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Autore: Eriu    08/11/2012    0 recensioni
Caledonia, 305 d.C. La potenza di Roma incombe sulla Caledonia ed i clan che la abitano. Aredhel, del Clan delle Montagne, non può vedere suo fratello Wulfric se non in sporadiche occasioni, in gran segreto. Ma lui è a conoscenza di qualcosa, qualcosa che può portare lo sterminio dei clan caledoni.
Genere: Guerra, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana, Medioevo
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Aredhel alzò lo sguardo. Non era sicura del suono che aveva sentito. Nella Foresta degli Spiriti, i rumori erano continui, diseguali, e spesso incutevano timore molto più della creatura che li aveva provocati.
E tuttavia, la ragazza doveva essere prudente. Senza fare il minimo rumore, sganciò il piccolo perno di acciaio che bloccava la lama del suo coltello all'interno del fodero, e lentamente lo estrasse. Era una splendida arma, letale come colei che la portava. Aredhel sollevò il pugnale all'altezza delle costole, bene attenta a non mollare la presa su di esso.
Era in un punto strategico della Foresta: si trovava nascosta tra gli alberi, invisibile grazie al manto protettivo di quella notte di luna nuova, ed aveva un'ampia visuale verso una radura a pochi metri da sé; era da lì che le era giunto il suono, e pertanto poteva dirsi sicura che, qualunque cosa lo avesse provocato, avrebbe dovuto attraversare lo spazio tra gli alberi per raggiungerla. La luce non era molta, eppure era sufficiente da permetterle di scorgere un'eventuale minaccia.
Fu solo dopo alcuni minuti che il suono si ripeté nuovamente: Aredhel rifletté su cosa potesse essere. Sembrava un ramo spezzato, ma non un ramo secco e calpestato da piede inesperto, anzi. Pareva quasi che un animale ferito o confuso stesse marciando nel folto, tentando di non farsi scoprire, senza riuscire nell'intento di evitare di colpire i rami bassi degli alberi.
Aredhel aguzzò la vista, e fu allora che vide comparire nella radura un uomo. Era lui, l'uomo che stava aspettando. Da lontano riconobbe il corpo massiccio e muscoloso, lievemente curvo su se stesso. Un braccio era avvolto sul torace, e la mano stringeva la spalla. La giovane gli corse incontro, ben sapendo che non poteva essere altri che lui: anche se non poteva vedergli il viso, nessun membro del Clan delle Montagne si sarebbe mai azzardato ad avvicinarsi a quella selva, né tanto meno rischiava di incontrare i loro nemici giurati, il Clan del Lungo Fiume. Così non ebbe timore ed avanzò, riponendo il pugnale nel fodero.
«Wulfric!» esclamò, raggiungendolo. Era davvero lui: avvicinandosi, aveva riconosciuto i lineamenti duri del fratello maggiore, i suoi occhi verde chiaro e, alla scarsa luce, un riflesso dei suoi capelli biondi. Eppure, lui non la strinse a sé come al solito: parve quasi cogliere con fastidio la nota estatica del tono di voce della sorella. Aredhel non riusciva a spiegarsi come mai lui non la accogliesse con il solito calore, e solo allora lo sguardo le cadde sulla spalla del giovane uomo: laddove la mano stringeva la pelle, un fiume di sangue sgorgava da una ferita piuttosto recente.
«Wulfric, cosa ti è successo?» esclamò, mentre sentiva una crescente agitazione dentro di sé. La ferita di per sé non era grave, ma era piuttosto avvezza a vedere delle infezioni portarsi via la gente. Il loro stesso padre, Coinneach, era mancato un paio di anni prima a causa di una piccolissima ferita, un'inezia, che si era tuttavia infettata portandolo alla morte.
Il fratello di lei allungò la mano sporca di sangue nella sua direzione, ma lei non riuscì ad afferrarla, perché le gambe di Wulfric cedettero facendolo cadere tra il fogliame secco. Aredhel si inginocchiò immediatamente accanto a lui, cercando di pensare in fretta.
Cadendo, Wulfric aveva perso conoscenza, e lei non era abbastanza forte da poterselo caricare in spalla: era stata addestrata a combattere come un uomo, ma il suo fisico era quello di una donna minuta e, seppur muscolosa, lei sapeva di non essere in grado di sottoporsi ad un simile sforzo. D'altra parte, dove avrebbe potuto andare? Suo fratello era stato cacciato dal Clan delle Montagne molto tempo prima: il suo nome era stato cancellato dai registri del loro stregone, il suo disonore reso noto a tutti nelle vicinanze; era stato cancellato per sempre, nessuno doveva parlarne, nessuno poteva vederlo, a nessuno era concesso neppure ricordarlo. Non lo avrebbero mai aiutato.
Alzò lo sguardo verso il cielo: come di consueto, avevano deciso di incontrarsi in quelle ore notturne in cui la luna era ancora alta, ma era tuttavia in procinto di calare. Non avrebbe avuto ancora molti istanti di luce, pertanto avrebbe dovuto accendere un piccolo fuoco. Sapeva che non era sicuro: le sentinelle del Clan non avrebbero mai notato il filo di fumo, dato che era troppo buio, né avrebbero mai intravisto la luce delle fiamme, in quanto il punto in cui Aredhel si trovava era molto distante da lì; il pericolo era costituito dagli animali che popolavano la selva, che sarebbero stati spaventati dalle fiamme, ed allo stesso tempo attratti dal loro calore. Aredhel, poi, aveva sentito dire che un branco di lupi si era stabilito tra quegli alberi: lei non li aveva mai visti, ma la vecchia indovina del suo villaggio li aveva visti attraverso il bianco della sua cecità.
Alla fine, stabilì che un falò era l'unica soluzione. Portava sempre con sé, nella borsa di cuoio, due pietre focaie. Racimolò alcuni rami, prendendoli tra quelli caduti a terra per non disturbare il sonno degli Spiriti che abitavano gli alberi, e mise insieme un piccolo fuoco da campo improvvisato. Dopotutto, non aveva bisogno di molto tempo: gli strumenti di cui disponeva non erano sufficienti a guarire Wulfric, ma potevano concedergli forze sufficienti a tornare a casa sua e farsi vedere da un vero guaritore.
Aveva con sé una piccola borraccia con dell'acqua: la portava sempre, per quei rari convegni notturni, e con essa lavò la ferita per come poteva. Poi si guardò il braccio destro: aveva una cicatrice che correva lungo tutto l'avambraccio, dal polso fino all'incavo del gomito; se ne vergognava terribilmente, e la portava sempre coperta da una candida fascia bianca. Era pulita, perché lei voleva che fosse sempre bianchissima, e la lavava ogni sera prima di coricarsi: quel giorno, l'aveva lavata nel tardo pomeriggio. La usò per fasciare la spalla di Wulfric e bloccare l'afflusso di sangue, o quantomeno rallentarlo. Strinse bene la fasciatura, bloccandola con un po' di resina per evitare che si disfacesse. A quel punto versò l'acqua avanzata sul fuocherello, che si spense in pochi secondi, avendo cura di avanzare un po' di quel liquido per il risveglio del fratello. Con un piede pose fine alla vita delle poche scintille rimaste. A quel punto attese. A parer suo, non avrebbe dovuto attendere troppo prima di vedere suo fratello con gli occhi aperti: quella notte era molto fredda, e questo non avrebbe fatto che aiutare il suo recupero. Certo, avrebbe impiegato un paio d'ore per recuperare le forze necessarie al movimento, ma almeno avrebbe potuto spiegarle cos'era successo.
Inizialmente, aveva pensato all'attacco di un animale: Wulfric era un cacciatore, e provvedeva alla fornitura di cacciagione del castello di Caledorum, postazione romana di recente costruzione. Poi però, mentre la puliva, si era accorta che si trattava di una ferita da arma da taglio.
Non dovette attendere molto, forse mezz'ora, prima di vedere suo fratello aprire gli occhi. Sembrava affaticato. Chiese dell'acqua, e subito Aredhel gliela porse. Wulfric tentò di mettersi seduto, ma Aredhel lo costrinse a ridistendersi: lui non fece obiezioni, dopo aver sentito quanto dolore provava ad ogni movimento.
Quando Wulfric parve in grado di ragionare lucidamente, Aredhel gli pose di nuovo la stessa domanda di prima: «Cosa è successo, Wulfric? Chi ti ha attaccato?»
Lui non rispose subito. Sembrava perso nei suoi pensieri. La luna calava, e lei vedeva sempre meno gli occhi di Wulfric, così incredibilmente uguali ai suoi. Finalmente, lui sospirò e si preparò a rispondere.
«Caledorum» fece, con un filo di voce. «Caledorum è stata attaccata. Sono stati quelli del Lungo Fiume.»
Aredhel non si mostrò sorpresa: erano mesi che i Romani si erano stabiliti lì, costruendo una città militare proprio sul territorio del Clan del Lungo Fiume. Eppure, non potevano essere stati loro ad attaccarli! Quei pazzi venuti dall'Irlanda non avevano altro passatempo che quello di ingaggiare piccole scaramucce con il Clan delle Montagne: a loro non importava del loro territorio, dal momento che non si fermavano mai più di un anno in un posto. Erano nemici di lunga data del suo Clan perché, sebbene fossero nomadi, avevano sempre gravitato intorno alle loro terre, ma Aredhel era certa che non avrebbero mai rischiato delle vite per combattere un nemico a loro parere inferiore.
«Ne sei sicuro?» gli domandò, scostandogli dal volto una ciocca di capelli. «La tua è un'accusa molto grave, lo sai.»
«Ti dico che sono stati loro, sorella!» replicò Wulfric con enfasi. «Sono stati loro, con i loro tamburi e le loro frecce rosse! Hanno atteso il calar della notte, poi hanno lanciato una pioggia di frecce sul villaggio oltre le mura del forte romano. E poi sono arrivati all'assalto. Hanno ucciso gli uomini e fatto prigioniere le donne e i bambini. Ma non hanno cercato di assaltare il forte.»
«E i Romani?» domandò ancora lei. «Cosa hanno fatto i Romani per difendere il vostro villaggio?»
«Li hanno colpiti con frecce e massi lanciati con quegli arnesi infernali, le ca.. ca..»
«Catapulte?»
«Proprio quelle. Quelli del Lungo Fiume non se l'aspettavano, e se ne sono andati, ma ormai il villaggio era perduto. Io mi sono salvato perché non avevo nessuno con me, nessuno alla cui salvezza dovevo provvedere. E poi, ero già fuori dal villaggio: stavo venendo qui.»
Aredhel restò in silenzio. Perfino lei, che di politica si intendeva poco, sapeva cosa significasse una cosa simile. Il suo pensiero era lo stesso di Wulfric: fino a quel momento, i soldati dell'Impero Romano si erano comportati in maniere civile, costruendo il loro piccolo forte e collaborando con la popolazione che già abitava in quelle terre, mentre loro, i Clan della popolazione del Caledoni, avevano tollerato la loro presenza, perché poteva portare vantaggi notevoli. Senza contare che i Romani avevano fama di grandi conquistatori, e a parer suo loro erano stati molto fortunati a non aver subito le sorti di altri tra i Celti: ad esempio, sapeva che in una regione del mondo chiamata Hiberia i nativi erano stati assoggettati totalmente al giogo di Roma.
L'azione deliberata del Clan del Lungo Fiume aveva innescato una reazione che avrebbe portato alla distruzione totale della Caledonia.
Avrebbe portato alla guerra.

   
 
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