Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: maccioccafrancesca    08/11/2012    4 recensioni
Il bambino si guardò intorno estasiato. Non sapeva perché, ma le stazioni ferroviarie lo affascinavano. Avevano quel non so che di famigliare, nonostante ogni giorno fossero differenti da quello prima. E forse era proprio questo ad affascinarlo tanto, il fatto che ogni volto era diverso dall’altro; non c’erano schemi; era un fluire incessante di volti, odori, sensazioni.
Nulla di più, nulla di meno.
Genere: Generale, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DOVE FERMANO I TRENI

 

Te li cambiano
Gli occhi del bambino
O ti lasciano
Solo
Gli occhiali
Vicino?
[L. Ligabue – Lettere d’amore nel frigo]
 


< Dai, su, che mica abbiamo tutto il giorno!> Il ticchettio dei costosissimi tacchi di Marina scandivano i secondi.
Tutto intorno taceva.
< Abbiamo un sacco di tempo però!> Ribatté il piccolo Luca. Il polso cominciava a dolergli, sua mamma lo stava stringendo convulsamente da ormai diversi minuti; lo stava strattonando qui e là presa da un’insensata paura di poter fare tardi.
< No, non lo abbiamo.> Rispose secca la donna, fulminandolo con lo sguardo.
Imboccarono la prima rampa di scale alla loro sinistra e a quel punto fu il bambino a dover tirare la mamma per il braccio. Evidentemente quelle scarpe altissime che portava ai piedi non erano l’ideale per quei gradini ripidi. Proprio non si capacitava del perché continuasse ad indossarle nonostante, ogni volta, sembrava maledirle in ogni lingua possibile. Eppure ne andava molto fiera, con le sue amiche se ne vantava sempre.
Che si vantasse anche di tutte le vesciche che le provocavano?
Ci misero un’eternità a salire quei pochi gradini e, arrivati alla fine, Luca si ritrovò ancora più confuso di prima nell’udire l’ennesimo elogio della mamma nei confronti di quelle scarpe. < Sono proprio meravigliose, non trovi?> Squittì entusiasta, seppure dal suo volto trasparisse il dolore che le provocavano.
Si chinò a pulire con l’indice una piccola macchia sulla punta del trampolo destro.
Luca nemmeno se ne era accorto che c’era, lei invece l’aveva adocchiata già al terzo gradino.
Il bambino si guardò intorno estasiato. Non sapeva perché, ma le stazioni ferroviarie lo affascinavano. Avevano quel non so che di famigliare, nonostante ogni giorno fossero differenti da quello prima. E forse era proprio questo ad affascinarlo tanto, il fatto che ogni volto era diverso dall’altro; non c’erano schemi; era un fluire incessante di volti, odori, sensazioni.
Nulla di più, nulla di meno.
E poi lì, ogni giorno più o meno alla stessa ora, arrivava il suo papà.
< Detesto questo posto, ogni giorno si fa più sudicio.> La voce scocciata di Marina si fece largo prepotentemente tra i pensieri del piccolo, il quale rispose con una scrollata di spalle.
Se le avesse detto, lei non avrebbe capito.
La donna riprese la mano di suo figlio e ancheggiò verso le panchine. Il ticchettio delle sue meravigliose Gucci erano l’unico rumore udibile oltre al sibilo del vento che lieve smuoveva le cime degli alberi appena fuori dalla stazione.
Ad aspettare c’era già qualcuno, ma a rovinare quel silenzio fatto di mille rumori, pensò Luca, c’erano solo quelle scarpe altissime.
< Vieni, sediamoci.> Disse Marina accennando a quelle panchine poco distanti da loro.
La prima però la sorpassò senza esitazioni.
Era quasi vuota, certo, seduto c’era solo un uomo, mentre gli altri quattro posti erano liberi. Ma lei vicino a quell’uomo non ci si voleva sedere.
Era un barbone? E chi lo sa.
Un avvocato? Oh, può darsi.
Forse un cantante? Uno scrittore? Un attore magari?
Non lo sapeva, non lo poteva sapere, ma lei vicino a uno di colore non ci si voleva sedere.
Mentre andava avanti a passo spedito, gli occhi dritti di fronte a sé per evitare di scontrarli con quelli dello sconosciuto, il bambino cercò di attirare la sua attenzione, strattonandole il braccio per cui lo teneva, per mostrarle che lì dei posti liberi c’erano.
Lei non volle sentire ragioni. Anzi strinse di più la mano del figlio, senza nemmeno rallentare.
Lui indicò con il dito i posti a sedere, ma niente.
L’uomo gli sorrise, lui ricambiò e agitò la mano in segno di saluto.
Chissà se anche lui era alla stazione per aspettare qualcuno. Magari anche il suo papà sarebbe tornato con il prossimo treno o magari il prossimo treno lo avrebbe preso lui per andare a trovare qualche amico.
Chissà.
Finalmente Marina trovò la panchina che la soddisfaceva.
Quella era vuota.
Tirò fuori dalla sua Louis Vuitton un fazzolettino con cui pulì minuziosamente il suo posto a sedere. Sia mai che ci si fosse seduto qualcuno con qualche malattia o, peggio, qualcuno come il tipo di prima.
Luca invece si sedette senza troppi convenevoli.
Era davvero presto. Il treno non sarebbe arrivato prima di una mezz’ora buona.
La donna si sedette accavallando le lunghe gambe. La sua nuova gonna le lasciava ben scoperte così che tutti potessero ammirare la sua abbronzatura dorata, merito di qualche lampada e tante creme per la cura e la salute della pelle – ma a chi glielo chiedeva diceva di essere andata al mare. Magari qualche bel giovane le avrebbe fischiato dietro, come accadeva spesso, del resto.
Era bella – questo era poco ma sicuro – e nessuno esitava a ricordarglielo, accrescendo un ego che già di suo era bello pompato.
< E’ presto.> Si lamentò Luca. Se avesse saputo si sarebbe portato certamente le sue macchinine. Ora invece si sarebbe annoiato.
< Non ti lamentare, su, adesso il treno arriva.> Dalla taschina interna dell’enorme borsa tirò fuori il nuovissimo i-phone, quello appena uscito e che ancora in pochi avevano. Si mise a controllare le mail, non che ce ne fossero un granché, facendo ben attenzione a mettere in mostra il cellulare – ci aveva speso 800 euro, se nessuno si fosse accorto che lo aveva sarebbe risultata una spesa inutile –, ma, comunque, tenendolo ben stretto tra le mani; mica voleva che qualcuno passasse e glielo sfilasse di mano; effettivamente, pensò Marina, il tipo di prima aveva un’aria losca, meglio metterlo via il cellulare.
Una voce metallica annunciò l’arrivo imminente di un treno.
< E’ quello di papà?> chiese speranzoso il bambino alzandosi in piedi tutto eccitato.
< No, siediti ora.>
< Uffa.>
Passarono un paio di minuti e il treno annunciato fece la sua comparsa. Un lieve stridio rimbombò nelle orecchie delle persone in attesa sul marciapiede, poi le liberò lasciando spazio al vociare della gente che scese dal mezzo. Un paio di ragazze invece salirono.
Marina si mise ad osservare.
Un uomo sulla cinquantina si apprestava a scendere le scale tutto affannato, la maglia imbevuta di sudore, lo sguardo stralunato, una cartellina stretta forte in una mano e il cellulare nell’altra. Se lo stava portando all’orecchio, anche quello piuttosto sudato. Che schifo, pensò. Avrebbe anche potuto darsela una rinfrescata mentre era sul treno.
< Che hai mamma?> Chiese Luca apprensivo, notando l’espressione disgustata della donna.
< Nulla. Semplicemente promettimi che da grande non sarai mai come quell’uomo,> indicò con il dito –eppure Luca ricordava benissimo quanto gli era stato insegnato al riguardo, era maleducazione – l’uomo in questione. Il bambino riuscì solo ad intravedere una figura scomparire nel passaggio sotterraneo.
< Perché?>
< Perché no.>
< Io diventerò come il mio papà!>
< Ecco, bravo. Tutti dovrebbero essere come Salvatore: lui è bellissimo, ha un lavoro importante, ha classe, è rispettato da tutti. E poi ha me, cosa potrebbe volere di più?>
< E ha me! Ha anche me!>
< Certo. E poi è così…> Cominciò a sproloquiare. Luca, senza volerlo, smise addirittura di ascoltarla. Lo stava aggettivando in troppi modi e non riusciva a starle dietro. Troppe lodi. Troppe parole.
Lui voleva solo che arrivasse il suo papà.
Nient’altro.
Il piccolo si perse tra i volti della gente. Ne iniziò un’attenta revisione. Tutti diversi. Tutte persone diverse.
Tutte vite diverse.
Eppure per qualche minuto della loro giornata quelle vite si erano incrociate.
Tutte quelle vite.
E magari non se ne erano nemmeno accorti, ma per qualche minuto avevano vissuto insieme. Come lui ogni giorno viveva con il suo papà. Come si poteva non fare caso ai minuti di vita passati assieme?!
Una donna portava una borsa rossa con sopra scritta una frase bianca, evidenziata in nero. “Il razzismo è una brutta storia” diceva.
< Mamma, cos’è il “razzimo”?>
< Razzimo? Forse intendi “razzismo”! E’ quando una persona pensa di essere migliore di un’altra e, di conseguenza, si comporta male nei suoi confronti. È davvero una brutta cosa, figliolo.>
Luca pensò di non aver capito bene la spiegazione della mamma, ma pensò anche che, dopo, il papà avrebbe potuto spiegargliela meglio.
< Oh, guarda tu!>
< Cosa?>
< Guarda quella ragazza,> Marina indicò con il dito indice una giovane, non avrà avuto più di vent’anni, < ma dove va in giro conciata in quel modo? Crede che mettendosi tutto quel trucco nero sugli occhi diventerà guardabile? E quella frangia a coprirle il viso? Di certo il suo brutto naso non lo copre! Ma quei vestiti poi?! Credo che si chiamino “Emo” quelli che si vestono in quel modo, che vergogna. Certa gente non dovrebbe nemmeno mettere il muso fuori casa!>
< Mamma?>
< Sì?>
< Tu ti credi migliore di quella ragazza? È per questo che le stai dicendo queste brutte cose?>
< Oh, figliolo, logicamente. Hai visto quant’è bella la tua mamma, no? E come veste bene?!>
< Ma allora tu stai facendo il razzismo.>
< Il razzismo non si fa, Luca. Al massimo si è razzisti. E poi non dire queste cose, non è rispettoso nei miei confronti!> lo sgridò, alzando la voce di qualche tono.
< Scusa!> Si affrettò lui, temendo in una qualche punizione.
La folla cominciò a farsi più rada e tra i mille volti sconosciuti Marina ne scorse uno famigliare. Sbuffò sonoramente.
< Marina! Carissima!> Una signora sì avvicinò tutta ansiosa ai due. Luca pensò che la conosceva, era una vecchia compagna di classe della sua mamma. Avevano la stessa età, però lei dimostrava molti più anni. Il viso stanco era marcato da sottili rughe, segno dell’età ma anche di una buona dose di stress.
La sua mamma non ne aveva di rughe.
< Giovanna, tesoro!> Sì alzò dalla panchina per dare due veloci baci sulle guance di Giovanna, poi si risedette.
La donna carezzò la testa del bambino in segno di saluto. Gli riservò anche un tenero sorriso.
< Quanto tempo! Sei sempre bellissima, sai?!>
< Grazie, mi tengo in forma!>
< Come va?>
< Tutto bene, si va avanti;> rispose fintamente entusiasta. Quella Giovanna proprio non la sopportava.
< Come mai qui? Vai da qualche parte?>
< Oh no, sto aspettando Salvatore. Sai, ci teniamo a venirlo a prendere quando possiamo.>
< Salvatore. Tuo marito, giusto?>
< Sì. Tra l’altro dovrebbe arrivare a momenti!> disse, nello stesso momento in cui la voce metallica annunciò l’arrivo imminente del prossimo treno. < Se vuoi te lo faccio conoscere. È un uomo meraviglioso, sai? È dirigente d’azienda. Tutti lo stimano al lavoro. E poi è talmente bello che tutte le donne dell’ufficio non gli staccano mai gli occhi di dosso. No, tranquilla, non sono gelosa, mi fido di lui! E poi ha quella classe inconfondibile! E un gusto nel vestirsi! Pensa, proprio oggi ha indossato un completo di Armani, quello visto sulle ultime passerelle! Gliel’ho comprato io!>
< Mi piacerebbe tanto,> la interruppe Giovanna, non appena Marina si prese un attimo per riprendere fiato, < ma devo scappare. Ho ancora del lavoro da sbrigare. Devo consegnare dei documenti. Sai com’è…!>
< Ah, dei documenti. Certo.> La guardò con aria di sufficienza.
Luca intanto se ne stava sulla panchina. Un po’ seduto, un po’ sdraiato.
Stava contando i minuti, i secondi.
Dopo qualche saluto convenevole la signora Giovanna si congedò. Era molto simpatica, pensò Luca.
< Quanto non la sopporto!> Esordì Marina non appena la donna fu abbastanza lontana.
< Sembrate amiche.>
< Le apparenze ingannano.>
In quello stesso momento il treno che stavano aspettando si mostrò. Era ancora in fondo ai binari, ma Luca era già in piedi, pronto ad abbracciare il suo papà non appena fosse sceso dal mezzo.
Ci mise qualche secondo di troppo.
Le porte si aprirono e anche Marina si alzò in piedi, prese la borsa, si ravvivò i capelli, si sistemò la gonna e, infine, prese la mano del figlio.
Le facevano malissimo i piedi.
La gente cominciò a scendere. Un flusso indefinito li assalì mentre entrambi cercavano con lo sguardo quel volto.
< Eccolo!> Esultò il piccolo strattonando la mamma.
< Dove caro?> Chiese lei, cercando un uomo in completo nero. Ma non riusciva a vederlo.
< Il mio ometto!> Salvatore emerse dalla folla con un paio di lunghi passi e prese Luca in braccio. Gli diede un enorme bacio sulla guancia.
Se lo coccolò ancora qualche secondo.
Marina pensò che era logico non averlo individuato prima. Non indossava il completo, ma una semplice e sciatta tuta blu.
Aveva i capelli un po’ arruffati.
Le occhiaie più marcate del solito. Va bene che quella notte aveva fatto tardi per finire una pratica, pensò, ma lei del resto gli aveva lasciato in bagno un correttore per uomini.
Evidentemente non lo aveva usato.
Salvatore lasciò andare il bambino e si avvicinò alla moglie, lasciandole un lieve bacio sulla guancia. < Buonasera, Marina.>
< Dov’è il tuo completo?> Chiese lei, allontanandosi velocemente di un passo per poterlo osservare meglio.
< Per sbaglio a lavoro mi sono versato tutto il caffè addosso.> Sorrise divertito.
Scompigliò i capelli al figlio con fare affettuoso. < L’abito è in tintoria, tranquilla.>
< Andiamo a casa, svelti!> Improvvisamente Marina scoprì di avere fretta. I piedi non le facevano più nemmeno tanto male. Non voleva che la vedessero con suo marito.
Non in quel momento.
Non quel giorno.
Pensò che era stata una fortuna che Giovanna se ne fosse andata prima del tempo, chissà cosa avrebbe pensato altrimenti.
Salvatore prese sulle spalle Luca e tutti e tre si incamminarono verso le scale. < Che hai fatto oggi papà?>
< Allora…> Marina però non stette a sentire la risposta del marito. Era troppo impegnata a pensare che un paio di signore stavano fissando l’uomo accanto a lei. Che vergogna!
Ma lui aveva avuto un contrattempo quel giorno, loro che ne potevano sapere!
Perché dovevano giudicarlo?
 Lui era un uomo importante!
Quel giorno aveva avuto solo un dannatissimo contrattempo!
Le apparenze ingannano!
 
 
 
 
 


Note:
Comincio subito con il dire che questa storia non ha assolutamente un intento moraleggiante né voglio fare la buonista. Semplicemente avevo voglia di mettere nero su bianco ciò che vedo ogni giorno. Magari non ci sono riuscita bene, però ci ho provato xD
Mi piaceva l’idea di contrapporre la visione del mondo di un bambino, ancora incontaminato da razzismi e ipocrisie, a quella di un adulto –in questo caso di Marina, un adulto molto “estremo”, diciamo.
Tra l’altro oggi è esattamente un anno che non pubblico qualcosa su EFP, quindi mi sento emozionata. (?)
Va be’, bando alle ciance!
Spero vi sia piaciuta, io mi ci sono impegnata un sacco!
Fatemi sapere la vostra opinione –positiva o negativa che sia! :D
Un bacio enorme.
Fra.
 
 
 
 
 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: maccioccafrancesca