Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |       
Autore: MadAka    25/10/2012    0 recensioni
Non è semplice essere l’ennesima band emergente del proprio territorio.
Anche se si vive nell’ era di internet le cose sono sempre più complicate e per gli Engage non c’è nessuna differenza. Bisogna solo continuare a crederci.
"Per un chitarrista la propria chitarra era come una figlia, o un’innamorata, e lui non faceva eccezione. Gli era mancato suonare, gli era mancato tantissimo"
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Le monetine tintinnavano ogni volta che ne aggiungeva una alla pila già presente sul banco.
-…trenta…quaranta…quarantacinque e…cinquanta!  Tre euro e cinquanta, eccoli qua- disse infine sorridendo alla barista e parendo piuttosto soddisfatto di essere riuscito a trovare tutti i soldi.
Lei lo guardò e accennò un sorriso che sembrava più che altro una smorfia di noia.
Così Andrea recuperò la sua birra e uscì.
Una volta fuori si abbassò gli occhiali da sole e cercò un posto per sedersi: optò per il marciapiede dato che non c’erano panchine nei dintorni.
Dopo essersi sistemato guardò in giro, estrasse l’accendino e lo usò per aprirsi la birra.
Ne bevve un sorso e rimase a contemplare la condensa che cominciava a formare delle gocce lungo il collo della bottiglia. Quella birra ghiacciata era proprio quello che gli serviva. Lui non era il tipo da bere alle cinque del pomeriggio, ma quel giorno aveva caldo e, dato che era perfettamente consapevole che avrebbe dovuto aspettare un po’sotto quel sole di settembre, era andato al bar lì vicino per comprarsi qualcosa di fresco. Dopo il secondo sorso tirò fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans blu scuro un pacchetto di sigarette che stava iniziando a deformarsi. Se ne accese una, diede la prima boccata e mentre espirava il fumo rimase a guardare la cenere che lentamente aumentava.
Era in pace con se stesso. L’abbinamento birra-sigaretta lo faceva stare sempre bene, qualunque fosse il suo stato psicologico. 
Sentiva le occhiate dei passanti su di lui. Doveva fare davvero uno strano effetto.
Un giovane di ventidue anni che se ne sta ad aspettare seduto per terra bevendo birra e fumando alle cinque del pomeriggio. In verità lui non ci trovava niente di sbagliato, insomma, chi aveva stabilito cos’era giusto o “normale”? Se lui voleva starsene per terra, era liberissimo di farlo.
Si passò una mano fra i capelli e prese un’altra boccata dalla sigaretta, poi controllò l’ora e vide che erano le 17:23. “Ma dove diavolo è sparita Rebe?!” pensò, l’ora dell’appuntamento era già passata da ventitre minuti e la sua amica non era mai in ritardo. L’unica possibilità sensata era che fosse morta…
-Scusa il ritardo!- disse una voce seccata alle sue spalle. Dopodiché la ragazza, Rebecca, gli si sedette accanto e prese un generoso sorso dalla birra di lui senza tante cerimonie.
Andrea la guardò e le vide un’espressione soddisfatta dipingersi sul volto.
-Mi ci voleva!- disse poi allegramente, asciugandosi le labbra.
-Che è successo?- chiese il ragazzo
-Di tutto! Cioè, in verità no, ma mentre passavo in macchina dalla strada…sai quella che c’è là?- indicò dietro di sé con il pollice: -Be, se n’è uscita una vecchia ed ha iniziato ad urlarmi addosso frasi incomprensibili…dico io, ma siamo normali??-
Lui la guardò in maniera confusa mentre lei prendeva un altro sorso di birra.
-Aspetta un secondo…- disse il ragazzo -hai detto la strada là dietro?-
-Precisamente-
-Ci credo che la tipa ti urlava addosso! L’hai presa contromano-
Lei si voltò a guardare il punto in cui, a grandi linee, avrebbe dovuto esserci la strada:
-Ma seriamente?- chiese
-Si, seriamente- rispose lui riprendendosi la bottiglia.
-Oh cavolo! Ma è molto che è così? No perché l’ultima volta era a doppio senso…-
-No, è così da un po’- disse alzandosi in piedi.
Lei lo guardò. Notò che la sigaretta nella mano destra, ormai prossima a spegnersi, e la birra in quella sinistra gli davano un’aria da cattivo ragazzo, cosa che Andrea non era affatto. Ma non era facile per uno come lui apparire un tipo “a posto” agli occhi della massa. Innanzitutto perché aveva un tatuaggio sull’avambraccio destro . Uno di quei tatuaggi che lei trovava dannatamente belli, in stile giapponese, con lo sfondo nero a spirali sfumate e qualche onda qua e là, che facevano da cornice ad una tigre e un serpente dai colori intensi e vivaci, che sembravano costantemente sul punto di azzannarsi. E poi per via del suo look.
Solitamente vestiva con jeans stretti e colori scuri. Abbinava maglie a camice scozzesi (o da “boscaiolo” come loro si divertivano a chiamarle) oppure a felpe, categoricamente con cerniera.
Però a lei piaceva, e molto. Le piaceva il fatto che avesse quei suoi capelli castano scuro corti dietro e più lunghi davanti e che tenesse la frangia sempre dal lato sinistro senza mai farsela ricadere sui suoi occhi nocciola. E le piaceva molto anche il pizzetto e i baffetti incolti che aveva. Rimase a guardarlo ancora un momento, a sedere sul marciapiede, e lui, che era già alto e slanciato di suo, le pareva distantissimo.
Lui la guardò e sollevò gli occhiali:
-Andiamo Rossa- disse facendole cenno di alzarsi.
Lei eseguì e gli si affiancò sentendosi meno bassa di prima.
L’appellativo di “Rossa” le era stato affibbiato dai ragazzi dopo che aveva deciso di farsi lo stesso taglio di Hayley Williams dei Paramore. La tinta era riuscita, l’acconciatura un po’ meno. Ma era comunque soddisfatta di quei capelli leggeri, rossi, che finalmente stavano come voleva lei e alla quale aveva dato il simpatico nomignolo di “sbarazzini”. A detta di Andrea poi la tinta rossa faceva risaltare maggiormente i suoi occhi castani e il suo sorriso soddisfatto.
Si avviarono uno accanto all’altro verso il negozio di strumenti Guitar shop che si trovava poco distante dal luogo in cui si erano incontrati. Andrea aveva lasciato al negozio la sua chitarra più di una settimana fa per via di un problema a uno dei due pick up, che aveva trasformato il suono della sua Fender in una specie di ruggito gutturale.
I due suonavano insieme, per la precisione lui suonava la chitarra, lei invece cantava, e per tutta quella settimana non erano riusciti a provare. Era difficile fare le prove senza la chitarra solista.
Stavano in una band di coetanei chiamata Engage insieme ad altri tre membri: il bassista Stefano, o meglio Steve, il batterista Daniel, volgarmente detto Dan e infine Roy, cioè Roberto, l’altro chitarrista.
La band si era formata più di un anno fa ed erano già  riusciti a sfornare il loro primo EP, Snapshot, contenente dieci tracce inedite.
Quando chiedevano loro che genere facevano generalizzavano dicendo semplicemente “rock” o “alternative rock”, per via delle influenze musicali che provenivano un po’ da tanti generi diversi e  che ogni membro inseriva durante la lavorazione dei pezzi.
Andrea aveva un passato Metalcore alla Bullet For My Valentine che era poi sfociato in band quali Trivium oDragonforce. Nell’ultimo periodo tuttavia si stava accostando ai grandi classici della musica Rock per colpa di Dan. Lui era un amante del rock anni ’70-’80 e ‘90, dei Guns ‘n Roses, dei Led Zeppelin e deiQueen (solo per citarne tre). Le loro influenze poi si univano ai Red Hot Chili Peppers, ai Primus e ai Muse di Roy. Il problema è che tutto questo, dopo, sbatteva contro un muro: Steve.
Lui era cresciuto a punk californiano: Blik 182, Sum41 e i Green Day di Basket Case.
Grazie a Steve il sound si addolciva, diventando più pop e accessibile alla voce della cantante.
Quest’ultima non aveva mai problemi a cantare sulla base pensata dai ragazzi, dato che anche lei contribuiva a migliorarla e con la sua voce aggiungeva qualche sfumatura mancante.
Le influenze che introduceva lei erano più ampie e mai uguali. La sua collezione di cd conteneva artisti come Stone Sour, System Of A Down, Linkin Park,diventando più punk con Rancid, Anti-Flag, NOFX e The Offspring e si mescolava con RHCP, Nirvana e band italiane come Medusa e The Fire. Tuttavia, da due anni a questa parte, aveva completamente perso la testa per i Foo Fighters e, quando cantava, si sentiva.
L’unione di tutto ciò, mediato, concordato e rielaborato, aveva reso il sound degli Engage totalmente personale. Per questo faticavano a descriverlo perfino loro stessi, limitandosi a dire di far parte della grande famiglia del Rock.
Raggiunsero il negozio, il ragazzo buttò la bottiglia di birra vuota nel cestino lì vicino ed entrarono senza soffermarsi a vedere la vetrina. Dentro non c’era nessuno.
Andrea si tolse gli occhiali da sole e se li agganciò al colletto della t-shirt, poi andò direttamente dal negoziante. L’uomo era un tipo piuttosto bassino, con radi capelli grigi, occhiali tondi e uno sguardo serio che non esitò ad analizzare Andrea da capo a piedi, come per cercare di ricordarselo.
Il ragazzo sfoggiò il suo sorriso più sincero e disse:
-Salve. La settimana scorsa avevo lasciato la mia chitarra qua da lei, a nome Anceschi. È una Fender Stratocaster color panna-
L’uomo perse l’espressione diffidente e annuì con la testa:
-Certo, me la ricordo. È pronta. Vieni a provarla-
Uscì da dietro il bancone e andò nello stanzino accanto riemergendone con una custodia da chitarra rigida. L’aprì, tirò fuori lo strumento e dopo averlo rigirato un momento fra le mani, come per ammirare il suo operato, lo diede al giovane. Andrea lo prese e sorrise.
Per un chitarrista la propria chitarra era come una figlia, o un’innamorata, e lui non faceva eccezione. Gli era mancato suonare, gli era mancato tantissimo.
-Aspetta che ti accendo l’amplificatore- disse l’uomo. Andrea si sedette sullo sgabello e aspettò.
Intanto Rebecca si mise a fare un giro per il negozio.
Nonostante le chitarre variopinte colorassero le due grandi stanze, trovò quel posto un po’ triste. Forse per via delle pareti grigie o forse per l’anomalo silenzio che vi regnava.
Si mise a guardare un po’ di strumenti nuovi tirati a lucido disposti ordinatamente uno accanto all’altro.  Entrò nella stanza accanto dove trovò amplificatori nuovi,  bassi e chitarre acustiche e strumenti usati. Si avvicinò ad una Gibson Explorer usata per vederne il prezzo e il ciondolo della sua collana toccò le corde facendole vibrare. Afferrò immediatamente la catena e strinse il pendente a forma di chitarra con il corpo color azzurro, sentendo finalmente provenire della musica dalla stanza in cui c’era il suo amico. Andrea stava provando la sua chitarra suonando un arpeggio leggero e sorridendo per essersi riunito al suo strumento. Rebecca lo raggiunse, quello smise di suonare e si voltò verso il negoziante:
-È perfetta!- disse soddisfatto.
L’uomo allora ripose la chitarra nella custodia e andò alla cassa per battere lo scontrino.
Quando uscirono la ragazza guardò Andrea e disse:
-Sei felice?-
-Come un bambino- rispose lui sorridendole. Poi si rimise gli occhiali da sole:
-Allora, adesso cosa facciamo?- le chiese
-So che i ragazzi sono in sala prove, se vuoi ti do uno strappo fin là, tanto è sulla strada…-
-Tu non vieni? Ora che la mia bimba è tornata da me possiamo provare…-
Lei alzò le spalle:
-Mi dispiace, ma stasera è compito mio sbrigare i lavori di casa. Se non preparo la cena e non riordino tutto è la volta buona che mi ammazzano…-
-Ho capito, allora accetto il passaggio- disse sorridendole.
Salirono in macchina e misero su un po’ di musica. Dato che l’auto era di Rebecca scelse lei il cd e optò per The Colour And The Shape  dei Foo Fighters.
Circa dieci minuti dopo raggiunsero la loro sala prove che era situata fuori città.
Loro cinque provavano nella vecchia stalla della casa di campagna di Roy. L’avevano insonorizzata come meglio avevano potuto, ma alla fine era irrilevante dato che i genitori di Roberto erano aperti di mente e non li infastidiva affatto che il figlio provasse lì con la sua band. Inoltre, abitando isolati, potevano suonare finché ne avevano voglia senza disturbare nessuno.
Rebecca accostò sul bordo della strada per far scendere Andrea che, dopo averla ringraziata, si incamminò lungo il vialetto sterrato per raggiungere la sala.
 
Quella sera la ragazza aveva la casa vuota. Sua sorella maggiore era uscita con il suo fidanzato mentre i suoi genitori erano andati a teatro. Dopo aver finito di sistemare in cucina prese il suo ultimo acquisto, l’omonimo album dei Them Crooked Vultures, e lo mise nello stereo decisa ad ascoltarselo interamente. Alzò il volume finché non riuscì a sentire anche il più insignificante accordo di chitarra e si sdraiò sul letto ascoltandolo attentamente.
Non si poteva non prestare attenzione ad un sound come quello.
Poco dopo l’inizio della sesta traccia tuttavia sentì qualcosa intromettersi nella canzone.
Qualcosa con un ritmo completamente differente e con un volume più basso.
Ci mise un po’, ma alla fine capì che si trattava della suoneria del suo cellulare.
Mise in pausa lo stereo e andò a recuperare il telefonino notando che effettivamente la stavano chiamando.
Il nome che lampeggiava sullo schermo era quello di Roberto, così lei rispose senza troppi preamboli:
-Hei Roy, che c’è?-
-Scusa Rossa, ti disturbo?- lei guardò le cifre scritte sullo schermo dello stereo che indicavano il minuto esatto a cui aveva interrotto la canzone e rispose:
-Eh, un pochino, ma se è una cosa importante ti perdono-
Il ragazzo sospirò rumorosamente prima di aprire bocca:
-Abbiamo un problema…- disse poi, molto seriamente
-Del tipo?- chiese lei
Dall’altra parte ci fu un lungo silenzio prima che Roy si decidesse a parlare
-Dan ha lasciato la band…-
 
 
 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: MadAka