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Autore: Severa Piton    02/11/2012    5 recensioni
Sirius se ne andò di casa, ormai lo sappiamo tutti. Ecco, questa fanfiction parla proprio di quel giorno.
Dalla storia: «Per quanto mi riguarda, Sirius Black, tu non sei degno di questo nome. Tu non sei mio figlio, sei solo uno scherzo della natura, una schifezza, spazzatura da lasciare sul ciglio di una strada. Vattene! Vattene e non tornare più! Sarebbe dovuto essere sempre così: noi e Regulus. Onore per il sangue dei Black.» L'aveva lasciato andare con una spinta.
Quelle parole erano state come un pugno nello stomaco per Sirius. Sentiva ancora il cuore che gli doleva, mentre se ne stava seduto sul marciapiede di Piccadilly Circus.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I came here for help I came here for help.




C'erano molte persone a spasso per Piccadilly Circus, come ogni giorno. Sembrava che quella piazza non potesse mai essere vuota. Attirava giovani e anziani, forse per la pace che la caratterizzava, nonostante il gran brusio. C'erano felicità e frenesia insieme, un miscuglio che dava alla testa e ti faceva sentire l'adrenalina.
Ogni tanto il vento portava con sé l'odore sgradevole e familiare del Tamigi.
Sirius era seduto su un marciapiede e osservava la gente che cercava di proteggersi dal forte vento con le mani e abbassando la testa. Faceva freddo, nonostante fosse una sera di Luglio.
Nessuno notava Sirius, e lui ne era felice. Per le persone che gli passavano accanto, lui era solo un ragazzino come ogni altro, con una felpa pesante e il cappuccio tirato su a nascondere il viso. Non sapevano della bacchetta nascosta nella sua tasca e non avrebbero mai immaginato che, sotto quel cappuccio, due grandi occhi grigi stessero piangendo.
Erano lacrime di frustrazione e rabbia, quelle che stava silenziosamente versando; le lacrime di un ragazzo che non ce la faceva più. A sopportare suo padre? sua madre? La sua vita? Non lo sapeva. Sapeva soltanto che il suo cuore era stanco e che lui aveva solo sedici anni, e tutto quello non era giusto, affatto giusto.
Era uscito di casa sbattendo la porta e gridando "Non tornerò. Questa volta non tornerò!", poi aveva cominciato a correre. Lontano da loro e dal mondo.
Avrebbe potuto aspetta il primo Settembre per l'inizio del suo sesto anno ad Hogwarts, ma due mesi erano troppi e lui aveva voglia di vivere.
Era abituato ad aspettare l'inizio della scuola per sentirsi vivo, per sentirsi davvero parte di un mondo dove esiste anche la felicità, ma questa volta non ce l'aveva fatta.
Questa volta era stato troppo.
Aveva ancora nelle orecchie le grida che lo avevano svegliato quella mattina. Suo padre e sua madre stavano litigando. Aveva sceso le scale e li aveva trovati in cucina a urlarsi contro le peggiori cattiverie.
Regulus era fermo in un angolo della stanza, gli occhi spenti e le braccia incrociate davanti al petto.
Lui e suo fratello si erano scambiati un'occhiata: ormai le discussioni mattutine erano diventate una routine.
Non che i loro genitori fossero mai stati pappa e ciccia, certo, non erano mai andati d'accordo. I litigi e le urla erano aumentati da quando Sirius era stato smistato in Grifondoro.
"Un insulto alla famiglia dei Black", avevano detto.
Sirius si era appoggiato all stipite della porta e li aveva osservati mentre litigavano. Aveva voglia di mettersi in mezzo e picchiarli entrambi, farli cadere a terra e farli stare zitti.
«È colpa tua! È sempre stata colpa tua! Hai cresciuto tuo figlio come se fosse un rammollito, un buono a nulla!» Aveva detto Orion con rabbia.
«Pensa prima di parlare, inutile uomo! L'abbiamo cresciuto insieme! La colpa è di tutti e due!»
«No, donna! Non provare a darmi la colpa di quello scempio. Lui è una vergogna! Ed è colpa tua. Tu hai lo sporco nel sangue! Prendi come esempio tuo fratello Alphard, malato fino al midollo, con la sua adorazione per Sirius. La colpa è tua, solo tua!» Sirius aveva sentito il sangue pulsargli in gola, in testa. Suo zio Alphard era uno dei pochi parenti che riusciva a sopportare, uno dei pochi parenti che gli rivolgevano la parola. Stava pensando a questo, prima che accadesse.
Suo padre aveva tirato su la mano stretta a pugno e aveva colpito ferocemente Walburga, facendola giarare su se stessa e facendola cadere a terra.
Sembrava avesse inetenzione di picchiarla ancora. Regulus e Sirius si erano mossi nello stesso momento. Il più piccolo dei fratelli era corso dalla madre e l'aveva aiutata ad alzarsi, mentre il maggiore, Sirius, si era messo tra i genitori, lasciando il padre fermo, con i pugno di nuovo sollevato.
Si erano guardati negli occhi per un secondo infinito, sfidandosi, grigio contro grigio, due espressioni schifate che si somigliavano fin troppo.
Sirius non credeva che suo padre l'avrebbe fatto, non ci aveva pensato. Non aveva fatto in tempo a spostarsi e il pugno era arrivato fortissimo, sotto l'occhio, facendogli un male cane.
Aveva cercato con tutte le sue forze di non barcollare contro il piano della cucina e, con suo grande soddisfazione, ce l'aveva fatta.
«Non la colpirai di nuovo» aveva detto con voce amareggiata e gutturale. Sentiva l'occhio pulsare.
«Come osi?» aveva detto una voce sibilante. Sirius si era voltato di scatto, la sorpresa negli occhi. Era stata sua madre a parlare, con un rivolo di sangue che le scivolava lento dal labbro spaccato, sul mento.
«Come osi rivolgerti così a tuo padre?» aveva continuato con un'espressione di disgusto sul viso. Dietro di lei, Regulus la guardava incredulo.
Orion, poi, aveva colpito Sirius con un altro potente schiaffo, e aveva detto, rivolgendosi a Walburga: «Taci! Se tu sei troppo debole per farlo, glielo insegnerò io il rispetto!»
Un altro pugno stava per raggiungere il bel viso del ragazzo, ma lui questa volta era stato più veloce: aveva fermato il braccio del padre e l'aveva spinto indietro, facendolo barcollare leggermente. Era un uomo alto e muscoloso, e per Sirius, un ragazzino di sedici anni, era difficile difendersi.
«Sei un bastardo!» Aveva detto inveendo contro suo padre. «Un bastardo senza sentimenti. E tu...» si era voltato verso Walburga. «Stavo cercando di difenderti e tu mi dici "come osi"? La prossima volta non sarò così genitile, lascerò che ti prenda a pugni, è quello che meriti, in fondo!» La sua voce si era affievolità sulle ultime parole. Quale adolescente diceva quelle cose alla propria madre? Quale adolescente veniva picchiato, isultato e odiato così dai propri genitori? Cosa aveva detto? Cosa si era lasciato scappare?
 Aveva continuato con il cuore in gola, mente Regulus - silenzioso come sempre, troppo spaventato per riuscire a dire qualcosa - lo fissava con le sopracciglia aggrottate. I loro occhi si erano incontrati e Regulus aveva scosso appena la testa, come a dirgli "Sta' zitto, imbecille, stai peggiorando le cose".  «Non ci sarà una prossima volta. Perché io me ne vado» Aveva cominciato ad alzare la voce. «Me ne vado da questa casa piena di pazzi con la mania del sangue puro. Me ne vado da qui e - lo giuro, che Merlino mi fulmini sul momento! - non tornerò mai più in questa casa! Non tornerò. Questa volta non tornerò!»
Walburga aveva le guance rosse e il sangue ormai secco la rendeva spaventosa. Regulus aveva l'espressione di un ragazzo fragile e ferito sul punto di piangere. Sirius sentiva il sangue pulsare nelle vene, ovunque, e sapeva di avere gli occhi arrossati, quando suo padre gli si era avvicinato. L'aveva preso per la maglia e l'aveva tirato verso di sé, i loro visi talmente vicini che Sirius poteva sentire l'odore nauseante del suo alito.
«Per quanto mi riguarda, Sirius Black, tu non sei degno di questo nome. Tu non sei mio figlio, sei solo uno scherzo della natura, una schifezza, spazzatura da lasciare sul ciglio di una strada. Vattene! Vattene e non tornare più! Sarebbe dovuto essere sempre così: noi e Regulus. Onore per il sangue dei Black.» L'aveva lasciato andare con una spinta.
Quelle parole erano state come un pugno nello stomaco per Sirius. Sentiva ancora il cuore che gli doleva, mentre se ne stava seduto sul marciapiede di Piccadilly Circus.
Ricordò di aver rotto qualche vaso, con rabbia, mentre se ne andava verso la porta di casa. Aveva preso la bacchetta e aveva aperto il portone, uscendo nell'aria fredda e umida di Londra.
Prima di uscire, però, aveva guardato suo fratello. Per un attimo, per imprimersi quegli occhi belli e grigi nella retina, per non dimenticare la sua espressione - terrore e angoscia. Regulus non voleva rimanere da solo. Qualcosa gli diceva che non si sarebbero più nemmeno salutati nei corridoi di Hogwarts.
Appena uscito di casa, da quella topaia polverosa e sudicia, Sirius si era sentito perso.
"Dove dovrei andare?", aveva pensato, "Cosa dovrei fare adesso?".
Aveva sedici anni e un peso nel cuore.
Adesso se ne stava seduto su quel freddissimo marciapiede, con le stesse domande a ronzargli in testa e lo stesso peso a marcigli nello stomaco.
Aveva pensato di andare da James, perché James ci sarebbe sempre stato per lui, glielo ripeteva continuamente. Ma quella non era questione di una notte o due, Sirius se n'era andato di casa, con quale coraggio poteva chiedere ospitalità al suo migliore amico?
Si alzò dal marciapiede e si pulì il retro dei pantaloni. Poi, lentamente, si incamminò verso la fermata dell'autobus. Avrebbe voluto Smaterializzarsi, ma non poteva farlo.
Sul quel mezzo di trasporto babbano e troppo lento, Sirius sentiva la testa pesante.
Aveva sbagliato autobus e stava tornando verso Grimmauld Place. Si diede dello stupido.
Pochi minuti dopo era di nuovo vicino a casa. Passava in rassegna i numeri civici: 9, 10, 11... ed ecco il 12.
Alzò lo sgaurdo sulla finestra della camera di suo fratello, al secondo piano. Il suo cuore fece un salto quando vide che Regulus era affacciato.
Gli occhi del fratello si accesero di speranza quando lo vide. Sirius stava quasi per sorridergli, ma una mano tozza apparì a chiudere le tende. Sua madre lo guardò con disprezzo e spinse via Regulus.
Sirius era arrabbiato, arrabbiato fino a sentir girare la testa, stava per tirare un calcio alla porta, ma preferì rimettersi a correre, come aveva fatto ore prima, e andare lontano da quella casa.
Prese il treno, la metropolitana, un autobus e di nuovo una metropolitana. Arrivò in un locale di maghi, dove gli lasciarono usare la Metropolvere.
Si ritrovò in un bar di Godric's Hollow e, dopo aver pagato la Polvere Volante, camminò verso casa di James.
Lungo il tragitto ricominciò a piangere, silenziosamente, come aveva sempre fatto.
Si diete una botta sulla coscia, lasciandosi scappare un ringhio. Non voleva piangere, non voleva sembrare debole. Perché la sua famiglia gli aveva sempre detto questo, la sua famiglia l'aveva sempre fatto sentire debole, e lui doveva dimostrare - non sapeva se a se stesso o ai suoi genitori - che lui non era affatto un debole.
Lui era Sirius Black III, coraggioso, Grifondoro.
Ma era vero? Era scappato, aveva avuto paura questa volta, non ce l'aveva fatta.
Non era stato coraggioso!
Si chiese, mentre camminava con il rancore che gli faceva tremare le gambe, cosa avrebbe fatto se avesse incontrato suo padre per strada? Avrebbe continuato a scappare? Come stava facendo in quel momento?
Alzò la testa per capire dove si trovasse e notò con stupore di aver camminato troppo.
Aveva superato la casa di James già da un pezzo ormai e doveva tornare indietro.
Nel giro di pochi minuti si ritrovò davanti alla porta del suo migliore amico. Erano passate le dieci.
Mentre suonava il campanello, aveva il cuore in gola.
Dall'interno, sentì sua zia Dorea gridare:  «James! Tesoro, apri tu?» Nessuno aveva mai chiamato Sirius tesoro.
Sentì il rumore di passi veloci che si dirigevano verso la porta. James la aprì con slancio e guardò il suo migliore amico.
Sirius vide il viso di James diventare pallido e si ricordò di avere un brutto livido viola sotto l'occhio e il labbro spaccato.
«Cosa ti hanno fatto?» Disse Ramoso in un sussurro. E Sirius non ce la fece più. Il peso che portava nel cuore cominciò a diventare insopportabile. Sentì le ginocchia piegarsi e cadde, davanti allo sgaurdo preoccupato di James.
Sirius batté i pugni a terra, ignorando i passi affrettati di Dorea.
James si inginocchiò davanti a lui e lo abbracciò. Comiciava a sentire il cuore un po' più leggero, indolenzito per il gran peso che aveva dovuto portare.
La mano umida di Dorea si posò sulla guancia di Sirius, lo accarezzò delicatamente e gli sollevò il viso.
«Vieni dentro, tesoro, nipote mio!» Gli disse.
James aiutò Sirius ad alzarsi e lo accompagnò in casa, tenendolo stretto, come se potesse scivolargli via, mentre Dorea continuava ad accarezzargli i capelli.
Allora, pensò Sirius, è questo l'amore.
E il cuore palpitava, quasi volava, perché lei l'aveva chiamato tesoro. E quel tesoro, per lui era una grande ricchezza.








Rachel*
Benvenuti fino a qui. Allora ci sono tante cose che devo spiegare.
1) A Luglio fa davvero un freddo cane a Londra. Fidatevi, io ci sono stata e mi uscivano i ghiaccioli dal naso! xD
2) Alphard Black era il fratello di Walburga e venne cancellato dall'albero genealogico dei Black per aver regalato a Sirius una grande somma di denaro, dopo che lui scappò di casa.
3) Be', ci sono stati ben tre Sirius Black nella famiglia, il nostro Felpato è il terzo. Si chiama, infatti, Sirius Black III.
4) In teoria Dorea Black, la mamma di James, sarebbe la bis-zia di Sirius, poiché è zia di Alphard e Walburga.
5) Per questa storia mi sono ispirata alla canzone "No son of mine" dei Genesis.

Un bacione a tutti! :)

PS: Questa fanfiction è molto importante per me, quindi mi farebbe molto piacere se lasciaste delle recensioni. Anche piccine piccine! :3
Ho le palpitazioni, oh God! *^*
  
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