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Autore: BBambi    25/10/2012    1 recensioni
Si ritrovò seduto tra lenzuola sconosciute, in un piccolo letto, posto sul lato est di una piccola stanza bianca.
[...]Quando tentò di ricordare, un violento capogiro lo costrinse ad aggrapparsi ai bordi lignei del mobile. La memoria si mescolava all’incubo che ancora aveva negli occhi, ostacolando la sua capacità di distinguere il vero dal sognato.
Di una sola cosa era sicuro, lei era precipitata.
Lei era morta.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aang, Katara, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Zuko
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.









       C’era stato un tempo in cui la vita gli era apparsa ridicolmente facile, un qualcosa che gli era stato cucito addosso dalla nascita e che si portava dietro con disinvoltura come la sua propria pelle.
Ogni alba - al Tempio dell’Aria - riempiva l’aere di luce, inondando i cortili, riverberando sulle decorazioni in pietra turchese che rivestivano le facciate.
La nebbia si rarefaceva lentamente intorno a quel nugolo di costruzioni aggrappate a quell’ultima solitaria vetta nel cielo e i monaci accoglievano con rinnovata gioia il nuovo giorno. E lui con loro.
Ora quei giorni erano finiti.
       Aprì gli occhi su un cielo ancora pregno di oscurità. Spostò lo sguardo da una parte all’altra, totalmente estraneo a ciò che lo circondava. Non ricordava come fosse finito disteso su quella superficie erbosa, col naso rivolto alle stelle. Ruotò sul fianco e il suo cuore perse un battito.
Lei era lì, fagocitata dal suo sacco a pelo, il viso affondato in una chioma bruna selvatica. Era bellissima. Bellissima come la prima volta che l’aveva vista e come ogni volta che si soffermava sul suo viso. Nel silenzio della sua contemplazione gli arrivò il sommesso russare di Sokka, disteso a pochi passi da lei. E ancora più in là ecco Toph nel suo improvvisato rifugio di pietra, simile a quelle costruzioni che si fanno con un paio di carte.
Eccoli lì, una manciata di marmocchi sotto un cielo di velluto nero. Sokka che era il più grande non aveva ancora messo neanche un pelo di barba, pensò, sogghignando tra sé e il pensiero in realtà gli parve così estraneo, così distante. Ma non capì. Non immediatamente.
       Cercò di issarsi in piedi, il corpo gli apparve improvvisamente troppo, davvero troppo pesante. Solo in quel momento si accorse che aveva le estremità completamente affondate nel terreno, le mani erano sparite sotto folti ciuffi d’erba verde ed i piedi, lontani lontani laggiù, erano stati anche loro inghiottiti da quelle fauci di terra e radici. Impossibile liberarsene.
Impossibile dominare quella terra che sembrava ora ragionare per conto suo. La pietra disobbediva al suo volere, l’aria restava muta al suo richiamo e quella lingua di fuoco che gli scaturiva dal petto si era estinta definitivamente.
       Una grossa crepa si stava aprendo nel terreno e correva verso di loro, serpeggiava inesorabile, dividendo in due la radura, precipitandola in un crepaccio senza fine.
Impotente, cercò di gridare, di svegliare i suoi compagni, quei suoi amici bambini, ancora così giovani e già con un compito così grande da assolvere. Sokka che era il più grande aveva quindici anni e lui, sebbene avesse trascorso un secolo in ghiacciaia, ne aveva ancora dodici.
La venatura si avvicinava implacabile, mentre la voce gli usciva dalla bocca in piccole nuvole di condensa atona. Il terreno cominciò a franare e il crepaccio si aprì esattamente tra lui e tutti loro, che ignari, addormentati in quel sonno letale, stavano lentamente precipitando dalla propria sponda friabile. Tentò di gridare ancora una volta, e ancora, e ancora, mentre la voragine li inghiottiva ad uno ad uno e i loro occhi si spalancavano su di lui solo nel momento in cui i loro corpi precipitavano verso quel nulla vorace.
       Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo e questa volta poté udire la sua stessa voce. Una voce lontana, diversa, nuova. La sua stessa voce che lo strappava da quell’incubo infernale.
       Si ritrovò seduto tra lenzuola sconosciute, in un piccolo letto, posto sul lato est di una piccola stanza bianca.
Si prese il viso tra le mani, la pelle era completamente imperlata di sudore gelido. Rabbrividì e si alzò. Le gambe gli cedettero per un momento ma ritrovarono subito la propria stabilità.
Si avvicinò al mobile da toeletta posto sulla parete di fronte al letto nel quale aveva giaciuto per una quantità di tempo che ignorava. Proprio al di sopra del mobiletto in legno era stato appeso uno specchio di forma rettangolare. SI avvicinò per detergersi il viso da quella fastidiosa patina di sudore formatasi nell’agitazione dei sogni.
       E finalmente si vide.
       Non più un bambino di dodici anni, ma un uomo che andava per i trenta.
Una rada peluria ombreggiava il suo mento e le mascelle definite, sulla nuca i capelli castani nascondevano il tatuaggio che scendeva a percorrergli tutto il dorso. Gli occhi erano stanchi, ma ancora giovani e vitali come quelli del ragazzo che era stato fino a una quindicina d’anni prima.
       Portava ancora indosso i suoi indumenti, quelli tipici della sua terra. La stoffa era sgualcita e stracciata in più punti, l’arancione vivo della mantella virava ad un marrone sporco, così come il tessuto giallo aveva perso la sua originale brillantezza e si era spento in un timido ocra.
Dai bordi irregolari e dentellati di quel che rimaneva delle maniche spuntavano i suoi avambracci e le garze che li ricoprivano. Aveva diverse medicazioni, poteva sentire anche la fasciatura che gli conteneva l’addome dolente, sotto gli abiti logorati da uno scontro che non ricordava.

       Già, che cosa gli era successo?
       Quando tentò di ricordare, un violento capogiro lo costrinse ad aggrapparsi ai bordi lignei del mobile. La memoria si mescolava all’incubo che ancora aveva negli occhi, ostacolando la sua capacità di distinguere il vero dal sognato.
       Di una sola cosa era sicuro, lei era precipitata.
Lei era morta.

       La vertigine lo colse impreparato e a nulla valse l’appiglio che aveva trovato un momento prima, le gambe cedettero senza preavviso e prima che potesse prenderne atto, la sua mente sprofondò in una vorace voragine oscura.

Continua……









Salve =)
Sono una vera matricola qui: questa è la mia prima FF in questo fandom…ammetto che ho scoperto questa serie americana solo da poco, ma ho finito con l’innamorarmene. Ho adorato i personaggi davvero tantissimo… E spero di render loro un minimo di giustizia - senza troppe pretese - in questa long =) Ammetto che mi affascinava molto tentare di colmare parte del vuoto che c’è tra la serie di Aang e quella di Korra, quindi come avrete ben capito da questo prologo le vicende si svolgono circa quindici anni dopo la fine della terza stagione del ciclo di Aang =)
Spero di avervi incuriosito almeno un po’con queste prime battute ;)
A presto,
BB
  
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