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Autore: serelily    01/11/2012    5 recensioni
Aiutami.
Tutto di lui gridava aiutami, dai jeans strappati in più punti, segno di cadute frequenti, alle maglie a maniche lunghe indossate anche con il caldo, agli occhi spenti.
Mi era sempre sembrato un cucciolo da proteggere, ora quella sensazione si era acuita. Sembrava un bambino spaventato, e quello che mi faceva rabbia era che nessuno pareva accorgersene.
Questa storia fa parte della Challenge "Dal nome alla storia" di Nonnapapera!
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CADREI CON TE, SE FOSSE NECESSARIO


Di solito, praticamente sempre, non scrivo Angst. Sono la fan del Fluff, però a volte sento il bisogno di sfogare nello scrivere tutte le cose che mi fanno stare male. E' come esorcizzare i pensieri negativi. Questa Os è nata così, di getto, per sfogarmi, ed è stata fortemente ispirata da American Horror Story, Violet Harmon e Tate Langdon (Se non avete visto American Horror Story, correte subito a farlo). Non c'entra molto, alla fine, ma mi ha ispirato.
Ora, pongo fine a queste note chilometriche dicendo che la
 storia fa parte della Challenge Dal nome alla storia  di Nonnapapera! Il nome scelto è Lucio, che vuol dire Luce.
Vi lascio alla lettura. Un bacio a tutti e ci vediamo presto con l'aggiornamento di Intrighi a Darkstone!




Aiutami.
Tutto di lui gridava aiutami, dai jeans strappati in più punti, segno di cadute frequenti, alle maglie a maniche lunghe indossate anche con il caldo, agli occhi spenti.
Mi era sempre sembrato un cucciolo da proteggere, ora quella sensazione si era acuita. Sembrava un bambino spaventato, e quello che mi faceva rabbia era che nessuno pareva accorgersene.
Non potevo fare nulla, io, senza venire richiamato al mio posto. Non erano affari miei, mi era stato detto più volte.
Eppure ci soffrivo, perché lo amavo come mai ho amato nessuno, e vederlo spegnersi così mi faceva sanguinare il cuore.
La prima volta che capii quanto le cose si erano fatte gravi fu una mattina di primavera. Eravamo al parco a fare un pic-nic. Sarebbe dovuta essere una giornata felice, eppure lui non fece nemmeno un sorriso. Non toccò cibo, e potei vedere dai suoi pantaloni corti e larghi quanto avesse perso peso ultimamente.
«Stai bene?» gli chiesi, sedendomi accanto a lui.
«Sì» rispose senza guardarmi.
«Francesco» sospirai «Qualsiasi cosa sia, puoi dirmela.»
Lui annuì tristemente.
«Sto bene, Lucio!»
 
Non era vero, e arrivò un giorno in cui non poté più mentirmi. Ero a casa sua, a giocare con suo fratello e alcuni amici ad un torneo di Dragon Ball alla play station. Lui era rimasto in camera sua, a leggere una rivista con lo sguardo perso nel vuoto.
Aveva le braccia completamente ricoperte di piccoli tagli, perfette linee rosse che macchiavano la sua pelle lattea.
«Fra» disse entrando, sconvolto.
«Sei venuto a vedere quanto sono patetico» disse lui, non provando nemmeno per un istante a negare quello che avevo intuito.
«Perché ti riduci in questo modo, Fra?» disse esasperato, mi faceva soffrire vederlo in quello stato, io che lo amavo così tanto «Perché? Ti fai del male, non ridi più, no mangi! Che ti sta succedendo?»
Sorrise amaramente, come se trovasse divertente la mia esasperazione e la mia frustrazione per non riuscire a fare nulla che potesse aiutarlo.
«Perché non sono abbastanza» disse «Io non sono mai abbastanza per nessuno. Mio fratello è il genio della famiglia, è quello bravo a scuola, che un giorno diventerà qualcuno di importante. A mio fratello non piacciono le cose patetiche che piacciono a me, non è un perdente. Non sogna di fare un lavoro che gli altri considerano un hobby. Non capisci? Mia madre si vergogna perché il figlio vuole studiare arte! Mi ha chiesto di mentire, di girare attorno quando qualcuno mi chiede cosa voglio fare della mia vita.
Non sono abbastanza, mi sento sempre schiacciato perché non riesco ad essere quello che gli altri si aspettano, perché per quanto mi sforzi di risalire con le unghie e con i denti, mi sento sempre trascinato giù. E non ho più la forza di oppormi. Ora sono diventato quello che gli altri pensano, un perdente, una nullità, un…»
Stavo piangendo, era straziante vederlo così.
«Non è vero» mormorai andandomi a sedere sul letto «Non puoi buttarti giù così. Tu hai una mente brillante, diventerai qualcuno. Devi dimostrare loro che si sbagliano.»
«Pff» sbuffò «Sono stanco di dover essere sempre costretto a dimostrare qualcosa solo perché ho aspirazioni diverse da quello che la mia famiglia si aspettava. Perché non ho diritto anche io a vivere la mia vita senza dover lottare a tutti i costi?»
Gli presi una mano, stringendola tra le mie.
«Tu eri la mia luce» disse all’improvviso, mordendosi il labbro «Non sto scherzando, Lucio. Tu eri la mia luce, prima che tutto questo iniziasse. Non sai quanto avrei desiderato stare con te, amarti alla luce del sole. Ma quando cercavo di farmi coraggio, mi tornavano in mente le occhiate che mi lanciavano i miei genitori, su quanto mi consideravano patetico. Figurati se sapessero che sono gay.»
Gli lasciai la mano per poterlo abbracciare e stringere, sentivo il bisogno di tenerlo legato a me.
«Tu sei una luce, Francesco. Non permettergli di spegnerti così. E avrei tanto voluto che tu fossi venuto da me, che mi avessi detto quello che provavi, perché lo provo anche io. Ti amo anche io.»
Lo baciai, che senso aveva aspettare ancora?
Lui era emotivamente distrutto e io sentivo il bisogno di aiutarlo a tornare a galla, tendergli la mano, essere davvero la sua luce, come lui mi vedeva.
Non sapevo se fosse troppo tardi per lui, la luce spenta nei suoi occhi faticava a rianimarsi, eppure dovevo provare, dovevo a tutti i costi.
«Farei qualunque cosa per te, amore mio» dissi, stringendolo a me «Anche cadere con te, se fosse necessario.»
 
«Ti ricordi com’è cominciata» disse Francesco passandosi leggero le dita sulle cicatrici che ha sulle braccia.
«Sì» rispose sorridendo Lucio dandogli piccoli baci sul collo e abbracciandolo da dietro.
«Ero un relitto» disse l’altro strofinandosi come un gatto «Sei stato davvero la mia luce.»
«Perché continuano a vedersi» chiese Francesco stupito «Non dovrebbero essere sparite»
«Si vedono solo perché tu vuoi vederle» disse Lucio prendendolo per mano «Ma non devi più pensarci, ora siamo liberi, amore mio. Non dovremmo nemmeno tornare qui tutti gli anni.»
Francesco accarezzò la pietra fredda, prima di ritrarre la mano.
«E’ stato l’inizio del nostro amore, quello vero. Dobbiamo celebrarlo.»
Si allontanarono insieme, mano nella mano.
In quel luogo silenzioso rimase solo un ragazzo, immobile nello stesso punto dove prima i due si erano soffermati. Leggeva attentamente qualcosa davanti a lui, qualcosa che fino ad un anno prima non c’era, piangendo tutte le sue lacrime.
Francesco Forti nato il 10-07-91, morto il 01-11-11
Lucio Stella nato il 23-04-89, morto il 01-11-11
Il ragazzo accarezzò le lapidi del fratello e del suo migliore amico, chiedendosi ancora che diavolo li avesse spinti a quel gesto.
Non c’era una risposta alla sua domanda, ma dentro di sé sperava quasi che, in qualunque luogo fossero, si tenessero compagnia a vicenda.
Odiava il pensiero che si sentissero soli.

   
 
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