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Autore: TheSlayer    03/11/2012    4 recensioni
Rebecca è una ragazza viziata di Los Angeles. Ha vissuto per tutta la sua vita in un'enorme villa a Beverly Hills ed è abituata a fare tutto quello che vuole senza nessuna conseguenza.
Quando organizza l'ennesima festa, però, sua madre la scopre e ne ha abbastanza. Per punizione la spedisce a vivere a Londra da suo padre, dove dovrà passare un'estate completamente diversa dal solito e dove incontrerà due ragazzi che le faranno perdere la testa. In tre mesi Rebecca dovrà cambiare vita e prendere una decisione importante: chi sceglierà tra Zayn e Harry?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Another World'
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Another World

Capitolo 1 - From Los Angeles to London

 

“Ne ho abbastanza, Rebecca. Ho parlato con tuo padre e, per evitare che si ripetano i danni che hai combinato l’anno scorso, passerai l’estate con lui. A Londra.” Mi avvertì mia madre. Aprii gli occhi molto lentamente e li richiusi subito per la troppa luce che entrava dalla finestra. Perché doveva esserci il sole? E perché mia madre urlava così tanto?
“Rebecca?” Mia madre richiamò la mia attenzione. Svogliatamente mi girai verso di lei e aprii gli occhi del tutto. La mia testa sembrava volesse scoppiare da un momento all’altro.
“Cosa?” Mi sforzai di chiedere. Non capivo cosa ci facesse nella mia stanza. Non doveva essere a Miami con Philip, il suo nuovo, ennesimo, compagno? Improvvisamente registrai quello che stava succedendo: mia madre era tornata prima dalla Florida, il che voleva dire che aveva scoperto della festa che avevo organizzato la sera prima.
“Ho detto che ne ho abbastanza, Rebecca. Passerai l’estate con tuo padre a Londra.” Ripeté mia madre.
“Ma mamma, non vedo papà da cinque anni.” Protestai. “Abbiamo parlato al telefono una decina di volte in tutto questo tempo!” Aggiunsi, alzandomi a sedere. La stanza cominciò pericolosamente a girare intorno a me. Chiusi gli occhi e inspirai profondamente.
“Non mi interessa. Sono stufa del tuo comportamento. Hai almeno la minima idea di quanti danni hai causato alla casa grazie alla tua festa?” Mi chiese, ricominciando ad alzare la voce.
“Capirai, tanto paga Philip.” Mormorai. Sapevo di avere superato davvero il limite quella volta. La festa era stata un successone: tutti i miei compagni di classe – e tantissimi altri sconosciuti – si erano presentati a casa mia armati di alcool e voglia di dimenticare i quattro anni di scuola appena finiti. Avremmo cominciato tutti il college in autunno e non vedevamo l’ora di passare un’intera estate a festeggiare. Io stessa non ricordavo la metà di quello che era accaduto la sera prima. Ricordavo vagamente di essermi arrampicata sul tavolo in giardino e aver ballato con altre ragazze. Ricordavo anche di aver permesso a qualche ragazzo di bere shot di tequila dal mio corpo.
“Prepara la valigia, sei sul volo delle sette.” Annunciò mia madre con tono glaciale, prima di uscire dalla mia stanza e chiudere la porta. La sentii urlare qualcosa in corridoio in lontananza. Probabilmente aveva trovato uno dei miei amici svenuto da qualche parte. Succedeva sempre alle mie feste: il giorno dopo dovevo passare in rassegna tutta la casa per cacciare i ragazzi e le ragazze che si erano addormentati – o erano svenuti – nella vasca da bagno, negli armadi o in altri posti strani. Sorrisi, pensando a quando avevo trovato Rachel, la mia migliore amica, addormentata nella vasca idromassaggio, ovviamente vuota, in giardino.
“Nina!” Urlai dopo qualche secondo. La cameriera entrò immediatamente in camera mia.
“Sì, signorina Clark?” Rispose.
“Preparami la doccia. E, quando hai finito, la valigia. Devo passare tre mesi a Londra.” Ordinai e mi alzai dal letto, operazione non facile, visto che la testa non voleva saperne di smetterla di girare. Mi avviai verso il bagno e mi infilai sotto la doccia.
Non vedevo mio padre da cinque anni, esattamente da quando aveva divorziato da mia madre e si era trasferito a Londra, dove aveva velocemente trovato una nuova famiglia. Non avevo mai capito perché i miei genitori avessero divorziato. Probabilmente erano entrambi stufi dei continui tradimenti e avevano capito che non erano fatti l’uno per l’altra. O forse, come mia madre adorava ripetermi, mio padre era scappato perché non mi sopportava più. Sapevo dalle poche telefonate che c’erano state tra di noi in quegli anni che mio padre aveva trovato un’altra donna e si era risposato. Non mi aveva nemmeno invitata al matrimonio. Forse mia madre aveva ragione. Forse non mi sopportava davvero e non voleva più vedermi. Sapevo anche che Anne, la nuova moglie di mio padre, aveva già una figlia più o meno della mia età e, insieme, avevano avuto un bambino poco dopo essersi sposati. Non avrei nemmeno saputo cosa dire a mio padre, dopo cinque anni. L’ultima volta che mi aveva vista avevo tredici anni, ero completamente cambiata. Mi avrebbe riconosciuta all’aeroporto? Perché aveva accettato di farmi passare l’estate insieme a lui?
Il volo da Los Angeles a Londra fu estremamente lungo e noioso, soprattutto perché mia madre, per punirmi, non mi aveva fatta viaggiare in prima classe, ma in economica. Non riuscii a dormire nemmeno per pochi minuti, grazie alla coppia dietro di me, che continuava a prendere a calci il mio sedile. Non avevo mai viaggiato in classe economica in vita mia e di certo non era un’esperienza che avrei ripetuto. Oltre al fatto che volare il giorno dopo una sbronza epica non era una cosa decisamente raccomandabile.
Riconobbi subito mio padre una volta varcata la porta degli arrivi. Non era cambiato di una virgola in cinque anni. Portava sempre quegli orrendi completi classici di una taglia più grande del necessario e gli occhiali da vista che occupavano metà del suo viso.
“Ciao, Rebecca!” Mi salutò. Cercò anche di abbracciarmi, ma mi divincolai.
“Stanca. Volo orrendo.” Mi giustificai. Mio padre annuì e si occupò della mia valigia.
“Turbolenze?” Mi chiese mentre camminavamo per andare alla sua auto.
“No, giusto un paio. Però c’era una coppia che calciava il mio sedile e faceva freddo. Mi hanno dato una coperta che era spessa quanto una fetta di prosciutto.” Risposi sbuffando. A Londra erano più o meno le sei del mattino e non vedevo l’ora di dormire.
“Mi dispiace. Vedrai che a casa riuscirai a riposarti un po’.”
“Lo spero. E’ lontana la tua auto?” Chiesi. Mio padre si girò a guardarmi e sorrise.
“Non sono qui in auto. Prendiamo l’Heathrow Express.” Mi rispose.
“Il treno?” Chiesi, scandalizzata. Mio padre non aveva mai usato i mezzi pubblici in vita sua.
“E’ molto più veloce dell’auto e poi da Victoria possiamo prendere la metro per Notting Hill Gate e siamo già a casa.” Mi spiegò.
“La metro.” Dissi tra me e me. Avendo appena preso un aereo mi ero anche dovuta sbarazzare del gel antibatterico. Bene, sarei morta durante la mia prima giornata a Londra.

Mi svegliai in stato confusionale. Non avevo la minima idea di dove fossi. Cominciai a guardarmi intorno e mi ricordai di essere a Londra, nella casa di mio padre e della sua famiglia. Dopo essermi addormentata sul treno e aver faticato per tenere gli occhi aperti sulla metro, chiesi a mio padre se potevamo saltare i convenevoli e le presentazioni con la nuova famiglia e mi infilai immediatamente a letto. Guardai la sveglia appesa al muro della camera: erano le cinque. Mi alzai e scesi ad esplorare la casa.
“Papà?” Chiamai. Non rispose nessuno. Aprii tutte le porte e non trovai nessuna forma di vita, a parte un criceto sulla ruota in soggiorno. Mi diressi in cucina per mangiare qualcosa e mi resi conto che mio padre non aveva nemmeno una cameriera, così aprii tutti gli armadietti per cercare qualcosa di già pronto, ma trovai solo merendine piene di carboidrati e conservanti. Nulla di biologico, tipico degli europei! Scoraggiata, tornai in camera e aprii la valigia. Dopo una lunga doccia bollente mi rivestii e decisi di uscire di casa. Cominciai a camminare per le strade di Notting Hill, ricordandomi quel film con Hugh Grant e Julia Roberts, e cominciai a guardarmi intorno. Case, case, case, negozietto di fiori, giardino privato, case, case, case. Non c’era nemmeno un Walgreens. O un Seven-Eleven. Non che io fossi mai entrata in un Seven-Eleven, ma in casi disperati avrei anche potuto fare un’eccezione. Continuai a camminare, stringendomi nella giacca che avevo deciso di mettere – come poteva fare così freddo a giugno, dannati inglesi? – e decidendo di girare a destra ad un incrocio. Fortunatamente trovai un pub ed entrai.
“Ciao, cosa posso portarti?” Mi chiese l’uomo dietro al bancone. Il locale era quasi vuoto. C’erano un paio di uomini ad un tavolo, armati di birre e carte, una coppia ad un altro tavolo e un ragazzo al bancone, non lontano da dove ero seduta io. Mentre stavo decidendo cosa ordinare, un pensiero attraversò la mia mente.
Oh, mamma, che errore madornale che hai fatto a mandarmi in Inghilterra. Qui si può bere a diciotto anni. Legalmente, pensai.
“Un Bloody Mary, per favore.” Ordinai.
“Sono £7.50.” Disse il barista, porgendomi il bicchiere. Sterline?
“Non accettate dollari, vero?” Chiesi, nella speranza che mi dicesse di sì. Mi ero completamente dimenticata di cambiare i miei dollari in sterline. “Carta di credito?” Aggiunsi poi, prendendo il portafogli dalla borsa. Lo aprii e mi resi conto che le mie carte di credito erano sparite.
“Non preoccuparti, offro io.” Intervenne il ragazzo che era seduto poco lontano da me. Si avvicinò, trascinando la sua birra di fianco a me, e porse al barista una banconota da dieci sterline.
“Grazie.” Dissi, girandomi a guardarlo. Aveva gli occhi verdi con un taglio particolare, un po’ allungato. Mi stava sorridendo e sembrava divertito dalla mia sbadataggine.
“Americana?” Mi chiese senza perdere il sorriso.
“L’accento e i dollari mi hanno tradita?” Ribattei, sarcastica.
“Il modo in cui sei vestita è stato l’indizio decisivo. Starai congelando con quei pantaloncini corti.”
“Per qualche strano motivo pensavo che sarebbe stata estate. Sai, siamo a Giugno.”
“Benvenuta in Inghilterra.” Disse il ragazzo, alzando il suo bicchiere per un brindisi. Cominciai a sorseggiare il mio Bloody Mary senza staccare gli occhi da quel ragazzo. Aveva un’espressione furba, in contrasto con l’aria innocente che gli donavano i tratti del suo viso. Poteva essere il mio regalo di benvenuto a Londra, no? Aveva sicuramente diciotto anni, perché stava bevendo una birra.
“Potrei avere un’idea su come scaldarmi.” Sussurrai dopo un po’. La vodka del Bloody Mary stava sicuramente aiutando a non sentire il freddo, ma quello a cui stavo pensando sarebbe stato decisamente più divertente.
“Tipo?” Mi chiese il ragazzo. Avevo attirato la sua attenzione. Mi avvicinai e gli sussurrai nell’orecchio quello che pensavo di fare.
“Dove potremmo trovare un po’ di privacy?” Gli domandai dopo aver finito il cocktail che avevo davanti.
“Vieni con me.” Mi rispose alzandosi. Lo seguii nei bagni del pub, dove occupammo una delle cabine.

“Hey, aspetta! Non mi dici nemmeno il tuo nome?” Mi chiese il ragazzo. Mi ero risistemata i vestiti e stavo uscendo dal bagno.
“Non c’è bisogno che tu lo sappia.” Gli risposi. “Grazie per il Bloody Mary.” Aggiunsi e uscii dal pub. Fuori aveva cominciato a piovere e, se possibile, si congelava ancora più di prima. Cominciai a camminare verso casa, perdendomi tra le vie del quartiere di Notting Hill sotto la pioggia battente. Perché tutte le case dovevano essere uguali? Mi ritrovai davanti al pub dal quale ero appena uscita e decisi che, forse, sarebbe stata una buona idea chiamare mio padre.
“Rebecca, dove sei?” Mi chiese.
“Davanti ad un pub che si chiama Uxbridge Arms.” Risposi leggendo l’insegna del locale. “Non so come tornare a casa.”
“Arrivo.”
Qualche minuto dopo lo vidi arrivare con un ombrello.
“Sei bagnata fradicia e stai tremando.” Mi rimproverò.
“La prossima volta uscirò preparata.” Risposi sbuffando. Mio padre non disse più nulla per tutta la strada.
“Sali ad asciugarti e a cambiarti. Quando torni ti presento il resto della famiglia.” Mi disse quando arrivammo a casa. Sentivo delle voci provenire dalla cucina e non stavo morendo dalla voglia di conoscere il resto dell’allegro clan, ma non dissi nulla. Invece seguii le sue istruzioni e mi presentai in cucina qualche minuto dopo.
“Rebecca, lei è Anne.” Mi disse mio padre, presentandomi la sua nuova moglie. La donna mi sorrise, si avvicinò e mi abbracciò stretta.
“E’ un piacere conoscerti! Benvenuta a Londra!” Mi disse.
“Um, grazie.” Risposi e indietreggiai di qualche passo.
“Questa, invece, è Elizabeth.” Disse mio padre, rientrando in cucina con una bimba di tre o quattro anni in braccio. Ero convinta che avessero avuto un maschio.
“Ciao.” Dissi, sentendomi un’idiota. Non mi piacevano i bambini e mi metteva a disagio parlare con un piccolo esserino che non capiva quello che gli stavo dicendo. La bimba mi guardò intensamente e poi alzò la manina e rispose al mio saluto.
“Tesoro, dov’è Harry?” Chiese mio padre ad Anne.
“Mi ha mandato un messaggio, sarà qui a momenti.” Rispose la donna, continuando a tagliare le verdure davanti a lei.
“Harry?” Domandai, sedendomi su una sedia.
“Mio figlio.” Mi rispose Anne. Non avevo capito nulla come al solito. Anne aveva un figlio maschio, e non una femmina. Forse avrei dovuto cominciare a prestare più attenzione a quello che mi diceva la gente al telefono.
“Oh, eccolo. Dovrebbe essere lui.” Disse Anne, sentendo la porta di casa chiudersi.
“Harry, siamo in cucina! Vieni, che ti presento Rebecca!” Urlò mio padre. Sentii dei passi e mi girai per presentarmi. Quando incrociai quegli occhi verdi mi sentii quasi svenire.
“C-ciao. Piacere, io sono Harry.” Disse il ragazzo, porgendomi la mano. Notai che anche lui aveva gli occhi spalancati per la sorpresa.
“Rebecca.” Risposi con la voce un po’ strozzata.
Non era possibile: il figlio della nuova moglie di mio padre era il ragazzo del pub.

   
 
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