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Autore: vannagio    03/11/2012    5 recensioni
Gli occhi ilari del poster di Joker non lo mollavano un secondo. Sentire quel ghigno canzonatorio addosso era urticante, faceva venire voglia di grattarsi la pelle con un rasoio smussato, fino a scorticarsela e strapparsela a unghiate. Represse a stento l’impulso di staccare quella faccia di cazzo dalla parete, stracciarla, ridurla in tanti piccoli pezzettini, pisciarci sopra e farne un bel falò. Ma non poteva: a Janine piaceva Joker.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”

La moglie di Joker




«Signor Owen? Ha sentito quello che le ho detto? Deve venire all’obitorio per l’identificazione della salma. Pronto? Signor-».
Un bip elettronico interruppe il gracchiare stridulo dell’agente di polizia.
Gli occhi ilari del poster di Joker non lo mollavano un secondo. Sentire quel ghigno canzonatorio addosso era urticante, faceva venire voglia di grattarsi la pelle con un rasoio smussato, fino a scorticarsela e strapparsela a unghiate. Represse a stento l’impulso di staccare quella faccia di cazzo dalla parete, stracciarla, ridurla in tanti piccoli pezzettini, pisciarci sopra e farne un bel falò. Ma non poteva: a Janine piaceva Joker.
Un secondo bip lo distrasse.
Dean si accorse di avere ancora il cellulare all’orecchio, ma il fastidioso blablabla dell’agente era cessato. Fissò il display per diversi minuti senza capire, sbattendo stupidamente le palpebre per metterlo a fuoco. Il suo cervello era rallentato, stentava a ingranare la marcia. Come quella volta che Janine gli aveva spaccato la testa con una bottiglia di birra: Dean era rimasto accasciato contro il cesso per ore, ad ammirare le margheritine azzurre che ballavano la samba sulle piastrelle e a ridacchiare come un ritardato. A pensarci bene, aveva bevuto parecchio quel giorno. Per questo Janine era riuscita a beccarlo.
Un altro bip.
L’icona Batteria Scarica lampeggiava con insistenza, cercava attenzioni. Sullo sfondo del display, invece, la foto di Janine sorrideva. Dean notò un piccolo ematoma sbiadito e slabbrato sulla tempia destra. Glielo aveva lasciato un pomeriggio di qualche settimana prima, dopo la partita di football, fece appena in tempo a ricordare. Poi, con un ultimo bip lamentoso, il cellulare si spense e quel viso sorridente venne risucchiato dallo schermo che si oscurava.
Anche Janine gli era stata portata via. Spalmata sull’asfalto da un figlio di puttana ubriaco.
Il cellulare finì scagliato contro il ghigno di Joker e Dean lo guardò cadere a terra - i mille pezzi che si sparpagliavano a ventaglio sul pavimento - con grande soddisfazione. Solo quando l’arteria prese a pulsare maledettamente sul collo, la gola a raschiare, le corde vocali a stridere, Dean si accorse dell’urlo disumano che gli stava squarciando il petto.
Senza più fiato nei polmoni, corse in bagno e vomitò tutto quello che aveva in corpo. I conati lo squassarono per lunghissimi minuti, lasciandolo poi ansimante e sfinito per terra. Il gusto ferroso di sangue misto a quello amaro di bile gli riempiva la bocca, per fortuna il pavimento freddo contro la guancia gli dava un po’ di sollievo. Inghiottì il rigurgito amaro che gli era salito in gola, inspirò ed espirò profondamente un paio di volte, e finalmente, barcollante, riuscì a mettersi in ginocchio.
Nel rialzarsi si appoggiò alla cassetta del water, e guardò giù. In mezzo allo schifo che imbrattava il fondo del cesso, Dean lo sapeva, galleggiava anche la sua anima.
Tirò lo sciacquone senza pensarci due volte.


Quanto ci metti a tornare, figlio di puttana? Non ti sei ancora riempito abbastanza di quel piscio che ti piace tanto bere?
Dean serrò le dita intorno alla spranga di ferro fino a farsi sbiancare le nocche.
Oh, te lo farò sputare tutto, goccia per goccia, è una promessa.
La rabbia repressa gli faceva ribollire il sangue e scorreva sottopelle, impaziente di essere sfogata su qualcosa o, meglio, su qualcuno. Frustrato per l’attesa, Dean diede un calcio a una bottiglia abbandonata sul pavimento. Questa rotolò sballottando violentemente sulla moquette sucida e andò a fracassarsi contro il piede del tavolo in un chiassoso e fradicio tintinnio.
Il cranio di quel sacco di merda farà la stessa fine.
Immaginare la spranga di ferro che calava su quella testa di cazzo come un coltello nel burro aiutò Dean a calmarsi. O almeno a rimanere lucido quel tanto che bastava per avvertire un rumore proveniente dall’esterno.
Si mise subito in allerta. Sembrava quasi che, lì fuori, un gatto si stesse affilando le unghie sul legno della porta d’ingresso. I grugniti impastati che si sovrapponevano a quel grattare insistente, però, erano inequivocabili.
Ben tornato a casa, figlio di puttana!
Dean si appiattì contro la parete adiacente e attese con il fiato sospeso e il sangue infiammato dall’euforia. Lo sgrat sgrat sgrat sul legno venne accompagnato da imprecazioni digrignate tra i denti.
Sei così ubriaco che non riesci nemmeno a centrare un buco del cazzo, eh?
Poi, finalmente, lo scatto metallico della serratura.
La porta si aprì, lasciando passare una sagoma flaccida e ingombrante: gli dava le spalle e si muoveva goffa nella penombra della stanza.
Dean non si mosse.
La spranga era dannatamente solita e pesante tra le mani, la carta da parati gonfia di umidità gli bagnava la camicia sulla schiena, il sudore freddo lo faceva sentire appiccicoso e sporco, il battito cardiaco gli rimbombava nelle orecchie, insieme ai passi strascicati e al respiro rantolante, rauco di fumo, del bastardo.
Dean esitò un istante.
Il figlio di puttana, però, inciampò su una delle bottiglie vuote sparse sul pavimento. Cadde a quattro zampe sui cocci di vetro e grugnì di dolore come il maiale che era. Rimase con il culo in aria per un po’, piagnucolando e ansimando in cerca d’aria. Si alzò a fatica, con una mano si teneva i pantaloni per non rimanere in mutande. Ondeggiò pericolosamente sulle gambe molli, afferrò la prima bottiglia a portata di mano e ingurgitò il contenuto tutto in una volta. L’odioso sgrunf sgrunf da vecchio lardoso asmatico faceva da sottofondo e la puzza di alcol stantio arrivava a zaffate.
Il conato di vomito che minacciò di risalire l’esofago spazzò via qualsiasi esitazione.
Dean si morse la lingua a sangue per non sputare addosso al bastardo tutto lo schifo che gli faceva. Invece gli si avvicinò di soppiatto, rimanendo alle sue spalle: il figlio di puttana era troppo ubriaco per accorgersi di qualcosa che non fosse la birra che gli colava sul mento. Nel frattempo, la spranga bruciava sotto le dita e quando Dean la sollevò sopra la testa del bastardo con mani formicolanti, si rese conto che non era affatto pesante come aveva creduto prima.
Davanti a sé, adesso, Dean vedeva soltanto lo sguardo risoluto di Janine.
Ammazzalo, è quello che si merita. Se mi ami davvero, fallo fuori!
Quando il primo schizzo di sangue lo colpì sulla faccia, Dean scoppiò in lacrime.
«Ti amo da impazzire, Janine».


Dean si chiuse la porta di casa alle spalle e sospirò, esausto. Le gambe e le braccia gli facevano un male cane, se le sentiva più lunghe di dieci centimetri. Trascinare la carcassa di quel fottuto vecchio lardoso fino alla rampa delle scale e farla ruzzolare di sotto era stato maledettamente faticoso.
Grassone del cazzo!
La polizia non si sarebbe lasciata infinocchiare a lungo dalla stronzata dell’ubriacone che inciampa e cade dalle scale, Dean ne era certo, ma almeno aveva guadagnato qualche ora di vantaggio per scappare.
Scambiò uno sguardo di intesa con Joker, che dalla parete di fronte sghignazzava contento e sembrava dirgli “Ben fatto, Zucchina!”, e poi si trascinò fino al bagno: prima di levare le tende, aveva bisogno di darsi una ripulita.
E fu proprio aprendo il soffietto della doccia, che la disperazione tornò a sgorgare a fiotti dal suo petto, rischiando di strozzarlo e lasciarlo a terra agonizzante. Perché, lì, intorno al buco di scarico, c’erano delle macchie di sangue.
Sangue vecchio e rattrappito.
Entrò nel box doccia ancora con i vestiti luridi addosso, stando attento a non calpestare quella preziosa reliquia. Si lasciò cadere, ignorando la fitta alle ginocchia, e si raggomitolò su se stesso come un cane randagio, gli occhi fissi sulle macchie rossastre che adesso vedeva sfumate e tremolanti. Stava piangendo come una stupida femminuccia, cazzo.
Con l’indice accarezzò le macchie più larghe, le sentì ruvide e secche sotto il polpastrello. Portò la punta del dito alla bocca e avvertì sulla lingua l’ombra del retrogusto ferroso del sangue.
Del sangue di Janine.
L’ultima traccia che lei aveva lasciato in quella casa.
La mattina dell’incidente, prima di andare a lavoro, Janine aveva fatto una doccia veloce. Quando Dean l’aveva vista nuda, tutta bagnata, i capelli appiccicati al viso, le guancie arrossate, i capezzoli dritti a contatto con l’aria fredda, gli era venuto duro in due secondi. Ovviamente Dean aveva cercato di scoparsela e ovviamente Janine aveva fatto resistenza. E ovviamente lui l’aveva schiaffeggiata così forte, da farle sbattere la fronte contro le margheritine azzurre delle piastrelle.
Dean sollevò di poco lo sguardo.
Sì, ecco. Proprio sopra la sua testa, accanto alla mensolina degli shampoo, l’azzurro delle margheritine si era trasformato in un viola smorto e il bianco delle piastrelle in un rosa carne.
Alla fine avevano fatto l’amore contro il lavandino, dopo che Dean le aveva medicato la ferita e tolto il sangue dal viso con un asciugamano inumidito.
Dove aveva messo l’asciugamano? Nella cesta dei panni da lavare, probabilmente.
Poi Janine era uscita di corsa, in ritardo per il lavoro. Quello stesso pomeriggio era morta.
Dean si strofinò la manica della camicia sugli occhi per asciugare le lacrime e sentì la puzza di alcol stantio che il figlio di puttana gli aveva lasciato sui vestiti. Scattò in piedi, come un cane rabbioso, e senza più preoccuparsi di non calpestare il sangue di Janine, si strappò gli indumenti di dosso. L’impulso di qualche giorno prima, quello di scorticarsi la pelle con un rasoio smussato, era tornato con prepotenza. Se avesse avuto a disposizione della carta vetrata, l’avrebbe usata molto volentieri.
Aprì l’acqua calda, fece per afferrare il flacone del bagno schiuma, ma si bloccò con la mano a mezz’aria, quando vide lo shampoo preferito di Janine, quello che la faceva profumare di vaniglia e agrumi. Dio, quanto gli piaceva affondare il naso nei capelli di Janine e inspirare a pieni polmoni il suo odore!
Si svuotò il flacone dello shampoo sulla testa.
Mentre si lavava meticolosamente, avvolto dal vapore caldo e dal profumo di Janine, e lo shampoo gli faceva lacrimare gli occhi, Dean guardò la schiuma colorarsi di un rosso sbiadito e venire risucchiata giù per lo scarico.
«Addio, Zucchina. Mi mancherai tantissimo».







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Note autore:
In principio questa storia era una fanfiction. Essendo state vietate le fanfiction sull’opera di riferimento da poche settimane, l’ho trasformata in un racconto originale apportando le dovute modifiche.
Il riferimento al Joker è per veri nerd: Joker ha una complice/compagna/fidanzata/moglie di nome Harley Quinn, che chiama affettuosamente Zucchina. Il rapporto malato che lega Dean e Janine mi ha fatto pensare a quello instauratosi tra Joker e la sua Harley. Così ho inserito il poster del Joker e il soprannome di Harley. Molto *ammic ammic*, lo so.
Ringrazio come sempre Dragana, beta insostituibile, che mi sopporta e mi sprona sempre.
A presto, vannagio
   
 
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