Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: mary_cyrus    04/11/2012    3 recensioni
Robert e Annabelle sono amici fin dall'infanzia, si adorano come fratelli. Ma, ad un certo punto della loro amicizia, Robert sente di provare qualcosa di più per Annabelle, e vorrebbe disperatamente confessarglielo. Ogni occasione, però, sembra persa. Finchè Robert non realizza che ormai non gli rimane più molto tempo: Annabelle, infatti, è affetta da una malattia molto grave e il destino potrebbe separarli a breve. Voglio ringraziare mio fratello, senza il quale non avrei mai realizzato questa storia in quanto è stato lui a chiedermi di creare una fanfic dedicata a lui (infatti si chiama Roberto) Grazie!!! Spero ti piaccia!!! =)
...Dal testo...
"Se qualcuno, senza conoscerla, l’avesse vista, avrebbe affermato che Annabelle fosse una ragazza piena di vita, in salute e ben nutrita. Ma oltre le apparenze si celava un’orribile realtà. Annabelle era malata. Era affetta da uno di quei mali definiti ‘del diavolo’, poiché non esisteva cura per essi. Annabelle, la mia Annabelle, era malata di cancro"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“Bella…da morire.”

 

 

 

 

 

15 Giugno 1865

 

 

La osservo correre a perdifiato tra i verdi steli del prato, odo il suo sorriso, così puro e fresco e pieno di vita. Si volta giusto un attimo per capire il motivo per il quale sono rimasto indietro. “Dai Rob! Sbrigati!” e prosegue fino a raggiungere l’altopiano sotto il maestoso ciliegio. Il nostro altopiano. Continuo a camminare ma non riesco a staccare gli occhi da lei, da quella creatura così perfetta, tanto che potrebbe essere scambiata per una dea, una bellezza immortale che durerà in eterno. La pelle candida, un viso quasi di porcellana cosparso da mille lentiggini; gli occhi nocciola, alla luce del sole sembrano possedere delle lame color miele, paiono sorridere dolcemente a chi li osserva; il nasino leggermente all’insù e la bocca carnosa color ciliegia. Sì, lei e quel secolare albero verso il quale ci stiamo recando potevano dirsi appartenere alla stessa famiglia: entrambi silenziosamente splendenti ma allo stesso tempo fragili. E poi i suoi capelli! Credo non esista anima viva su questa Terra a possederne di uguali. Rosso mogano, ma cosparsi di riflessi dorati, leggermente ondulati. E proprio sopra la sua arcata sopraccigliare si poteva notare una frangetta sbarazzina. Non vi era alcun dubbio: Annabelle era la creatura più bella che avessi mai incontrato.

 

Eravamo amici fin dall’infanzia, le nostre madri si erano conosciute tra i banchi di scuola, così come accadde per i nostri padri. Abitavamo in un piccolo paese di campagna, la gente si conosceva tutta fra di loro e si respirava un clima sereno. Rammento ancora un viaggio che feci con mio padre in città per vendere alcuni manufatti che aveva lui stesso realizzato: un luogo caotico e frenetico, intossicato da dense nubi di fumo nero. Decisamente era migliore la campagna. Comunque sia, questa è un’altra storia. Adesso voglio parlare solo di lei, perché un giorno la nostra amicizia finì. O meglio, la mia nei suoi confronti. Ebbene sì, dal momento che quel sentimento tanto bello che possediamo in noi fin da bambini si è evoluto in qualcosa di più grande: era diventato amore. Un amore segreto, però. Non avevo mai avuto il coraggio di confessarlo ad Annabelle. Dopotutto, lei mi vedeva solo come un amico. Quindi, da molti anni fino a questa parte, ho conservato solo nel mio cuore tutte queste sensazioni che provavo nei suoi confronti. Ma oggi mi ero proposto di confessarle cosa provavo per lei, senza alcun timore della sua reazione. Probabilmente, conoscendola, avrebbe esordito con una risata aggraziata, accompagnata da una candida mano volta a coprire il gesto, così da non sembrare sguaiata, atteggiamento che per nulla si addiceva ad una signorina bene educata quale era.

 

“Robert!” Annabelle mi ridesta dai pensieri in cui mi sono perso. “Sono qui!” levo in aria un mano e le faccio cenno. La brezza estiva le fa ondeggiare leggermente la gonna del vestito, creando tante piccole pieghe. Indossa un abito blu a pois bianchi lungo fino al ginocchio, con le maniche a sbruffo ed un colletto rotondo. La parte superiore dei capelli è raccolta in una mezza coda, fermata da una nastro bianco, le cui estremità si mescolano al suo colore rosso naturale. Resto di nuovo senza fiato, incantato per la sua bellezza sconvolgente. “Non è un luogo meraviglioso?” mi domanda Bella. Sì, ‘Bella’ era il soprannome che le avevo dato quando ci eravamo incontrati per la prima volta, poiché Annabelle, per quanto fosse splendido, era troppo lungo. E poi, Bella era decisamente bella. Si avvicina a me con grazia e prende le mie mani nelle sue “Ed è solo nostro”. Avevamo scoperto quel posto lo scorso inverno, e da quel momento era diventato esclusivamente nostro. “Voglio mostrarti una cosa!” prosegue lei con entusiasmo. Corre verso la borsa a tracolla di cuoio che giace sotto il ciliegio, simbolo inconfondibile del nostro posto segreto. Con cura, sfila da essa un paio di candide scarpette bianche per la danza. Si sfila di dosso le eleganti calzature di vernice blu che indossa in quel momento, seguite dalle calzette di pizzo. Lega accuratamente le fettucce della scarpetta alla sua caviglia, prima destra e poi sinistra. “Ti mostrerò i nuovi passi di danza che stiamo preparando per il saggio di Natale” mi accomodo appoggiando la schiena al tronco e osservo Bella posizionarsi a pochi centimetri da me, concentratissima sui passi. Oltre ad essere splendida aveva anche un grandissimo talento per la danza classica. La sua famiglia non era ricca, ma avevano comunque fatto i salti mortali per poterla iscrivere al corso. Aveva cominciato a quattro anni e da quel giorno non aveva mai più smesso. Con una tale eleganza da far invidia ad una principessa, inizia a volteggiare sul prato, libera come se stesse danzando in cielo, librata nell’aria tersa. Essendo ignorante del gergo tecnico, non saprei dire con precisione quale tipo di passi stia facendo, so solo che è bravissima, eccezionale; è snodata in maniera impressionante e quando salta per poi atterrare sulle punte, temo sempre che prenda una storta alla caviglia. Invece no, quasi come se non se ne accorga, riprende da quel punto per poi continuare il balletto. Ad un tratto noto come le sue scarpette da bianche immacolate siano diventate verdi e marroni “Bella, ti stai sporcando le scarpe!” urlo. “Tranquillo” mi risponde senza smettere di ballare “Mamma mi ha promesso che per il mio compleanno me ne regalerà un paio nuove!” Sembra così felice, spensierata, come se nulla potesse turbarla. E invece non è così. Se qualcuno, senza conoscerla, l’avesse vista, avrebbe affermato che Annabelle fosse una ragazza piena di vita, in salute e ben nutrita. Ma oltre le apparenze si celava un’orribile realtà. Annabelle era malata. Era affetta da uno di quei mali definiti ‘del diavolo’, poiché non esisteva cura per essi. Annabelle, la mia Annabelle, era malata di cancro. Le era stato diagnosticato questa primavera dal medico di famiglia, che l’aveva visitata in seguito ad una febbre alta che aveva contratto. Avrebbe dovuto essere disperata, non riuscire a dormire la notte, avrebbe potuto cercare di uccidersi prima del tempo. E invece no. Bella continuava imperterrita a ballare, a scherzare, a fare tutto ciò che una ragazza di quattordici anni faceva. E a sorridere. Nonostante tutto aveva la forza di sorridere. Essendo il suo amico più intimo, solo io e i suoi famigliari sapevamo della malattia. Pochi mesi. Questo era quanto aveva detto il dottore. Ad Annabelle restavano ancora pochi mesi. Ciò equivaleva a dire la nostra ultima estate insieme, l’ultima volta che avremmo visto il ciliegio in fiore. L’ultima volta che avremmo trascorso un pomeriggio qui. Infatti, il giorno seguente, il giorno del suo quindicesimo compleanno, quando avrebbe finalmente ricevuto le tanto desiderate scarpette, Bella sarebbe dovuta partire per tre mesi per alcune cure ‘disperate’ per farla soffrire il meno possibile. Tre lunghi mesi senza di lei. Una sofferenza atroce, oltre a quella della consapevolezza che di lì a poco saremmo stati divisi per sempre. Divisi da qualcosa più grande di noi, divisi da qualcosa che era impossibili fermare. Divisi da un destino che ci odiava quanto aveva odiato le famiglie Montecchi e i Capuleti, straziandole con la perdita dei rispettivi figli. Come oggi sarebbe stato l’ultimo giorno delle vecchie e consunte scarpette di Annabelle, così sarebbe stato anche il nostro ultimo giorno trascorso insieme. Non ho più scelta. O le parlo adesso, o mai più.

 

 

 

3 Novembre 1865

 

Poso una mano sulla fredda pietra bianca. È gelata, ma non la ritraggo. Cerco un contatto, un ultimo disperato appiglio a cui aggrapparmi, perché non voglio lasciarla andare per sempre. Il respiro, affannoso a causa della corsa per giungere qui, crea una nuvoletta nell’aria. Mi sfilo dalla mano anche l’altro guanto, e rimango in piedi a fissare l’iscrizione dorata in rilievo sul marmo candido: “Uno splendido angelo, così come è venuto ad illuminare le nostre vite qui sulla Terra, così ritorna a correre libera negli ampi cieli che ci sovrastano”. Non posso trattenere le lacrime, così un silenzioso cristallo liquido cade sul tumulo nero ai miei piedi, formando una macchiolina più scura che si ingrandisce pian piano. Ormai è tutto finito, ormai se ne è andata. L’amore della mia vita mi ha lasciato per sempre, a soffrire da solo, in silenzio. Mi inginocchio davanti alla sua tomba, noncurante dei pantaloni che si sarebbero sporcati. Non me ne importa niente. L’unica cosa di cui davvero mi importava era lei e non c’è più. Inutile gridare, disperarsi, piangere. Tutto finito. Solo il dolore rimarrà per sempre. Il pensiero di non poterla più abbracciare, guardare, sfiorare. Il fatto che lei non potrà più ridere, scherzare, ballare. Un mese. Sarebbe bastato solo un altro mese e Annabelle avrebbe potuto esibirsi nello spettacolo per cui aveva faticato tanto. È ingiusto. La vita è ingiusta! Un impeto di rabbia mi porta a scagliarmi contro il vaso di fiori posto sulla tomba. Lo raccolgo e non posso fare a meno di accennare un piccolo sorriso. Girasoli. Era il suo fiore preferito. Sosteneva che fosse il più bello del mondo, poiché aveva costantemente bisogno della luce del sole. Proprio come lei, sempre allegra e solare. Avevo impiegato parecchio per trovare dei girasoli in pieno Novembre. Ma non potevo deluderla, Bella avrebbe adorato tenerli fra le dita. Ripenso a quel giorno, cinque mesi fa, sotto il ciliegio. Avrei dovuto dirglielo, avrei dovuto confessarle i miei sentimenti. Ormai è tutto inutile, non lo saprà mai. Alzo lo sguardo e noto una piccola cornice con la sua foto. Era stata provvisoriamente sistemata sul cumulo di terra perché dovevano ancora terminare la tomba, poi sarebbe stata spostata su una mensolina di marmo, luogo più consono per conservare la sua memoria. La prendo tra le mani e la osservo: il suo sorriso è meraviglioso, la posa, anche se a mezzo busto, così aggraziata. Indossava lo stesso vestito blu a pois bianchi di quel giorno. Ero stato io stesso, infatti, a scattarle quella foto, un ultimo ricordo prima della sua partenza. So che ormai è tardi, che è inutile, ma spero comunque che, in un modo o nell’altro, Bella possa saperlo. Estraggo dalla tasca posteriore dei miei pantaloni una busta di carta. La poso accanto alla foto, attento che una piccola brezza di vento non possa portarla via. Una lettera. Una lettera che mi porto appresso da parecchio tempo. Una lettera che non ho mai avuto il coraggio di consegnarle.

 

“Cara Annabelle,

il tempo ci ha resi ormai più uniti di due fratelli. Non rimpiango un singolo momento passato al tuo fianco, non dimentico neanche una risata fatta assieme a te. Che bei momenti  abbiamo trascorso! Quello che sto per dirti, tuttavia, potrebbe rovinare ogni cosa, irrimediabilmente, per sempre. Ormai non siamo più bambini, sperimentiamo ogni giorno qualcosa di nuovo, ed io l’ho sempre fatto al tuo fianco. Vuoi sapere cosa ho scoperto? Ebbene sappi che ho scoperto di volerti un bene smisurato, che darei la vita per te. Non riesco più a vederti solo come un’amica, i miei sentimenti nei tuoi confronti sono cresciuti. Io ti amo, Bella, ti amo con tutto il cuore. So che probabilmente questo ti sorprenderà, che forse non ci avevi mai pensato, ma è così, e non posso fare niente per cambiarlo. Se, però, per te non è la stessa cosa dimmelo subito, e non roviniamo questa splendida amicizia. Se accadesse, questo mi ucciderebbe. Lasciamoci tutto alle spalle e continuiamo serenamente le nostre vite.

Attendo una tua risposa, Robert.”

 

Questo era quanto avevo scritto prima della sua morte, prima di sapere che l’avrei persa per sempre, prima di essere conscio del fatto che non l’avrei mai più rivista. Quindi, la sera stessa in cui seppi della sua morte, aprii di nuovo la busta, estrassi la lettera e feci alcune aggiunte.

 

“P.S: Da oggi sono consapevole che tu non potrai mai più leggere quanto avevo scritto per te, i miei sentimenti rimasti muti ma assordanti in fondo al mio cuore. Ora attendo in silenzio solo il giorno che potrò incontrarti nuovamente, quando la stessa morte che ci ha divisi ci ricongiungerà. Solo allora potrò tornare ad essere felice, ad ammirare nuovamente il tuo sorriso contagioso, che fa svanire ogni tristezza ed ogni paura. Aspetterò qui, davanti alla tua tomba, che venga anche il mio giorno, lo desidero con ogni mia forza, con tutto me stesso. Perché solamente tu sei la mia felicità, solo tu completi la mia vita. Ricordi la promessa che ci eravamo fatti da piccoli? <<Non importa cosa ci riserverà il futuro, non importa se le nostre strade si divideranno. Noi saremo insieme per sempre. Comunque.>> Io non l’ho dimenticato, Bella, e so che neanche tu lo hai fatto. Quando potrò finalmente abbracciarti di nuovo, saprò con certezza che tu avrai letto questa lettera e potrò allora conoscere il tanto atteso responso alla mia domanda. Se sarà destino amarci, Bella, ci ameremo. Non importa dove, non importa se in un altro universo o in un’altra vita. Lo faremo. Te lo prometto.”

 

La sapevo a memoria, non sarebbe stato necessario farne una copia per conservarla. Mi alzo nuovamente in piedi e fisso per l’ultima volta la mia Bella: il ritratto, i fiori e la lettera. Metto le mani nella tasche del cappotto, sono diventate di ghiaccio. Sorrido a ciò che sta di fronte a me e, in un sussurro quasi impercettibile, dico <<Ciao Bella, ci vediamo domani>>. Volto le spalle alla tomba e, affondando le scarpe nel terreno umido, faccio ritorno a casa, pensando che non vi avrei trovato né la sua allegria nè il suo sorriso ad accogliermi.

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: mary_cyrus