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Autore: Aurora_Boreale    31/10/2012    5 recensioni
Rukawa si accorge che Sakuragi si comporta in maniera strana. Urge indagare. Che segreto nasconde Hanamichi? Forse un qualcosa o un qualcuno che li farà irrimediabilmente avvicinare...?
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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gatto Disclaimer: I personaggi non sono miei, ma di T. Inoue. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Note: Ho cambiato nick, ma sono sempre io^^.
Allora, ammetto di aver scritto questa storia un po’ di tempo fa. Non l’ho pubblicata perché avevo sentito l’esigenza di scriverla per me, dopo aver letto una frase che mi aveva assai colpita. (Frase che ho inserito come citazione).
Qualche giorno fa ho ritrovato la fic nei meandri del p.c. ma ancora sono stata titubante se pubblicarla.
Non vuole essere una fic originale, non pretende di essere una fic meravigliosa. L’ho scritta solo per trasmettere un semplice messaggio in cui credo. Messaggio che, però, posso condividere solo se pubblico, effettivamente. Alla fine quindi mi sono decisa. ^^”
Beh, spero che vi piaccia.  
Buona lettura,
Aury





Maneki neko
Il gatto che ti ama



Salvare un animale non cambierà il mondo,
ma cambierà il mondo di quell’animale.



Kaede osservò di sottecchi il compagno di squadra.
Da diversi giorni Hanamichi si comportava in maniera strana e lui era intenzionato a scoprirne il motivo.
Di solito se ne fregava di quello che facevano gli altri, ma era troppo onesto con se stesso per non riuscire ad ammettere che quella Testa Rossa era un’eccezione.
In quel momento si trovava ancora in palestra. Miyagi, nuovo capitano della squadra, non faceva batter loro la fiacca. Rukawa non aveva nulla da lamentarsi a riguardo e poco gli interessava se un tale zelo da parte del playmaker fosse dovuto al bisogno di non sfigurare davanti ad Ayako o per non far rimpiangere Akagi ai compagni.
A Kaede non importava. Tutta la sua attenzione era per Hanamichi, che aveva iniziato a dare i primi evidenti segni di nervosismo.
Rukawa stava attendendo con pazienza: quel giorno avrebbe fatto luce sul mistero dello strano comportamento tenuto dal numero dieci.

Anche quella sera non fu diversa dalle precedenti: Sakuragi, appena Ryota decretò la fine degli allenamenti, si catapultò nello spogliatoio.
Rukawa sapeva che, nel momento in cui si fosse deciso ad emulare l’altro lasciando perdere i suoi esercizi supplementari, tutto ciò che avrebbe visto sarebbe stato un Hanamichi che correva via, già vestito di tutto punto.
Per tale motivo si era deciso a prendere dei provvedimenti, in modo da evitare quella fuga precipitosa.
Infatti, quando seguì i compagni per cambiarsi, Sakuragi era ancora lì; naturalmente di pessimo umore.
«Dannazione! Dannazione! Mille volte dannazione!»
«Oh, insomma, Hanamichi! La smetti di urlare?» sbraitò Miyagi, stufo di sentire quei continui sproloqui.  
Hanamichi interruppe per un attimo i suoi movimenti febbrili vicino agli armadietti, giusto il tempo per replicare: «Non trovo le mie scarpe, Ryota. Vorrei proprio sapere chi è stato il simpaticone che me le ha nascoste.»

Nel sentire quelle parole, Rukawa interiormente sorrise: il suo semplicissimo piano era andato a buon fine. L’aver spostato le calzature di Sakuragi gli avrebbe consentito di guadagnare il tempo necessario per potersi vestire.
Il giorno precedente aveva provato senza l’aiuto di nessun espediente ma, nonostante la sua buona volontà, non era riuscito ad eguagliare lo sprint di Hanamichi. Sul fronte velocità Sakuragi era davvero imbattibile. Era una delle peculiarità del compagno che più invidiava.
Kaede, da ragazzo obiettivo qual era, sapeva che in quello non avrebbe potuto superare Sakuragi nemmeno con decine di allenamenti supplementari. Alcune caratteristiche erano doti di natura.

«Non dare a noi la colpa della tua sbadataggine, Testa Rossa» intervenne Mitsui.
«Guarda che non siamo così stupidi da fare simili scherzi» aggiunse Yasuda.
Entrambi i ragazzi erano appena usciti dalla doccia.

Sakuragi guardò i compagni con gli occhi socchiusi, come se stesse riflettendo su qualcosa di vitale importanza, poi puntò il dito contro il numero quattro. «Yasuda, forse tu non lo sei, ma Mitchi è capacissimo di fare una cosa tanto infantile.»
«Concordo» affermò a sua volta Ryota, annuendo con un sorrisino. Era risaputo che il playmaker fosse sempre pronto a denigrare Mitsui.  
Hisashi fulminò Miyagi con un’occhiataccia. «Cerchi rogne, Nano?»
«Ehi, porta rispetto per il tuo capitano!» sbottò Ryota, assai offeso.
Mentre i due si mettevano a litigare, Hanamichi riuscì a convincere – o meglio, ad obbligare – Yasuda ad aiutarlo nella ricerca.
Rukawa, approfittando della confusione, si vestì rapidamente.
Anche quel giorno si sarebbe accontentato di fare la doccia a casa.
Come al solito nessuno badò a lui e ciò gli permise di andarsene indisturbato. Mentre toglieva il catenaccio alla bici, si domandò come fosse potuto finire in una squadra composta da tanti idioti impulsivi. Gli unici elementi dello Shohoku dotati di raziocinio erano Akagi e Kogure; peccato che i due avessero lasciato la squadra subito dopo il torneo estivo.

Una raffica di vento gli scompigliò i capelli, facendolo rabbrividire.
Nel piazzale gli alberi stavano iniziando a perdere le foglie, dando al luogo un aspetto assai spoglio.
Un tipico paesaggio di fine ottobre, pensò il ragazzo, un poco rattristato. Nonostante gli dessero del ‘freezer umano’, Kaede adorava la stagione estiva, piena di luce, calore, vita.      
Inforcò la bicicletta, attento a non perdere di vista l’uscita di Sakuragi.
Colui che stava aspettando si presentò davanti ai suoi occhi pochi minuti dopo. Complice l’imbrunire, Hanamichi non fece caso al compagno di squadra, iniziando a incamminarsi di buon passo.
Rukawa aggrottò la fronte quando notò che Sakuragi aveva preso una direzione opposta a quella che era solito fare per tornare a casa.
Allora è vero che nasconde qualcosa.
Stando attento a non farsi scorgere, Kaede si mise a seguirlo. Per sua fortuna, Hanamichi sembrava essere così ansioso di giungere a destinazione da non fare tanto caso a quel che gli succedeva attorno. Infatti, non si rese conto di venire pedinato, proseguendo dritto per la sua strada.
Kaede lo vide inoltrarsi nel parco; a quell’ora i lampioni erano già accesi, tanto che i colori delle fronde degli alberi apparivano ancora più brillanti, mentre le foglie cadute creavano una soffice distesa variopinta. Era uno spettacolo meraviglioso, poiché la natura sembrava essersi ammantata di una veste che virava su tutti i toni di giallo, arancione e rosso.
La quiete regnava sovrana.
Fatta eccezione per qualche raro passante, intento a portare a passeggio il cane, non vi era nessuno.
Il vento faceva sentire la sua voce tramite il frusciare delle fronde, attutendo in tal modo anche il rumore dato dall’incedere dei due ragazzi.

Infine Sakuragi deviò dalla stradina tracciata per dirigersi verso un padiglione dal tetto in paglia. Era una costruzione piccola e modesta, utilizzata per conservare gli attrezzi con cui veniva tenuto pulito il parco. Rukawa si affrettò a seguire il compagno, la sua curiosità che cresceva man a mano che trascorreva il tempo.
Pochi attimi dopo, udì Hanamichi mormorare dei saluti, con un tono di voce che non gli aveva mai sentito prima: dolce e carezzevole.
«Ciao, piccolo. Scusa se ho fatto tardi.»
Kaede, avvicinandosi di soppiatto, percepì un blando miagolio.
«No, no, prima ti metto la pomata, poi ti do da mangiare. Lo sai cosa dice il detto: prima il dovere, poi il piacere
Un’altra serie di miagolii fece seguito a quelle parole.
«Ecco, bravo, stai fermo così. Hai visto che non è difficile?»
Ormai Rukawa era arrivato a ridosso del padiglione. Dal momento che Sakuragi aveva lasciato la porta aperta, non gli fu difficile sbirciare dentro: il compagno di squadra era accucciato a terra e tutta la sua attenzione era focalizzata sul gattino che teneva in braccio. Nonostante la luce fioca, Kaede notò subito che l’animale era denutrito e spelacchiato. Probabilmente si trattava di un piccolo randagio abbandonato.

In quel momento Rukawa si rese conto che non sapeva bene come agire. Aveva scoperto perché l’altro ultimamente si comportava in maniera tanto strana, di conseguenza avrebbe dovuto ritenersi soddisfatto.
È meglio che vada.
Se lo continuava a ripetere tra sé e sé; peccato che… non ci riuscisse.
In tutta sincerità, vedere Hanamichi, solitamente esagitato e spaccone, così tranquillo e dolce, lo aveva del tutto spiazzato. Era perfettamente consapevole che Sakuragi fosse un ragazzo gentile e altruista, ma constatarlo con i propri occhi faceva tutt’altro effetto.
Soprattutto tenendo conto che lui, da parte di Sakuragi, riceveva solo pugni e insulti.
A ben rifletterci, da quando Hanamichi era tornato dalla riabilitazione, le risse tra loro si erano ridotte. Rukawa non sapeva se ciò era dovuto al fatto che Sakuragi fosse maturato, oppure se era tutto merito di quella fatidica partita contro il Sannoh, durante la quale, per la prima volta, avevano giocato come veri compagni di squadra.
Di una cosa Rukawa era certo: quel cinque che si erano scambiati aveva decretato il mutare dei loro comportamenti. Se da un lato Sakuragi evitava di rifilargli testate ad ogni allenamento, dall’altro lui tentava di trattenere i suoi commenti al vetriolo.

E ora si trovava lì, fermo sulla soglia di un capannone, indeciso su come agire.
Dannazione!, imprecò mentalmente. Solo quell’idiota era in grado di smuovere la sua perenne apatia nei confronti del mondo.
Beh, dal momento che non riusciva ad andarsene, tanto valeva palesare la sua presenza.
«Idiota» disse in tono secco.
Oh, quanto adorava quel nomignolo; a quello non avrebbe mai rinunciato.
Sakuragi sobbalzò, tanto da rischiare di far cadere il gattino che teneva tra le braccia. Si voltò di scatto, sgranando gli occhi alla visione di Rukawa. Cosa diavolo ci faceva la Volpe lì? Possibile che lo avesse seguito?
«Kitsune?»
Vide il compagno avvicinarsi, i suoi occhi scuri fissi sul micio. Non sapendo quali intenzioni avesse, Sakuragi reagì nascondendo la bestiola contro il petto, quasi volesse fornirgli un rifugio sicuro.
«Così lo soffochi, Idiota.»
Il ragazzo dai capelli rossi digrignò i denti. «Figurati se lo soffoco, Volpe. So come trattare i gatti. Tu, piuttosto, va’ via! Potrebbe spaventarsi alla vista del tua brutta faccia.»
«Nh, se non è scappato davanti alla tua…»
«Ohi, Volpe, cos’è questa storia che parli solo per insultarmi?» domandò Sakuragi, seccato. Poi, sapendo che era inutile continuare, dal momento che Rukawa si era già inginocchiato al suo fianco – e quando mai quella Kitsune faceva quel che gli veniva detto? – si decise ad appoggiare il gattino a terra per potergli dare da mangiare.
Mentre era intento in quel compito, percepì addosso lo sguardo del compagno. Era irritante essere osservati a quel modo. Lo faceva sentire maldestro e agitato.
Tentò d’ignorarlo, ponendo tutta l’attenzione sull’animale che, a quanto pareva, non si era allarmato per quella presenza estranea.
Strano, pensò Sakuragi. Fatta eccezione di Yohei, con gli altri ragazzi dell’Armata è molto più guardingo.
Lanciò una fuggevole occhiata a Rukawa: se ne stava zitto e immobile, senza fare alcun movimento brusco che potesse spaventare il micio. A quanto sembrava la Volpe sapeva come comportarsi. Meglio così, altrimenti l’avrebbe dovuto allontanare a suon di calci.
Kaede, aiutato dal fatto che il gattino fosse intento a mangiare, riuscì osservarlo con maggior attenzione: era davvero emaciato, con un pelo sciupato e sporco; la cosa più brutta a vedersi era un occhio gonfio e parecchio arrossato.  
«È malconcio» sentenziò infine, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
Era pronto ad una reazione spropositata da parte del compagno; una reazione che non avvenne.
Sakuragi si limitò a fare un mesto sorriso, accarezzando con l’indice il capo della bestiola. «Sì, lo so, ma quando l’ho trovato era messo anche peggio. Purtroppo non posso portarlo a casa perché mia mamma è allergica; Yohei ha già un cane, mentre i genitori di Okusu, Noma e Takamiya non vogliono avere animali. Per ora lo tengo qui; almeno è un posto riparato. Gli porto da mangiare e gli somministro le cure prescritte dal veterinario.»
Kaede ascoltò con attenzione; una volta che Hanamichi si lasciava andare, parlava a briglia sciolta.
«Dovrò iniziare a informarmi se qualcuno lo vuole. Fra poco giungerà il freddo. Desidero trovargli una casa confortevole, con qualcuno che lo accudisca e gli voglia bene. So che non è una gran bellezza, ma con le giuste cure, sono sicuro che diventerà un gatto meraviglioso.»
Il tono di Sakuragi era basso e affettuoso.
Qualcosa dentro Rukawa si sciolse.
Aveva sempre amato gli animali, tanto che i suoi genitori più volte gli avevano chiesto se desiderasse un cane. Gli sarebbe piaciuto, ma lo considerava un’incombenza troppo gravosa. Un gatto, però, era molto più autonomo e indipendente. Se i suoi erano disposti a prendergli un cane, di certo non avrebbero fatto obiezioni se avesse portato a casa un gatto.
Perfetto, il Do’aho mi ha proprio rimbecillito, se ho preso una decisione così in fretta.
Beh, non era tipo che perdeva tempo in inutili rimuginamenti.
Adesso che sapeva cosa fare – e no, il fatto che sperava di rendere felice anche Hanamichi non c’entrava proprio nulla – non gli restava altro che agire di conseguenza.
Notato che il micio aveva finito di mangiare, allungò con cautela una mano. La bestiola gli annusò le dita, all’inizio un po’ diffidente, poi, rassicurato, iniziò a strofinarvisi contro.
Solo allora Rukawa si permise di prenderlo in braccio e alzarsi.
«Ehi, Volpe, cosa pensi di fare?»
Hanamichi seguì il compagno fuori dal capannone. Quest’ultimo aveva raggiunto la propria bici, da cui aveva recuperato la sacca sportiva.
«Rukawa, aspetta!»
Che fosse dannata quella stupida Volpe e dannato lui per essersi fidato di quell’asociale! Col cavolo che lo avrebbe lasciato andare via con il gattino.
«Rukawa, ti ho detto di…» Stava per dire ‘fermarti’, quando Kaede, con un cenno del capo, gli indicò la due ruote.
«Riportamela domani a scuola.»
Hanamichi gli lanciò un’occhiataccia. Si stava per incazzare. Per chi l’aveva preso, per un fattorino, forse?
«Do’aho. Abito qui vicino, ma con il gatto non posso occuparmi della bici.»
«Restituiscimelo subito!» fece Sakuragi, cocciuto.
Kaede alzò gli occhi al cielo. Possibile che quello scemo non avesse capito che se ne voleva prendere cura?
«Lo porto a casa mia. Non era ciò che volevi? Una casa per il gatto.»
Ci fu un attimo di silenzio.
I due ragazzi continuarono a fissarsi, uno di fronte all’altro: Rukawa manteneva la sua espressione imperscrutabile, mente Hanamichi non riusciva a ribattere nulla. Iniziò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Era evidente che era stato preso alla sprovvista.
«Volevo una persona di cui mi potessi fidare» tentò di dire Hanamichi. Ma quella replica parve fiacca alle sue stesse orecchie. In fondo, sebbene non sapesse praticamente nulla di Rukawa, era conscio che era uno che manteneva la parola data. Si sentì messo alle strette. Non sapeva cosa lo rendesse tanto titubante. Forse il fatto che, se il micio se ne fosse andato con il compagno, difficilmente lo avrebbe rivisto. Capì che aveva sempre sperato di darlo a un amico, tipo Miyagi, in modo da poterlo andare a trovare.
Guardò il batuffolo di peli: se ne stava in braccio alla Volpe senza emettere un lamento; ciò significava che si sentiva al sicuro. Faceva male; faceva male in una maniera mai provata prima. Pochi giorni insieme e già si era affezionato; ma prima di tutto doveva pensare al bene dell’animale, non alla sua tristezza.
«Rukawa, promettimi che ti prenderai cura di lui.»
«Prometto.»
Kaede aveva risposto subito. Non si era irritato per quella scarsa considerazione, perché aveva intuito che Hanamichi si stava sforzando di fare la cosa giusta per il micio. Apprezzò il suo buon cuore.
Lo vide guardare il gatto con espressione malinconica; poi gli si avvicinò, porgendogli un tubetto di crema.
«Questa devi mettergliela più volte al giorno per la congiuntivite. Il veterinario ha detto che nel giro di venti giorni dovrebbe guarire. Ah, Volpe, guarda che verrò a controllare che tu lo tratti bene. È una promessa.»
Detto ciò, gli voltò le spalle e, recuperata la bici, se ne andò via.
Rukawa lo osservò allontanarsi, poi abbassò il viso per guardare l’animale.
Sei stato fortunato, micio. È un Do’aho, ma un buon Do’aho.

E così, dialogando mentalmente con il gatto, se ne tornò a casa.

Rukawa non sapeva che quella bestiola gli avrebbe cambiato per sempre la vita, soprattutto per quel che concerneva il suo rapporto con Sakuragi.


***


«Ehi, Volpe!»
«Nh.»
«Come sta il mio gatto?»
«Ora è il mio gatto, Idiota.»
«Stupida Volpe! Sempre a puntualizzare.»
«Nh.»
«Allora, come sta?»
«Bene. Mia madre lo adora.»
«Ottimo! Ma guarda che ti controllo, Volpe.»


***


«Ohi, Volpe! Stasera voglio vedere il mio gatto. Non mi fido di te.»
«Idiota! È il mio gatto.»
«Ci vediamo nel piazzale dopo gli allenamenti.»
«Nh.»


***


«Volpe, i tuoi genitori sono molto simpatici. Non vi assomigliate per niente. Secondo me, quando sei nato, ti hanno scambiato erroneamente con un altro bambino.»
«Idiota.»
«Ehi, stupida Volpe, non m’ignorare!»
«Nh.»
«Ah, Rukawa, posso venire da te stasera? Sai, mia mamma non c‘è e così… Guarda che lo faccio per vedere il micio, mica per stare con te!»
«Nh. Si chiama Koyo.»
«Ah, giusto.»
«Idiota.»
«Hai scelto un bel nome per il mio gatto, lo devo riconoscere, Volpe.»
«È il mio gatto!»
«Nostro?»
 

***

«Ehi, Rukawa, non mi avevi detto che l’occhio di Koyo era guarito completamente. Oh, hai visto che avevo ragione? È diventato un gatto bellissimo!»
«Do’aho.»
«Baka Kitsune!»
«Hanamichi, ti fermi a cena?»
«Oh, molto volentieri, signora.»
«Per carità, chiamami pure con il mio nome. Se dici ‘signora’ mi fai sentire vecchia. Ormai sei uno di famiglia.»
«Volpe, io continuo a sostenerlo: ti hanno scambiato da piccolo.»
«Idiota.»


***


«Kaede, ma Hanamichi non c‘è?»
«Lo vedi?»
«Ehi, signorino, non usare quel tono con me, sai?»
«Nh.»
«Oh, tesoro, non dirmi che glielo hai detto.»
«Nh.»
«Capisco... Ma vedrai che si risolverà tutto. Ho notato come ti guarda. Credi a quel che ti dice la tua mamma; lo sai che sono un’esperta in questo campo.»


***


«Volpe, possiamo parlare?»
«Nh.»
«Senti, mi dispiace di essere scappato a quel modo. Mi hai preso di sorpresa, ecco.»
«Nh.»
«Questo non significa che tu non mi piaccia. Anzi, è il contrario. Mi piaci da tanto tempo, Volpe, ma avevo paura... Ho ancora paura.»
«...»
«Volpe? Perché non dici niente?»
Un timido sfiorarsi di mani.
«Kaede, dico sul serio. Mi piaci e voglio stare con te.»
Un bacio.
«Andiamo a casa, Do’aho. Il nostro gatto ci aspetta.»
«Nostro?»
Un sorriso idiota; un intrecciarsi di dita.
«Nostro.»


***

 
Mariko Rukawa si trovava nello studio, concentrata sul suo lavoro.
Gli ultimi ritocchi e poi, finalmente, avrebbe potuto consegnare l’art book al suo editore. Mariko non era una mangaka di livello internazionale, ma di certo non poteva lamentarsi del successo che aveva riscosso.
Il suo amore per il perfezionismo, però, l’aveva portata a disegnare preferibilmente copertine e brevi vignette, piuttosto di manga lunghi e intricati. Ogni sua opera era un piccolo capolavoro di forme, sfumature e colori. Il suo genere preferito era lo yaoi, che aveva adorato fin da ragazzina.
Gli sfuggì un sorriso. Non avrebbe mai immaginato che il suo giovane figlio sarebbe diventato la fonte della sua ispirazione.
«Finito!» esclamò soddisfatta.
Non le restava che fare una cosa: far vedere i disegni al suo critico di fiducia.
Per tale motivo, si alzò dalla sedia e si diresse in soggiorno, sicura che l’avrebbe trovato lì.
La scena che le si presentò davanti fu quella che si era aspettata di vedere: il suo Kaede mezzo addormentato sul divano, mentre Hanamichi se ne stava sdraiato sul tappeto, intento a far giocare Koyo.
Il cuore di Mariko si sciolse a tale visione. Quel micio aveva cambiato le loro vite. Se lo ricordava ancora il giorno in cui Kaede lo aveva portato a casa: era ridotto tanto male da far pena. Ma era bastata un po’ di pazienza e cura per trasformare quel batuffolo spelacchiato in un bel gatto vispo e affettuoso. Ora Koyo era il ritratto della salute: un pelo grigio, folto e lucido; due occhi grandi, di un verde brillante.
«Hanamichi.»
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lei.
Mariko esibì il suo sorriso più radioso. «Ho finito il mio art book. Lo vuoi vedere?»
Le iridi ambrate brillarono di gioia. «Certo!»
«Ecco qui, intanto vado a prepararvi la merenda. Non c‘è niente di meglio di una bella fetta di torta.»

Hanamichi si mise ad osservare con attenzione i disegni. Si era scoperto un vero appassionato delle opere di Mariko. A volte, alcuni elementi troppo espliciti lo facevano talmente imbarazzare che Kaede prendeva al volo l’occasione per canzonarlo. L’art book che aveva sottomano era davvero magnifico. Il tema era semplice: coppie di ragazzi in ambiente domestico. All’ultima illustrazione, si bloccò, annichilito.
«Oh, cavolo!»
Due secondi di perfetto silenzio e poi… «Volpe!»
Rukawa non aprì nemmeno gli occhi, sebbene si fosse completamente svegliato. E chi non lo sarebbe stato, dopo quell’urlo disumano?
«Non gridare, Idiota» bofonchiò, rigirandosi sul divano per trovare una posizione più confortevole.
«Volpe! Non capisci! Il disegno… Tua madre… Noi…»
«Do’aho!»
«Baka Kitsune! Ti sto dicendo che tua madre ci ha raffigurati!»
Detto ciò, schiaffò il dipinto incriminato davanti al viso del suo ragazzo. Rukawa fu costretto a guardare; sapeva che altrimenti rischiava di ricevere una testata. Ad essere sincero, non andava matto per i disegni della madre, però quello lo adorò fin dalla prima occhiata.
«Bello» decretò con tono incolore.
«Ma… Volpe! Siamo noi due su questo divano.»
«Nh.»
«E stiamo… Stiamo…»
«Scopando, Do’aho. Anzi, quasi scopando, visto che sono solo i preliminari.»
«Ma io mi vergogno!»
«È  solo un disegno.»
«Ma Koyo ci sta guardando!»
«Idiota!»
Attimo di silenzio.
«Volpe?»
«Nh.»
«Dobbiamo provarla, questa posizione.»
 



Fine^^



Note:
- Koyo, il nome del gatto, vuole dire ‘autunno’ in giapponese. Mi sembrava azzeccato come nome^^.
- Il titolo Maneki neko, letteralmente ‘il gatto che ti ama’, l’ho scelto perché si chiama così la famosissima statuina giapponese che raffigura il gatto con la zampa alzata. Simbolo di buona sorte, di ricchezza e prosperità.  

Questo è tutto; mi auguro che sia stata una lettura piacevole^^.
So di essere un po’ sparita dal fandom. A dir la verità, mi sto indirizzando sulle Original. L’esigenza di cambiare colpisce tutti. Questo non vuol dire che abbandonerò Hana e Ru, perché Slam Dunk avrà sempre un posto importante^^. Come si suol dire: il primo amore non si scorda mai.
Alla prossima!

Ah, e Buon Halloween! Fra poco tirerò fuori la mia scopa in disuso, il cappello a punta e andrò a festeggiare! Una strega come me si camufferà di sicuro in mezzo a tante streghette travestite, voi che dite? ;)
Bacio,
Aurora

   
 
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