Sappilo.
Se morirai, sarà per mano
mia.
No, non mi importano le suppliche
di chi ti conosce grazie ad un nome e ad una storia raccontata ai bambini dalla
notte dei tempi.
No, nemmeno le
mie.
Con questa bacchetta tra le mani e
il cuore nella stretta del serpente più velenoso contro il quale tu abbia mai
combattuto chiuderò gli occhi sentendo il peso di un corpo cadere a
terra.
Il tuo.
Immagino che ora dovrei dare
spiegazioni di questa mia apparente follia…
Sì, insomma, ho
sempre creduto che la vita non fosse veramente nulla di
speciale.
Potete definirla
pure una sorta di alienazione, un disagio profondo e malinconico che arrovella
le viscere ed eccita le ghiandole salivari di fronte alla parola esistenza…cose
così.
Shakespeare mi
chiamerebbe “fool”.
Matto.
Un giullare di
coorte, un buffone: il che sottintende automaticamente il fatto che io sia
pazzo, perché solo un folle bramerebbe a diventare una sorta di pagliaccio
menestrello.
Davvero, io nella
vita non ho mai visto un gran che.
Ma sì, insomma, ho
aperto un sacco di volte la finestra di casa mia (Pansy docet: “guarda fuori!
Vedrai la vita vera!Il sole, la natura, tutto che cresce e muta forma” e bla bla
bla), ma la finestra di camera mia si affacciava solo su un altro maniero, nero
e mastodontico quanto il mio.
E l’architettura non
mi ha mai affascinato particolarmente.
L’unica cosa che
muta forma appartenente ai miei vicini sono i figli, che da dolci pargoletti son
diventati schiopodi senza coda, con tanto di pustole sulla
faccia.
Che schifo
l’acne.
Me lo ricordo ancora
oggi quel foruncolo che mi spuntava di tanto in tanto in quella maledetta
fessura tra la guancia e il naso.
Un male assurdo, e
un ribrezzo ancora maggiore.
Anche quello a volte
mutava forma… Bleah.
Grazie al cielo
l’adolescenza me la sono lasciata alle spalle.
Mi sembra tutto
abbastanza lontano a pensarci oggi.
Dopo una decina
d’anni anche il Big Bang non mette così tanta agitazione.
Sono diventato
esperto in babbanologia, vero?
E’ colpa tua,
Potter. Mi hai attaccato questo vizio di andare oltre ogni cosa, capire le
caratteristiche di un popolo prima di detestarlo.
Cosa che tu però non
hai mai fatto, caro mio.
Sei sempre stato
bravo a parole… a raccontare il tuo essere grifondoro attraverso novelle a lieto
fine, cavalieri che salvano principesse in difficoltà, martiri
smaliziati.
Ti ho sempre
ascoltato per metà dubbioso e per metà affascinato da quanto vicino a te ero
riuscito ad arrivare, da quante parole stavi sprecando per convincere me, Draco
Malfoy, a rinnegare il mio nome e a mo di Giulietta e Romeo farmi ribattezzare
con il solo nome di amore.
Quante belle favole
mi hai raccontato.
Quante storielle
Weasley, Paciock, Granger e infine Potter, con qualche accenno a
Black.
Vedi Harry, il
problema non è il problema… il problema è ciò che sta alle sue
spalle.
E tu con questo non
hai mai sembrato familiarizzare parecchio.
Non ti sei accorto
in tutti questi anni di aver sempre scelto le tue compagnie e amicizie come una
sorta di elfo domestico che smista i calzini?
Bianchi, neri, da
lavare.
Non hai mai badato a
“quello che stava dietro”.
All’inizio mi hai
pensato come nero, poi da lavare.
In un qualche
angolino del tuo cervello malandato devi anche avermi considerato bianco, almeno
per un attimo, ma non ne sono certo del tutto.
Ti sei sempre
isolato nel tuo mondo fatto di favole, Potter… ma favole raccontate da
altri.
Altri che tu
giudichi degni di essere ascoltati.
Ti è mai venuto in
mente di chiedere a Lucius Malfoy la sua versione della
faccenda?
Hai mai pensato di
chiederla a me, prima di esprimerti in tutta la tua anima da
crocerossino?
Te la posso
raccontare ora se vuoi la mia favola, Harry.
Una volta mi hai
accusato di scegliere le mie amicizie secondo il volere di mio padre, senza
pensare a cosa realmente desiderassi io.
Tu che scuola hai
frequentato da bambino, Potter?
Immagino uno di
quegli istituti babbani dove le maestre sono sempre sorridenti e hanno meno di
trent’anni. Di quelle dove ti insegnano a fare disegni con le dita, o a
costruire bamboline con le palline di cartapesta.
Lo sai come sono le
scuole elementari magiche, Harry?
Quelle private?
No, non lo
sai.
Sono grandi, enormi
edifici neri divisi in altrettanto grandi camerate, con signore dai 40 ai 50
anni vestite di tutto punto, bacchetta alla mano e incantesimi schermanti sparsi
per tutto il corpo come pattuglia.
Probabilmente anche
a te sarà successo di innervosirti e provocare qualche disastro da
piccolo.
Forse hai
trasfigurato tuo cugino in un essere indefinito, oppure l’avrai fatto
volteggiare a mezz’aria a testa in giù… cose così.
Io ho fatto
letteralmente scoppiare un coniglio.
Era il mio primo
giorno di scuola, e sai quanto i bambini possono essere affezionati ai genitori,
tanto da non volerli abbandonare mai. Ops, è vero, non lo sai.
Scusa.
Ad ogni modo… mia
madre mi spinse dentro tra le braccia di una delle maestre, poi si
smaterializzò.
Immagino di essermi
sentito abbandonato, tradito, o qualcosa del genere.
Fatto sta che quando
l’insegnante per farmi smettere di piangere mi mise in mano un morbido, piccolo
coniglietto, ero talmente carico di energia negativa che quello esplose
dall’interno.
Sì, è uno spettacolo
raccapricciante da immaginare. Anche da vedere.
Certo, non fui
condannato per coniglicidio, ma mi sentii comunque un
assassino.
Nessun bambino aveva
mai ucciso involontariamente, e non
mi piaceva sentirmi meno bambino degli altri.
Dopo quell’episodio
vedere anche una sola goccia di sangue mi dà il
voltastomaco.
Mi fa
orrore.
No, a scuola i miei
compagni non mi piacevano.
Troppe urla, troppe
risa, troppi pianti, troppo rumore, senza nessun motivo.
E troppi incantesimi
involontari che facevano venire i brividi.
Non immagini il
terrore di un bambino in una camerata dove tutti potrebbero in un momento di
rabbia mandarti a sbattere contro un muro con i capelli
fucsia?
Ed ero sicuro (e
dico sicuro) che una bambina di cui ora non ricordo il nome, per vendicarsi
della morte del coniglio, avrebbe voluto far esplodere me.
Le maestre
continuavano a rassicurarmi (“Nessuno ti odia, Draco, è stato un incidente, lo
sanno tutti!”), ma comunque la mattina mia madre doveva inventare ogni volta un
nuovo espediente per convincermi ad andare a scuola.
Giù regali su
regali, e promesse di altri regali.
Immagino di essere
diventato viziato a causa di quel periodo.
Nel mondo babbano
come fanno ad insegnare a scrivere, Potter? Non te l’ho mai
chiesto.
In quello magico
incantano una penna: tu la tieni in mano e quella scrive da sola la frase
prestabilita dalle maestre.
A forza di vedere le
lettere e di seguire con la mano i movimenti della penna
impari.
Io imparai anche
abbastanza in fretta a dire il vero: mentre gli altri ancora si lasciavano
guidare dalla piuma di non so quale animale scrivendo “ Polly ha dieci
caramelle”, “Polly è una bella bambina”, “Polly odia i ragni” io stringevo la
penna tra le mani e con un po’ di forza in più deviavo il suo corso, scrivendo
“Polly ha dieci ragni”, “Polly è una caramella” e “Polly odia le
bambine”.
Dopo un po’ che le
insegnanti mi rimproveravano io invece odiavo Polly, ma avevo comunque delle
potenzialità.
Un giorno una
bambina più bassa e minuta delle altre mi avvicinò, chi lo ricorda il perché, e
fu così che conobbi Pansy Parkinson.
La scelse mio padre,
vero Potter?
Tiger e Goyle erano
i miei compagni di banco, scelti dal caso, e non parlavano troppo, non urlavano,
non ridevano senza motivo.
Per me era una
ragione più che sufficiente per farmeli amici.
Per quanto riguarda
tutta la faccenda di Tu sai chi… se credi che mio padre abbia sprecato i suoi
anni migliori a riempirmi la testa di idee strane sull’obbedienza all’Oscuro
Signore, la supremazia della razza e generis ti sbagli di
grosso.
Mio padre aveva ben
altre cose a cui pensare, se permetti.
Capisco che tu non
riesca ad immaginarlo visto il poco tempo che hai trascorso con i tuoi genitori,
ma non è tanto strano che il figlio cresca con gli stessi ideali del
padre.
Io vedevo il mio
sempre sicuro di sé, sempre rispettato e temuto: era un modello per
me.
Il mio ideale di
uomo.
Io volevo essere
esattamente così: attorniato da un silenzio reverente.
Ti ho già detto
quanto io detesti il rumore?
Per quanto riguarda
invece la motivazione per cui mio padre si sarebbe unito alla schiera del Lord…
preferirei la sentissi direttamente da lui, anche se non so quanto sarà
possibile.
Non sei mai andato
oltre l’apparenza Harry, questa è la verità.
Giusto, sbagliato,
buoni, cattivi.
Queste sono le
uniche categorie che conosci.
Forse hai cominciato
quando hai incontrato me.
Oddio, ci siamo
incontrati parecchie volte ad Hogwarts… però ti sei incuriosito quando mi sono
presentato all’Ordine.
No, decisamente non
te lo aspettavi.
Hai iniziato ad
interessarti a me come fossi stato l’unica pecora nera in mezzo ad un candido
gregge: prima con circospezione, poi con morbosa curiosità, infine con
fascino.
In segreto, di
nascosto da tutto e da tutti, mi hai rivelato che ti piacevo, e sei stato
preoccupato che io fossi schifato dal tuo essere
omosessuale.
Il che è stato
divertentissimo visto il fatto che l’unico motivo per cui avevo lasciato che tu
ti avvicinassi a me era perché sapevo di per certo che tu avevi certi "gusti".
E’ stato divertente
anche rassicurarti dolcemente rivelandoti che anche io avevo una certa tendenza
verso il fiocco blu, e che tu eri nella mia lista di fiocchi blu
preferiti.
Mi sono sentito un
po’ come quando una volta a scuola avevo stravolto la frase “La farfalla Dorothy
mangia miele a colazione” in “Dorothy mangia la farfalla a
colazione”.
No, non avevo il
gusto del macabro, mi divertivo soltanto a vedere la maestra
inorridire.
Harry… io mi
divertivo con te, eppure tu mi piacevi davvero.
La tua bocca… mi
sono innamorato della tua bocca.
Quelle labbra che
avevano sempre nostalgia delle mie, che lasciavano scivolare il tuo respiro
dentro il mio palato e che facevano caldo, finalmente caldo dentro di
me.
Le tue mani erano
per me più familiari delle mie.
Il tuo petto era il
mio.
Ti sentivo così
vicino.
Vicino come
Vicino come mia
madre quando appoggiava la sua fronte alla mia dicendomi che la guerra, mio
padre con una maschera sul viso, gli incantesimi oscuri, erano necessari, non si
poteva fare altrimenti.
Vicino come mio
padre quando mi diceva che era fiero di me, che sarei diventato un grande
mago.
Ti sentivo vicino
come se quel batticuore avesse avuto un significato un po’ più potente di un “mi
piaci”.
Si potrebbe dire che
ti amavo.
Si potrebbe dire che
ora soffro come la farfalla mangiata da Dorothy a colazione mentre ti vedo al
centro del salone di casa mia, Lord Voldemort che ti annuncia che morirai con
dolore, tormentato e annientato poco alla volta, per annullare ogni traccia di
qualsiasi incantesimo ti protegga.
No, Harry.
Non ti
preoccupare.
Sappilo.
Se morirai, sarà per
mano mia.
Nessuna tortura,
nessun dolore ti sfiorerà più di un bruciore agli occhi e una luce
verde.
Riuscirò a non
ascoltare le suppliche e le accuse di tutto il mondo magico quando saprà che
sono stato proprio io a toglierti la vita.
Riuscirò a non
ascoltare nemmeno le mie, mentre ti chiedo, ti imploro di non affidare a me
questo peso.
Tu non hai mai
guardato oltre le apparenze, non hai mai indagato troppo a fondo nel cuore delle
persone, e non sono sicuro che tu mi ami quanto io amo te, o credo di
amarti.
Però se “Draco ama
Harry”… sono sicuro di poter scambiare due parole anche
adesso.
Sappilo.
Morirai per mano
mia.
“Draco ama Harry”.
Soggetto, predicato
e complemento oggetto. E’ una frase semplice da rigirare.
Basta scambiare due
parole.
“Harry ama Draco”.
E quando con lo
sguardo mi chiedi di farlo, di concederti un sonno più dolce, mi sento come se
del sangue di quel coniglio, scoppiato tra le mie braccia, non mi fossi mai
ripulito.
End.
E’ semplicemente
assurda, lo so.
E non ho la più
pallida idea di come mi sia uscita… quindi se voleste degnarmi di qualche
recensione, giusto per dirmi che forse non ho proprio sprecato il mio tempo, vi
sarei immensamente grata…
Perché se nessuno
commenta, è come se non si fosse mai scritto. ;)
Un
bacio!
Dolceamara.