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Autore: secretdiary    05/11/2012    1 recensioni
One Shot vincitrice del contest di scrittura Marauders indetto dal Planet Hell - G. Worlds Forum.
Il racconto descrive le motivazioni che hanno spinto il sedicenne Sirius Black ad abbandonare Grimmauld Place per cercare rifugio a casa Potter.
Le sue riflessioni e il raggiungimento della consapevolezza che il calore di una famiglia non necessariamente viene offerto dai genitori.
Spero che vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Piccola annotazione prima di iniziare:
Cari lettori, innanzitutto vi ringrazio per aver aperto questa storia e per aver scelto di spendere un po' del vostro tempo per leggerla.
Vi rubo solo un paio di righe prima di lasciarvi al racconto: è finalmente uscito il mio primo romanzo.
Ora, finalmente, sono un'autrice pubblicata.
Se amate le storie fantasy, nel campo destinato al mio profilo, trovate tutte le informazioni relative al romanzo.

Grazie per l'attenzione ;)
Buona lettura!!
Bisous *-*

il calore di una famiglia

 

Sirius sbatté con violenza la porta della sua camera a Grimmauld Place.

Essa vibrò per parecchi istanti, come se da un momento all'altro avrebbe potuto infrangersi in mille pezzi, nonostante il pesante legno d'ebano con cui era stata costruita.

Il giovane con un salto fu sul suo letto morbido, rivestito con pesanti coperte verde scuro.

I capelli corvini e ribelli del mago si confondevano con la fodera altrettanto nera del cuscino.

Con uno sguardo disgustato, Sirius si accorse che Kreacher aveva sostituito le sue coperte dai colori di Grifondoro con quelle così orribilmente in stile Black.

Solo quando i suoi occhi grigi si posarono sui poster immobili che tappezzavano la sua camera, un sorriso sornione dissipò la precedente espressione esasperata.

L'incantesimo che aveva apposto su quei simboli tanto sfacciatamente babbani si era rivelato più resistente della tenacia di sua madre, ed ecco che ragazze mezze nude si inframezzavano a fotografie di motociclette che di magico non possedevano nulla.

Quelle pareti rappresentavano una sfida, l'ennesima sfida contro la sua famiglia, contro il suo stesso sangue, ma Sirius non aveva mai dubitato della propria scelta.

Era sicuro delle proprie convinzioni, insite nel suo animo da sempre, ma maturate dopo aver conosciuto James, Remus e Peter.

Il razzismo dei Purosangue era disgustoso, insensato, folle.

Era impossibile pensare che in quegli anni di ribellione, sia Babbana che non, delle famiglie restassero tanto radicate a simili bigotte tradizioni, a superstizioni sciocche e sconclusionate.

Dopotutto era il 1976, i Babbani avevano avuto Woodstock, il movimento hippie, era stato sfatato il tabù del sesso, della rigidità, del conservatorismo, era nato il rock, il punk e la comunità magica cosa faceva?

Disprezzava i Mezzosangue.

Era rimasta all'epoca di Salazar Serpeverde; tutto era immutato.

Nessun progresso, nessun miglioramento era sopravvenuto nella sua famiglia.

Se un Black non seguiva la tradizione, veniva immediatamente diseredato, tagliato fuori in perfetto stile Serpeverde.

Non c'era spazio per il dialogo, per la rivoluzione.

Il lato destro della bocca del giovane si arricciò in un sorriso beffardo.

Lui aveva portato la rivoluzione dai Black.

Era sempre stato un ribelle, una testa calda, non come suo fratello, il perfetto Regulus.

Il buon vecchio Reg sapeva sempre cosa fare per far indossare ai suoi genitori la maschera d'orgoglio che sembrava sparire ogni volta che nel loro campo visivo entrava Sirius.

Il buon vecchio Reg non dava dispiacere ai suoi genitori e non accorciava loro la vita, come invece Walburga era solita ripetere al figlio maggiore.

«Perché non puoi essere come Regulus?».

Quella voce acuta, sgraziata, perforava le orecchie del giovane mago, echeggiando per le pareti della sua mente, ripetendosi all'infinito, fino a snervarlo.

Sirius strinse le palpebre che gettarono oscurità sui suoi occhi grigi, ma quel gesto non servì ad allontanare il tono di disapprovazione che i suoi ricordi gli rammentavano.

Egli afferrò il morbido cuscino e lo portò sul volto, a formare una sorta di turbante, coprendo anche le orecchie, sperando così di far tacere sua madre.

In realtà la voce della donna non era reale e tappare il condotto uditivo non serviva a nulla.

Quelle parole risuonavano solamente nella sua testa, rievocate dall'ultimo litigio.

In realtà il tema del suo disaccordo con i suoi genitori non era nuovo, anzi, era sempre il medesimo: i Mezzosangue e l'animo Grifondoro di Sirius.

Il giovane non riusciva a capire per quale ragione continuassero a soffrire per la stessa questione.

Dopotutto era un Grifondoro, lo sarebbe sempre stato e certamente non avrebbe mutato le proprie opinioni ed i propri ideali per il quieto vivere.

Allora perché i suoi genitori continuavano a non capire?

Perché continuavano ad ostinarsi a volerlo cambiare, quando nessuno tranne egli stesso poteva mutare il suo stesso animo?

Che senso aveva continuare a soffrire, continuare ad offendersi, ad insultarsi, sempre per lo stesso motivo?

Perché non potevano accettarlo?

A quella parola lo stomaco di Sirius si strinse, provocandogli un conato.

Accettarlo.

Era così difficile?

Perché non veniva compreso ed amato per ciò che era?

Per quanto egli si ostinasse a ripetere che non gli importava nulla dei Black, che aveva i Malandrini e che bastavano loro, sapeva che in parte tali convinzioni non corrispondevano a realtà.

I Black erano la sua famiglia.

Poteva ignorare le sue cugine Bellatrix e Narcissa, ma sicuramente non poteva cancellare Walburga e Orion.

E nemmeno Reg.

Erano i suoi genitori, era suo fratello.

Come poteva voltar loro le spalle?

Una lacrima tonda e luminosa si fece largo tra le folte ciglia scure e accarezzò la sua guancia, poi la sua mascella scolpita, che preannunciava l'aspetto mascolino che avrebbe adottato in futuro.

Con un gesto nervoso, Sirius la asciugò, impedendosi di piangere.

Cosa gli stava capitando?

Non avrebbe pianto per loro.

Non avrebbe pianto per sua madre, né per suo padre.

Loro non sprecavano lacrime per lui, pertanto, perché egli doveva?

La risposta era così ovvia al suo cuore: perché, in fondo, egli li amava.

Perché nonostante le parole, l'autoconvincimento, le battute sarcastiche ed ironiche, la verità era che Sirius desiderava, bramava, l'affetto di una famiglia.

Anche se questi lo detestavano, anche se lo ripudiavano ogni volta che incrementava con la sua intelligenza i successi dei Grifondoro.

Anche se i suoi genitori faticavano a guardarlo negli occhi senza palesare il disprezzo e il disappunto che nutrivano nei suoi confronti.

Il labbro inferiore, pieno e tornito, della sua bocca cominciò a tremare convulsamente, preannunciando un pianto che Sirius cercava con tutte le sue forze di reprimere.

Era diviso, la sua anima era divisa tra i propri ideali ed il desiderio di un comune adolescente di avere un luogo ove sentirsi a casa, dove sentirsi amato.

Detestava le convinzioni della sua famiglia, detestava il loro razzismo, i loro ideali assurdi e bigotti, ma non poteva fare a meno di pensare a come sarebbe stata la sua vita se si fosse adeguato.

Avrebbe conosciuto il calore di un abbraccio, di una carezza.

Sbuffando liberò il volto dal cuscino che schiacciava le sue orecchie.

Avvertì l'aria fresca accarezzargli il viso.

I suoi occhi esaminarono il soffitto scuro, con chiazze di umidità che gli conferivano una bizzarra texture a pois.

Per quanto fuori luogo, inappropriato a ciò che stava provando, Sirius non poté fare a meno di pensare che Kreacher non stesse facendo un buon lavoro, almeno non con le faccende di casa.

Odiava quell'elfo domestico, sempre pronto a fare la spia, a rivelare ai suoi genitori i suoi segreti.

Il giovane si voltò su un fianco, avvertendo il morbido materasso sotto il suo corpo adattarsi alla nuova posizione adottata.

Il suo campo visivo fu invaso dalla fotografia che ritraeva quattro adolescenti sorridenti.

Istintivamente la bocca di Sirius si sollevò verso l'alto.

Peter, Remus e James lo guardavano e ridevano allegri.

Quanto gli mancavano i suoi amici.

Detestava tornare a Grimmauld Place per le vacanze estive, ma d'altro canto non poteva restare sempre ad Hogwarts.

Quello era l'unico aspetto che condivideva con Mocciosus: entrambi consideravano Hogwarts casa loro, forse più di tutti gli altri studenti.

Ad Hogwarts potevano essere loro stessi, potevano rivelare ciò che erano davvero, senza limiti, senza imposizioni, senza giudizi, senza rimproveri.

Ad Hogwarts era ammirato, era popolare, era rispettato.

A casa veniva insultato, disprezzato.

Sirius ripensò alle sue considerazioni precedenti, ripensò al calore offerto incondizionatamente, senza chiedere nulla in cambio, dei Malandrini.

Forse si era sbagliato.

Forse ciò che egli si aspettava dalla sua famiglia gli veniva offerto dai suoi amici.

Forse loro potevano davvero sopperire alla sua mancanza.

Certo, James non gli avrebbe mai preparato un brodo di pollo se fosse stato malato, ma a quell'esigenza ci avrebbe pensato Remus, ne era certo.

Forse non aveva ancora compreso, sinora, sino a quell'ultimo, spossante litigio con i suoi genitori, cosa si aspettasse davvero e cosa realmente aveva.

Tutto ciò che aveva cercato rispondeva semplicemente ad un altro nome.

Sirius avvertì le pulsazioni del suo cuore aumentare, come un tamburo che rullava all'impazzata.

Le sue labbra si dischiusero, mostrando dei perfetti denti bianchi, resi ancora più luminosi da quel sorriso che dissipava totalmente la malinconia di quegli attimi precedenti.

Ora sapeva cosa doveva fare.

Quella decisione era così definitiva, eppure l'unica possibile.

Avrebbe chiuso definitivamente le porte di Grimmauld Place, ma ora Sirius aveva compreso la verità.

Egli pretendeva che la sua famiglia lo accettasse, ma egli era il primo a non accettare loro.

Allora che senso aveva perpetrare a farsi del male?

Un detto babbano recitava: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

E probabilmente niente era più vero.

Forse Sirius Black era nato nella famiglia sbagliata.

Forse al San Mungo c'era stato uno scambio di bambini nella culla.

Forse.

Ciò che però era terribilmente vero era che non avrebbe più potuto continuare a vivere lì, con i Black.

Saltò giù dal letto con rinnovata energia.

La sua vita ora sarebbe stata perfetta.

Con un colpo di spugna avrebbe cancellato i litigi, le discussioni, si sarebbe limitato a ricordare le divergenze, e proprio a causa di quelle divergenze se ne sarebbe andato.

Prese il baule che portava ad Hogwarts.

Esso conteneva tutto il necessario per la sua sopravvivenza, non aveva bisogno di altro.

Salì sul piccolo davanzale della sua finestra aperta che lasciava entrare l'aria calda di una sera di luglio e si voltò un'ultima volta verso la sua camera da letto.

Con un ghigno beffardo sfoderò la sua bacchetta e rinforzò l'incantesimo di Adesione Permanente sui poster.

Far levitare il baule per impedirgli di fracassarsi sull'asfalto nero fu semplice, anche se era Remus il migliore in Incantesimi.

Sirius rammentava perfettamente quante volte, durante il loro primo anno di Hogwarts, Remus aveva ripetuto a Peter, senza mai stancarsi, la giusta pronuncia dell'incanto.

Sembrava che Codaliscia avesse non poche difficoltà nel declamare l'ultima parola, ma fortunatamente, prima che il sole fosse sorto il giorno dell'esame, era riuscito a far levitare James (anche se il suo obiettivo era il libro di Storia della Magia posto accanto all'amico).

Comunque, nemmeno Ramoso si era lamentato; dopotutto, Peter era riuscito a sollevare qualcosa (o meglio, qualcuno) dopo mesi di tentativi andati a vuoto, non aveva senso puntualizzare.

 

Sirius guardò le strade di Londra scorrere rapidamente davanti ai suoi occhi.

Il Nottetempo lo aveva raggiunto dopo soli quattro secondi da quando lo aveva chiamato, il che era un vero record anche per Ernie.

Quando il bigliettaio gli aveva chiesto dove fosse diretto, Sirius era rimasto in silenzio per qualche istante.

Era diviso tra il desiderio di vedere James, di raccontargli cosa fosse accaduto, a quale decisiva decisione era giunto, ma d'altro canto non voleva piombargli in casa, con tanto di valigie, senza nemmeno avvisarlo.

Mentre rifletteva, aveva infilato una mano nella tasca dei jeans babbani acquistati a Soho l'anno prima, assieme a Remus che aveva decisamente più familiarità con i Non-Maghi.

Le sue dita avevano sfiorato una piccola chiave di metallo, fredda.

Sorridendo Sirius aveva abbandonato i suoi dubbi, rivelando la sua destinazione.

 

Le sue nocche bussarono alla porta di una villetta coloniale, con tanto di giardino avvolto da un recinto bianco.

Godric's Hollow era sempre stato un paese tranquillo, abitato sia da Babbani che da Maghi.

James aveva sempre ripetuto che l'assenza di divertimenti lo annoiava terribilmente e gli faceva rimpiangere i Serpeverde.

Almeno con loro come vittime le giornate trascorrevano più rapidamente.

Sirius sorrise a quel ricordo e tale espressione rimase impressa sul suo volto anche mentre qualcuno apriva la porta.

Era proprio James.

L'amico guardò il giovane Black da capo a piedi; i suoi occhi successivamente sostarono sul baule per qualche attimo, dopodiché tornarono su quelli di Sirius.

Trascorsero pochi istanti, in silenzio, dopodiché James diede in una fresca risata.

«Era ora!

Mi domandavo quando ti saresti deciso ad andartene da quel campo di concentramento!» esclamò sorridendo e assestando sonore pacche sulla spalla di Sirius che dovette abbassarsi sotto il peso dell'indiscutibile forza del Cercatore.

Dopotutto gli allenamenti di Quidditch erano serviti a qualcosa.

Sirius sgranò gli occhi, confuso, sebbene il suo volto specchiava l'allegria contagiosa dell'amico.

«Non sei sorpreso?» domandò.

«Affatto! Sono anni che la camera degli ospiti ti aspetta!» replicò James chinandosi per raccogliere il pesante baule che spinse con malagrazia all'interno del corridoio. «Mi casa es tu casa, si dice così, no?».

Sirius avvertì lacrime di riconoscenza riempirgli gli occhi, ma si costrinse a non mostrare a James la propria debolezza, così, chinando il capo fingendo di sistemare il baule, attese che quegli attimi di commozione terminassero.

Quando risollevò il volto, percepì l'assoluta, intensa, gioia di James di averlo come proprio ospite.

Felpato aprì la bocca per parlare; sapeva che gli doveva qualche spiegazione, doveva dirgli perché proprio ora, doveva chiedergli se gli arrecasse disturbo, doveva ringraziarlo, ma Ramoso lo precedette, scrollando il capo.

«La cena è quasi pronta.

Vai a lavarti le mani, altrimenti chi la sente mia madre?» esclamò.

I suoi occhi parlarono per lui.

I suoi occhi gli dicevano che non erano necessarie frasi di circostanza.

Proprio come quando, durante le festività natalizie dell'anno precedente, gli aveva regalato una copia della chiave di casa per fargli comprendere che era sempre benvoluto dai Potter.

Per fargli comprendere che erano amici, che erano la sua famiglia.

   
 
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