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Autore: AriiiC_    12/11/2012    19 recensioni
Finnick Odair aveva quattordici anni, un bel visetto e tanta paura.
Voleva solo tornare nel suo Distretto Quattro sano e salvo.
Non uccidere.
Finnick avrebbe voluto solo un altro giorno per giocare con Tess nella grande villa sul mare degli Odair. Avrebbe speso un po' del tempo per un'ultima nuotata o una notte sulla spiaggia. Avrebbe costruito una rete e portato a casa la cena come faceva di solito. Avrebbe solo voluto che uno di quegli armadi in prima fila gridasse "Mi offro volontario!", come ogni anno. Ma nessuno lo fece, e Finnick rimase in piedi su quel palco, calcolando quante probabilità avesse di tornare.
Poi, Finnick pianse.
Perchè Finnick era solo un bambino che aveva paura.
[Dal secondo capitolo]
Finnick non aveva scampo, non più.
Finnick aveva voglia di scappare, di correre.
Finnick aveva voglia di urlare al mondo che tutto ciò era ingiusto.
Finnick li voleva condannare.
Finnick voleva essere a casa; voleva morire per tornare vicino al mare in una cassa di legno sporca.
Ma Finnick non si mosse: semplicemente, tacque.
Assaporò ogni respiro preparandosi a quella che sarebbe potuta diventare la fine.
E che gli Hunger Games abbiano inizio, caro Finnick Odair.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologue:
I remember you said: "Don't leave me here alone."



 

  Finnick aveva quattordici anni, uno smocking ceruleo addosso e il sorriso più falso del mondo in viso.
 Lo avevano strappato alla sua famiglia, alla sua casa, al mare. Al suo mare. Ora era costretto a rimanere qui, per il divertimento delle parrucche colorate sedute sulle mille seggiole, che non aspettavano altro che lui. Sarebbe potuto morire, nonostante l'allenamento: i favoriti dell'uno e del due erano più grossi e meglio addestrati. Solo l'iniziale alleanza lo avrebbe salvato. Ma anche quella sarebbe volta al termine, prima o poi. Più poi che prima, sperava.
 - Conquistali, e la metà del lavoro è fatta. - aveva detto Mags. E lui aveva solo obbedito. Lo amavano, dall'inizio alla fine. Non aspettavano altro che il Figlio del Mare si rivelasse all'intervista con Ceasar, dopo il 10 alle sessioni private e lo splendido vestito color acquamarina della sfilata. Ma Finnick non sapeva che dire. Come spiegare loro che gli avevano appena tolto la vita? L'unica speranza che ancora gli batteva in petto erano gli occhi verdi di Tess, che lo guardavano piangendo.

 La bambina con il vestito azzurro a scacchi, mora tanto quanto il fratello è biondo, rompeva il silenzio della stanza con la moquette blu. Gli correva incontro, e si abbandonava tra le sue braccia. Non sapeva che altro fare. Non era di troppe parole, ma cercava sempre di renderlo allegro. Ora l'incudine che aveva nel petto era troppo anche per lei.
 Come puoi portare il sole nella vita degli altri quando non riesci a portarlo nella tua?
 Aveva solo dodici anni, lei, e credeva ancora nelle favole: si fidava dei diciottenni, sapeva che si sarebbero offerti come ogni anno. Invece, non lo fecero. Forse per ripicca nei confronti del quattordicenne sbruffone che, in Accademia, non faceva altro che sfidarli. E vincere.
 - Finn... - sussurrava con quella sua voce calda, resa candida dalle lacrime che le rigavano il viso. - Mi prometti che tornerai, Finn? - Il suo corpo era sempre più scosso dai singhiozzi. Fremeva tra le sue braccia solide, mentre il tempo stava scorrendo troppo veloce per i due ragazzi. Ma a Finnick non importava: sapeva che, a parte lei, nessun altro sarebbe venuto a dirgli addio: i suoi genitori li odiava, vivevano nella stessa casa solo perchè non aveva abbastanza soldi per scappare. Non aveva amici di nessun tipo: diciamo che non era mai stato bravo a creare rapporti con gli estranei. Di fatto, l'unica persona a cui teneva era Tess. La stessa che da roccia su cui basare ogni certezza era appena diventata foglia d'autunno caduca, in bilico tra la vita e la morte.


 - Il tributo maschio del quattro in onda tra cinque secondi! - urlava un Capitolino dalla parte delle quinte più vicina al palco. Sabrin aveva giusto il tempo di aggiustare la T-shirt sotto la giacca, appuntandovi il fastidioso microfono. Ma Finnick si mosse, e il tessuto bianco venne strappato, lasciando i suoi pettorali completamente in vista.
 - Oh mio Dio! - aveva trillato la donna dai capelli verde menta. - Non ti posso mica far andare davanti a tutta Panem così! Chi sa cosa direbbero di me! - Finnick era insofferente e, a dire il vero, parecchio seccato. Non gliene poteva fregare di meno di quello che avrebbero detto i suoi colleghi di lei. Sinceramente, gli sarebbe solo piaciuto avere la testa attaccata al collo per un altro paio di anni, almeno. - Forza, toglitela. - concludeva risoluta.
 - Togliermi... cosa? - chiedeva il ragazzo, totalmente cosciente della risposta ma, allo stesso tempo, spaventato da essa.
 - Come cosa? E' ovvio: la maglietta. Andrai sul palco solo con la giacca. -
 E Finnick obbedì. In fondo, poteva solo fruttargli maggior popolarità di quanta già ne avesse. Così, in un attimo, era pronto: niente canottiere, niente di niente. Solo lo smocking blu mare.
 Ceasar lo stava già chiamando da un paio di secondi: farsi attendere poteva andare bene o no.  Non dipendeva da lui, in ogni caso. Quando fu pronto, iniziò a correre verso la luce accecante che, per un paio di secondi, gli abbagliò gli occhi. Il boato generale si levò dalla folla, mentre diverse signore avevano già iniziato a lanciargli rose rosse.
 Finnick odiava le rose: gli ricordavano i momenti in cui sua madre usciva di casa e le raccoglieva nel grande giardino. Non tutti avevano un giardino. Loro sì, dato che vivevano nel villaggio dei vincitori. E la signora Odair si pungeva ogni volta il dito, rientrando in casa e piangendo per il rosso. Odiava il rosso: le ricordava il sangue che suo marito le faceva uscire ogni sera, dopo cena, quando la voleva obbligare a fare qualcosa. La picchiava per renderla schiava, per farla soccombere. Ma lei non poteva combattere, e obbediva.
 Finnick aveva ereditato questo terrore: la paura del rosso. Qualcuno la trovava stupida, perciò decise di non darlo a vedere, e di sorridere.
 E Finnick sorrise.

 - Non lo so, piccola. Lo spero. - Finnick non mentiva mai. Non lo faceva per incoraggiare, non lo faceva per deludere, non lo faceva neppure per stroncare le persone. Ma a Finnick piacevano le mezze verità: quelle che non sono bugie ma non lasciano il cuore in pezzi. E allora le usava, sempre. Anche questa volta. Non sarebbe tornato, ne era certo e neppure ci sperava. Ma sua sorella doveva andare avanti, con o senza di lui.
 - Finn... Ti prego, Finn... Non puoi dirmi così! Finn, papà mi piacchierà! - gli s'era stretta al ventre con le braccia gracili, tenendolo forte. Singhiozzava tanto, pulendosi il naso sull'elaborata spallina dell'abito buono. Lo chignon, prima ordinato e perfetto, era del tutto scompigliato, e la frangetta le s'era attaccata alla fronte. Il ragazzo odiava il suo modo di fare, perchè lo uccideva. - Finn, devi difendermi! - Era vero. Avrebbe dovuto farlo, ma non poteva. Quando gli Hunger Games chiamano, non hai modo di scappare: non puoi sottrarti alla tortura che essi rappresentano. Se sei fortunato, morirai in fretta; se non lo sei, avrai una lunga agonia. Se hai un buon motivo, tornerai a casa.
 Palle.
 Tutti i tributi che di anno in anno venivano mandati al macello avevano qualcosa ad aspettarli, avevano qualcuno importante da riabbracciare, Finnick lo sapeva. Ma solo uno, di anno in anno, tornava. E sarebbe stato difficile, se non impossibile, che fosse stato lui.
Finnick sapeva bene anche questo.


 Era come se il tempo si fosse fermato in quella stanza del palazzo di giustizia: Finnick sentiva la stessa morsa fracassargli il petto, lo stesso magone che era riuscito a sfogare in privato in quella saletta. Solo e sconsolato. Ma, quando aveva sentito una mano afferrargli il polso e accompagnarlo alla poltrona di velluto rosso, aveva capito che non avrebbe potuto piangere. Per non essere spacciato. Era una tattica, certo: era anche stata usata con buoni risultati negli anni passati. Eppure, dopo un 10, sarai molto poco credibile. Non aveva scelta. Si chinò, prese uno di quegli orrendi fiori e se lo appunto alla tasca della giacca. Poi, lanciò un bacio al nulla, e tutti pensarono fosse per loro.
 Illusi.
 Finnick non avrebbe mai sprecato un bacio per delle facce da mocio multicolor.
 Pensava fosse inutile.
 E lo era.
 Ma, a loro, non importava.
 Finnick Odair aveva appena baciato ognuna delle donne, vecchie o giovani che fossero, sedute in quella stanza.
 Ceasar rise della sua risata gutturale. Questa volta, aveva i capelli arancio. Ma non come il tramonto sul mare di casa. Li aveva arancio come le tigri. Non ne aveva mai vista una dal vivo, ma a volte capitava di trovarle nei libri di scuola. Così, lo guardò negli occhi, cercando di capire se sapesse quello che stava facendo. Ma ormai era adulto, il presentatore, e aveva visto morire più ragazzi di quanti se ne possano sopportare in una vita intera. E aveva ancora tanti anni di carrire davanti.
 Flickerman era infastidito dagli occhi verdemare del tributo: lo scrutavano a fondo, gli dimostravano che tutti i pensieri che aveva tentato di scacciare, prima o poi, tornavano. Così decise semplicemente di parlare, e di farlo fare anche a lui.
 - Allora, Finnick Odair, per chi era quel bacio? - aveva detto.
 Come rispondere ad una domanda tale, senza farsi odiare?
 - Oh, per nessuna in particolare: era rivolto a tutte. - rispose, e la terra cominciò a tremare.
 L'uomo rise di nuovo, se possibile anche più odioso di prima. - Tu sì che ci sai fare con le donne! -
 - Solo se sono così maledettamente belle. - ecco una bugia: non erano belle, per niente. Erano solo degli aborti di bellezza mal riusciti. Ma non poteva dirglielo: sarebbe significato scavarsi la fossa. 
 - E c'è qualche ragazza che ti aspetta a casa? -
 La domanda era ambigua, e lui rimase al gioco.
 - Certo. - malizioso verso le telecamere.
 In effetti, forse c'era davvero.

 Mancavano pochi minuti al termine delle visite. Tess era appena stata trascinata via di peso da un pacificatore, ancora in lacrime. A volte c'era da chiedersi se avessero un cuore o meno, quegli esseri umani nascosti dietro le maschere. A patto che lo fossero, umani. Le orecchie di Finnick erano contaminate dalle urla fin troppo forti della sorellina. I suoi occhi verde ago-di-pino erano stati consumati da quel rosso che il ragazzo tanto odiava, forse anche più del sangue: il rosso del pianto. Il peggiore tra tutti i rossi.
 Ma ecco la porta aprirsi di nuovo, e un'altra figura femminile entrava.
 Non s'aspettava che sarebbe venuta. In realtà, era quello che temeva: Annie Cresta era un po' la piattola che gli si attaccava al piede e non lo mollava mai. Era amica e coetanea di sua sorella, e il fatto che fosse venuta a salutarlo lo lasciava perplesso. Per un attimo, aveva sperato che la sua sfacciataggine non fosse abbastanza. Invece lo era.
 - Finnick Odair, so che non mi avresti voluta vedere. - ed ecco che gli aveva appena risparmiato una cattiveria gratuita che, dato il suo temperamento non esattamente delicato e l'occasione, era sicuro avrebbe detto. - Ma puoi avere un portafortuna nell'arena, e tua madre mi ha chiesto di darti questo. * - e la bimba gli porse un pezzo di corda mezzo rovinato e mangiucchiato dalle dita che l'avevano annodato così forte da non riuscirlo più a sciogliere. Sapeva bene il significato che aveva per la donna, e non rifiutò. Solo ringraziò la dodicenne che gli rubò un bacio sulla guancia e se ne andò.
 Le scocche rosse.
 E forse, questo era un rosso ancora peggiore del pianto: era il rosso dell'amore.


 - Certo? - il presentatore era sconvolto e divertito allo stesso tempo. - E ce lo dici così?! -
 - Non so chi abbia capito, Ceasar, ma io parlavo di mia sorella. -
non sapeva che ci trovassero di divertente, ma la platea rise, forse per il sollievo: non doveva dimenticare che, ognuna di quelle ragazze, pensava di essere l'unica al mondo, per lui.
 - Oh, come ho fatto a non capirlo?! - disse lui. - E... altri incontri qui a Capitol? -
 - Qui ho incontrato solo Mags e  Sabrin, a dire il vero. E la mia compagna. E poi te, che sei il più sexy di tutti! - ancora risate, questa volta più lunghe. E Finnick li lasciò ridere: in fondo, erano solo parole in meno che uscivano dalla sua bocca.
 E il segnale acustico arrivò, come la luce in mezzo al buio.
 I boati aumentarono, e Finnick lanciò altri baci.
 Camminò, barcollando un po' ma senza cadere. Fin che la luce non s'attenuò, e tutto riprese forma.
  E' qui, dietro le quinte, che il ragazzo capì: non era finita, ma appena iniziata.




 * = Non sapevo come far ottenere a Finn il suo portafortuna, così ho tirato in ballo Annie. So che potrebbe sembrare simile alla scena in cui Madge va da Catnip, ma non mi sono per niente ispirata a quella.


 My (little) space:
 Buonsalve a tutti :3
 Non è la prima volta che mi cimento in una long che non sia una raccolta, ma la prima non è andata benissimo xD Spero vi piaccia, dato che non ho molte pretese. E' una di quelle idee che ti vengono la notte e sviluppi tanto per non lasciarle marcire in un angolo da sole. Mi facevano pena :'3
 Bene, per chi avesse voglia, ecco la mia raccola: Un poesia anche per te.
 Ora ho finito :3
 A presto!
 Enjoy!
 Ariii, Jared, Shannon, Tomo e Marshall♥

  
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