Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Hyrim    01/11/2012    5 recensioni
Una raccolta di molte CreepyPasta conosciute, rielaborate una per una e ripopolate da i personaggi di Hetalia. Fossi in voi non le leggerei da soli... o al buio.
Attenzione: qualunque suono percepiate restate calmi, non urlate ma soprattutto NON guardate... dietro di voi!
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Vi porgo i miei ossequi.
Il mio nome è Roderich e se state leggendo questo significa che finalmente ho terminato Il racconto. 
No, non è un errore di battitura, io non faccio mai errori, quella “i” è in maiuscolo perché questo che state per leggere sarà l'archetipo del racconto, la storia perfetta, che dopo tanti anni potrò rendere pubblica. Starete sicuramente pensando che sono solo un povero stupido con un ego smisurato, no? Ma in realtà sono solo conscio delle mie capacità.
Quando decisi di iniziare a scrivere sapevo che mi avrebbe aspettato un lavoro immenso, ogni cosa doveva stare al suo posto, coerenza tra le diverse proposizioni e coesione tra ogni singola parola.
Inutile dire che ci misi un'infinità solo per scrivere l'introduzione.
Notti intere trascorse fogli e fogli, la stilografica sempre stretta in mano.
Amici e parenti di tanto in tanto si facevano sentire o passavano da casa per accertarsi della mia salute, ma quando finalmente mi trasferii nella mia residenza di montagna non ebbi più distrazioni e riuscii a scrivere le prime righe… che cancellai pochi minuti dopo.
Mi ci volle un mese per essere assolutamente sicuro che l'inizio del racconto fosse esattamente come volevo. Un mese durante il quale cominciai io stesso a dubitare della mia igiene mentale.
Iniziai ad udire strani suoni e spostamenti fuori dalla mia stanza, ma pensavo fossero causati dal vento. A volte apparivano parole nel racconto che non ricordavo di aver scritto, altre volte ne scomparivano alcune.
Questi eventi continuarono finché, una notte, mi alzai per andare in bagno e vidi un'ombra con la coda dell'occhio, mi girai di scatto e cominciai a sudare freddo.
Aveva un viso pallido, praticamente bianco. La fioca luce che illuminava quella raccapricciante figura femminile la rendeva persino più inquietante di quanto già fosse.
Le labbra erano rosse sangue, interrotte da quelli che sembravano profondi tagli verticali che apparivano ancora intrisi di esso.
Le braccia erano stese lunghe i fianchi, immobili e… cucite. La pelle era stata letteralmente cucita al resto del suo corpo color neve, coperto solo in parte da quelli che apparivano come vesti stracciate completamente bagnate di rosso… non che di quel rosso fosse difficile immaginarne la provenienza.
Le gambe completamente martoriate da distinte incisioni che le erano state inflitte profondamente nella carne.
Sotto gli occhi si potevano distinguere varie macchie di umido, come se quella creatura avesse da poco pianto… lacrime di sangue.
Lunghi capelli argentati riflettevano il colore della fioca luce della luna, i suoi occhi erano due rubini ardenti e puntavano me.
Ma la cosa più spaventosa era la sua espressione.
 Avanzava verso di me facendo dondolare la testa dalla spalla sinistra a quella destra guardandomi dritto negli occhi con una specie di “triste sorriso” stampato in faccia.
Rimasi impietrito di fronte a lei, fino a quando non mi fu di fronte.
Ora potevo capire il perché di quel sorriso così strano. Le sue labbra erano cucite con del fil di ferro l'una all'altra.
Continuò a guardarmi fisso negli occhi per un tempo infinito. Quando mosse la testa ebbi un sussulto, ma non l'istinto di fuggire.
Fu questione di un attimo.
La “ragazza” dischiuse le labbra, strappando via il filo che le teneva cucita la bocca assieme a parecchi strati di pelle.
Emise un acuto grido raccapricciante durante quell’azione, riempendone la stanza.
Urlai.
Non avevo la forza di scappare, di muovermi.
Lei continuò ad avanzare verso di me.
Sempre più vicina… Sempre più vicina…
E poi scomparve.
Mi risvegliai nel calore delle mie coperte la mattina dopo, i raggi di sole che filtravano dalla mia finestra come se nulla fosse accaduto.
Un… incubo? Sembrava di sì.
Quel racconto mi stava distruggendo, seriamente.
Dovevo finirlo il prima possibile, mi decisi.
Mi alzai, presi i miei occhiali dal comodino, li rimisi e tornai al lavoro prima ancora di fare colazione.
Fissavo il figlio, pronto a scrivere quando… Una scritta comparve su di esso. Una scritta color sangue.
“Hallo. Chiedo scusa, non avrei dovuto spaventarti così ieri sera”
… Ieri sera?
Dunque non doveva essere stato tutto un incubo… ma cosa diavolo mi stava accadendo!?
Dovevo aver perso completamente la ragione.
“Hallo”
In un modo o nell’altro decisi di rispondere nello stesso modo, scrivendo.
 Capii che quello era l'unico modo che quella creatura aveva per comunicare.
“Chi sei? Che vuoi?”
“Il mio aspetto può far paura, ma non voglio farti del male”
“Cosa vuoi da me allora? E chi diavolo sei?”
“Non ho un nome in realtà, ma un tempo mi chiamavano Julchen, immagino che anche tu possa chiamarmi così. Per quanto riguarda l'altra domanda, sono qui per farti una proposta. Tu vuoi scrivere il racconto perfetto, no? Io posso permetterti di farlo, se solo accetterai le mie condizioni.”
Una parte di me era ancora terrorizzata, ma quando parlò del racconto la curiosità ebbe il sopravvento.
“Perché dovresti aiutare proprio me?”
“ … “
Apparirono tre puntini, proprio come se da qualunque parte quella creatura fosse stesse riflettendo.
“ Che tu ci creda o no” Continuò “Tu mi piaci.”
… Piaci.
Qualunque cosa le fosse successa doveva essere stata davvero orribile.
Povera ragazza, pensai.
Nonostante fosse stata ridotta in quello stato, ripensandoci senza ferite doveva anche essere di una nota bellezza.
Non lo ammisi, ma in parte mi sentii lusingato.
“Quali sono queste condizioni? E chi mi assicura che non vuoi solo ingannarmi?”
Risposi senza far traspirare altre emozioni.
“Se avessi voluto farti del male saresti già morto, no? Non immagini di cosa io sia capace.
Ma piuttosto, la condizione è una sola: permettimi di abitare il tuo corpo.”
Ma che diavolo..!? Una richiesta assurda. Non per il suo contenuto, quanto per l’attuazione.
“Cosa? Stai scherzando? Come può essere possibile?” 
“Avrai sicuramente sentito parlare di possessioni e stupidaggini simili, no? Funziona più o meno allo stesso modo, solo che manterrai ogni tua facoltà intellettiva e razionale.
Precedo la tua domanda dicendoti che lo faccio perché non vivo da molto tempo ormai, questo stato in cui mi vedi è miserabile, è uno stato di non-vita e non-morte, perciò me ne starò semplicemente nel tuo corpo a godere delle sensazioni che provi tu e in cambio ti aiuterò a scrivere ciò che hai in mente. Non c'è nulla di male in fondo, no? Ti prego…”
Non riesco a spiegarmi la mia risposta, ma so che se tornassi indietro riscriverei le stesse identiche lettere. 
“Accetto.”
“Bene, non avevo dubbi, anche tu come me non sopporti la mediocrità, o tutto o niente, giusto? Per questo ho scelto proprio te.
Per avermi nella tua mente devi solo leggere un mio racconto, nel quale sarà contenuta una certa parola ripetuta un certo numero di volte senza un vero senso logico. Quella parola ti permetterà di prendermi con te.
Iniziamo, dunque.”
Mi svegliai nel mio letto col sole in faccia.
Era solo un sogno… Di nuovo!?
Un sogno… in un sogno.
Scesi dal letto, tutto era al suo posto, anche il foglio era immacolato senza alcuna scritta. Quindi decisi di sciacquarmi il viso e cominciare subito a scrivere. Percorrendo il corridoio verso il bagno un brivido mi percorse la schiena. “Sarà dovuto al sogno” pensai. 
Presi la penna ed immediatamente mi gettai a capofitto nella storia, solo che non era più la MIA storia, o meglio, non era come l'avevo lasciata il giorno prima, era diversa... migliore, ed era stato aggiunto un paragrafo tutto nuovo.
Non ebbi alcun dubbio su ciò che era successo, e una voce nella mia testa me ne diede conferma. 
“Buongiorno, stupito del buon lavoro? Ho solo espresso a parole ciò che avevi in mente, niente male, no?”
“Che diavolo? Sei… Julchen? Che ci fai nella mia mente!?”
“Hai dimenticato il patto di ieri? Ovviamente no, vivo dentro di te, lo so che lo ricordi, ma a voi umani piace negare anche le cose che sapete essere vere pur di avere una vaga speranza... e pensare che un tempo è stato così anche per me.”
“Hai ragione, ma non è da me farlo. Ho preso la mia decisione e non me ne pento, non faccio mai errori.” 
Da quel giorno parlai con Julchen molto poco, e la maggior parte delle volte era lei a iniziare il discorso. Cominciava a riempirmi di attenzioni inutili, credevo si fosse innamorata di me, ma forse mi vedeva solo come un suo animaletto.
Continuai a vivere in tranquillità (se così si può chiamare l'avere lo spirito di una ragazza morta dentro di sé) fino a quando un giorno uscii per prendermi una pausa… era una semplice passeggiata, che nascondeva una sorpresa.
Incontrai una ragazza. Era davvero carina, anzi, era proprio bella.
Capelli castani, occhi verdi… Portava dei fiori davanti ad un orecchio a reggerle la frangia.
Certo, non sarebbe mai arrivata al livello di Julchen come doveva essere in vita, ma lei era morta e rinchiusa nella mia mente, mentre questa giovane era perfetta, davanti a me.
Credo fosse il cosiddetto colpo di fulmine, i nostri occhi si incrociarono per un solo attimo.
Dopo una breve conversazione scoprì che si chiamava Elizaveta… Che nome gradevole, pensai.
Non impiegammo molto nell'accordarci per una cena.
Organizzai una cenetta romantica con tanto di candela, non facemmo altro che guardarci in silenzio, sembrava non ci fosse bisogno delle parole, era tutto perfetto così com'era.
Quando Elizaveta ne andò Julchen cominciò a parlarmi.
 “Hai intenzione di rivederla ancora per caso?”
 “E a te che importa? Sei gelosa?” 
“Non abbiamo scritto neppure una parola oggi, volevi terminare il racconto il prima possibile, no?” 
“Beh, forse non mi interessa più, ho perso troppo tempo a causa di quei fogli sparsi. Ed ora scusa, ma sono stanco e vorrei dormire.” 
Io ed Elizavta ci vedemmo per tutto il mese, nessun giorno escluso.
Conseguentemente le lamentele di Julchen aumentarono, ma non ci facevo caso, mi importava solo della mia amata, avevo anche completamente dimenticato tutto l'impegno messo in quel racconto. 
“Devi smettere di vedere quella sgualdrina, ci sta facendo perdere tempo prezioso! Avevamo un patto, ricordi?”
“Ti ho già detto che non m'importa più, se non ti va bene sei libera di andartene, fine del discorso.” 
“Va bene, come vuoi tu allora... Ci penserò io.” 
Il giorno dopo chiamai Elizavet appena sveglio. Nessuna risposta.
 “Starà lavorando e non sentirà il cellulare” pensai. Le mandai un messaggio, quindi decisi di scrivere un nuovo paragrafo del racconto per accontentare Julchen, ma non trovando i fogli, la penna e l’inchiostro mi accontentai di una buona lettura.
Passò l'ora di pranzo e ancora niente, decisi di passare in paese per chiedere di lei.
Mi dissero che si era assentata e non aveva neppure avvertito.
Non volevo pensare a ciò che sapevo fosse successo.
Andai a casa sua. Bussai. Nulla, nessuna risposta. 
“Fossi in te non insisterei, magari è occupata. Se la disturbassi si arrabbierebbe da morire, no?” La ragazza emise una risatina sarcastica che mi riecheggiò nella mente.
Non mi illudevo neanche più. Sfondai la porta e trovai le due cose che avevo cercato quel giorno. 
La mia penna ed il tappo di quest’ultima avevano Trovato un confortevole giaciglio nei bulbi oculari di Eliza, i suoi occhi erano posizionati in gola, uno sopra l'altro, ed erano visibili grazie ad un enorme taglio che andava dal mento al petto. Piantata nei polmoni si poteva distinguere una scheggia proveniente dal contenitore dell’inghiostro, il quale era sparso sul resto del suo petto. A colmare le orbite vuote si trovavano due fogli accartocciati e pieni di sangue, sui quali l’unica scritta distinguibile era “LUI E’ MIO”.
Non riuscii ad evitare di dare di stomaco di fronte a  a quello scempio.
“Te l'avevo detto che dovevi smettere di vederla, avresti potuto evitarlo.
Oh, a proposito, ci tengo a dirti due cose. Prima di tutto avrai notato che niente di ciò che le è stato fatto è mortale di per sé, perciò voglio sottolineare che è morta dissanguata dopo alcune ore e dopo aver subito tutte quelle torture. La seconda cosa è che faresti bene a prendere quel coltello e ogni altra parte e portarli il più lontano da qui. Io non ho un corpo mio, ma posso prendere il controllo del tuo mentre dormi, perciò...” 
Non mi arrabbiai, non gli inveì contro, non avevo la forza di fare nulla, raccolsi solo ciò che aveva detto e andai a gettare il tutto nel lago. In seguito tornai a casa e dormii per 15 ore filate.
Sognai Elizaveta. Tentava di dirmi qualcosa: “Ripeti... la risposta è... ripetizione”, ma non capivo cosa significasse.
Non appena mi svegliai mi accolse Julchen, come al suo solito ormai.
“Ben svegliato, fatti bei sogni? I fogli scritti sono salvi, poggiati sulla scrivania. Pronto?  Continuiamo a scrivere, ora nessuno ci disturberà.”
 “Non scriverò più nulla” …
“…Come?” 
“Non scriverò più nulla, ho detto. E non voglio più avere nulla a che fare con te” 
Presi delle forbici in mano e me le puntai alla gola. 
“Va via, non farti più vedere o sentire, altrimenti mi uccido! Cosa accadrebbe se lo facessi dato che vivi dentro di me? A me non importa più di vivere! E a te?!”
 “E' così che la metti? Mi sembra inutile continuare allora, sei determinato a essere un fallito, non raggiungerai mai la perfezione che desideri con le tue sole forze, ma sappi che non puoi liberarti di me così facilmente, uscirò dalla tua mente, ma non dalla tua vita. …Addio.”
Finalmente. Finalmente ero libero. Era come se mi fossi liberato di un peso di una tonnellata. Mi rimisi a letto e dormii per altre 12 ore.
Feci lo stesso sogno di qualche ora prima, Elizaveta  tentava di parlarmi: “Ripeti... la risposta... il... racconto... tredici...”
Sembrava reale. Volevo che fosse reale
Passarono i giorni. Giorni vuoti senza Liza. Giorni in cui il sole non tramontava e non sorgeva. Giorni durante i quali il tempo non passava, o passava in un lampo. Giorni in cui i sensi di colpa mi laceravano da dentro e in cui sognavo sempre la stessa persona che mi ripeteva sempre le stesse frasi.
Quando i sensi di colpa si attenuarono tornò Julchen.
Non che mi desse fastidio il suo vero aspetto, mi ci ero abituato a stare con lei.
Mi dava fastidio vederla ancora dopo che mi aveva rovinato la vita.
Inoltre non faceva nulla, stava lì a fissarmi e basta, avrei voluto colpirla o lanciarle qualcosa addosso, ma quando ci provavo spariva improvvisamente.
Continuò ad apparire e sparire per settimane, finché un giorno mi svegliai legato a una sedia in una stanza illuminata solo da una piccola lampadina.
Davanti a me era in piedi un uomo dai capelli spettinati… argentati come la luna, e gli occhi che ardevano.
Mi salutò.
 “Ciao, tutto bene? Spero di non averti fatto del male durante il trasporto, vorrei tenerti vivo ancora per un po'”
 “Che vuoi dire? Perché mi hai fatto questo? C'entri qualcosa con Julchen  ed Elizaveta!?”
“Oh scusa, non mi sono presentata, colpa dell'abitudine. Io sono Julchen, e questo povero idiota ha creduto che cedendomi il suo corpo per sempre avrebbe riavuto la sua dolce e tenera sorellina, perduta anni ed anni fa quando una sconosciuta creatura si impossessò della sua mente e gli fece fare cose orribili a lei stessa mentre dormiva, dando così il via a questo... ripetitivo ciclo. Ora posso fare ciò che voglio, e per prima cosa ho pensato a te, dovresti essere contento, no?”
 “Cosa vuoi farmi? Non m'importa morire, te l'ho già detto.”
 “Sono stata dentro di te, so che non t'importa morire, ma so anche che hai un'incredibile paura di essere torturato come è successo alla tua amata Lizzy, no?”
Mi tornò in mente lo stato di Elizaveta, la paura che provai in quel momento. Cominciai ad agitarmi tentando di liberarmi. Inutilmente, purtroppo.
 “Non riuscirai a liberarti, ormai sei mio”
Iniziò a torturarmi. Lentamente. Molto lentamente.
Cominciò ad aprirmi profondi tagli lungo le gambe, senza neanche curarsi dei vestiti e della stoffa che rimaneva incastrata dentro le ferite infliggendomi un dolore atroce.
Probabilmente ero troppo sopraffatto dal dolore per pensarci subito… ma quelli erano gli stessi tagli che lei presentava sulle gambe. Stessi identici.
Poi mi tenè fermo il viso con una mano, con l’altra mi aprì tagli verticali lungo le labbra.
Il sapore del sangue cominciò a riemprmi la bocca.
Volevo morire.
La vidi prendere un filo di ferro.
Sapevo cosa voleva fare.
Tentai di liberarmi, ma fu inutile.
Punto per punto, le mie labbra furono cucite l’una all’altra con quel filo.
Presero una strana piega, come di un sorriso triste.
…Proprio come il suo.
Fu il turno degli occhi.
Non vidi esattamente cosa stava facendo, ma sentii un dolore atroce impossessarsi del mio viso partendo dall’interno della palpebra. Iniziai a piangere sangue, lo sentivo scorrermi lungo le guance e lungo i vestiti.
Ormai avevo capito.
Mi stava rendendo come lei.
Come quella stessa persona aveva reso lei anni ed anni prima in preda ad una creatura oscura che si era impossessata della sua mente, portandolo ad uccidere la sua stessa sorella per dare il via a tutto questo.
Non reggevo più. Avevo esaurito le forze.
Con le ultime energie alzai lo sguardo verso il ragazzo del quale Julchen si era impossessata.
Il suo viso non era… il suo.
Dal suo viso uscì quello di quella ragazza maledetta, le lacrime di sangue che le rigavano il viso, le labbra tagliate cucite insieme come le mie.
Si avvicinò.
Testa a destra... Testa a sinistra... 
Un movimento quasi ipnotico, mi distrasse per un attimo dalla mia sorte e regalò un po' di lucidità alla mia mente.
“Perché mi accade tutto ciò? Volevo solo scrivere un racconto perfetto. Sono stato troppo ambizioso? Dio mi ha forse punito per la mia superbia? E se così fosse dovrebbe perdonarmi, no? Oppure è quest'essere di fronte a me Dio?”
Non ci ho mai neanche creduto in Dio, ma è incredibile a cosa faccia pensare il terrore.
Passo dopo passo, Julchen era più vicina.
Si portò avanti verso di me… e mi baciò.
Le sue labbra cucite contro le mie, rese identiche da lei stessa.
Si allontanò dopo qualche secondo. Il suo viso martoriato svanì, lasciando solo quello del ragazzo del quale aveva preso il controllo.
Aveva ancora del fil di ferro in mano. Stavolta più spesso.
Sapevo cosa ci avrebbe fatto.
Sapevo cosa mancava per renderci FINALMENTE uguali.
Non sopportai vedere anche quel dolore avvicinarsi… E svenni.
Mi apparve Elizaveta.   “risposta... è ...ripetizione. Cerca... tredici... ripeti”
Tentai di urlare, ma dalla mia bocca uscì solo un grugnito.
Julchen aveva cominciato il suo ultimo lavoro.  Stava cominciando dall’ avambraccio a cucirmi la pelle contro il resto del corpo.
 “Ripeti...”
Poi toccò alla zona del gomito. Non si fece problemi ad arrivare in profondità fino all’osso. Voleva continuare così fino a rendermi completamente uguale a lei. Le sue stesse condizioni.
 “Ricorda..”
Un altro punto, appena sotto il gomito.
Provai ad urlare fino a sentire il sangue in bocca.
 “Parole..”
Arrivò più in basso, l’ago che mi si conficcava nella pelle e mi distruggeva qualsiasi muscolo o legamento..
 “Sei... in tempo...”
Non capivo come riuscissi a vivere in quello stato, immagino fosse opera di Julchen: voleva farmi soffrire il più possibile.
 “Puoi... liberarti...”
Arrivò ai polsi. Assicurò le mani nella stessa maniera e fissò il filo. Il sangue che continuava ad impregnarmi con il suo odore.
Mi rese uguale a lei.
O quasi.
Chiusi gli occhi.
Sentii il rumore di una porta che sbatteva e veniva chiusa a chiave dall’esterno.
Mi aveva abbandonato lì.
Ora, vi starete chiedendo come e perché io abbia scritto questo, no?
 Dovrei essere morto, mi sarebbe impossibile scrivere tutto ciò.
 Ma magari la risposta è nelle ripetizioni...
 No?
 






  
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