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Autore: thea23    11/11/2012    7 recensioni
[Dal testo]
Sai, la vita reale è una cosa buffa(*). Molti di noi, hanno paura di arrivare alla fine della loro vita rimpiangendo di non aver agito quando potevano.
A volte rimaniamo fermi senza parlare, quando tutto quello che abbiamo bisogno di dire e dovremmo dire sono le parole: “Ti amo”.
O quando siamo pienamente consapevoli di dovere pronunciare le parole: “Mi dispiace”.
Penso che ci sia il momento nel quale si deve restare in silenzio e aspettare il proprio turno … ma, se si conosce fin troppo bene come ci si sente e si è passata ogni notte a formulare e riformulare un discorso muto, allora è quello il momento.
E non penso che si debba aspettare, io penso che si debba parlare.
La mia occasione, l’ho sprecata oggi. Sono rimasta immobile a guardare il tempo passare. Ero così spaventata da come avresti reagito a sentire parlare di nuovo di quella fredda sera a dicembre, che non ho pensato a come ti saresti sentito ad ascoltare finalmente quello che ho passato notti a dirti, senza che tu lo sapessi.
Genere: Romantico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:
Avevo scritto questa storia qui col nome “Ritornerei a dicembre ogni volta” poi per un errore l’ho cancellata e adesso la rimetto, ho cambiato l’intera parte finale oltre che il titolo xD. È basata su Back to December di Taylor Swift sia canzone che video. Diciamo che la storia l’ho molto inventata, cercando di basarmi sul testo di cui ho messo qualche verso. E spero non faccia schifo. Nel mio racconto non l’ho scritto, ma la protagonista è Taylor e penso si capisca.
È la primissima one shot che scrivo quindi mi farebbe molto piacere se avete tempo di darmi dei consigli sul mio stile di scrittura o se non vi è piaciuta perché … quindi grazie per aver letto, pensare di recensire, insomma grazie per il vostro tempo.   
Un bacio.

PS: Ho preso anche qualche pezzo dal discorso di apertura del tour di Speak Now.
Ve lo riporto qui di seguito:
 (*)” Real life is a funny thing, you know. I think most of us fear reaching the end of our life and looking back regretting the moments we didn’t speak up. When we didn’t say “I love you”. When we should of said “I’m sorry”. So there’s a time for silence, and there’s a time for waiting your turn… but if you know how you feel and you so clearly know what you need to say, you’ll know it. I don’t think you should wait, I think you should speak now”
 
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Aprì il portone sfoggiando uno dei suoi più luminosi sorrisi. Sentiva la sua presenza alle spalle, come un formicolio alla schiena.
Si voltò, e lo vide in tutta la sua grazia.
Mi manchi, mi dispiace
Si chiese se anche lui stesse ripensando a ciò che c’era stato, tuttavia, nessun segno sul suo viso lascia trasparire la sua decisione. Avrebbe conservato quei momenti come un ricordo felice o l’avrebbe sempre incolpata per quello che sarebbe potuto essere e mai si era avverato.  
L’aveva riaccompagnata questa volta, l’ultima. Era sceso dalla macchina per aprile la portiera ed adesso era appoggiato li. Per un attimo, lasciò che le sue labbra si piegassero in un sorriso.
Mi odia
Cos'avrebbe fatto a quel punto. Lui era lì, e le sembrava così familiare … così giusto, che per un attimo si dimenticò del tempo che era passato, di quei mesi solitari e di quel leggero stato di tensione che aveva dipinto quell’uscita.
Salutò con la mano il ragazzo e richiuse la porta dietro di se.
Un ampio e lussuoso atrio si apriva davanti a lei, il suo appartamento era nella cima di quel luminoso palazzo. Li sarebbe stata al sicuro, avrebbe potuto abbandonarsi sul freddo pavimento della sua stanza, senza la paura che qualcuno la vedesse.
Avrebbe potuto, doveva … eppure, rimase lì. Si lasciò sorreggere dal solido portone a specchio, uno, due minuti. Con pigrizia, sentì azionarsi gli ingranaggi della macchina e le gomme strisciare sull’asfalto.
Posso farcela.
Mosse un piede, poi l’altro, facendo attenzione a non inciampare. Senza alcuna possibilità di replica, i suoi occhi stavano rivedendo quella rottura.
Diversi petali di rose rosse erano caduti sulla terra di un meraviglioso giardino.
Rose, nella mano della ragazza dai capelli chiari, dorati, legati per l’occasione da un chignon. Appariva pallida e il vestito chiaro che indossava sotto il cappotto scuro, le dava un fascino statuario, d’altri tempi.
Davanti a lei c’era un ragazzo alto dalla carnagione abbronzata. I capelli scuri disordine e anche sotto i suoi vestiti invernali, era facile distinguere il profilo dei muscoli. La luna brillava alta nel cielo di dicembre.
Non c’era niente di sbagliato in quelle immagini, se non per la tensione che si leggeva nei loro sguardi. Gli occhi celesti e cristallini della ragazza erano pieni di dolore. Mentre quelli del ragazzo erano sconvolti, quasi assenti.
Erano circondati da persone che ridevano, camminavano, scherzavano ma niente sarebbe potuto entrare nel loro campo visivo. Nemmeno la neve che stava iniziando a scendere dolcemente, unica prova del gelo che era sceso.
Un desiderio di libertà, la sensazione di non amarlo abbastanza, di non poter essere quella giusta per lui, la voglia di non illuderlo più in quel forte sentimento che li aveva legati per tutti i mesi caldi: queste erano le ragioni del loro addio.  


Casa, devo concentrarmi sull’arrivare a casa
Avrebbe giurato che una parte i lei stesse gridando inorridita per quello che aveva lasciato accadere. Il suo urlo, come lame pronte a straziarle il petto.
Entrò finalmente in casa. Sfilò il cappotto pesante e senza prestare troppa attenzione alla sua immagine riflessa, si diresse in camera.
 C’erano delle ampie finestre bianche su delle rilassanti pareti verdi spoglie. Diversi quadri, nelle loro cornici impreziosite da rilievi, erano poggiati sul parquet. Ad attenderla c’erano il suo comodo letto dalle lenzuola blu notte, una poltrona bianca dalla struttura in metallo e una lampada da comodino dello stesso colore delle pareti e un camino marmoreo pieno di bassorilievi decorato da diverse foto delle persone più care a lei.
Diversi oggettini d’antiquariato e una gabbia elaborata per uccelli decoravano la sua accogliente camera da letto.
 Quello che cercava in quel momento però era un’anonima scatola a motivi floreali nella quale erano conservate le rose di quella notte di dicembre e una collana con una chiave.
Rimase lì rannicchiata su se stessa ai piedi del letto, a ripensare all’appuntamento appena finito. A come lei aveva progettato di scusarsi, di provare anche solo a esprimere quanto le dispiacesse, ma di come non c’era riuscita, vinta dall’emozione e scoraggiata dal comportamento freddo di lui.
La loro conversazione era stata molto distante da quelle alle quali erano abituati.
Si erano detti di essere stati entrambi molto impegnati per via del lavoro, scherzando qua e i sugli eventi capitati e che le loro famiglie erano state bene.
Niente che somigliasse a un: “Mi dispiace per quella sera”.
Forse era stato meglio così, forse sarebbero suonate troppo false e classiche e probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a pronunciare quelle parole senza scoppiare a piangere. E lui meritava molto di più di questo. Lui le aveva dato tutto il suo amore, e tutto quello che lei aveva fatto, era stato dirgli addio.   
Sprofondando ancora di più nella disperazione decise di spostarsi sul letto. In quella posizione abbandonata notò un set da lettere dall’aria antica sul suo comodino. L’aveva comprato qualche giorno prima.
Si accese, quale migliore modo di sistemare i pensieri che aveva in testa se non scrivendoli? Magari sarebbe riuscita a spiegargli tutta quella matassa di emozioni che lui le faceva provare soltanto guardandola o sorridendole. Del resto lei aveva sempre scritto delle “lettere” sotto forma di canzoni, a quelle persone che l’avevano fatta soffrire. E la scrittura insieme agli accordi della sua chitarra erano le uniche che c’erano sempre state per lei.
Sta volta avrebbe scritto una lettera vera, una di quelle scritte a mano da cui era tanto affascinata.  
Un foglio leggero, chiaro macchiato da inchiostro scuro. Parole segrete che rivelano i sentimenti del mittente, soltanto guardandone la chiarezza, la dedizione. Passarvi il polpastrello sopra è come gustare ancora di più quelle parole insieme alle emozioni del mittente.  
Cercò una matita.
Sapeva già che il sapore di questa lettera sarebbe dolce e amaro allo stesso tempo. Simile alle lacrime che aveva versato in quelle notti, dove la malinconia regnava sovrana. Ed era impossibile pensare ad altro, se non a quell’addio.
Uscì un delicato foglio di carta ingiallita decorato con eleganti linee nere ai bordi e iniziò a scrivere:
 
“ Sai, la vita reale è una cosa buffa(*). Molti di noi, hanno paura di arrivare alla fine della loro vita rimpiangendo di non aver agito quando potevano. 
A volte rimaniamo fermi senza parlare, quando tutto quello che abbiamo bisogno di dire e dovremmo dire sono le parole:“Ti amo”. 
O quando siamo pienamente consapevoli di dovere pronunciare le parole:“Mi dispiace”. 
Penso che ci sia il momento nel quale si deve restare in silenzio e aspettare il proprio turno … ma, se si conosce fin troppo bene come ci si sente e si è passata ogni notte a formulare e riformulare un discorso muto, allora è quello il momento. 
E non penso che si debba aspettare, io penso che si debba parlare. 
La mia occasione l’ho sprecata oggi. Sono rimasta immobile a guardare il tempo passare. Ero così spaventata da come avresti reagito a sentire parlare di nuovo di quella fredda sera a dicembre, che non ho pensato a come ti saresti sentito ad ascoltare finalmente quello che ho passato notti a dirti, senza che tu lo sapessi.
A cosa avresti provato ad avermi di fronte a te, come in quelle luminose giornate, e guardarmi ingoiare quell’orgoglio. Nuove lacrime cadere dal mio viso.
Mi avresti vista dirti che sì ho sbagliato, ma non mi sono accorta di starti facendo male, finché non era troppo tardi.
Finché non ho sentito quelle paure, entrate come spifferi invernali nella mia mente, andare via, lasciando il posto alla vista alla consapevolezza piena di quello che era successo.
Ho visto il mio amore per te accendersi e bruciare vivacemente come i meravigliosi colori delle foglie autunnali. E poi con l’avanzare del freddo passare, indebolirsi e seccarsi.
Pensavo che non fossimo giusti insieme, ma solo adesso mi rendo conto che la cosa che sembrava più giusta nella mia vita era il tuo caldo sorriso ad abbracciarmi ogni volta.
Come quella volta a settembre. Una delle notti peggiori della mia vita. Stavo per crollare, ma tu mi hai presa, mi hai accolta tra le tue braccia che mi hanno fatto da riparo.
 È stata la prima volta che mi hai vista piangere.
Abbiamo passato così tanti bei giorni estivi, a ridere e scherzare.
Amavo il modo nel quale il tuo sorriso illuminava la mia macchina, amavo il tuo sorriso.
Probabilmente è solo un sogno di una folle che ha lasciato andare via un ragazzo meraviglioso, ferendolo però … se potessi anche solo concepire l’idea di amarci di nuovo, giuro che sta volta lo farei nel modo giusto. Combatterei i dubbi, perché tu saresti accanto a me e tutto sarebbe normale.
Tornerei indietro nel tempo, cambierei i miei stessi pensieri, farei di tutto se solo avessi la possibilità di riaverti. 
Nei miei sogni, nelle notti insonne ritorno a dicembre ogni volta. Da te.
Che tu decida di rispondermi o no (e credimi, se decidessi di mettere catene sulla tua porta io capirei, capirei perfettamente) sappi che non mi dimenticherò mai di te. Non vorrò mai.
 Ti auguro ogni cosa.
Taylor.”
 
Con un sospiro la ragazza infilò la lettera nella busta.
Scrisse il destinatario e l’indirizzo.
Andò in cucina per posare la lettera sul ripiano così da non dimenticarsi di prenderla quando sarebbe uscita.
Di nuovo sola in camera si concesse quel lusso che non si era voluta permettere mentre scriveva, per non rovinare l’inchiostro.
C’era il riscaldamento. Eppure lei sentiva freddo, come se una bufera si fosse abbattuta su di lei nella sua stessa casa e ogni mobile che la circondava ne fosse stato coperto.
Tra le lacrime prese un sospiro: sapeva che non se ne sarebbe andato facilmente

  
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