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Autore: KazeSlasher    01/11/2012    14 recensioni
Il signor Ljiljanovic costruiva bambole. Plasmava stoffa e legno, cartapesta e argilla per creare i volti angelici, le mani affusolate, i corpi delicati e paffuti delle sue bambine. Dava loro splendidi occhi ciechi con cui fingere di guardare il mondo e labbra rosee dall'immutabile sorriso malinconico, capelli morbidi e abiti preziosi. Venivano da tutto il mondo, per le sue bambole. Erano le più belle che si fossero mai viste, costruite ognuna con l'amore di un padre e la dedizione di un promesso sposo. Possedere una delle creature del signor Ljiljanovic era un lusso che ben pochi potevano concedersi, ma era un vanto che suscitava immediatamente stupore e ammirazione.
Genere: Drammatico, Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Le bambole del signor Ljiljanovic


C'era una porta con un arco a sesto acuto che si apriva su una anonima parete di un piccolo vicolo appena fuori dal centro di Sarajevo. Varcando quella soglia, la prima cosa che compariva erano tre lunghe file di barattoli di vetro, ordinatamente allineati lungo la parete di mattoni rossi. Al loro interno c'erano degli occhi, occhi di vetro così perfetti da essere più realistici ed espressivi di quelli veri. Occhi senza palpebre spalancati sull'avventore, ordinati per sfumature di colore. Azzurri, blu, cerulei, acquamarina, verdi, grigi, dorati, castani, marroni, neri... tutti schierati come un silenzioso corpo di guardia a proteggere quel luogo fuori dal tempo, a scandalizzare i benpensanti, a impaurire i bambini che si sfidavano a chi aveva il coraggio di entrare. Attraversando quello stretto corridoio a passi lenti, quasi un cammino di iniziazione, si giungeva ad un altra porta. Dietro questa si celava il regno misterioso del signor Ljijanovic.
Di lui nessuno sapeva nulla, se non il suo cognome. Era un uomo basso e magro dalla pelle olivastra, con lunghi capelli castano scuro e grandi occhi neri. Non doveva essere particolarmente anziano, e pur avendo un volto volitivo e piuttosto attraente, non aveva mai avuto né una moglie né una compagna. Non usciva mai dalla sua casa-laboratorio se non per vagare per le strade della città fumando con aria meditabonda, senza rivolgere la parola a nessuno. Viveva in disparte, dimenticato dal mondo e niente affatto intenzionato a farsi notare. L'unico scopo della sua vita, la fiamma che riusciva a fargli brillare gli occhi e talvolta scambiare qualche parola con qualcuno, erano le sue creature.
Il signor Ljiljanovic costruiva bambole. Plasmava stoffa e legno, cartapesta e argilla per creare i volti angelici, le mani affusolate, i corpi delicati e paffuti delle sue bambine. Dava loro splendidi occhi ciechi con cui fingere di guardare il mondo e labbra rosee dall'immutabile sorriso malinconico, capelli morbidi e abiti preziosi. Venivano da tutto il mondo, per le sue bambole. Erano le più belle che si fossero mai viste, costruite ognuna con l'amore di un padre e la dedizione di un promesso sposo. Possedere una delle creature del signor Ljiljanovic era un lusso che ben pochi potevano concedersi, ma era un vanto che suscitava immediatamente stupore e ammirazione.
Nella piccola stanza dove viveva e lavorava, passava le giornate chino sul tavolo modellando, tagliando, cucendo e scolpendo. Talvolta parlava con le sue bambine, domandando loro quali colori avrebbero preferito per i loro occhi, capelli o vestiti, e poi rimaneva in silenzio, assorto, come se stesse ascoltando una loro silenziosa risposta.
Ogni giorno dall'alba, quando apriva la porta del suo regno, fino alla sera tarda, quando la richiudeva, si poteva tranquillamente entrare nel suo laboratorio, se si aveva il coraggio di superare il corridoio dai mille occhi, e guardarlo lavorare anche per ore senza che lui rivolgesse neppure una singola parola o uno sguardo all'osservatore, completamente assorbito dal suo lavoro certosino e dalla sua cura quasi maniacale per ogni più infimo dettaglio.
Cosa facesse quando la porta era chiusa nessuno lo sapeva, ma erano tutti certi che continuasse a lavorare alle sue bambole, tanto ne era morbosamente ossessionato.

Non appena la luce del sole calava e le ombre cominciavano ad allungarsi sulle pareti, d'inverno come d'estate, la sua pelle era percorsa da un brivido. Chi stava a guardarlo difficilmente se ne accorgeva, ma a partire da quel preciso istante i suoi movimenti si facevano impercettibilmente più veloci. Non vedeva l'ora che il tramonto cedesse il passo alla notte per poter chiudere la porta e dedicarsi al suo capolavoro, il progetto più incredibile e ambizioso della sua vita. Solo con la certezza che nessuno avrebbe potuto vederlo al lavoro e con il favore delle tenebre poteva lavorarvi perchè era una bambola diversa da tutte le altre. Era la più bella, la più speciale. La progettava e la modificava da anni, dedicandole ogni attenzione e cura, molto più che a tutte le altre. Lontano da occhi indiscreti, nel silenzio e nella solitudine della notte più fonda, apriva una piccola porta nascosta nella parete rivelando una stanza nascosta. La casa della sua figlia prediletta. Si avvicinava al tavolo in religioso silenzio, ammirando la bellezza sempre più fulgida della bambola e ricominciava a lavorare, sistemando ora una mano, ora i capelli, ora un particolare dell'orecchio o levigando la forma del mento.
Anche quella sera fece lo stesso, attendendo il buio per chiudere la porta della sua casa ai curiosi per potersi dedicare completamente a lei, l'unica creatura al mondo capace di toccare il suo cuore di pietra. Aprì la porta che dava sulla stanza segreta e, come ogni notte, rimase a guardare il suo capolavoro trattenendo il respiro. Ormai era quasi pronta. 
«Buonasera, mia adorata...»
Le accarezzò la guancia sorridendole dolcemente. Non era una bambola bambina, come tutte le altre. Era adulta, e di una donna adulta aveva le fattezze e le dimensioni. Il suo volto era un ovale quasi perfetto, leggermente asimmetrico per essere quanto più realistico possibile. Il naso leggermente aquilino, le labbra carnose a cuore, gli zigomi pronunciati. La pelle era dorata e i capelli lunghi e ondulati, di uno splendido, morbido color cioccolata. Scese con le dita lungo il suo collo perfetto, accarezzandone i muscoli così perfetti da sembrare realmente tesi sotto la pelle, poi il seno nudo, il ventre, le gambe... Arrossì leggermente e si chinò a baciarla sulle labbra, senza trattenere il brivido di piacere che gli provocò il contatto tra la sua bocca e la porcellana fredda coperta di pallido velluto. 
«Stanotte ti donerò gli occhi più belli al mondo, mio angelo. Sarai meravigliosa, te lo prometto.»
Le scostò amorevolmente una ciocca di capelli dalla fronte e le sollevò le palpebre, rivelando le orbite vuote. Rimase per qualche istante a guardare quel volto meraviglioso, tanto affascinante proprio perchè impossibile, irreale. Le posò un drappo di raso rosso sul viso e uscì dalla stanza, raggiungendo il corridoio dove stavano i barattoli con gli occhi. Quale colore avrebbe scelto per quella meraviglia? Doveva essere un colore prezioso e rassicurante, caldo e ammaliante. Osservò a lungo i barattoli, prendendone di tanto in tanto uno ed estraendo uno di quei bulbi di vetro per studiarne i riflessi dovuti ai cambi di luce. Per la prima volta nella sua lunga e gloriosa carriera, era indeciso. Non sapeva quali occhi scegliere, nessuno di quei colori gli pareva adatto al suo capolavoro. Erano tutti così banali, ordinari. Sospirò e aprì la porta per prendere una boccata d'aria. Posò le spalle contro la parete e tirò fuori dalla tasca una sigaretta, se la mise tra le labbra e la accese. Tirò la prima boccata guardando il cielo buio, alla ricerca di una ispirazione di cui non aveva mai avuto bisogno. In tutta la sua vita non aveva mai esitato, non quando si trattava delle sue bambole.
Ma lei era speciale, era diversa. Provava un piacere tutto particolare nel lavorarvi, fin da quando ne aveva abbozzato il volto per la prima volta. I brividi di piacere che lo scuotevano ogni volta che la guardava, la toccava... erano qualcosa di indescrivibile, di completamente diverso da ciò che aveva provato fino ad allora. Era certo che ciò che provava fosse amore. Sì, si era innamorato del suo capolavoro... e come poteva essere altrimenti? Era la creatura più meravigliosa che fosse mai esistita, pur non essendo viva.
Sospirò, chiudendo la porta a chiave e mettendosi le mani in tasca, camminando a testa bassa lungo il vicolo, seguendo un percorso tanto familiare che poteva tranquillamente percorrerlo ad occhi chiusi. Attraversò innumerevoli vie e strade, continuando a riflettere sul colore più adatto agli occhi della sua meraviglia e fumando nervosamente, evitando gli altri pochi passanti pur senza guardarli. Senza essere giunto a una soluzione, gettò nervosamente a terra il mozzicone della sigaretta, fissandolo con astio, come se fosse colpa sua la propria indecisione. Sollevò poi lo sguardo, trovandosi di fronte una donna che lo osservava con aria incuriosita. Digrignò i denti, ricambiando in malo modo il suo sguardo. Una dannata sgualdrina dei bassifondi dalle labbra imbellettate che aveva addosso l'odore di colonia da quattro soldi di qualche suo squallido cliente. Forse credendo di interessargli, la donna si avvicinò a lui ammiccando, mentre gli sfiorava la spalla.
«Salve...»
Lui la fulminò con lo sguardo, allontanandole la mano dalla propria spalla con uno schiaffo.
«Non toccarmi, lurida...»
Gli improperi gli morirono in gola non appena la guardò negli occhi. Le sue iridi erano di una splendida sfumatura nocciola con delle pagliuzze color miele. Fu una folgorazione. Quelli. Quelli erano gli occhi della sua bambola. Dovevano essere quelli. La donna continuava a fissarlo, stupita dalla sua reazione inizialmente violenta seguita da una stasi stupefatta. Ebbe un moto di repulsione all'idea che quegli occhi perfetti fossero quelli di una prostituta. Lei non meritava quegli occhi. La sua creatura sì.
Fu un istante. Afferrò la donna per le spalle e la trascinò in un vicoletto vicino, abbastanza riparato dalla luce giallastra dei lampioni. Lei ridacchiò, sorpresa e lusingata da quell'impeto inaspettato. Lui però le strinse la mano sulla bocca, impedendole di respirare, mentre stringeva quel suo corpo lordo delle peggiori sozzure umane. Lei sgranò gli occhi, tentando disperatamente di reagire, di liberarsi, e lui in quegli occhi spalancati vide gli occhi dei suoi barattoli, nella sua disperazione lesse la propria vittoria. Con la mano libera premette le dita sulla sua palpebra destra, sorridendo in modo malvagio e sadico. La donna capì e cercò di dimenarsi e urlare, mentre lui la soffocava e tentava di strapparle l'occhio. Portò la mano alla tasca dei pantaloni, dove teneva il vecchio coltellaccio che usava per sbozzare i particolari delle sue bambole nel legno, e con quello in uno scatto fulmineo le tagliò la gola. Un unico rantolo soffocato uscì dalle labbra della donna, mentre un fiotto di caldo sangue scarlatto gli schizzò sul volto e lui istintivamente si leccò le labbra. Aggrottò la fronte, piegando la bocca in una smorfia di disgusto. Poi, finalmente, potè dedicarsi agli occhi della donna. Incise la pelle del volto per facilitarsi il lavoro ed estrasse rapidamente i bulbi, recidendo i nervi ottici con un solo taglio netto. Rimise il coltello nella tasca dei pantaloni e si rialzò in piedi, guardando il corpo scempiato della donna ai propri piedi come se non lo vedesse realmente. Accennò un sorrisetto di scherno e abbozzò un inchino, poi subito corse a casa, prima che quegli occhi splendidi si deteriorassero. 
Aprì più in fretta che potè la porta e corse nella stanza segreta, posando i bulbi su un ripiano perfettamente pulito. Subito si mise ad armeggiare con vari contenitori e miscele chimiche, finchè non trovò ciò che cercava, una resina trasparente. Immerse gli occhi nel fluido vischioso, estraendoli poi subito dopo con una pinza e riponendoli sul tavolo ad asciugare. Dopo alcuni minuti la resina si solidificò, trasformando quegli occhi in due splendide gemme di vetro pronte a impreziosire ulteriormente il volto della sua creatura. Li prese delicatamente tra le mani e si avvicinò al corpo bellissimo e inanimato della sua bambola. Tolse il drappo che ne proteggeva il volto e inserì gli occhi nelle sue orbite vuote. Poi si allontanò di un passo e la guardò il volto. Sentì il cuore mancare un battito.
Era perfetta. Bella come nessun'altra, una bellezza che trascendeva i limiti e la caducità degli umani. Era il suo angelo di porcellana. Sentì l'impellente bisogno di stringerla tra le braccia, di baciare quelle labbra gelide e di rimanere lì con lei per sempre. Si stese sopra di lei, baciando il suo collo freddo, passando le mani su quei fianchi perfetti quanto inumani e proprio per questo desiderabili. Affondò le dita tra i suoi capelli e la baciò con foga sulle labbra immobili, leccando la ceramica spinto da un insano desiderio di possedere la sua creatura. Strofinò furiosamente l'inguine contro di lei, eccitandosi violentemente e desiderando di poterla avere davvero almeno una volta, ben consapevole che quel suo desiderio non si sarebbe mai potuto davvero realizzare, poiché lei non era umana e il suo fulgore era concepito in modo tale da non poter essere in alcun modo deviato dalle sudice passioni umane. Quel pensiero lo eccitò disperatamente, tanto che ebbe un orgasmo. Per lei, per la sua amante inviolabile. Per l'unica donna che amava realmente.

Rimase sopra di lei per tutta la notte, baciandola e stringendola come se fosse vera, come se potesse sentire il calore del suo corpo, del suo piacere inconfessabile e impossibile da soddisfare. La sua amata di porcellana dagli occhi di vetro. La donna senza vita a cui aveva consacrato la propria intera esistenza.


  
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