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Autore: Slan Soulblaze    30/05/2007    8 recensioni
I pensieri e i tormenti di Miles Edgeworth alle porte di un avvenimento cruciale per la sua vita. Spoiler 4° caso di Phoenix Wright: Ace Attorney.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Miles Edgeworth
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Incubi. Maledetti incubi.
Mi perseguitano, notte dopo notte, e non c'è quasi volta che non ceda al sonno malvolentieri, solo arrendendomi al bisogno estremo di riposare. La memoria, nebulosa eppure sconvolgente, di ciò che non riesco, non oso ricordare di giorno è pronta ad assalirmi strappandomi via brandelli di anima, e invano continuo a ripetermi che è solo un sogno, un brutto sogno creato dalla mente esausta.
Perché il freddo metallo della pistola è vero, come è vero il suo peso, e il rumore dello sparo assordante nello spazio angusto. E allo stesso modo è vero l'urlo, quello che mi risveglia ogni mattina riecheggiandomi nelle orecchie e lasciandomi in un bagno di sudore, quello che mi ruba la lucidità che impiego tempo a riguadagnare, perché è così preziosa per il lavoro che svolgo con tanta devozione.
È tutto vero, nel profondo del mio cuore lo so. Ma cosa mi succederebbe se lo ammettessi a me stesso? Non voglio rispondere, quindi ricaccio tutto in un angolo buio dei miei pensieri, sforzandomi di dimenticare. Forse è questo che mi impedisce di cancellare per sempre la sensazione di essere sporco, colpevole del più atroce dei crimini. È una sensazione che non mi abbandona mai, da quindici anni. Sono colpevole, sì. Proprio come coloro che contribuisco a spedire dietro le sbarre. Ma adesso basta. Questa è l'occasione perfetta per dire tutto, finalmente, ed essere giustamente punito per ciò che ho fatto.
Ho aperto gli occhi di soprassalto, svegliato di nuovo da quell'urlo terrificante, dopo aver rivissuto per l'ennesima volta la scena che ha segnato per sempre il corso della mia vita. Solo che ora non mi trovo sotto le lenzuola di seta del mio letto, né sui cuscini del sofà del mio ufficio. Sono sdraiato sulla rete sottile e rigida della mia cella e non mi aiuta il pensiero di essere stato imprigionato, ironia della sorte, per un reato che non ho commesso. Ma la mia coscienza non avrebbe mai potuto aspettarsi di meglio. Povero Wright, ce la sta mettendo davvero tutta per dimostrare la mia innocenza, e solo per saldare uno stupido debito infantile. Ma anche se vincerà questo caso, non potrà fare nulla per salvarmi dal mio passato. Io sono colpevole, e i colpevoli devono pagare il conto.

E se sapesse che quella volta lo difesi solo per spirito di emulazione? Volevo diventare come mio padre, lo volevo a tutti i costi. Così, quando lo vidi accusato e in lacrime, completamente solo e oggetto dell'incredulità e dello scherno di tutti, sentii l'impulso di far valere la giustizia. Non era stato lui. Mi alzai e lo gridai con quanto fiato avevo in corpo.
"Pensate di poter accusare qualcuno senza prove? Dilettanti!"
Mi sentivo così fiero di me. Avevo aiutato una persona a difendersi, a restaurare la sua immagine davanti agli altri. Mi sembrava davvero di essere un passo più vicino alla realizzazione del mio sogno. E in più mi ero guadagnato un nuovo amico, anche se non mi importava di avere l'approvazione degli altri. E pensare che lui ora è proprio quello che desideravo essere io un tempo. Almeno fino a che non capii che chi difendeva un criminale non meritava rispetto né considerazione. Non riuscivo a tollerare il pensiero che anche mio padre, qualche volta, avesse potuto aiutare degli assassini a scampare alla prigione. Assassini come quello che aveva ucciso lui a sangue freddo... fu allora che mi lasciai alle spalle tutto quello che ero stato fino a quel momento, abbandonandolo per sempre e punendomi, punendo me stesso.
"Mi spiace, Wright. Manderò all'aria tutto il tuo lavoro". Senza rendermene conto sto pensando a voce alta. È davanti a me e mi guarda con gli occhi sgranati, in un silenzio che dura qualche minuto. Gli ho raccontato il mio incubo mentre il cuore mi diventava sempre più pesante... non l'avevo mai confidato neppure a Franziska. Oh, non che lei mi avrebbe ascoltato, ovviamente. Ma quando mi trovo davanti Wright mi sembra di poter dire tutto, e allo stesso tempo di non poter dire nulla per paura di essere disprezzato. Era tanto che non mi sentivo così. Forse non mi sono mai sentito così.
Dannazione, perché non dici niente? Abbasso lo sguardo, ho brividi in tutto il corpo che non riesco più a trattenere né a nascondere. Mi riscuoto quando sento un rumore di scartoffie. Wright sta sfogliando ancora una volta i documenti relativi all'incidente. Cosa diavolo stai facendo? "Nulla, stavo dando un'ultima controllatina a queste carte. Proverò che sei innocente, Edgeworth. In quello che hai detto c'è qualcosa che mi ha fatto venire in mente un'idea..." Stupido! Perderai, il signor von Karma ti schiaccerà come un insetto e non potrai dire che non ti avevo avvertito! Sento le mie guance bruciare, ma non riesco a dire nulla. Nulla. Mi esce solo un filo di voce: "Smettila. Non puoi cambiare le cose. Sono un omicida".
"Io credo in te, Edgeworth".
Lui crede in me. Ma chi vuol prendere in giro? Nessuno si è mai fidato di me, nessuno mi ha mai dimostrato la sua stima né tantomeno un minimo di considerazione. Mi hanno sempre temuto tutti, e tutti hanno continuato a parlarmi alle spalle, cercando di neutralizzarmi, da quando faccio questo lavoro. Non dico nulla. Sono troppo stanco per replicare. Vorrei parlare subito, guardare in faccia il giudice e confessare, e invece dovrò attendere. Un'attesa penosa, ridicola: non ha senso essere scagionati per un delitto, se ce n'è un altro che incombe su di te pronto a infliggere il colpo di grazia alla tua intera esistenza. Ma sono sempre stato in bilico. Oggi è semplicemente il giorno in cui, per mia stessa volontà, il baratro si aprirà finalmente sotto i miei piedi.

"Signor Edgeworth, lei ha udito un solo sparo, giusto?"
Non capisco. Non riesco a capire dove voglia arrivare. Ho ucciso mio padre, Wright, non volevo, è vero, ma l'ho fatto. Perché vuoi ostacolare la mia confessione?
Wright sorride trionfante, come fosse il custode di una verità segreta che sta per svelare al mondo. "È strano, perché da questo rapporto si direbbe che i colpi siano stati due". Non voglio più ascoltare queste sottigliezze dialettiche da avvocato, che non portano a nulla di buono se non ad insabbiare la verità. Eppure continuo a seguire con attenzione il suo discorso, come se già intuissi a che cosa porterà.
"Il colpo partito accidentalmente quando l'arma fu lanciata dall'imputato non arrivò alla vittima, ma a qualcun altro. Qualcuno che si trovava all'esterno". Che assurdità è mai questa? Wright sembra sperduto per un attimo, incalzato dal giudice, ma dopo aver riflettuto ricostruisce l'accaduto, e punta il suo sguardo su di lui. Il signor von Karma non sembra curarsene, apre la bocca per gridare un'obiezione ma si ferma.
"Fu lei, non è vero? Lei fu colpito dal proiettile vagante, entrò nell'ascensore e uccise Gregory Edgeworth per vendicarsi dell'uomo che aveva lasciato una macchia sulla sua carriera! Poi abbandonò il lavoro per un mese allo scopo di guarire dalla ferita!"
"Che assurdità! Questa spericolata immaginazione non le servirà a nulla, signor Wright, senza portare delle prove solide e concrete davanti alla corte!"
"Delle prove... già. Se si fosse fatto medicare avrebbe lasciato un testimone sulla sua strada. Lei... lei porta ancora il proiettile dentro di sé, vero?"
Signor von Karma, la prego, dica che non è vero. Dica che Wright sta solo volando sulle ali della fantasia, dimostri inconfutabilmente che si sbaglia.
Sì, mi aspettavo che il signor von Karma non si sarebbe mai lasciato influenzare dal pensiero di tutti gli anni che ha passato a insegnarmi, con severità e pazienza, le basi e gli accorgimenti del mestiere: lo conosco troppo bene per illudermi. Ma non credevo che avrei sofferto tanto a vederlo accanirsi così per dimostrare che sono un assassino, anche se ha ragione, anche se devo essere condannato. E ora questo, questa farsa, essere costretto a subire un colpo che sgretola le fondamenta di tutto ciò in cui ho sempre creduto. Il mio maestro è in difficoltà. Nessuno era mai riuscito a provocare una simile reazione in lui, tranne mio padre. Almeno prima che arrivasse Wright.
"Signor von Karma, esiste un modo molto semplice per provare che lei porta ancora con sé i segni di quel giorno.
"Basta usare un rilevatore di oggetti metallici e, se troveremo quello che cerco, confrontare i dati balistici con quelli di questo reperto". Nella mano di Wright c'è una busta sigillata. Al suo interno un proiettile esploso.
"E lei come ha fatto a procurarselo...?" Stupore, sincero stupore. "Non può certo costringermi a sottopormi ad un esame simile!" E ancora... "Lei sa cosa significa rifiutare? Vuol dire dimostrare che ha qualcosa da nascondere. Comunque la metta, se le cose stanno come penso, lei ha le spalle al muro, signor von Karma".
L'urlo.
Mi sono addormentato senza accorgermene? Sono ancora cosciente oppure ho perso i sensi? Non potrei essere più lucido, me ne accorgo dal dolore e dalla rabbia sorda che ribolle in me, assalendomi improvvisamente e inaspettatamente. È lo stesso urlo. Ma stavolta non sono nel sogno, è l'uomo che mi ha fatto da mentore e da padre a produrlo. Il signor von Karma. Una guida, un maestro, l'assassino di mio padre.
Ho la fortuna di possedere una certa capacità di autocontrollo sui miei sentimenti. È solo questo che mi permette di limitarmi a indicare von Karma e a dire con voce ferma: "È stato lei...!".
Forse era inevitabile che mio padre dovesse morire lì, per mano del suo avversario per un giorno, l'avversario che era riuscito, lui solo fino a oggi, ad umiliare pubblicamente col suo ultimo colpo di coda prima della sconfitta. Ma io non sono un fatalista. Se un terremoto spaccasse il pavimento del tribunale per inghiottire quell'uomo che per così tanto tempo ho considerato un faro nella notte, forse non avrei paura. Ma che dico? Il terrore scaturito da ore di agonia passate accanto a un padre che moriva non può certo essere cancellato da una stupida sete di giustizia finalmente placata. Von Karma confessa.
Non colpevole. Ecco il verdetto... per oggi come per quindici anni fa. Non sono colpevole.

C'è una gran confusione oggi nella sala d'attesa, ma d'altronde è prevedibile, con la piccola ragazza della famiglia Fey, Butz e il Detective Gumshoe che non fanno altro che esultare urlando. Ho le orecchie intorpidite per il gran baccano, ma sento uno strano calore dentro. Sebbene non sia un'emozione spiacevole, non mi sento affatto a mio agio; ogni volta che li guardo in viso, o i miei occhi incrociano quelli di Wright, provo una fitta all'altezza del petto. Gratitudine? Forse.
"Ehi, insomma, signor Edgeworth! Prenda esempio dal Detective Gumshoe e faccia festa insieme a Nick!"
"Qualcuno ha parlato di festa? Sì, dai, andiamo per locali a fare baldoria!!"
"Ehm, Larry... Maya non può bere alcolici. Ha solo diciassette anni!"
"Nick, smettila di trattarmi come una bambina!"
Provo l'impulso di avvicinarmi a Wright e al gruppo, e le mie gambe mi ci portano prima ancora che possa impartire loro un qualche comando razionale. "Wright... ti... ti ringrazio. Grazie anche a te, Miss Fey". Wright sorride come se non avesse idea di cosa abbia fatto per me e risponde ridacchiando imbarazzato. "Ah... dovere!". Poco dopo vengo strattonato per il braccio da Butz, che protesta. "E io, Edgey? Eh? Se non ci fossi stato io, ora saresti... beh, mettiamola così... più al fresco che in mezzo alla neve!". Non mi importa se qualcuno lo considera uno stupido: so che questa sensazione di essere in pace col mondo intero non durerà che qualche ora, il tempo di salutarsi e di andare ognuno per la propria strada, ma sono grato anche a lui, più di quanto possa immaginare.
"Ehi, ma siete fantastici! Non resisto, voglio farvi una bella foto!". La signorina Hart, pur avendo rinunciato al suo mestiere di reporter del paranormale, ha ancora con sé tutta la sua apparecchiatura e ci sta chiedendo di metterci vicini, in modo da poter immortalare il momento. Acconsento volentieri, ben sapendo che gli altri ne saranno tutti felici. Dopo lo scatto, mi assale improvvisamente il desiderio di ritardare il più possibile il momento della separazione. So che dopo dovrei tornare alla solitudine della mia grande casa, alla mia vita di sempre, e le uniche occasioni di rincontrare Wright sarebbero in tribunale, faccia a faccia. Dipende solo da me? Non siamo ridicoli. Chi potrebbe mai volere la mia compagnia? E io sarei sempre così grato di avere qualcuno vicino, oppure finirei col rimpiangere la mia mancanza di legami? Per il momento, però, ho bisogno di illudermi che a qualcuno faccia piacere avermi accanto. Al dolore che ogni tanto mi punge il cuore pensando alla mia vita passata a fianco di un aguzzino, per il quale tuttavia non posso negare di provare attaccamento, penserò dopo.
"Se volete, casa mia può ospitarvi tutti. È completamente vuota, io vivo solo. Vi accompagno in auto? Saremo un po' stretti, ma dopo potrete passare la nottata a festeggiare". Colto impreparato dal successo della mia idea, la metto in pratica in pochi minuti. Fortunatamente, Gumshoe è stato tanto gentile da portare l'auto nel parcheggio del tribunale questa mattina: gli avevo affidato le chiavi per prendersene cura.
Qualche giorno dopo ho ricevuto via posta la foto di gruppo scattata dalla signorina Hart. È venuta bene. Anche la maggiore delle due sorelle Fey ha deciso di fare una visita, nonostante la mia incredulità iniziale.
Quello che però non si vede, e che sono stato ben attento a celare all'obbiettivo indiscreto, è che con il dorso della mano destra stavo sfiorando la manica della giacca di Wright. In quel momento, dovevo assolutamente accertarmi che lui fosse lì per davvero.

NOTE FINALI:
Questo è il mio primo tentativo di fanfiction dai tempi dei miei orrori adolescenziali (che resteranno per sempre ben chiusi in un cassetto), e visto che ricevere tre recensioni per una storia su Phoenix Wright è veramente notevole, non potevo astenermi dallo scrivere qualche considerazione finale, anche per ringraziare chi è stato così gentile da lasciare un feedback sul mio lavoro. Non temete, sarà una cosa breve e non so nemmeno se qualcuno la leggerà mai, ma pensavo fosse giusto farlo ^_^
Sinceramente non penso che scriverò dell'altro dopo questa storia (ma ti ringrazio moltissimo per le tue parole gentili, Serenity: ne sono lusingata, veramente!), perché mi è scaturita da un bisogno incontrollabile di parlare di qualcosa che mi è rimasto profondamente dentro. Per quanto Ace Attorney possa essere considerata una serie "leggera", dagli innegabili risvolti comici, l'intensità che raggiunge nei momenti più drammatici non mi è parsa sinora eguagliata da nessun altro gioco che mi è capitato tra le mani: no, nemmeno dai miei JRPG preferiti. Il personaggio di Miles Edgeworth mi ha colpito in un modo che io stessa non credevo possibile, ed è sicuramente quello che cresce maggiormente all'interno della saga. Dedicargli un racconto introspettivo che si legasse a quella formidabile storia che è "Turnabout Goodbyes" (quarto caso del primo PW) mi sembrava veramente imprescindibile, da parte mia. Purtroppo, devo dire che non sono soddisfatta dei risultati se non per qualche stralcio qui e lì. Non credo tuttavia che vi metterò mano ancora: le parti che non mi convincono sono tali e tante che sarei costretta a riscriverlo da capo, ma non credo di averne l'ispirazione. Ringrazio comunque infinitamente chi mi ha recensito, ovvero Serenity, eugeal e Fredyck: leggendo i vostri commenti ho avuto per un attimo l'impressione di non essere poi così male come scrittrice :)
Ringrazio anche la mia amica Crimsontriforce, di cui non mi stancherò mai di lodare la stupenda "Fool" (nonché tutte le sue opere in altri fandom, ovviamente!), e Maurix89, a cui la fic è piaciuta moltissimo, sebbene ancora non riesca a capire perché XD Grazie, amici!

DISCLAIMER: I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di Capcom e degli aventi diritto. La storia stessa non è stata scritta per fini di lucro.

  
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