Storie originali > Thriller
Ricorda la storia  |      
Autore: Martarfv    08/11/2012    3 recensioni
Siamo davvero chi pensiamo di essere?
O meglio siamo davvero ciò che che gli altri credono noi siamo?
Genere: Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tu non ricordi


Intravidi, attraverso le fioche luci dei lampioni e i bagliori tenui della luna, i contorni di un corpo umano in mezzo alla strada.
Era mezzanotte esatta del 23 settembre. Fuori non c’era nessuno, le uniche persone in quella strada così sperduta eravamo io e un altro uomo a pochi passi da me. Non potevo lasciarlo lì, sarebbe morto investito brutalmente da una macchina. Dunque lo presi e lo portai da me.
 
1 ottobre. Il mio uomo si svegliò finalmente dopo un lungo sonno. Fortunatamente il “coma” non durò a lungo. Aveva una chioma rossiccia che contornava il suo volto dai lineamenti molto forti.  Mi colpì subito l’espressione sul volto, pur dormendo la sua bocca si increspava in un sorriso maligno, quasi diabolico. Ma nel generale era molto affascinante. Avrà avuto una quarantina d’anni, ma rimaneva incantevole, senza alcuna imperfezione.
Quando quella mattina si svegliò notai che possedeva dei fantastici occhi azzurro, come il cielo all’alba; lo paragonai subito ad un’antica statua greca, perfetta nelle sue imperfezioni.
Gli posi immediatamente delle bende sopra le sue ferite che con lentezza e cura si restringevano giorno dopo giorno. Preparai anche un po’ di tè caldo. Rimase sveglio per pochi minuti, prima di crollare nuovamente in un sonno profondo.
5 ottobre. Nuovo risveglio. Questa volta il suo volto era più incantevole. Probabilmente aveva riacquisito quasi tutte le sue forze, ma preferii lasciarlo ancora nel mio letto e continuare a dormire nel divano, trascorrendo notti insonni con la schiena scavata da un rialzo tra i cuscini.
Quando rinvenne, dopo aver dormito quattro giorni consecutivi, mi guardò sorpreso, non capendo cosa diavolo ci facesse dentro quella casa sconosciuta. “Buongiorno” gli sorrisi gentilmente, porgendogli un bicchiere di acqua fresca. Rifiutò. Doveva ancora stabilire un minimo di contatto con quella casa e con quell’uomo, io, che aveva di fronte e lo guardava con simpatia.
I bei occhi azzurri scrutavano l’ambiente circostante. Una camera colma di oggetti, strani e mai visti prima di allora. Le pareti erano arancioni, con piccole lucine poste in ogni muro che rendevano l’ambiente più confortevole. Un piccolo letto in mezzo, tanti libri ed oggetti apparentemente inutili erano ammassati in un angolo, rendendo invisibile quella che prima era una scrivania color mogano. Chiunque sarebbe rimasto paralizzato osservando quella stanza. Ma io vivevo comodamente nel mio disordine.
“Piacere sono Riccardo, so che ti starai chiedendo cosa stai facendo in questo dannato posto..” richiamai la sua attenzione, l’essere di fronte a me prese una posizione eretta e cominciò ad ascoltarmi “Bene. Ti ho salvato dopo un tuo svenimento in mezzo ad una strada. Ti ho portato qui, accudito fino al tuo risveglio.” Non parlò. Ancora non era sicuro, in fondo non ricordava nulla, e non poteva dichiararsi del tutto d’accordo con le parole dette pochi secondi fa da me, il suo subconscio da una parte aveva ragione, ma come poteva ricordarsi esattamente i pochi momenti prima del suo svenimento? Ma parve fidarsi e rispose gentilmente “Grazie, scusa per il disagio. Grazie per la tua cordiale ospitalità. Mi chiamo Fabio Cordei. Sono molto stanco, posso dormire un poco?” Lo guardai teneramente, rispettando il suo volere. Lasciai quindi la stanza e mi avviai a passo deciso verso il salone, alla ricerca di un libro che mi avrebbe intrattenuto fino al suo nuovo risveglio.
16.46 del 5 ottobre. Il suo ultimo risposino era finito, si svegliò con gli occhi ancora inumiditi dal lungo sonno. Faticava a tenerli  aperti ed una lieve congiuntivite rendeva l’ambiente intorno a lui molto sfocato. Sentii rumori nella mia stanza e capii che il mio momento era giunto. Pochi passi e lo vidi. Eretto, con il suo corpo così perfetto e incandescente. Volevo accarezzarlo e baciarlo, ma capivo perfettamente che il mio momento ancora non era arrivato. Distolsi la sua attenzione dalla massa di scartoffie presenti accanto a lui “Siediti! Aspetta ti porto qualche vestito, se rimani così prenderai una bella influenza.” Accortosi della mia presenza si girò di scatto, nascondendo la sua nudità con timidezza. Era perfetto. Gli porsi una maglietta bianca, biancheria intima e dei jeans, aspettando fuori la porta mentre lui cominciava a vestirsi, desiderando ardentemente di poter vedere qualcosa, anche un solo braccio. La t-shirt aderiva perfettamente nei suoi addominali scalpiti dopo anni e anni di duro lavoro; si muovevano sinuosamente riempiendo ogni spazio che lo divideva dal contatto con il tessuto. Cotone puro.
Lo guardai con ammirazione, mentre lui ricambiava il mio sguardo con aria pensierosa.
Distolse poco dopo lo sguardo, attendendo con timidezza il mio “risveglio”.
Guardavo il suo corpo così leggiadro, così divino.
“Scusami, mi ero incantato.” Gli sorrisi, accompagnandolo lentamente in ogni stanza, e mostrando a lui ogni oggetto stravagante che possedevo.
Si innamorò del mio pianoforte, posto nel salotto, in disparte dal resto dei mobili. Nel complesso, il legno antico e pregiato non faceva parte dei mobili poco costosi e sicuramente molto instabili, rendendo quell’angolo quasi estraneo nella mia casa.
Era una ricordo di mia nonna, essendoci molto affezionato l’avevo tenuto con me, anche se non aveva mai avuto il piacere di essere suonato dalle mie dita lunghe e affusolate.
Mentre lui si sedette e con naturalezza pigiava su quei tasti bianchi e neri, dando vita ad una melodia che riecheggiava dopo molto tempo fra quelle mura, io lo guardai entusiasta.
Ne rimasi affascinato. Era davvero bravo, ma ricordavo fosse così.
Mi avvicinai lentamente a lui e quasi senza accorgermene gli accarezzai le spalle massaggiandogli la schiena. Si fermò di scatto, interrompendo brutalmente la dolce sinfonia. Si scansò da me e ripose le mani magiche nelle sue tasche.
Era imbarazzato, come giustamente doveva esserlo, ma non ricordava proprio nulla di quella sera…
Da una parte era bene, poiché se l’avesse saputo sarebbe scappato a gambe levate da quella casa maledetta, in fondo era perfetto così. Avrei ricominciato tutto daccapo, lentamente cosicché lui sarebbe rimasto a lungo in casa mia.
19.34 del 5 ottobre. Si avvicinava l’ora di cera e le forza di quel ragazzo si stavano esaurendo.
Preparai una cena perfetta, essendo da sempre un bravo cuoco. Qualunque donna mi avrebbe voluto al suo fianco, ma purtroppo la mia vita mi aveva segnato un futuro ben differente.
Dopo essere stato più di un’ora in cucina per quell’uomo, lo trovai steso sul divano, dormiente in tutta la sua bellezza terrena.
Mi avvicinai lentamente a lui, in modo da poterlo guardare più da vicino e riconoscere in lui qualsiasi particolare o imperfezione. Di quest’ultime non ne possedeva alcuna, mentre aveva una particolare macchia vicino al naso, quasi un ombra perenne e stranamente dopo tutte quelle lunghe osservazioni non ne avevo mai riconosciuto la presenza. Affascinante.
Mi avvicinai ancor di più, cercando un contatto con il naso di quello.
Morbido e fine. A punta, quasi alla francese. Era perfetto.
Cancellai qualsiasi barriera e sprofondai in quelle labbra così morbide e lisce. Dolci come il miele.
Ne assaporai il tutto, schiudendo le labbra e aspettando che lui facesse lo stesso. Purtroppo dormiva e ciò che avrà percepito poteva far parte del suo sogno.
Mi distaccai e molto gentilmente lo destai dal pisolino.
Nuovamente trovò di fronte a sé il mio volto fine dal mento pronunciato, pronto ad accoglierlo una seconda volta nella propria vita.
Ci accomodammo in salotto dove avevo apparecchiato lussuosamente una tavola, anch’essa splendida.
Posate d’acciaio e piatto di porcellana, anch’essi regali della mia nonna defunta.
Egli prese tra le mani quelle posate, credendo forse di averle già viste in passato; probabilmente aveva ragione.
Sul tavolo erano già disposti i diversi viveri e come un animale in gabbia ne prese molto, lasciandomi una piccola porzione. Ne rimasi estasiato, provocando in me un eccitazione improvvisa.
Mangiava come un Dio intento ad assaporare l’ambrosia, vivanda divina.
Finita la cena, in un silenzio quasi fastidioso, ci accomodammo sul divano. Avevo voglia di stringerlo a me, ma ciò ancora non era possibile.
Parlammo molto quella sera, sembrava essersi scordato dei miei impacci dei giorni precedenti, o magari stava cominciando a ricambiare anche lui l’affetto che io stesso provavo.
Sarebbe stato un sogno.
00.00 del 6 ottobre. Ero solito svegliarmi a metà della lunga notte per mangiare qualcosa e svuotare la mia vescica. La sera precedente avevamo chiuso la conversazione con una calorosa buonanotte e le nostre labbra erano molto vicine ad un contatto.
Sperai che spostasse un poco il volto, in modo che potessi nuovamente assaporare il dolce sapore delle sue delicate labbra. Ma mi accontentai di annusare il suo lieve profumo da uomo maturo.
Presi una mela e andai nella stanza di Fabio.
Dormiva come un cucciolo. Mi avvicinai al letto, sedendomi di fronte a lui, osservandolo nella sua naturale bellezza.
Quante volte avevo fatto ciò? Forse centinaia, migliaia…
Era piacevole restare a guardarle per ore, mentre il suo petto si muoveva su e giù ritmicamente. Era un piccolo cucciolo ed ora potevo nuovamente averlo con me.
Sarebbe stata la volta buona. La terza.
Ci saremmo sposati, come sia io che lui avevamo deciso.
Questa volta la sua risposta sarebbe stata positiva; un deciso “sì” avrebbe cambiato ogni cosa in me. Avrei smesso di fare il mio hobby preferito, mi sarei comportato gentilmente e soprattutto non avrei avuto mai più un desiderio perverso nei suoi confronti, in fondo averlo come marito mi avrebbe dato il libero accesso a qualsiasi cosa che adesso sembrava solo un sogno irraggiungibile.
Alle due del mattino tornai nel mio divano, aspettando senza chiuder occhio il suo risveglio.
10.32 del 6 ottobre. Era una giornata ventilata e anche dentro casa con il riscaldamento acceso era impossibile stare a maniche corte.
Quella mattina un’improvvisa fame si era accesa dentro di me. Non mi reputavo un uomo con un fisico invidiabile, quella pancetta non voleva andarsene da tempo. Ma quella mattina, approfittando del cibo che avevo in casa, riuscii a finire un pacco di biscotti al cacao, cosa che solitamente non facevo; quasi per tenere a bada la mia pancia ingombrante.
Ma la fame non riusciva a placarsi e forse in me si stava riaccendendo quel desiderio così sublime, ma allo stesso tempo pericoloso e violento.
La prima volta era accaduto proprio così. Incontratolo per strada quella dannata fame si era appropriata di me e quasi inconsciamente portai via quell’uomo, violentandolo nella casa di mia nonna.
Quante volte aveva visto entrare un uomo e quante volte aveva tenuto la bocca chiusa.
Quante volte aveva cercato di farmi capire, crescere, ma la mia fame era troppo potente, persino per le sue giuste parole. Fortunatamente dopo non molto i suoi consigli smisero di farsi sentire.
Non fu né il primo, né probabilmente l’ultimo.
Ma ero giovane e prendendomi possesso di un uomo più grande di me era inevitabile che qualcosa potesse succedere. Avevo vent’anni, ormai completamente conscio della mia malattia, incurabile sia dai medici che dagli psicologi. “Se hai fame, soddisfa la tua fame” mi diceva sempre mia nonna. Effettivamente alcuni suoi consigli erano stati molto utili, ma ormai la sua vecchiaia si faceva sentire e ormai il rimorso di tutti quegli anni di silenzio stava bollendo dentro di lei. In fondo morire a settant’anni è un grande traguardo, anche se non è stata una cosa del tutto naturale.
I ricordi riaffiorarono dentro di lui, ogni qualvolta quella fame tornava riviveva ogni attimo passato. Aveva cominciato a prendere degli ansiolitici, a fumare e a bere, al fine di placare la sua indomabile fame; nulla riusciva a fermarla, il massimo da fare era rallentare il suo cammino.
Era tornata, più forte che mai.
Fame. Fame. Fame. Fabio. Fabio. Fabio.
Salii le scale, lentamente.
E fu un attimo. La porta si aprì, un enorme boato riempì la mia umile dimora e imponenti uomini mi circondarono.
Ricordo solo che il vuoto prese possesso del mio corpo. Mi svegliai dentro una cella, steso a terra, nudo, mentre un’enorme pozza di sangue si allargava attorno a me.
In fondo quali erano le mie colpe? Avevo preso con me un uomo, probabilmente avrei dovuto avvisare i suoi famigliari, ma non mi sentivo pronto per farlo.
E’ rimasto con me per circa due anni e mezzo e nessuno ha cercato di riprenderselo, pensavo non avesse nessuno. Ora sono venuto a sapere che aveva tre figli e una moglie, una dolcissima famiglia. Ma le dolcezze non erano fatte per me.
Mi hanno accusato di aver abusato del suo corpo; lui era d’accordo, ho provato a convincerli, ma nessuno ha voluto darmi retta.
Sentivo centinaia di occhi gelidi fissi su di me, ma non intendevo il motivo di così tanto furore.
Loro però non sanno che chiudendomi in carcere mi hanno regalato qualcosa di enorme, di fantastico!
Posso avere dieci relazioni in un solo giorno con uomini grossi, grassi e forzuti; certamente non belli quanto il “mio” uomo, ma anche loro con un certo fascino.
Mi cercavano e io li accontentavo.
So già che trascorrerò dieci anni meravigliosi, all’insaputa del giudice e della famiglia di Fabio; all’insaputa di tutti e quando uscirò ricomincerò a vivere il mio tempo perduto.
 
 
Dopo 2 mesi eccomi qua con un'altra storia. Mi rendo conto di essere un pò ballerina; un giorno scrivo una storia d'amore e quello seguente vi propongo un thriller angoscioso.
Passiamo ai fatti: ho partecipato con questa storia al concorso "Afraid Night Lifer", in cui però i risultati non sono mai stati pubblicati (D:)
Vorrei sapere da voi come vi è sembrata la stesura di questo testo, se sono presenti scorrettezze dal punto di vista grammaticale o morfosintattico. Accetto ovviamente ogni critica, sono iscritta per imparare, quindi ogni vostro commento mi sarà d'insegnamento
Un'ultima cosa: so che quando si legge una storia difficilmente si lascia una recensione.. Impersonatevi però nello scrittore che ha comunque "sprecato" tempo per scrivere una storia ed ha di conseguenza piacere nel vedere che qualcuno ha commentato il proprio brano. Non vi costa nulla, dai! mi fa piacere leggere anche un misero "brava" o "fai schifo" per rendermi conto che voi ci siete e che avete letto fino alla fine la storia, anche se la recensione dovesse essere negativa. Recensite, dunque, mi renderete felice :)
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Martarfv