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Autore: Love_in_London_night    25/10/2012    5 recensioni
Nick Carter a quanto pare si vede con Mandy Moore, e questo Carol non può tollerarlo.
Ha capito ormai che tra lei e il cantante dei Backstreet Boys non ci potrà mai essere nulla, sono due strade destinate a non incrociarsi mai.
Ma a Carol non dispiace, anzi, pensa che le sia andata più che bene quando, a dicembre, ha scoperto che Nick non è l'unico ragazzo adatto a lei.
Sono passati dieci mesi e qualcosa però è cambiato: l'università è diversa dal liceo, come lei è diversa da quella di un tempo. L'ateneo è un mondo nuovo che porta con sé più di qualche problema.
Perché Mandy Moore non è l'unica stronza che tenta di portarle via la sua anima gemella...
Back in '90.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Universitario
- Questa storia fa parte della serie 'Si stava meglio quando c'erano i Backstreet Boys'
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One Shot seguito di Toy Story, comunque comprensibile senza aver letto la precedente. 
Almeno spero.



Era settembre e ormai si era arresa all’evidenza: non sarebbe mai diventata la ragazza di Nick Carter. Si vociferava che stesse insieme a una certa Mandy Moore, il cui singolo non era nemmeno malvagio, ma la odiava a prescindere. Inoltre, essere radicata in quella piccola città del nord non l’aiutava di certo a incontrarlo. Erano due destini che non si sarebbero mai incrociati.
Si era allontanata dall’aula studio per una pausa caffè. Nonostante i corsi fossero appena iniziati le piaceva passare le ore di buco lì, dove poter iniziare a leggere i libri assegnati dai docenti e scambiare qualche chiacchiera con gli amici.
Da quando si era diplomata tutto era cambiato. La vacanza con le amiche aveva placato un po’ il suo animo perennemente agitato. Era come se con la fine di quei giorni spensierati passati a Riccione avesse lasciato in Romagna non solo dei bei ricordi, ma anche un po’ della propria fanciullesca irrequietezza.
Chiamava Simone con la scheda telefonica acquistata al baracchino sul corso principale, e lo faceva tutti i giorni. Impossibile che Carolina si accorgesse degli altri ragazzi, quando il suo unico pensiero correva al suo Simo che, poverino, era in piena sessione d’esame.
«Sei preparato». Continuava a ripetergli, eppure lui non ne era convinto, negando l’evidenza.
Carolina sorrideva dolce nella cornetta, perché forse era stato Simone a compiere il miracolo e sedare, almeno in parte, l’indole irruenta e gioviale di lei.
Aveva imparato a non aver fretta, perché Simone era rilassato e calmo, cosa che aveva capito anche durante la notte in cui si erano conosciuti; da quel momento la pazienza era rientrata un poco nel suo essere. Era pacata e tranquilla, come si addiceva a una matricola di economia. Aveva imparato che la lentezza non sempre era un difetto insormontabile, ma spesso un silenzioso pregio che ti faceva gustare certe esperienze al meglio.
Notò Simone che la fissava da dietro la vetrata che separava l’aula studio dall’esterno e gli sorrise piegando la testa; vedere che anche lui ricambiava il suo sentimento le riempiva il cuore nonostante fosse passato quasi un anno.
Sospirò, quel giorno rimettersi sui libri era difficile, non aveva per nulla voglia, dato che meno di due ore dopo avrebbe avuto lezione di analisi, ma non poteva permettersi il lusso di rimanere indietro.
Entrò nell’acquario senza pensare di fare troppo rumore, non era un problema.
La sala studio si chiamava così perché dava sul cortile di giurisprudenza e, con i suoi mille vetri, permetteva una buona visuale sulla facoltà e per chi passava lì davanti era un’ottima panoramica sugli studenti intenti a studiare, o a fingere di farlo. Nonostante facesse parte del complesso di giurisprudenza era usata anche dai ragazzi di economia. I due atenei erano ubicati uno di fronte all’altro e, per favorire una perfetta interazione tra i due sessi, quell’aula era diventata l’ideale. Si partiva dal chiedere una penna fino ad arrivare a un vero e proprio appuntamento, nella migliore delle ipotesi.
Simone aveva l’abitudine di studiare lì perché i suoi amici di sempre – pochi, ma buonissimi – erano dei futuri giuristi e lui si era ritrovato solo con Giulio, una specie di fratello per lui, a economia. E poi a Giulio piaceva stare a piano terra nell’acquario, cercava di individuare le sue prede tra le passanti incuranti dei suoi diabolici piani che, puntualmente, finivano in rovina.
Faceva sempre i conti senza l’oste.
Carolina gli sorrise di rimando. Da quando aveva accettato il suo lato più calmo, celando la sua iperattività, si sentiva più… Donna. Più forte e sicura.
Era come se avesse trovato il proprio equilibrio personale.
Ricordava ancora la loro prima volta, avvenuta a casa di Simone, mentre i suoi erano via per la settimana bianca. Era una giornata di Febbraio e fuori la neve si stava sciogliendo, quando Carolina gli si concesse con tutto l’amore che provava.
In quella circostanza, la gentilezza di Simo era stata provvidenziale nell’aiutarla a distendere i nervi. Aveva apprezzato la lentezza come mai le era capitato. Forse era da lì che partiva il cambiamento, da quel vedere le cose in modo diverso. Dal sentirle su di sé e non volerle abbandonare.
Vide Giulio dare di gomito all’amico e, ridestato dal viso di Carolina, sorrise per tornare sui libri tra le risate generali.
Carol finì il caffè e rientrò nell’acquario, le sue amiche sarebbero arrivate mezz’ora più tardi e lei doveva leggere venti pagine minimo del libro di marketing. Si sedette sulla sua sedia libera e lasciò sulla guancia di Simo un bacio al sapore di caffè. Aspettò che lui gli sorridesse in quel modo speciale e, con una mano tra i ricci di lui tornò al libro che aveva abbandonato cinque minuti prima. Studiare in quel modo non era poi così male.
 
Nonostante riuscisse a vedere Simone più di quanto i suoi genitori desiderassero, non tutto ciò che riguardava l’università e i suoi tanti aspetti era un pregio. Solo perché Simone avesse pochi amici, non voleva dire che questi non avessero altre conoscenze.
Infatti, spesso, al tavolo di studio erano circondati dal basso e continuo chiacchiericcio di alcune ragazze con cui giravano spesso Stefano, Luca e Michele, i giuristi del gruppo. Carolina non avrebbe avuto molto da ridire, se tra quelle esistenze non ci fosse stata Ludovica.
O Ludovacca, come preferiva chiamarla.
Il soprannome era dovuto al fatto che, nonostante sapesse benissimo che Simone aveva una ragazza, Ludovica continuasse a proporglisi in modo palese. Quando Carol però gliel’aveva fatto notare, lui aveva liquidato il tutto con un’alzata di spalle e una risatina.
«È una vacca» aveva sussurrato lei in modo da essere sentita solo dal proprio ragazzo.
«Carol, te lo sei solo sognata. Sei troppo gelosa. Ma mi piace» aveva risposto prima di baciarle il naso, affettuoso.
«No, tu sei troppo ingenuo, credimi».
E poi c’era stata quella volta in cui Ludo gli si era seduta accanto con il suo fare da gattamorta. Carolina era arrivata tardi e aveva assistito ai suoi approcci così velati che Simone nemmeno se ne era accorto. L’aveva vista, tramite i vetri dell’acquario, mentre con una scusa gli sistemava il colletto della polo, accarezzandogli il collo. Poi, sempre con una certa naturalezza, si allungava per prendere in prestito una matita al di là del suo spazio, in modo da toccarlo e avere un contatto.
Ci sapeva fare, Carol doveva ammetterlo.
Ma non voleva dire odiarla di meno. Affatto.
Anche perché Ludovacca si divertiva a fargliela sotto il naso. La fissava compiaciuta, mentre dall’altra parte del vetro lei guardava la scena ammutolita e fremente di rabbia, stringendo convulsamente il libro al petto.
La odiava anche perché aveva una compostezza invidiabile. Di ottima famiglia, probabilmente in bagno si pulivano con pezzi da cinquantamila lire. Era la classica ragazza curata, con il naso all’insù e tanta puzza sotto a esso che avrebbe fatto invidia a una discarica. Eppure, nonostante facesse la propria selezione in fatto di ragazzi, riusciva sempre a risultare simpatica per i suoi modi finti ma cordiali che adottava bene o male con tutti.
Nemmeno Carolina era mai arrivata a tanto!
Ma con Simone era diversa. C’era un vero interesse, ma era anche l’odio verso la sua ragazza a spingerla a comportarsi in quel modo, gliel’aveva detto chiaro e tondo quando si erano incontrate nei bagni lì in facoltà. Era una stronza.
O una vacca. Il concetto era lo stesso.
Ludovacca in quel momento era seduta accanto a Simone e gli aveva chiesto qualcosa, come se non riuscisse a capire il concetto che il libro le stava proponendo. Carolina non fece fatica a crederlo, era una vera deficiente, se pensava che Simo le desse corda. Oltre la gentilezza lui non andava.
Anche questa volta fece affidamento su tutto il suo autocontrollo ed entrò in aula studio con la faccia più rilassata possibile, il sorriso brillante e quando si avviò verso il tavolo cercò di sfoggiare una naturalezza che in quel momento non le apparteneva affatto.
Salutò tutti, poi accarezzò i capelli di Simone e gli baciò appena le labbra, lui le sorrise, felice che fosse arrivata. Avere Carolina nei dintorni era sempre una cosa gradita per lui, portava aria nuova nella stanza. La sua aria.
Ludovica storse il naso, e Carol le rivolse un’espressione sprezzante e soddisfatta.
Forse non era cambiata più di tanto.
 
Era fine ottobre e il cortile contornato dai chiostri era riempito dalle foglie gialle che l’albero del giardino accanto perdeva. Sospinte dal vento, avevano creato un tappeto sui ciottoli che costituivano lo spazio aperto della piccola corte.
Gli esami intermedi si avvicinavano e i libri erano diventati la compagnia irrinunciabile di ogni studente, per il loro dispiacere. Quella era un’ottima occasione per ridurre il carico di studio di esami improponibili e sessioni estenuanti, perché niente si poteva prendere a cuor leggero.
Anche nell’acquario, nonostante non regnasse mai il silenzio, c’era pochissimo brusio rispetto al solito. A fare rumore era la tensione che ognuno emanava, la pressione che gravava invisibile sulle spalle di ogni ragazzo.
Il gruppo di Simone era silenzioso e non sollevava il viso da un bel pezzo dalle pagine che aveva davanti.
Fu solo quando un formicolio quasi fastidioso invase la colonna vertebrale di Carol che questa alzò il viso.
Si ritrovò davanti al tavolo la sua acerrima nemica con il sorriso smagliante e il fare tremendamente snob.
Ricambiò la smorfia disgustata e il silenzio carico di tensione, nonché la stretta di Carolina intorno all’avambraccio, fecero alzare la testa di Simone dal libro.
«Ciao Simo» salutò Ludo con la voce squillante e civettuola.
Perché salutare Simo quando c’erano tutte le persone che conosceva?
Per Carolina era troppo, così decise di intercedere.
«Ludov...» ica.
Ma il cervello mandava solo un imput: Ludovacca. Ludovacca. Ludovacca.
«Ludovica, Carol. Ludovica» la prese in giro sprezzante l’interessata come se stesse parlando con una scema totale.
Simone passò un braccio attorno alle spalle della propria ragazza, ridendo tra sé. Se conosceva almeno un po’ Carolina, avrebbe giurato che in quel momento nel cervello di lei fosse passato solo il soprannome coniato da lei come se fosse un gigante neon. Si girò per guardarla e tranquillizzarla.
«Lo so, Ludo» e usò lo stesso tono mellifluo che l’altra le aveva rivolto. «Il problema è che quando Simo mi stringe e mi sorride io non mi ricordo più nulla, figurarsi una piccolezza come il tuo nome» sorrise in modo finto «O la tua esistenza».
Finse un’aria desolata, poi diede un bacio al proprio ragazzo.
Il resto della compagnia rise per quello scambio al vetriolo, perché era chiaro a tutti, tranne al diretto interessato, che Ludovica Mazzoli aveva più di un semplice interesse verso Simone, quanto più delle vere e proprie mire.
Ludovica fremette di rabbia. Come aveva osato Carolina offenderla e minimizzare la sua esistenza in quel modo tanto plateale? E gli amici come avevano potuto riderne?
Non si rese conto che, per la prima volta, era stata ripagata con la sua stessa moneta.
Sottile ma non troppo, cattiva al punto giusto, Carol era stata crudele, fredda e sprezzante così come Ludovica era solita essere nei suoi confronti. Solo che aveva passato il limite, e Carolina aveva deciso di metterla a tacere una buona volta.
Ludo provò a controbattere, ma le parole non le uscirono. Le guance si tinsero di vergogna, gli occhi punsero di umiliazione. Non era mai stata dall’altra parte e non le piaceva affatto. Era lei a ferire, non a essere ferita, e non le piaceva per nulla quella nuova situazione.
Girò sui tacchi e si diresse verso il bagno prima che gli altri si accorgessero delle lacrime e del suo imbarazzo. Umiliata da una ragazzina qualunque senza nemmeno un cognome degno di essere ricordato? Giurò a se stessa che si sarebbe vendicata.
Simone guardò Carolina in tralice, cosa che lei non si aspettava, tanto che si ritrovò a ribattere.
«Cosa c’è? Guarda che non sono stata poi così cattiva, andiamo!».
Ne aveva subite di peggio lei dalla stessa bocca che quel giorno non era riuscita a controbattere nulla. Le aveva fatto pesare il suo non far parte della gente che conta della città, che sembrasse più piccola rispetto alla sua età, che sembrasse più scema di quel che in realtà fosse.
E Carolina aveva incassato sempre, fino al punto di rottura, avvenuto qualche istante prima. C’era un limite a tutto.
«C’è che non mi aspettavo che tu fossi meschina con lei. Non è da te» lo disse amareggiato, con gli occhi marroni duri, come quando ancora lo conosceva di sfuggita. Uno sguardo indifferente, Carol lo poteva riconoscere benissimo «Sai che non è abituata ed è debole al contrario tuo, non pensavo ti abbassassi al suo livello».
Perché? Perché nonostante tutto giustificava Ludovica e la attaccava? Perché la difendeva quando era sempre stata lei a subire le sue angherie gratuite?
Era il suo ragazzo, non quello di Ludo. E allora perché le dava contro senza pensarci due volte?
«E per questo io dovrei essere buona con lei? Lei con è mai stata buona con me? Dovrà imparare a vivere prima o poi, non tutti saranno buoni con lei. È la vita».
Aveva alzato il tono di voce colmo di rabbia repressa, tanto che si era dimenticata di essere in aula studio. Ma questa non ci mise molto a farsi sentire e li invitò a mantenere un profilo basso, cercando di zittirli.
«Sssshhhh».
Si guardarono entrambi intorno, imbarazzati, chiedendo scusa agli amici con un cenno del capo. Non che ai loro compagni di studio importasse del silenzio, ma annuirono con gli occhi sgranati davanti al loro primo litigio serio. Non pensavano che Simo e Carol fossero in grado di discutere davvero.
«Vado a vedere come sta» annunciò Simone asciutto e a mezza voce mentre lasciava libera la sedia accanto a lei.
Perché al posto di chiederle scusa si dirigeva a consolare la persona che era la causa del dolore che entrambi sentivano al petto?
 
Doveva allontanarsi da Carolina. Aveva esagerato lei a rispondere a Ludovica che non era altro che una ragazzetta viziata e spaurita, ma sapeva di aver ecceduto anche lui nei confronti della propria ragazza. Era da tempo che sopportava l’altra senza battere ciglio, come poteva resistere in eterno?
Era vero, voleva assicurarsi che Ludo non l’avesse presa troppo male, ma soprattutto voleva allontanarsi da Carolina perché si era vergognato della propria reazione e della sua incapacità di chiederle scusa.
 
«Ludo, sei qui dentro?». Colpì con le nocche la porta del bagno delle ragazza al piano terra.
Ludovica si asciugò le poche lacrime versate facendo però in modo che lasciassero i segni. Simone era andato a cercarla, voleva pur di qualcosa, no?
Magari si era accorto di stare con una ragazzetta insulsa e che quello di cui aveva bisogno era invece una giovane donna di un certo spessore. Forse doveva essere grata a Carolina per quella frecciata che l’aveva tanto colpita, aveva contribuito da sola a distruggere l’immagine paradisiaca e distorta che Simone aveva di lei. A disintegrare il piedistallo su cui lui l’aveva posta senza un vero perché.
Ludovica però non sapeva una cosa: che l’amore era un motivo più che sufficiente per erigere quel piedistallo su cui lui l’aveva posta con cura.
«S… Sì» e si girò, appoggiandosi al lavandino, per vederlo entrare imbarazzato.
«Tutto ok?» le chiese «Volevo assicurarmi stessi bene. Sai, Carol non è scortese, anzi… Solo che è un po’ sotto stress. Si è sentita attaccata».
Rise delle sue parole. Una volta non avrebbe cercato giustificazioni per sé o per la persona a cui più teneva, era una cosa che apparteneva a Carolina e che gli aveva trasmesso. Lui era quello che teneva tutto per sé, con lei invece aveva imparato ad aprirsi. A condividere i propri pensieri e i propri sentimenti, a dire quello che pensava un po’ più spesso.
Nonostante le avesse fatto del male, stava seguendo il suo strano precetto che non pensava nemmeno di aver assimilato. Strana la vita e gli incontri che ti capitavano sul sentiero che avevi scelto di percorrere.
«Sto bene grazie, ora sei qui» usò un tono lacrimevole, come se la voce fosse stata rotta da un pianto che si prolungava da svariati minuti. Doveva ricordargli che era stata la sua ragazza a provocarlo.
Gli si gettò tra le braccia e Simone rimase spiazzato. Sentiva la differenza che correva tra lei e Carolina, come quel corpo gli fosse estraneo e non riuscisse a voler stringerlo. Si limitò a qualche amichevole pacca sulla schiena che doveva consolarla, dato che sembrava ancora scossa.
Per cosa poi? Carolina non era stata poi così esagerata.
Ludovica era sicura di ogni sua mossa. Forte della sua posizione fragile davanti a un ragazzo gentile, avrebbe fatto di tutto pur di portare a casa il bottino. Inoltre lui non era rimasto indifferente; l’aveva cercata e si era preoccupato che stesse bene. Infine l’aveva abbracciata, anche se un po’ goffamente.
Magari si sentiva in colpa per quella povera ingenua che lo stava aspettando nell’altra stanza.
Ma una cosa si era dimenticata da un pezzo, Ludovica: si vede solo ciò che si vuole vedere, e nemmeno lei era esente da questa regola universale non scritta.
Questo perché proprio lei era abituata a vedere solo quello che le faceva comodo, e le capitava da anni. Guardava il riflesso di se stessa nello specchio, e non vedeva quanto le altre, magari, fossero migliori di lei. Vedeva ciò che credeva di fare di buono e tralasciava il resto. Alla fine lo propinava agli altri con modi carini e soavi. Una bella fregatura, ecco cos’era diventata senza nemmeno accorgersene.
«Forse è meglio che io vada. Sai, non vorrei che mi trovassero nel bagno delle donne».
Solo in quel momento si rese conto di essere fuoriposto. Abbracciato con una ragazza nel bagno femminile, Dio solo poteva sapere cosa sarebbe successo se fosse entrata in quel momento una studentessa, e in quanto poco tempo la voce si sarebbe sparsa per l’intero ateneo, con varie revisioni dell’accaduto. Era sicuro che se la scena fosse stata riportata, loro due non sarebbero stati abbracciati, ma probabilmente lui con la lingua nella bocca di lei, o lei in procinto di fare chissà cosa. Ne giravano a bizzeffe di storie simili in università.
«È così quindi? Pensi che possano vederti uscire da questo bagno e non pensi che possa dar fastidio a Carol saperti qui, con me».
Il pianto aveva ceduto il posto a una voce roca e sensuale, almeno così pensava Carol. Aveva smesso di abbracciarlo, ora le sue mani poggiavano sul petto di lui, che aveva lasciato la presa attorno al corpo piccolo della ragazza già da un po’.
«È la stessa cosa» ammise sorpreso dalla sua dichiarazione. Non c’era nulla di diverso in quello che aveva detto lui da quello che aveva poi ripetuto Ludo.
«No, credimi, c’è un’abissale differenza» e fece scivolare le mani dietro al collo di Simone, sollevandosi sulle punte, cercando di avvicinare i visi nel modo più naturale possibile. Voleva incontrare il suo sguardo e agganciarlo al proprio in modo che le parole gli arrivassero ancora meglio «Andiamo, so che sei qui perché non riesci a starmi lontano. Ti sei finalmente reso conto che la sciacquetta che ti sta accanto non è abbastanza, no?! Non fare tante storie, ti sei già fatto desiderare a sufficienza».
Tentò di avvicinarsi un po’ alle labbra di Simone mentre lui allontanava la faccia il più possibile da lei.
«Ludo, mi sa che hai frainteso e ti sei fatta un’idea sbagliata»
Aveva le mani alzate, come per suggerire l’idea che non volesse nemmeno toccarla, che quello che stava succedendo non era colpa sua.
«Nessun’idea sbagliata, solo la giusta convinzione di sapere che sei mio da un po’»
Ludovica tentò di baciarlo senza tanti convenevoli. capendo il suo intento, Simo voltò la faccia e le labbra della ragazza finirono sulla guancia. Dopo l’agguato prese le piccole mani di lei e le levò dal proprio collo con pochissima grazia, stanco di quel pessimo teatrino.
«Ha ragione Carol, sai, a chiamarti in quel modo».
Era stato uno stupido. Stupido perché aveva sempre creduto che Ludovica fosse innocua. Perché l’aveva sempre difesa dalle parole di Carolina, credendo nella sua buona fede. Aveva visto solo quello che voleva vedere, quello che a lui faceva più comodo per la propria pace dei sensi.
E con Carol prima aveva pure litigato, ferendola.
«Come?». La curiosità verso qualcosa che poteva lederla era tantissima, eppure era convinta che venendo dal cervellino poco sviluppato di quella sottospecie di campagnola della Sallastri, non potesse essere poi così tagliente.
«Ludovacca». Sorrise soddisfatto di averlo detto ad alta voce «Ha ragione, lo sei davvero».
E ridacchiò quasi contento di aver espresso un simile pensiero. Una volta, forse prima di conoscere Carolina, non si sarebbe mai azzardato a dire una simile cosa a una ragazza. Si sarebbe fatto montare il sangue al cervello, ma si sarebbe morsicato la lingua e avrebbe taciuto il suo disappunto.
Eppure, stando con Carol, aveva imparato che non sempre essere educati e interiorizzare era un bene, perché il rispetto andava guadagnato, e si doveva essere signori con chi se lo meritava, probabilmente.
Non pensava di aver appreso così tanto dai comportamenti della sua ragazza, non se l’aspettava.
Il sorriso si allargò quando le sue parole attecchirono in Ludovica. La sua espressione lo ripagò della scenata avuta con Carol poco prima. Era la seconda volta che Ludo rimaneva senza parole, inviperita per quello che le era stato detto.
Da quando il centro del suo universo non era più lei?
«E ora perdonami, vado a chiedere scusa alla mia ragazza per essermi comportato da perfetto idiota. E le darò pure un bacio, se ti può interessare».
Si avviò sorridente verso la porta, girandosi solo per salutarla.
«Ciao, Ludovacca».
 
Ludovica aveva capito che la sua reputazione era finita come la sua giornata: nel cesso.

* * *

Lo so che è una scemata, ma ormai è fatta.
In realtà doveva essere più divertente, ma ho lasciato che l'introspezione mi prendesse la mano, così questo è il risultato.
Spero che possa piacervi lo stesso, e spero che, nonostante tutto, vi siano piaciuti ancora.
La shot è nata dalla mia idiozia (che novità, eh?), perchè giocando sul cell con un'app fichissima, ho trovato il nick di una ragazza, si chiamava Ludovica, ma ovviamente ho letto Ludovacca... Ho pensato a Carolina e ai suoi modi di fare, le si addiceva troppo. Come non scriverci una shot?
Niente, spero che vi sia piaciuta.
Se volete, mi trovate qui: 
Love Doses
A presto, sbaciucchiamenti soliti, Cris.

   
 
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