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Autore: Nihal_Ainwen    26/10/2012    1 recensioni
"-Dico solo che ho bisogno che qualcun altro conosca la mia...”Storia”, se così si può definire.- gli spiegò tracciando disegni astratti nella sabbia.
-Fammi capire, vorresti parlarmi di te?- domandò Finnick incredulo."
Non so voi, ma io sono sempre stata curiosa di sapere cosa intendesse dire la cara Johanna Mason con "No one left I love". Ebbene, ho provato a farmi una mia personale teoria.
Spero che vi piaccia.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Johanna Mason, Katniss Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il mare era diventato veramente mosso e tirava un vento molto forte, sebbene non fosse freddo. Le onde erano alte anche un metro quando arrivavano alla riva e gli schizzi raggiungevano Johanna e Finnick, seduti sul balconcino della casa di quest’ultimo. Si erano ovviamente dovuti spostare della spiaggia, non appena era cominciata la bufera. Fecero appena in tempo a ripiegare sotto il portico del balcone che cominciò a piovere a dirotto. E pensare che quando Johanna era arrivata, il mare era piatto come una tavola!
-Ma è insopportabile vivere così!- esclamò lei osservando lo scrosciare della pioggia.
-A me piace il mare mosso.- la informò il ragazzo.
Detto questo sporse una mano oltre il parapetto del balcone, una semplice ringhiera bianca che arrivava a malapena sotto il seno della ragazza. In realtà, tra la sabbia della spiaggia e loro, c’era meno di mezzo metro. Alla giovane quella casa sembrava parecchio strana. Era costruita a nemmeno un kilometro dal mare, incastonata in una baia alla quale si poteva accedere solo dal balcone dove si trovavano ora. Oltre che la villa, si poteva dire che Finnick avesse vinto anche un pezzo di mare.
-Vado a prendere un paio di sedie dentro.- la informò il ragazzo mentre ritraeva la mano bagnata. –Se vuoi puoi aspettarmi qua.- aggiunse avviandosi vero la porta-finestra fatta di vetro.
Proprio mentre Johanna stava per rispondergli, a largo un fulmine colpì l’acqua e illuminò a giorno la caletta e la casa. Alla ragazza scappò un grido, più di sorpresa che di paura. Finnick invece scoppiò a ridere.
-Non ho avuto paura.- precisò la ragazza mettendosi le mani sui fianchi.
-Diciamo che ci credo.- rispose lui continuando a ridacchiare. -Comunque, il tuo urlo non ha guastato lo spettacolo.- concluse annuendo.
-Lo spettacolo?! Quella cosa era degna di un film horror!- esclamò lei spalancando gli occhi.
-Allora vedi che hai avuto paura?- la canzonò lui voltandosi ed entrando nell’abitazione.
Lei gli fece una linguaccia, ben contenta che lui fosse di spalle e che non potesse vederla. Poi puntò di nuovo lo sguardo sul paesaggio e dovette ammettere con sé stessa che lo trovava abbastanza inquietante. Quando senti la porta-finestra scorrere, non si voltò sicura che fosse Finnick. Le piaceva far credere alle persone di non essersi accorta della loro presenza. Rimaneva sempre divertita dalla loro reazione quando si rendevano conto che li aveva presi in giro. Questa volta però aveva preso un abbaglio.
-Affascinante vero?- domandò una delicata voce femminile alle sue spalle.
Johanna si voltò di scatto, pensando che fosse una delle tante oche giulive che arrivavano da Capitol City. Possibile che nemmeno la notte prima di tornare in quell’inferno gli lasciassero tregua?
Invece si sbagliava, si sbagliava di grosso.
Davanti a lei, c’era una ragazza che sarebbe potuta arrivare solo dal profondo degli abissi marini. Magra, pallida, scalza e con i capelli aggrovigliati che le ricadevano sulle spalle. Aveva addosso solo un leggerissimo vestito celeste che le arrivava poco sopra le ginocchia. I capelli neri incorniciavano un viso dai lineamenti delicati quanto lo era la sua voce. I grandi occhi verdi era puntati su di lei, ma aveva uno sguardo assente, come se potesse vederle attraverso. Ad un tratto inclinò la testa di lato e fu come se avesse spezzato una sorta di incantesimo. Johanna la conosceva, se così si poteva dire.
Era Annie Cresta, vincitrice dei settantesimi Hunger Games.
-Io direi inquietante,- le rispose. –ma sono punti di vista.- aggiunse sorridendole.
-A me piacciono le tempeste. Credo che mi rispecchino.- affermò lei ricambiando timidamente il sorriso.
-Comunque... Io sono Johanna Mason.- si presentò l’altra ragazza.
Si erano già viste alcune volte a Capitol City in occasione dei Giochi,  ma dubitava che Annie potesse ricordarsi di lei.
-Oh, lo so. Mi ricordo di te. Ti vesti spesso di verde.- la sorprese annuendo. –Ti piace il verde?- le chiese subito dopo.
-Beh, diciamo di sì. Mi ricorda il mio distretto più che altro.- le spiegò.
In verità era un pensiero formulato al momento, visto che non ci aveva mai pensato prima. Nessuno l’aveva mai notato, nemmeno lei stessa.
Mentre ancora rifletteva sul motivo per cui non se n’era mai accorta, Finnick comparve alle spalle dell’altra ragazza, trascinando malamente due sedie.
-E tu che ci fai in piedi?- esclamò sorpreso rivolgendosi ad Annie.
-Mi ha svegliato la pioggia.- rispose lei voltandosi.
Johanna non poté far a meno di notare, come bastasse la sola presenza di Annie ad accendere nel ragazzo qualcosa che senza di lei nemmeno esisteva. Una punta di invidia le pizzicò la mente, ma si affrettò a sopprimerla.
-Ora me ne torno su e vi lascio parlare.- aggiunse la ragazza, alzandosi sulle punte dei piedi per baciarlo sulle labbra.
Era un bacio leggero, delicato. Fragile quanto lei.
Prima di entrare, si voltò verso l’altra ragazza e le rivolse un cenno di saluto con la mano. Johanna ricambiò sorridendo e la guardò salire le scale con la mano poggiata sul corrimano.
Quando rimasero soli, il ragazzo porto le sedie fuori e non appena le lasciò andare, la ragazza ci si abbandonò a peso morto. Non era certo famosa per la sua delicatezza e nemmeno per la sua grazia, anche se sapeva essere agile e silenziosa come un giaguaro a caccia.
-Allora, dov’eravamo rimasti?- le domandò Finnick accomodandosi a sua volta sulla sedia rimasta libera.
 
 
Johanna era seduta sugli spalti insieme a tutti gli altri mentori di quell’anno. Da una parte aveva Haymitch Abernathy, l’unico mentore dei tributi del Distretto 12, mentre dall’altra c’era Finnick. Alla fine, dopo un primo periodo in cui la ragazza l’aveva trattato veramente male, aveva cominciato a piacerle. Era spiritoso, autocritico ma soprattutto non voleva niente da lei se non che fosse sé stessa. E questa sì che era una cosa rara, nei confronti di una persona scontrosa e irritabile come lei. Però c’era qualcosa in lui che proprio non andava. Quella sera era lampante, ma era stato così per tutta la durata di quell’edizione dei Giochi. Non tanto davanti alle telecamere, ma quando era sicuro di non essere osservato da Capitol, si comportava in modo strano. Era nervoso, come se qualcosa gli desse il tormento perennemente. E non era da lui, proprio no.
Mentre Johanna era persa nei suoi pensieri, Caeser Flickerman aveva presentato la vincitrice dei settantesimi Hunger Games. Era la ragazza del Quattro, il tributo di Finnick. Aveva vinto grazie all’allagamento dall’Arena e si dicesse che fosse opera proprio del suo mentore. Solo che non avevano mai trasmesso il momento della sua vittoria, quando erano morti gli ultimi due tributi che come lei non erano affogati. Era anche per questo che la ragazza non si spiegava il comportamento dell’amico. Insomma, era il primo tributo che era riuscito a far vincere! Avrebbe dovuto essere contentissimo del suo lavoro.
La ragazza si chiamava Annie Cresta e aveva quindici anni. Indossava un splendido vestito che ricordava molto il mare del distretto da cui proveniva. Lo strascico e l’orlo dell’ampia gonna erano di un blu scurissimo che sfumava verso l’alto, fino ad arrivare ad un celestino quasi bianco intorno alla scollatura. L’intero abito era punteggiato da dei piccoli brillantini luccicanti, che si avvolgevano a spirale anche sul braccio destro. Aveva i capelli semiraccolti, acconciati in morbidi boccoli neri. Sul suo capo spiccava una corona argentea, simbolo della sua vittoria. Intorno all’occhio sinistro erano stati applicati altri brillantini celesti, in tinta con il delicato ombretto azzurro.
Quella ragazza era davvero stupenda.
C’era solo una cosa che stonava con tutta quelle bellezza: lo sguardo.
Non guardava Caesar, non sorrideva al pubblico, non faceva guizzare gli occhi tra la gente di Capitol che l’acclamava. Era fisso nel vuoto, spento, vacuo.
Quando il maestro di cerimonie fece partire il filmato che conteneva i momenti salienti dei suoi Giochi, qualcosa si accese nel suo sguardo. Ma non era certo quello che Johanna si sarebbe aspettata. Alcuni tributi, riguardando i loro Hunger Games, assumevano un’aria fiera, altri spaesata ma la maggior parte esibivano un falso sorriso di circostanza.
Invece Annie sembrava terrorizzata, come se qualcuno le camminasse davanti senza più la testa attaccata al collo. E mentre Johanna stava per chiedere a Finnick cose aveva il suo tributo, dal palco provenne un urlo tremendo, da mettere i brividi. La ragazza spalancò gli occhi sorpresa e si voltò, trovandosi davanti uno spettacolo orribile. La vincitrice aveva la mani poggiate sopra le orecchie e scuoteva furiosamente la testa, distruggendo la complicata acconciatura. Aveva serrato gli occhi e continuava ad urlare. Caesar era sconcertato, così come tutto il pubblico. Quando la ragazza tornò a girarsi verso l’amico, sempre più decisa ad avere spiegazione, si trovò davanti un’altra persona. Sul suo volto era dipinta l’espressione più sofferente che avesse mai visto, una maschera di dolore e rassegnazione. Intanto le urla continuavano: nessuno riusciva a far smettere Annie di gridare.
Finnick scattò in piedi senza alcun preavviso. Johanna dovette spostarsi all’indietro con un movimento repentino e sbatté addosso ad Haymitch che si rovesciò il liquore sulla camicia. Il bellissimo dio del mare acclamato da tutta Capitol, si fiondò giù per la scale ad una velocità impressionante. La ragazza lo seguì sconcertata con lo sguardo finché non sparì totalmente dalla sua visuale. Pochi minuti dopo, il ragazzo ricomparve sul palco e si avvicinò al suo tributo. Si chinò davanti a lei e le prese il viso tra le mani per cercare di calmarla. Le stava dicendo qualcosa a voce bassissima, tanto che i microfoni non riuscivano ad amplificarla. Quando si smise di parlare, Annie annuì e gli gettò le braccia al collo cominciando a singhiozzare sul suo petto. Lui la sollevò di peso da terra, dove si era inginocchiata durante il delirio, e la prese in braccio cullandola. E quella fu l’ultima immagine che Panem ebbe della vincitrice fino al suo Tour della Vittoria.
Ma le voci già giravano e la conferma sarebbe arrivata presto.
Annie Cresta era diventata pazza.
 
   
 
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