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Autore: SeaLight    01/11/2012    3 recensioni
Questa storia si è classificata seconda al contest 'Amore e non solo...' di Dafne_18.
Yamcha sgranò le pupille incredulo nell’intravedere Lunch avventarsi fulminea su di lui con fare quasi animalesco, annaspò nel sentirla divorargli le labbra con prepotenza, tentò di opporsi nel vedere la propria giacca cadere a terra. Ma lei non si arrese, premendo il proprio corpo fremente di desiderio sul suo, sempre più insistente, gli occhi verdi ostinatamente chiusi. Gli afferrò la canotta bianca e lo trasse a sé. E Yamcha cedette – Yamcha era debole, di fronte alle donne.
One-shot di circa 1800 parole, ambientata fra la fine di Dragon Ball e l'inizio di Dragon Ball Z. Pairing scelto: Yamcha/Lunch. Prompt: Automobile.
Genere: Erotico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lunch, Yamcha
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Autore (su Efp e nel forum): SeaLight
Personaggi/Pairing: Yamcha/Lunch
Pacco: Isola
Genere: Erotico, Slice of life
Rating: Arancione
Prompt: Automobile
Avvertimenti: Lemon, Presenza di linguaggio scurrile
Note dell'autore: Questa storia partecipa al Contest 'Amore e non solo...' di Dafne_18.
One-shot di circa 1800 parole, ambientata dopo il 23° Torneo Tenkaichi, tra la fine di Dragon Ball e l’inizio di Dragon Ball Z.
E’ stato un parto, davvero. La mia anima TenLunch si ribellava (?). Ma dopo, uhm, un mese, ce l’ho fatta! Non è strappalacrime, non è romantica e non tiene nemmeno col fiato sospeso. Non posso farci nulla, sono fatta così. Essendo il primo contest a cui partecipo, non mi aspetto assolutamente nulla. Non ne sono troppo convinta, ma non credo di riuscire a produrre altro. Spero non sia un disastro completo, perché, in fondo, è stato divertente mettersi alla prova anche se ho fatto una fatica bestia. Mi rimetto al verdetto del giudice!



 

Need for someone else


L’isola era completamente deserta. Lunch era suo malgrado bloccata da sola in mezzo al nulla, a tamburellare con fare incazzato le dita sul tavolo e scolarsi ogni bottiglia di birra che la Kame House potesse offrire, borbottando a mezza voce di tremende vendette contro qualunque essere vivente, compresa la mosca che le ronzava attorno e che nell’ultima mezz’ora aveva ininterrottamente tentato di spiaccicare fra le mani. Un rombo insolito proveniente dall’esterno distolse la sua attenzione da una fantasia particolarmente gradita in cui scioglieva Muten nell’acido muriatico. Alzò lo sguardo verso la finestra, scorgendo sulla spiaggia un’automobile volante rossa e nuova fiammante di marca Capsule: pochi attimi dopo, un ripetuto “toc toc” alla porta la costrinse ad alzarsi e dirigersi verso l’ingresso. E del resto avrebbe fatto di tutto, pur di uscire da quello schifo di posto.

Yamcha le si parò davanti, sorridente ed elegante nel suo abito color senape, appoggiando fiero una mano a quella che evidentemente era la sua automobile e pettinandosi i corti capelli neri con l’altra.

«Che diavolo ci fai qui, Yamcha? Non dovresti essere sperduto chissà dove a massacrarti di botte con quegli altri?»

«Buonasera anche a te, Lunch, vedo che sei di ottimo umore come al solito» esclamò. «Oh, niente di che, ero di passaggio e sono venuto a fare un salutino, una pausa ogni tanto fa bene. Ehi, ma non c’è nessuno?» chiese, sporgendo curioso la testa verso l’interno.

Lunch gli indirizzò un’occhiata gelida e seccata, forse leggermente appannata dall’alcol.

«Tu sei venuto qui solo per vantarti del tuo nuovo ferrovecchio.»

«Ehi! Mi spieghi dove vedi il ferrovecchio?» si alterò, piccato. Poi riprese a gongolare. «Questo gioiellino rosso lucente è un nuovissimo modello Capsule 307, appena uscito di fabbrica. Per passare da 0 a 100 chilometri orari gli ci vogliono solo...»

«Scommetto che sono un mucchio di balle» replicò, un maligno sorriso di sfida in volto. «Non ci credo se non lo provo.»

Yamcha parve gonfiarsi.

«Benissimo, allora! Prima che me ne vada tu salirai su questa bellezza, e quando avremo finito mi pregherai in ginocchio di farti scendere!»

«Non vedo l’ora, a patto che guidi io» ammiccò. Gabbare quell’idiota era stato più facile del previsto.

«Ma certo! Preparati ad inchinarti di fronte alla potenza del mio bolide.»

«Benissimo, andiamo!»

«Prima, fai gli onori di casa da brava casalinga e offrimi qualcosa da bere.»

Il bernoccolo di proporzioni titaniche che gli si formò sulla testa gli fece intuire che essere stata definita casalinga non era stato di suo gradimento.

«Sai dov’è il frigo, razza di deficiente. E chiudi la porta!» borbottò, lasciandosi cadere sul divano e stappando una bottiglia coi denti. Poco dopo Yamcha le si sedette accanto con nonchalance, degustando con evidente appagamento la propria birra.

«E così, sola in casa, huh? Non ci credo che si fidino tanto. Secondo me al ritorno la troveranno rasa al suolo.

«Saranno loro ad essere rasi al suolo. Li farò a pezzi prima che riescano a dire “ba”. Il vecchio è uscito e ha pensato male di fottermi le capsule, e sono bloccata qui senza neanche una bicicletta. Dio, che rottura!» rispose. Prese un lungo sorso dalla sua bottiglia. «Sarà andato in città a guardarsi qualche porno al cinema, immagino. Aah, ma quando torna... quando torna assaggerà il mio piombo!» gridò, i pugni serrati. «Ma non ho ancora capito bene che diavolo ci fai qua.»

«Gentile. È così che si trattano gli amici?»

«Oh sì, immagino che Bulma sia molto contenta che tu anziché andare da lei te ne stia in mezzo al nulla solo soletto con una bionda da schianto come me» sghignazzò.
Yamcha si fece improvvisamente serio e abbattuto.

«Beh, vedi... il fatto è che...»

«Avete litigato di nuovo.»

Non era una domanda. Lui sospirò.

«Sì» ammise, con fare melodrammatico.

«Ha! Dev’essere stato fantastico!» ghignò. «Avrei voluto vederti, con Bulma che ti pestava e ti urlava contro. Aah, quanto mi sarebbe piaciuto darle una mano» disse con fare combattivo, facendo schioccare tutte le dita insieme con aria minacciosa.

«H-hehe... è bastata lei...» balbettò, sulla difensiva.

«Mi chiedo come abbia fatto a non spedirti ancora all’altro capo del mondo a calci in culo.»

«Non hai tutti i torti. Ma del resto, sono troppo affascinante» ammise, ridacchiando e indicando il proprio petto muscoloso con un pollice.

«Affascinante? Tu?» scoppiò a ridere senza ritegno. «Non farmi ridere, Yamcha. A parte questo, davvero: che ci fai qua? Pensavo fossi con Crilin e Tenshinhan e quell’altro cosetto ad allenarti. Non è quello che hai intenzione di fare tutta la vita? Ti sei già stufato? Eppure dall’ultimo Torneo è passato solo, fammi contare... un anno. Per voi grandi guerrieri» e la sua voce era intrisa di scherno «non dovrebbe essere un problema.»

Yamcha sospirò ancora e si passò una mano fra i capelli, con fare rassegnato.

«Non credo. Non lo so. Certo, combattere mi piace, ma ormai ho capito che non arriverò più ai loro livelli. E dato che ai Tornei non parteciperemo più, forse... forse dovrei combinare qualcos’altro nella vita.»

E mentre Yamcha continuava a parlare di come non si fosse arreso, questo no, ma avesse capito e accettato a malincuore di essere ormai inferiore, e come una squadra di baseball anni prima l’avesse notato e gli avesse offerto un posto, e dei vantaggi che un lavoro stabile gli avrebbe procurato, e di come Bulma forse avrebbe cambiato opinione su di lui e un mucchio di altre cose Lunch non lo ascoltava più, le labbra fisse sulla birra e gli occhi sul corpo di lui, senza realmente vederlo. Le era bastato pronunciare quel nome. Un ardore nato tempo prima e mai spentosi si era risvegliato in lei, ruggendo come un animale in gabbia. Una voglia malsana s’era impossessata delle sue membra. Voleva averlo. Voleva averlo ora. Ma lui non c’era, lui era lontano, chissà dove – lui non sarebbe mai stato suo. Eppure, solo ora vedeva quanto fosse muscoloso il petto che aveva di fronte, e sì, erano così simili, e se chiudeva gli occhi poteva addirittura credere che...

La bottiglia di vetro si frantumò in mille pezzi sul tappeto, inzuppandolo di liquido ambrato, e squarciò il silenzio della sera. Yamcha sgranò le pupille incredulo nell’intravedere Lunch avventarsi fulminea su di lui con fare quasi animalesco, annaspò nel sentirla divorargli le labbra con prepotenza, tentò di opporsi nel vedere la propria giacca cadere a terra. Ma lei non si arrese, premendo il proprio corpo fremente di desiderio sul suo, sempre più insistente, gli occhi verdi ostinatamente chiusi. Gli afferrò la canotta bianca e lo trasse a sé. E Yamcha cedette – Yamcha era debole, di fronte alle donne, e Lunch era così attraente, così passionale, così vicina, e, Kami-sama, aveva un seno così tondo e morbido. Chiuse gli occhi e decise che per quella sera avrebbe dimenticato, che avrebbe accontentato Lunch senza pensare ad altro, che si sarebbe lasciato trasportare dall’istinto, dall’ebbrezza dell’errore. Fece scorrere le sue mani su quel corpo così allettante sopra di lui, le accarezzò i fianchi, le spalle, le abbassò una spallina della maglia, quella sua maglietta così succinta e aderente.

Nessuno dei due voleva l’altro. Ma non importava. Perché se Lunch chiudeva gli occhi poteva illudersi che il capo che si stringeva al seno non avesse poi così tanti capelli, che il petto che percorreva con le labbra fosse attraversato da una lunga cicatrice, che le mani che l’accarezzavano ansiose fossero le sue. E neanche a Yamcha importava, perché forse credeva davvero che quei capelli non fossero biondi e ingarbugliati, forse il corpo a cui si aggrappava con forza era quello della prima donna che avesse mai amato e che, dopotutto, amava ancora; e forse, e forse, e forse, e loro due non avrebbero dovuto fare l’amore sul divano, ma nemmeno questo importava. Era uno sbaglio e ne erano consapevoli, ma allo stesso tempo sapevano che non lo era, e non erano padroni dei propri movimenti. Eppure nulla di tutto questo passava nelle loro menti mentre i loro corpi si univano quasi con furia; era puramente una questione d’istinto, non c’era nulla se non un disperato bisogno di qualcun altro, e se quel qualcuno non era proprio chi avrebbero voluto che fosse, beh, pazienza. E del resto, l’uomo non è forse mortale, e soggetto più di ogni altro essere vivente alle tentazioni della carne?


«Dimmi che Bulma non lo verrà a sapere» esalò Yamcha con la testa appoggiata al suo ventre sudato, ascoltando i suoi polmoni riempirsi e svuotarsi d’aria con affanno. E Lunch, Lunch rise.

«Oh, non saprei» disse con tono canzonatorio. «Forse potrebbe casualmente sfuggirmi davanti a lei che un giorno sei venuto a trovarmi, e, santo cielo! per fortuna che ho starnutito in tempo, perché ti ho trovato con la cerniera abbassata che cercavi di approfittare del mio lato buono. Mmh, non sarebbe una cattiva idea.»

Lui si sollevò, e puntellandosi sulle mani la guardò incredulo, ad occhi sgranati.

«N-non dirai sul serio!» balbettò.

«E chi lo sa?» replicò la ragazza, guardandosi distrattamente le unghie per poi lanciargli un’occhiata beffarda e intimidatoria.

Se possibile, il sedotto allargò ancora di più gli occhi neri, mentre una fastidiosissima consapevolezza si faceva largo nella sua mente annebbiata. Si era fatto fregare – si era fatto fregare come un pollo. E, poco ma sicuro, Lunch l’avrebbe spennato come il pollo che era. Si sedette e prese a passarsi stancamente una mano fra i capelli, sospirando.

«Cosa vuoi, Lunch?»

«Oh, nulla di che. C’è un certo bolide, qui fuori... come si chiama? Capsule 307?»

«N-non-no-non puoi volere la mia auto!» balbettò, spalancando la bocca in un’espressione non dissimile da quella di un pesce fuor d’acqua. Ma quel sorriso sghembo sulle labbra che poco prima aveva baciato non lasciava adito a dubbi. «Come faccio a tornare a casa, se mi prendi la macchina?»

«Affari tuoi, caro» replicò, perfettamente a suo agio nonostante non avesse ancora nulla addosso.

Il volto di Yamcha passò attraverso non meno di trenta sfumature di colore diverse. Scosse la testa. Deglutì. E si arrese. Recuperò i pantaloni dal tappeto e rovistò fra le tasche con aria rassegnata.

«Sei... un’arpia» disse ancora incredulo, gettandole le chiavi.

«Si dice furbizia. E si dà il caso che tu ne sia sprovvisto.»

Si rivestì con estrema calma, come se non avesse null’altro da fare, rivolgendogli un ghigno di tanto in tanto. Sembrava trovare il tutto estremamente divertente – era un demonio. Uscendo dalla porta, gli strizzò l’occhio.

«Oh, non te la prendere. Mettiti nei miei panni, non potevo stare chiusa in casa tutta la sera, non ti pare?». Tirò fuori dal nulla un fucile e caricò il colpo. Sogghignò, uscendo dalla porta. «Ci si becca in giro, Yamcha.»

E mentre vedeva la sua Capsule 307 rossa fiammante, superaccessoriata e quant’altro sparire nel cielo notturno con un ruggito, Yamcha si abbandonò frastornato sul divano, maledicendosi per la propria stoltezza.







   
 
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