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Autore: __Juice    24/10/2012    5 recensioni
[What About Tonight]
Ero seduta su quella panchina da chissà quanto tempo ormai, il fazzoletto che aveva asciugato le mie lacrime ed era stato stritolato dalle mie mani era diventato poltiglia, lo buttai a terra. Pensai che Lui non avrebbe voluto che lo buttassi a terra, ogni volta che ci buttavo qualcosa, tipo una cannuccia, la raccoglieva e la buttava nel cestino più vicino, diceva che il Pianeta è nostro amico e dovevamo trattarlo come tale, io ogni volta ridevo e lo prendevo in giro. Mi alzai, raccolsi il fazzoletto, lo buttai nel cestino più vicino e tornai a sedere su quella panchina. one shot su un personaggio di un gruppo australiano, che posta anche cover su youtube: Mitchel Cave.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I don't want another pretty face
I don't want just anyone to hold
I don't want my love to go to waste
I want you and your beautiful soul.

 

Ero seduta su quella panchina da chissà quanto tempo ormai, il fazzoletto che aveva asciugato le mie lacrime ed era stato stritolato dalle mie mani era diventato poltiglia, lo buttai a terra. Pensai che Lui non avrebbe voluto che lo buttassi a terra, ogni volta che ci buttavo qualcosa, tipo una cannuccia, la raccoglieva e la buttava nel cestino più vicino, diceva che il Pianeta è nostro amico e dovevamo trattarlo come tale, io ogni volta ridevo e lo prendevo in giro. Mi alzai, raccolsi il fazzoletto, lo buttai nel cestino più vicino e tornai a sedere su quella panchina.
Mi guardai intorno e vidi che dei bambini si dondolavano spensierati sulle altalene,guardare quei bambini sulle altalene mi ricordò la sera del nostro primo appuntamento, una delle sere più belle della mia vita, ricordo che era passato a prendermi a casa, io lo stavo aspettando da mezz’ora e nonostante ciò era in anticipo, ricordo che indossava una camicia piuttosto strana, nera con degli uccellini rossi, gialli e bianchi, un paio di jeans chiari, che avvolgevano le sue gambe magre e ai piedi le sue adorate vans nere. Ricordo che mi salutò con un sorriso mozzafiato, ricordo che ci dirigemmo a piedi verso il ristorante e che mentre camminavamo lui mi prese la mano, e il mio cuore perse un battito. Dopo aver cenato lui mi portò in questo parco, disse che ci veniva spesso quando non aveva ispirazione per una canzone, era qui che aveva composto la sua prima canzone ‘The start of something beautiful’, che era una delle mie preferite. Quella sera ci sedemmo sul prato, sotto un albero, ma appena notai due altalene cominciai a correre come una stupida, adoravo le altalene, mi facevano tornare in mente tutti i ricordi della mia infanzia. All’inizio lui mi guardava e sorrideva, poi si mise davanti a me, fece in modo che la mia altalena si fermasse e si avvicinò lentamente, «ti ho già detto che stasera sei bellissima?» mi sussurrò, quasi impercettibilmente, «tre volte, come minimo» gli risposi, allontanandomi di qualche centimetro, «perché è vero, sei bellissima» - «quattro» risposi io sorridendo, «e non intendo dire che stasera sei bella, e le altre volte che ci vediamo no, per me sei sempre bella, eri bella quando ci siamo incontrati la prima volta per caso, eri bella quando il vento ti scompigliava tutti i capelli e tu non vedevi niente, eri bella anche quando sono entrato per sbaglio in camera tua una sera, e tu avevi il pigiama» - «probabilmente quello è stato il momento più imbarazzante della mia vita» sapevo di aver detto una cavolata, ma in quel momento lui era troppo vicino a me perché io potessi azionare il mio cervello.  Annullò la distanza che c’era fra di noi e mi dette un bacio sulla fronte, uno dei baci più teneri che avessi mai ricevuto, io lo strinsi a me e lui fece lo stesso, mi strinsi forte a lui, eravamo petto contro petto e dire che il mio cuore batteva come un tamburo sarebbe stato un eufemismo, e credo che se ne fosse accorto, perché improvvisamente sorrise e sciolse l’abbraccio. Appoggiai la testa alla corda dell’altalena, e lo seguii con la coda dell’occhio, si spostò dietro di me e mi appoggiò le mani sulla schiena, un brivido mi percorse tutto il corpo e cominciò a spingermi.
«Voglio arrivare ancora più in su, Mitch, voglio riuscire a toccare il cielo con un dito» dissi ridendo, e in quel momento mi sentii una bambina, rise anche lui e si mise a sedere sull’altalena accanto, cominciò anche lui a dondolare, «facciamo una gara» - «che gara?» - «chi arriva più in alto, chi riesce a toccare il cielo con un dito, vince» - «e cosa vince?». Sorrise, di nuovo, un sorriso enigmatico. «VIA!» gridai.
Non so chi vinse la gara quella sera, ma sono sicura che io riuscii a toccare veramente il cielo con un dito, dalla felicità.
Avevo ricominciato a piangere, ricordare quelle cose non mi tirava di certo su di morale, erano passati quasi sette mesi da quella sera, dopo un paio di settimane Mitchel mi chiese di mettermi con lui, in uno dei modi più romantici del mondo, era una sera di fine agosto e mi aveva portato sulla spiaggia, ricordo che io stavo soffocando dal caldo, eravamo seduti sulla sabbia, in silenzio, ma non uno di quei silenzi imbarazzanti da cui fai di tutto per uscirne. Stavamo fissando il sole che stava piano piano sparendo sotto al mare, quando lui mi abbracciò e cominciò a cantare «love me, love me, say that you love me», all’inizio non compresi, ci conoscevamo da circa due mesi, ma eravamo solo amici, «fool me, fool me, oh how you do me» lo guardai, sapeva che adoravo quando cantava, ci eravamo conosciuti grazie alle sue canzoni su YouTube, gli avevo scritto che amavo la sua voce e ogni volta che ero triste mi bastava ascoltare le sue canzoni per stare bene, da quel momento cominciammo a parlare e la prima volta ci incontrammo per caso, in un negozio. «Kiss me, kiss me, say that you miss me», mi stavo praticamente perdendo nei suoi occhi, di un colore indefinito, a volte erano verdi con i riflessi marroni, altre volte erano grigio-blu con i contorni arancioni, «tell me what I wanna hear, tell me you love me». Si avvicinò a me, con lentezza, sembrava che volesse far durare quel momento in eterno. Piano. Piano. Le nostre labbra si sfiorarono, poi eccolo, finalmente, quel bacio tanto desiderato, tanto atteso, era finalmente arrivato. Mi prese il viso fra le mani, dolcemente, sciolse il bacio e appoggiò la sua fronte alla mia, ci guardavamo e sorridevamo. «sto ancora aspettando» - «cosa?» - «non far finta di non capire» gli stampai un bacio lieve sulla bocca, sentii a malapena il suo sapore, il suo odore, «anche io» rispose lui.
Dovevo smetterla, dovevo smetterla di ricordare quelle cose.
Ero stata una stupida ad arrabbiarmi con lui, ma ero anche troppo orgogliosa per andare da lui a scusarmi, doveva venire lui a cercarmi.
Presi il telefono per controllare l’ora, erano quasi passate due ore da quando ero lì, la sera cominciava a scendere e io avevo freddo. Non aveva neanche provato a chiamarmi. Altre lacrime scesero, ormai non avevo più la forza di controllarle. Non era mia abitudine reagire così per uno stupido litigio, ma il fatto che fossero passate tre ore, che era ormai sera, e che io ero sola in un parco in una città sconosciuta mi spaventava.
Il mio telefono iniziò a vibrare, avevo tolto la suoneria dato che era una Sua canzone, non ero così masochista. Mamma. Quella donna sceglieva il momento sbagliato per chiamarmi, non avrei risposto, l’avrei richiamata più tardi quando tutto si sarebbe risolto, se si sarebbe risolto. Stavo iniziando a congelare, così decisi di tornare in albergo, dove avrei affrontato Mitchel, probabilmente mi sarei scusata per il mio comportamento da bambina e tutto sarebbe finito per il meglio.
Non feci in tempo a fare tre passi che sentii una voce, ormai a me familiare.
«Give a little time to me, we’ll burn this out» mi voltai, giusto per appurare che non stavo sognando, ma che dietro di me c’era veramente lui. «We’ll play hide and seek, to turn this around» era vero, litigavamo, poi giocavamo a nascondino, una volta si nascondeva lui e toccava a me trovarlo, una volta, tipo adesso, mi nascondevo io, e lui doveva trovarmi, ma alla fine risolvevamo tutto. «And all I want is the taste that your lips allow» perché era così bravo a perdonarmi? Non me lo meritavo, mi ero comportata male con lui, mi ero arrabbiata perché una stupida fan senza un minimo di pudore prima gli aveva lanciato una parte del suo intimo, poi quando era riuscita ad avvicinarsi a lui l’aveva abbracciato e baciato, e non intendo un bacio casto sulla guancia, ma un bacio, un vero bacio, assistendo a quella scena provai la stessa cosa che avrei provato se qualcuno avesse preso il mio cuore, me l’avesse strappato, poi ci avesse giocato tranquillamente una partita di pallavolo.
Lo guardi, immobile, lui si avvicinò a me e con estrema lentezza mi prese una mano e se la portò al petto, il suo cuore batteva forte, come il mio in quel momento, «questo è ciò che accade al mio cuore ogni volta che ti vedo, qualsiasi cosa tu faccia, scusa se ti ho fatto aspettare tre ore, ma ho girato la città in lungo e in largo, mi hai fatto preoccupare, sei stata da sola in una città che non conosci, se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato…»
«scusami, davvero, non volevo, ho fatto una cazzata, lo so, solo che ci sono stata troppo male. Dovevo immaginare che per te quel bacio non avrebbe contato niente, però è stato più forte di me, stavo male, veramente male.» dissi, stringendomi a lui.
Lentamente mi avvicinai a lui e lo baciai delicatamente sulle labbra, lui sfoggiò uno dei suoi sorrisi più belli, «ti amo anche io.» disse, e mi baciò.

 


la mia prima one shot, spero vi sia piaciuta c:
questo è il mio twitter: https://twitter.com/GiuliaWAT
un bacio, julia.

  
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