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Autore: suzako    27/05/2007    5 recensioni
<< Tu devi fidarti di me, hai capito?! Se non lo fai t'ammazzo! Giuro che t'ammazzo! >>

Dopotutto, lui era sempre stato bravo. Ma a loro non andava mai bene. Era tutta colpa loro.

[Menzioni di incesto e violenza]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un giorno di pioggia.

Era un giorno di pioggia come tanti altri, ma ai suoi sciocchi occhi infantili sembrava unico e particolare, irripetibile nella sua banalità. Era certo che non avrebbe mai più rivisto gli alberi piegarsi a quel modo, e le nuvole scure coprire il sole alla stessa maniera. Il paesaggio che aveva osservato tante volte dalle finestre appannate di casa sua, adesso si presentava con lo stesso presentimento che precedeva un’avventura. Tutto doveva cominciare. Nulla avrebbe avuto fine.
C’erano solo loro, il vento, le macchine che sfrecciavano a tutta velocità per la strada. Un passo. Sarebbe bastato un passo a decidere, e sarebbe stata una decisione solo loro.
Era tutto ciò che gli serviva sapere, per renderlo quel passo speciale.
Di fianco a lui, sua sorella piangeva sommessamente.
La cosa lo innervosiva. Lo innervosiva parecchio. Perché doveva piangere? Avrebbe dovuto essere contenta. Emozionata, esattamente come lui. Loro dovevano stare sempre insieme, dovevano essere sempre uguali, sempre, sempre. Se lui era felice, non vedeva motivo per il quale lei non dovesse essere contenta. Bastavano l’uno all’altro, non avevano bisogno di nessuno.
Ed era per questo che se ne erano andati. Perché loro volevano dividerli, mandarli l’uno lontano dall’altra: parlavano di uno stupido collegio, ma a lui non servita ascoltare oltre: dicevano che era sbagliato, che era una cosa orribile. Che erano due bambini orribili. Dio non li avrebbe mai perdonati, dicevano loro.
Ma perché poi? Erano solo fratelli. Erano solo fratelli, e si volevano solo bene. Se era così sbagliato, perché nessuno glielo aveva detto prima?
Sì, senza dubbio era una regola stupida che si erano inventati al momento, solo per far dispetto a lui. Tipico di loro.

Però lei continuava a piangere. E allora il bambino strinse la sua mano, perché aveva letto in qualche libro che era così che si faceva per confortare le persone, senza essere invadenti. Lui leggeva molti libri, sapeva tantissime cose. Loro non capivano niente.
Ma forse, nella foga, doveva aver stretto quella manina un po’ troppo, perché i suoi singhiozzi si fecero ancora più forti, ancora più insistenti. E la cosa incominciava davvero a farlo arrabbiare.
Ma non si sarebbe arrabbiato, no. Lui si arrabbiava sempre, ed era mostruoso. Il bambino non era cattivo, invece. Non era come lui. Voleva solo essere libero.
Se non avesse fatto tutto quel rumore, mentre piangeva, avrebbe potuto anche far finta di niente.
Era bravo a ignorare le cose spiacevoli. Chiudendo gli occhi e aggrappandosi alle lenzuola, si concentrava su qualcosa di bello, e allora non sentiva proprio niente. Era come stare un po’ sdraiati sul letto a pancia in giù. Nulla di grave. Andava tutto bene.
Pioveva. Erano bagnati. Tutto era bagnato. Era solo acqua, non faceva male. L’acqua non era mica cattiva: le aveva spiegato con molto calma che non c’era nulla da temere, nella pioggia: ma lei no, doveva lamentarsi e gemere e piagnucolare comunque. non lo sopportava. Non lo sopportava.
Ma non disse nulla. Lui era grande. Lui aveva sopportato tutto. Aveva sempre sopportato loro, le cose che facevano e dicevano, aveva sopportato ed era stato in silenzio. Era sempre stato bravo.
Perché doveva essere sbagliato quello che faceva? Lui era sempre stato bravo.

<< Voglio tornare a casa… A casa… Voglio tornare a casa… >>

Il mormorio giunse ovattato dai rumori esterni, e frammentato dai singhiozzi. Abbassò gli occhi per guardarla, e vide lacrime che le rigavano il volto arrossato e contratto, la bocca piegata in una smorfia grinzosa, mentre anche il naso le colava, e i capelli bagnati le stavano appiccicati al volto.
Così conciata, la sua graziosi sorellina dagli occhi scuri e i capelli rossi non appariva più così carina come dalle foto che teneva nella cameretta.

<< Non dire cose sciocche. Staremo benissimo, vedrai. Dobbiamo solo attraversare la strada. Andrà tutto bene. Ti devi fidare di me. Lo sai, vero? >>

Lei non rispose.

La stretta sulla sua mano si fece più forte.

<< Tu ti fidi di me, non è vero? >>

Perché continuava a non rispondere? Perché non parlava? Aveva sempre avuto una parlantina fluida e allegra, e rideva così spesso, rideva sempre. Come faceva lei a sorridere anche quando le facevano male?

 << Kathy, tu ti fidi di me, non è così? Rispondimi. >>

 << M-Mi fai male… Al, fa male… >>

Lui le faceva male? Lui le faceva male? Dopo tutto quello, era lui quello che le faceva male?
Non lo sopportava. Non sopportava che lo accusassero ingiustamente. Lui era sempre stato bravo. Sempre. Sentì la rabbia montare in gola, e le lacrime gli appannarono la vista.

<< Tu devi fidarti! Devi! Se non lo fai t’ammazzo! Giuro che ti uccido! >>

La bambina piagnucolò più forte, scuotendo la testa freneticamente.

<< No! Lasciamo andare! Lasciami! >>

<< Non provare nemmeno a scappare. Tu resterai con me, resterai con me per sempre! Noi dobbiamo stare sempre insieme, siamo fratelli, e resteremo sempre insieme! >>

<< Lasciami! >>

La sua mano piccola e umida si sfilò con facilità allarmante dalla sua stretta, allontanandosi subito da lui in una corsa scomposta e incespicante.

<< Fermati! >>

Lui la seguì, senz’altro pensiero che recuperare quella piccola mano, quella mano così piccola che sapeva dargli una felicità e un piacere così grande.
Bastarono pochi passi sull’asfalto scivoloso, lei cadde e lui gli fu sopra in un attimo. La macchina rossa li prese in pieno, spezzando con la ruota anteriore la spina dorsale a entrambi.

 

  
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