprii gli occhi, fissando le nostre mani.
Addio coraggio.
-Non ero ancora pronto.- che risposta banale la tua. Così vuota, così crudele. Potevi anche tenerla per te questa stronzata.
Lasciai di scatto la tua mano, lasciando andare anche la maniglia e mi scaraventai contro di te, stringendo la stoffa della tua camicia tra le mani.
-Ti ricordi cosa mi hai detto quando mi hai lasciato?- ti chiesi tra i denti.
-Smettila.- parlasti piano, con voce pacata. Forse volevi calmarmi, forse farmi sentire un pazzo, ma io non smisi.
-Rispondimi.- urlai, sbattendoti contro il muro.
-Sì, si, me lo ricordo.- scuotesti la testa ed evitasti il mio sguardo, assumendo un’espressione sofferente.
-Io non posso stare.. avanti, aiutami, non ricordo.- il mio volto era a pochi centimetri dal tuo e mi tremava la voce, ma ero arrabbiato e ferito. Ti avrei volentieri dato un pugno proprio su quelle labbra morbide e calde, ma tu dovevi parlare.
-Continua la frase.- ordinai, ringhiando quasi e facendoti sbattere di nuovo contro il muro.
-Con.. con un ragazzo.- balbettasti chiudendo gli occhi, impaurito.
-Io non posso stare con un ragazzo.- sussurrasti, aprendo lentamente gli occhi, divenuti lucidi, e puntandoli sui miei.
-Sei il più grande stronzo che abbia mai conosciuto.- soffiai sulle tue labbra.
Anche il più bello..
Smettila”, mi ordinai. Dovevi resisterti, dovevi diventare nulla.
-E pensare che eri anche il mio migliore amico.- sentivo io stesso l’eccessiva cattiveria dei miei discorsi, ma non riuscivo a fermarmi. Ero troppo ardente, soffrivo come mai in vita mia e tutto per colpa tua. Quanto meno dovevi sentiti in colpa.
Ti lasciai andare, anche perché le lacrime stavano per arrivare, la sentivo invadere i miei occhi e tu non dovevi vedermi piangere.
Mi voltai, ma tu mi afferrasti per un braccio, invertendo i ruoli. Mi spingesti contro il muro, facendo aderire il mio corpo al tuo; poggiasti le tue braccia una a destra e l’altra a sinistra del mio volto e mi fissasti per diversi secondi.
Perché mi facevi questo?
I miei occhi persero la rabbia e tornarono adoranti, tornarono feriti a guardare i tuoi. Una, forse due, lacrime scesero senza che io potessi fermarle, tanto ero paralizzato.
-La verità- cominciasti, posandomi un bacio sul naso, -è che io posso stare con un ragazzo.- un altro bacio in fronte.
Non capivo più nulla, quel contatto mi stava facendo perdere il controllo. Le tue meravigliose labbra sulla mia pelle mi provocavano brividi in tutto il corpo e offuscavano del tutto la mia ragione.
Prendesti fiato.
-Ma non riuscivo a stare con te.- un bacio vicino l’occhio, proprio dove era passata la prima lacrima.
-P..perchè?- non so dove presi la forza di parlare, ma dovevo capire.
Tu mi guardasti colmo di tenerezza, passando una mano tra i miei capelli. Chiusi per un attimo gli occhi, beandomi di quel gesto che tanto mi mancava, ma li riaprii non appeno sentii la tua voce.
-Perché tu sei troppo per me. Io non merito il tuo amore.- sospirasti, baciandomi una guancia, poi l’altra.
Ero confuso, lo ammetto.
-Ma cosa dici?- chiesi, interdetto.
-Tu meriti una persona migliore di me, qualcuno che sappia amarti meglio.- poggiasti la fronte sulla mia, solleticando il mio naso.
-Lasciarti è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto. Vederti star male a causa mia è anche peggio.- piangevi, i tuoi occhi erano umidi.
Piangevi… per me?
-Io non voglio qualcuno che mi ami meglio, io voglio te..- sussurrai avvicinando timidamente le mie labbra alla tue, ma fermandomi prima di raggiungerle, per paura di un tuo rifiuto.
-Non posso permetterti di perdere persone migliori.- un bacio vicino le labbra.
Pelle d’oca.
-Non voglio persone migliori. Voglio te, solo te.- altre lacrime, strinsi le mie mani sulla tua schiena, spingendoti ancor più verso di me.
-Tu.. tu non sai cosa dici.- entrambe le mani sul mio volto.
Forse tremavo, forse te n’eri anche accorto, ma non mi importava di nulla.
-Io ti amo, Gù. Io voglio te.- deglutii, poggiando una mano sul tuo collo. –So cosa dico perché senza di te io non sono niente. Non mi serve qualcuno che mi adori, mi serve…- sospirai, stringendoti.
–Mi servi tu.-
Avvicinai le mie labbra alle tue, con maggior decisione questa volta e tu non ti ritrassi, anzi, mi precedesti e mi baciasti.
Sentii finalmente la tua bocca sulla mia, la tua lingua con la mia, la tua saliva in me.
Quanto mi eri mancato…
Mi accarezzasti ovunque, facendomi  sentire qualcosa di prezioso. Non era mai successo.
-Sei sicuro?- avevi il coraggio di chiedermelo?
-Sì.- sorrisi e ti baciai ancora, con foga, accarezzando il tuo collo, mordendoti e cercando di imprimere nella memoria quel momento perfetto.
-Mi sei mancato.- sussurrasti, posandomi un piccolo bacio sulle labbra.
-Non sai quanto..- risposi, facendo sfiorare i nostri nasi, finalmente sereno.
Avevo pensato le cose peggiori, ero arrivato persino a credere di non essere io abbastanza e, invece, era il contrario: pensavi che io fossi troppo. Come ti era venuto in mente? Mi avevi tenuto lontano tutto quel tempo per nulla, per i tuoi stupidi complessi. Ma non importava, eri mio in quel momento, di nuovo.
Poi ti allontanasti da me e ti avvicinasti alle scale.
Cosa?
-Dove.. dove stai andando?- chiesi con un filo di voce e la paura mi riassalì.
Avevi già cambiato idea? Stavi tornando da lui? Avevo sbagliato qualcosa?
Mi sorridesti, tendendomi una mano.
-A lasciarlo. Lo voglio fuori di qui entro i prossimi dieci minuti.- dicesti, spingendomi contro il tuo corpo e cingendomi i fianchi.
Sorrisi, abbassando lo sguardo.
-Non mi piace la sua voce, preferisco la tua: roca, da uomo.- un bacio sul collo.
-Davvero?- chiesi, arrossendo.
Annuisti, spostando una ciocca di capelli dal mio viso e baciandomi una guancia.
-Io amo gli uomini.- dicesti, intrecciando le tue dita alle mie e io non potei fare a meno di sorridere.
-No, meglio, amo te.- tremai al suono di quelle parole e, quando mi baciasti, come fosse la prima volta, il tremore aumentò.
Scendemmo insieme le scale, le nostre mani intrecciate.
Tu stringevi la mia e continuasti a farlo, per la prima volta, davanti ad altri.
Non per farmi un favore, non perché te lo avevo chiesto, ma perché era ciò che volevi.
Volevi me.
Accarezzavo il tuo braccio, ringraziandoti per avermi scelto, per aver scelto di amarmi.
Perché io ti amavo.
  
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