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Autore: Astry_1971    12/05/2007    5 recensioni
“Solo in quel momento, Severus si rese conto che il responsabile di quell’orrore era ancora in quella stanza. Sollevò lo sguardo e la vide: una giovane donna era rannicchiata in un angolo e fissava il Mangiamorte tremando e mugolando qualcosa di incomprensibile.”
Questa storia si svolge durante gli anni che precedono la morte dei Potter e la caduta di Voldemort.
Severus Piton è un giovane Mangiamorte alle prese con i suoi rimorsi e un amore impossibile. Sarà un Piton insolito, un Piton ragazzo, che commette errori, che ha paura e che farà quelle scelte sbagliate che lo renderanno, in futuro, l'uomo tormentato e solo che tutti conosciamo. Gli avvenimenti narrati si svolgono dopo il sesto libro della saga di Harry Potter e prescindono, ovviamente, dal settimo libro, ancora inedito.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lucius Malfoy, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Cara Akiremirror se il capitolo precedente è stato una sofferenza, devo dire che ne sono contenta. Non fraintendere, intendo dire che ho cercato di rendere quella notte davvero terribile per Severus, perché credo che non ci sia niente di peggio che sentirsi impotente. Non riuscire a salvare i Potter, sapendo di essere stato lui la causa di quello che stava avvenendo davanti ai suoi occhi, brrrr! E poi Iris, lei non poteva certo restare a guardare. Pensi che quello che è successo produrrà un pessimo effetto su di lei? Qualcosa tipo: lei lo odierà per quello che è stata costretta a fare per lui? Ummmm! Se è questo che immagini sei fuori strada, ma capirai tutto immediatamente. Dopo questo capitolo sapremo se ho meritato la coppa dei sadici. Tu solo sai cosa hai scritto nella tua ff, mi riserverò di giudicare quando anche tu sarai arrivata alla fine, io ormai ho scoperto le mie carte, ma non barare, cambiando il finale, eheheheh!


Buona lettura!


CAP. 18: L’ultima notte

Era di nuovo sulla piccola altura, e trascinava i suoi passi lentamente sull’erba, quando lo vide: il cadavere del Mangiamorte era lì disteso, nei suoi occhi la stessa espressione di terrore e di dolore che aveva visto sul padre di Iris quando l’aveva incontrata per la prima volta.
Istintivamente sollevò un lembo del mantello a coprire la creatura innocente che stringeva tra le braccia, come a volerlo proteggere da quella vista, pur essendo Harry troppo piccolo per comprendere l’orrore di cui era involontario testimone.
Fissò l’uomo, quell’immagine orrenda col volto ancora coperto dalla Maschera d’argento, e improvvisamente gli si gelò il sangue.
Qualcosa brillava alla fioca luce del lampione, qualcosa che Severus riconobbe immediatamente: il pugnale dei Mangiamorte.
Afferrò la bacchetta per fare più luce, la puntò verso l’uomo a terra, le mani tremanti e il cuore impazzito.
Non si sbagliava: l’uomo si era difeso, c’era del sangue sulla lama.
“No!” la sua Iris, quel sangue era il suo, ne era certo, doveva trovarla subito.
Prese a guardarsi intorno puntando follemente la bacchetta in tutte le direzioni, incurante del fatto che quella luce magica avrebbe potuto attirare qualche Babbano, ora solo una cosa gli importava: doveva trovare la sua Iris, sperando che non fosse troppo tardi.
“Iris, Iris, dove sei? Iris rispondimi, ti prego rispondimi.”
Poi la luce bianca della bacchetta la individuò, Severus si sentì morire, la ragazza era stesa sull’erba vicino ad un albero, sul suo ventre si allargava una chiazza scura e il mago seppe che la sua più grande paura si era concretizzata.
“Iris, Iris, no! Dio ti prego no!”
Improvvisamente ebbe l’impressione che la forza l’avesse abbandonato, incespicando nei suoi stessi piedi raggiunse barcollando la donna che amava e crollò in ginocchio accanto a lei.
Le labbra aperte in grido muto e il piccolo Harry stretto tra le braccia, forse con troppa forza, tanto che il piccolo cominciò a piangere, cercando di divincolarsi da quella stretta.
Era stato tutto inutile, non aveva potuto salvare i Potter e ora avrebbe perso anche lei, non poteva più fare niente per salvarla, nessuna magia, nessuna pozione avrebbe potuto strapparla alla morte, era passato troppo tempo e Iris aveva già perso troppo sangue.
La strega aprì stancamente gli occhi, fissando quel fagottino che continuava ad urlare disperato, probabilmente senza capire quanto avesse ragione di farlo.
Cercò gli occhi neri del mago, sperando che non confermasse le sue paure, ma Severus annuì.
“Sono arrivato tardi, si è salvato solo lui.” nella sua voce un’infinita tristezza e poi la rabbia e la disperazione.
“Maledizione, Iris, avresti dovuto uccidermi quel giorno, insieme a tuo padre.” si portò una mano a coprirsi gli occhi scotendo la testa.
“Guarda cosa ho fatto della vita che mi hai donato, le mie mani sono imbrattate del sangue di così tanti innocenti. Voldemort è stato sconfitto, ma a quale prezzo? Quest’orfano è tutto ciò che resta della mia vita, è il simbolo del mio fallimento, sarà il simbolo vivente di ciò che sono diventato: un dispensatore di morte, ecco cosa sono. Tutto ciò che tocco è destinato a perire. Iris, Iris, perdonami.”
La maga non disse nulla, allargò le braccia per accogliere quella piccola vita, quel bambino che avrebbe potuto essere il loro figlio, voleva stringerlo fra le braccia e immaginare per qualche istante quella vita felice che la Maledizione che avrebbe dovuto proteggerla le aveva invece negato.
Severus si piegò porgendole delicatamente il piccolo.
Improvvisamente un’espressione di terrore si dipinse sul volto di Iris: le dita del mago stavano sfiorando le sue.
Il suo sguardo corse immediatamente a cercare gli occhi di lui, ma non vi trovò né sorpresa, né paura, vi trovò solo determinazione.
Le labbra della maga si spalancarono: l’aveva fatto deliberatamente, voleva morire con lei.
“No!” urlò con voce strozzata guardando, paralizzata dall’orrore, il suo uomo.
Si aspettava di vederlo stramazzare da un momento all’altro, ma i secondi passarono e il suo Severus era sempre inginocchiato al suo fianco, immobile, incapace di parlare.
La fissava, sconvolto e furente al tempo stesso. La consapevolezza di quello che poteva essere accaduto, sembrava averlo precipitato nel più orrendo dei suoi incubi: nemmeno la morte gli era concessa, nemmeno quello.
Sollevò lentamente la manica della tunica, il marchio c’era ancora, ma sembrava appena un’ombra sulla sua pelle, il suo potere malefico si era dissolto assieme a quello del suo padrone.
“La maledizione è spezzata.” mormorò Iris, con voce tremante, in un misto di gioia e disperazione, mentre guardava la delusione sul volto del suo amato Severus.
Gli sorrise.
“Baciami!” disse, mentre la sua voce si faceva sempre più flebile.
Il mago si chinò dolcemente sulle sue labbra, sfiorandole appena, lentamente e delicatamente. “Ti amo!”sussurrò sulla sua bocca.
Avrebbe voluto donarle la sua vita con quel bacio. Sollevò la mano e prese a carezzarle i capelli dolcemente, con lentezza.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse, quel bacio l’aveva sognato e desiderato da tanto tempo. Aveva lottato per averlo, aveva venduto la sua anima, per quel breve istante, troppo breve.
No, non poteva finire così, non doveva finire così.
“Iris, non lasciarmi, ti prego.” disse, mentre calde lacrime presero a scendere sulle sue guance.
Si sollevò appena dalle labbra di lei, per baciarle la fronte, Iris chiuse gli occhi e il mago baciò le sue palpebre, si sentiva morire ad ogni bacio, aveva desiderato per quasi due anni di sfiorare quella pelle delicata ed ora la maledizione si era spezzata solo per lasciare il posto ad una condanna ben peggiore, toccare il suo corpo e sentire la vita abbandonarlo lentamente e crudelmente. La sentiva fremere per i suoi baci e nello stesso tempo irrigidirsi per gli spasimi di dolore.
“Iris, Iris, ti prego, avevi promesso, avevi detto che saremo stati felici.” prese a singhiozzare e, stringendola sempre più a se, affondò il viso tra i suoi capelli.
“Dio, no, no, non puoi farmi questo, Iris, non lasciarmi, ti prego, non lasciarmi.”
Poi la sentì tremare.
“Se…verus!” mormorò, la sua voce era ridotta ad un soffio.
Il mago si sollevò sulle braccia, Iris gli sorrideva, lo sguardo era fisso su di lui, ma non c’era più vita nei suoi occhi.
Guardò la sua figura languidamente sdraiata con il piccolo Harry tra le braccia, era così che sognava di vederla un giorno: distesa sull’erba, con il loro figlio in braccio, quel giorno felice che non sarebbe mai più arrivato.
“NOOOOOOOOO!” il mago gridò verso il cielo tutta la sua rabbia e il suo dolore. Le sue urla e il pianto del piccolo orfano squarciarono il silenzio, per poi placarsi nuovamente.
Ammirò ancora quegli occhi fissati per sempre in un’ultima offerta d’amore, si chinò e, sfiorandoli appena con la mano, li chiuse e ne baciò delicatamente le palpebre.
“Tu hai salvato la mia vita, Iris, tu mi hai fermato quel giorno, io ero il tuo assassino e tu mi hai risparmiato. Questo corpo, continuerà a vivere, a respirare come tu hai voluto, ma Severus Piton muore questa notte.
Io ho trasformato in una tomba il nostro talamo nuziale. Se è così che deve essere, se è solo così che potremo restare insieme, allora io seppellirò con te il mio cuore. Io te lo dono, mia dolcissima Iris, tua sarà la mia anima, tua sarà la luce di questi occhi, solo tua, per sempre.” Severus si sdraiò accanto a lei e al piccolo Harry circondandoli col suo abbraccio, chiuse gli occhi, mentre nella sua mente risuonava la voce della sua Iris o, forse, era solo il vento.

Al mio ben che riposa
Sull’ali della quiete,
grati sogni assistete
e il mio racchiuso ardore
svelategli per me


L’alba li trovò così, abbracciati nell’erba. Il piccolo Harry addormentato fra le loro braccia.


* * *



Severus si sollevò volgendo lo sguardo alle macerie di casa Potter, il suo messaggio doveva essere ormai arrivato a destinazione, Silente sarebbe arrivato da un momento all’altro o avrebbe mandato qualcuno.
Ai primi raggi del sole la casa ridotta ad un mucchio di detriti era uno spettacolo terribile. Di quel luogo che fino a qualche ora prima era un posto felice, non restava che un mucchio di pietre e travi fumanti.
L’insolito crollo avrebbe attirato presto parecchi curiosi Babbani. Gli abitanti di Godric's Hollow, infatti, non avevano potuto sentire il fragore della battaglia perché la casa era schermata, ma il chiarore dell’alba stava scoprendo agli occhi del mondo quell’orrido spettacolo, come le luci di un macabro palcoscenico mostrano allo spettatore l’epilogo di una tragedia.
Ora non c’era più pericolo per il piccolo: con la confusione che si sarebbe venuta a creare, i Mangiamorte non avrebbero osato avvicinarsi.
Severus si voltò nuovamente verso Iris, si chinò a baciarla poi afferrò il bambino che continuava a dormire al suo fianco. Non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, non ce la faceva a lasciarla neppure per un attimo, ma doveva occuparsi del piccolo, doveva assicurarsi che arrivasse sano e salvo da Silente, lui avrebbe saputo cosa fare.
Si impose di chiudere gli occhi, come aveva fatto tante volte per resistere alla tentazione di toccarla. Ancora una volta dovette rifugiarsi nel buio per proteggersi dal suo cuore, ancora una volta le lacrime presero a scorrere sulle sue guance a ricordargli quanto miseramente stava perdendo la sua battaglia.
Si voltò di scatto, stringendo il mantello intorno al bambino, e si Smaterializzò direttamente all’interno della casa o, almeno, fra pochi muri rimasti ancora in piedi.
Si guardò attorno cercando di individuare un posto sicuro dove poter lasciare il piccolo Harry, in modo che sembrasse miracolosamente scampato al crollo.
Vide la sua piccola culla, era quasi intatta nonostante fosse ricoperta di detriti. Il mago la raggiunse passando sotto alcune travi messe di traverso e, dopo essersi assicurato con un incantesimo che quello che restava del soffitto non rovinasse sopra la culla, vi adagiò il piccolo.
Harry, intanto, aveva afferrato con entrambe le manine i lunghi capelli del mago che era chinato su di lui e non voleva saperne di mollare la presa.
Severus lo guardò, le sue labbra si piegarono appena in un sorriso. Prese la sua bacchetta dalla tasca e, puntandola verso l’alto, pronunciò sottovoce un incantesimo isolando il luogo dove si trovava il piccolo lettino, nessuno che non fosse un mago avrebbe potuto sentire i pianti del bambino o qualsiasi altro rumore che provenisse da sotto quelle macerie.
“Ora devi piangere.” disse. “Piangi piccolo Potter, qualcuno verrà a cercarti e ti porterà via da questo posto, via da questo orrore”.
Afferrò quelle piccole mani e le strappò via dai suoi capelli. Harry non fu affatto contento, prese a piangere disperatamente e a scalciare.
“Sì! Così, chiedi aiuto, piccolo.” si voltò e fece per andarsene, ma si bloccò: quelle urla erano davvero penose, probabilmente perché facevano eco a quelle del suo cuore.
Tornò indietro e si sporse verso il bambino.
“Altri si prenderanno cura di te, io non posso. Un giorno saprai quello che ho fatto, quel giorno mi odierai quanto io ora odio me stesso.” lo baciò sulla fronte e si Smaterializzò.
Di nuovo a fianco della sua Iris si chinò e la prese tra le braccia, era leggerissima.
La sua mente tornò immediatamente a quando l’aveva sollevata usando la magia, il giorno che l’aveva conosciuta. Ora sembrava così lontano.
Quel giorno si era ribellato a Voldemort per la prima volta, quel giorno aveva capito che il mago più potente del mondo era fallibile, ma quello era anche il giorno in cui aveva imparato ad uccidere e quello in cui aveva assaggiato il sapore amaro del rimorso.
Diede un ultimo sguardo alla casa: una sagoma imponente si stava avvicinando velocemente. Piton riconobbe Hagrid, il mezzo gigante, evidentemente Silente aveva ricevuto il messaggio. Attese finché fu certo che le grida del bambino avessero attirato la sua attenzione, poi si voltò incamminandosi verso gli alberi con il corpo ormai freddo di Iris tra le braccia.
Quel giorno il mondo magico avrebbe cominciato la sua nuova vita, avrebbe gioito per la distruzione di Voldemort, avrebbe anche pianto per la morte dei Potter, certamente i loro amici lo avrebbero fatto, loro avevano tanti amici.
Mai alba fu così meravigliosa e terribile allo stesso tempo, ma a Severus non importava del resto del mondo, il suo era finito, si era sgretolato insieme ai suoi sogni, alla sua giovinezza.
Ora aveva solo rimorsi, colpe da scontare e un immenso vuoto nel cuore.
Gli era rimasto solo il buio. Non avrebbe più avuto bisogno di chiudere gli occhi per proteggere il suo cuore: le tenebre l’avrebbero circondato giorno e notte, le stesse tenebre che ora avvolgevano la sua Iris.
Continuò a camminare lentamente, senza meta, inoltrandosi tra gli alberi, incurante del fatto che qualche Babbano avrebbe potuto vederlo.


* * *



Una sagoma avvolta in un mantello nero apparve di fronte alla vecchia quercia, aveva un’andatura incerta e si aiutava con un bastone, si fermò di fronte ad una pietra bianca.
Non c’era nessuna iscrizione, ma vi era incisa l’immagine di un fiore, un Iris.
Tirava un forte vento, era autunno inoltrato e le foglie secche, che ricoprivano il terreno come un manto rossiccio, venivano sollevate in aria e sbattute violentemente contro l’uomo come schegge insanguinate.
La figura se ne stava curva stringendo a sé i lembi del mantello nel tentativo di ripararsi da quella manifestazione della natura che una volta, molti anni prima, aveva trovato così piacevole.
Una folata più violenta gli tolse il cappuccio liberando i capelli bianchissimi, lunghi fino alle spalle che, sferzati da quel vento, si sollevavano disegnando degli strani arabeschi d’argento e ricadevano sulle spalle solo per scagliarsi nuovamente verso l’alto, come se le ciocche fossero vive.
L’uomo si appoggiò al bastone e, con fatica, si mise in ginocchio.
Era stata dura arrivare fin lassù, si era praticamente trascinato su quel sentiero impervio. Tuttavia una Materializzazione era impensabile nelle sue condizioni: non usciva da quella maledetta stanza al San Mungo ormai da mesi, non aveva più ragioni per farlo.
La guerra era finita da anni, lui era stato riabilitato e aveva preso il posto di Minerva McGranitt come preside della scuola di magia di Hogwarts.
Era andato avanti, aveva svolto il suo lavoro con impegno e professionalità, ma senza entusiasmo.
Aveva solo atteso, aveva aspettato che il suo corpo decidesse finalmente di soccombere all'inesorabile logorio del tempo. Infatti, pur provato da anni di torture e tensione continua, la sua fibra robusta lo aveva portato a sopravvivere a molti suoi coetanei, nonostante fosse un Mezzosangue.
Poi, finalmente, la malattia, lenta, ma inesorabile.
L'aveva accolta come una benedizione. Forse le troppe Cruciatus avevano lasciato il segno, dopotutto.
Aveva sempre immaginato per se una morte diversa, ma, evidentemente, il destino aveva altri piani. Di una cosa però era certo: non l'avrebbe attesa disteso in quel letto d’ospedale.
L'aveva già aspettata per troppo tempo: ora le sarebbe corso incontro.
Era riuscito ad eludere la sorveglianza dei medici, niente di più semplice per un ex Mangiamorte, e aveva raggiunto la collinetta di fronte alla scuola, il suo rifugio dei momenti felici.
Respirava a fatica: i suoi polmoni malandati non volevano saperne di svolgere bene il loro compito, e, averli sollecitati con quella salita, non gli aveva certo giovato.
Ma, nonostante ogni respiro gli causasse dolore, si sforzò di assaporare fino in fondo quella dolcissima fragranza di erba bagnata. Gli sembrava che quell'aria fosse in qualche modo impregnata del profumo della sua Iris.
Lacrime silenziose cominciarono a scivolare sul viso pallido e segnato dagli anni e dal dolore, ma i suoi occhi profondi e ancora nerissimi brillavano di una strana luce, una luce che non li illuminava ormai da troppo tempo, come se si fossero svegliati da un lungo sonno, come se vedessero per la prima volta.
Si arrotolò la manica della tunica, scoprendo lentamente l’avambraccio sinistro, candido e liscio: il Marchio se n’era andato.
L’ultimo segno della sua schiavitù era sparita con il suo padrone, ormai da diversi anni.
Era libero, ed ora, anche l’ultimo ostacolo che lo separava dalla donna che amava stava per sgretolarsi. L’ultima barriera stava crollando, insieme a quella poca forza che ancora permetteva al suo cuore di battere, irrorando della sua linfa quel corpo stanco.
Ancora per poco, lo sentiva, ma abbastanza da permettergli di assaporare quegli ultimi istanti, abbandonandosi ai ricordi.
Gustava ogni briciola di quel tempo che scorreva inesorabile, come chi osserva compiaciuto, la sabbia in una clessidra, sognando beato il momento in cui l’ultimo granello, precipitando sugli altri, avrebbe decretato la fine di una lunga attesa.
Presto, molto presto, avrebbe finalmente ritrovato la sua Iris.
Sollevò la mano candida sulla quale il tempo aveva inciso i suoi profondi intagli come un attento artigiano avrebbe decorato un prezioso oggetto d’avorio; tra le dita sottili, un piccolo oggetto scintillò ai raggi del debole sole autunnale.
L’uomo lo depose sulla pietra: era una fede nuziale, quel piccolo cerchio d’oro che attendeva di essere donato da sessant’anni.
Il vecchio mago sfiorò con la mano tremante il freddo marmo, quasi accarezzandolo.
“Mia dolce Iris, ho atteso così tanto tempo, troppo tempo, ma non ho mai dimenticato la mia promessa, ora sono qui per onorarla.
La vita che tu mi hai donato è stata lunga e triste, ed io l’ho vissuta interamente come espiazione per le mie colpe, ma ora finalmente mi è concesso di raggiungerti.
Ora, di fronte a questo vento che ci ha uniti molti anni fa, saremo di nuovo insieme.”
Si distese sulla tomba.
“Ti amo.” sussurrò chiudendo gli occhi.
In breve tempo, un manto di foglie ricoprì ogni cosa, come un leggero, fresco lenzuolo, a proteggere il pudore di due sposi nella loro prima notte.


FINE






Eccoci finalmente arrivati alla fine di questa storia, ringrazio tutti quelli che hanno avuto la forza di arrivare fino in fondo, i miei dodici lettori silenziosi, ma fedeli e un particolare ringraziamento a te Akiremirror, senza i tuoi commenti non avrei mai saputo se era il caso di continuare la pubblicazione di questa ff o lasciar perdere, ma tu mi hai sempre rincuorata, spero che non mi odierai troppo per questo finale, non dire che non avevo cercato di prepararti in tutti i modi. Purtroppo Piton è single, così lo ha voluto mamma Rowling e io non avrei mai sopportato di vederlo lasciare da una donna (già c’è la faccenda di Lily, che sto cercando ancora di digerire)

Un bacione e arrivederci a presto!




  
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