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Autore: Kehia    13/11/2012    1 recensioni
Volevo fuggire e sono fuggita. Volevo respirare aria pulita e l'ho respirata. Volevo incontrare un angelo... e l'ho incontrato.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fuggo, fuggo e ancora fuggo.
Scappo via, come sempre.
Se qualcosa non mi va bene me ne vado.
Scappo da ogni responsabilità. Corro via da ogni conseguenza.
Il fatto di diventare adulta mi spaventa da morire, allora scappo via. Non voglio vivere nel mondo degli adulti, non sono pronta per assumermi dei doveri, quindi fuggo. Fuggo via.
Ho preso il primo treno che ho trovato, almeno i soldi non mi mancano per ogni capriccio.
Chissà se mamma si preoccuperà? Chissà se papà si arrabbierà e mi metterà in punizione quando tornerò?
Chi se ne frega, tanto questa volta non tornerò.
Sono stufa del loro modo di pensare. Non sono mai stati fieri di me, sono soltanto un errore, come disse mio fratello. Loro neppure mi volevano, allora perché devo continuare ad essere un peso? Meglio così. Mi nasconderò nella città che amo di più al mondo. Che bella la mia città natale.
Il sole non è ancora tramontato del tutto, fuori dal finestrino scorrono veloci i campi di grano, i prati e i boschi verdi che segnano l’inizio della primavera, tutte queste meraviglie formano la regione più bella che possa esistere.
Vorrei stabilirmi qui, vivere normalmente, ed ammirare ogni giorno i campi che circondano queste città. Chiedo troppo?
Scorrevano così tanti pensieri nella mia mente che nemmeno mi accorsi della persona che si sedette accanto a me. Lo notai soltanto con la coda dell’occhio quando prese un libro dallo zaino. Mi voltai di scatto e lo guardai per un millesimo di secondo, solita cosa che si fa quando si vede uno sconosciuto vicino, giusto per riconoscerne il viso.
Quando però voltai il capo alla mia destra scoprii che lui mi stava già fissando, sicuramente arrossii di botto e feci una faccia a dir poco stupita. Mi voltai subito verso il finestrino imbarazzata, mai visto un viso simile, ripeteva la mia mente, mai.
Un ragazzo, sicuramente più grande di me, con i rossi capelli arruffati sulla fronte e gli occhi grigio chiaro. Il naso dritto in una maniera assurdamente perfetta, le guance ben delineate e le labbra della giusta misura. Mi stava sorridendo.
Cominciai a sudar freddo, che strano effetto mi aveva fatto. Che figuraccia invece dovevo aver fatto io, bah, le facevo sempre, una di più una di meno, non mi cambiava nulla.
-Scusa, sai dirmi l’ora?-, la sua voce fu a dir poco un fulmine che trapassò completamente il mio corpo, mi fece venire i brividi. Era roca e fantastica. Scossi la testa con fermezza, ehi! Riprenditi! Pensa alla tua città natale!
Mi voltai a guardarlo e poi diedi un occhiata al telefonino, ben stretto nella mia mano in caso di una chiamata da qualche amico.
-Sono le sette-, la mia voce uscì sottile e un po’ incerta. Lo guardai con la coda dell’occhio e notai di nuovo il suo sorriso. Un altro brivido mi scosse, era un brivido di calore.
Il treno andava lento tra una fermata e l’altra, il paesaggio era ormai buio, quindi non potevo nemmeno ammirare quello spettacolo straordinario, il ragazzo seduto accanto a me leggeva il suo libro in silenzio. Io, non sapevo assolutamente che fare.
Quando per fortuna il mio telefono squillò e mi diede di che occuparmi, mi sentii sollevata.
‘Ehi, piccola Lily! Che fine hai fatto?! Siamo tutti preoccupati cavolo! Come stai?! Hai litigato di nuovo coi tuoi? E ora dove sei?! Ti prego rispondimi!’
Sorrisi nel leggere le frasi del messaggio della mia amica. Non ci pensai due volte a rispondere.
‘Sta tranquilla sono ancora viva! E sto bene… sì, ho litigato con i miei, ma questa volta non torno! Mi dispiace, non ti dico dove sono diretta perché ti conosco. Saresti così preoccupata che lo diresti ai miei. Non preoccuparti quindi per me, ti chiamo domani mattina. Ciao’.
Feci una smorfia, forse era un po’ troppo freddo come sms, ma sarebbe andato bene comunque. Dopotutto io ero così.
Spensi il telefono, sì, la conoscevo troppo bene e non si sarebbe rassegnata fino a che non avesse scoperto dove mi trovavo.
-Scusa, hai una sigaretta?-, la voce del ragazzo, il quale avevo totalmente dimenticato per quei due minuti, mi giunse calda all’orecchio.
-Sì, ce l’ho. Ma qui non si può fumare-, risposi fredda. Lui guardò in alto mortificato.
-Ma io sono in astinenza…-, lo guardai storto.
-Cosa credi? Anch’io lo sono. E’ solo questione di forza di volontà-.
All’improvviso si voltò verso di me sorridendo.
-Beh, allora la sigaretta me la darai quando scendiamo! Tu dove scendi?-, chiese.
Il suo sorriso abbagliante mi indusse all’improvviso a rispondergli con serenità. Innaturale serenità.
-A Firenze-.
-Bene!-, il suo sorriso si allargò quasi a deformargli il viso. –Scendo anch’io lì!-.
In un secondo mi chiesi chi fosse e cosa volesse quel ragazzo da me. Ma le risposte immediate furono: Nessuno e niente.
Eppure più incrociavo il suo sguardo e più mi sentivo serena. La rabbia della litigata coi miei passava lentamente. Presto le botte di mio padre, gli insulti di mia madre, i dispetti di mio fratello, sarebbero svaniti dietro la serenità che emanava quel sorriso.
-Ah, scusami, che maleducato. Io sono Dave-. Il mio sguardo mutò da imbarazzato a curioso in un secondo. Il suo accento non s’inclinava verso alcuna zona del paese, parlava un italiano a dir poco perfetto.
-Sei italiano?-, le mie labbra si mossero da sole e senza accorgermene arrossii.
-Sì!-, rispose con un insolito entusiasmo che mi lasciò di stucco. –Te invece? Come ti chiami?-.
Guardai un attimo in basso. Dopotutto era uno sconosciuto, poteva anche essere un maniaco sessuale o che so io. Valeva la pena fidarsi? Dovevo dirgli il mio vero nome?
-Uhm, mi chiamo Ilaria-, dissi incerta, lui mi fissò per qualche secondo, poi rise divertito. Lo guardai. –Cosa c’è da ridere?!-.
Incrociò le braccia e sorrise spavaldo.
-Non ti chiami Ilaria, ti chiami Giulia-, lo guardai perplessa.
-E tu come fai a saperlo!?-, la mia voce risultò acuta e come ogni ragazza impulsiva che si rispetti, entrai nel panico.
-E’ scritto sul tuo braccialetto-.
Osservai il braccialetto d’oro che portavo al polso, regalo dei miei genitori per i tredici anni. Lo sfilai senza nemmeno pensarci e lo lanciai oltre di lui, arrabbiata.
Dave si chinò subito a raccoglierlo e mi guardò confuso.
-Non mi pare il caso di arrabbiarsi-.
Non risposi. Avevo dimenticato di togliermi quello stupido braccialetto. Era soltanto uno dei tanti stupidi ed insignificanti regali dei miei genitori che cercavano di comprare il mio affetto.
Sentii le lacrime salire insistenti fino agli occhi, no, pensai, non era proprio quello il momento di piangere. Lui non doveva sapere che ero una piagnucolona viziata.
-N-non è per quello. Scusa, è che sono nervosa-, mi guardò. Una che è nervosa però non si mette a lanciare oggetti di grande valore su un treno pieno di gente, no?
-Non devi mica scusarti-, eppure il suo sorriso tornò e mi scaldò ancora. Ecco, la rabbia stava scomparendo.
-Sei di Roma?-, mi chiese, dopo uno strano silenzio.
-Si sente, vero?-, chiesi imbarazzata dal mio pesante accento.
-Abbastanza-.
-Tu invece di dove sei? Sarò io una frana ma, non sento alcun accento-. Sorrise sereno.
-Perché io vivo di qua e di là-.
-Cosa significa?-.
-Sono nato a Milano, poi ho vissuto a Roma, poi a Genova, a Ravenna, a Bologna, a Pavia e a Perugia. Negl’ultimi anni ho vissuto a Sassari, mi sono spostato poi all’Aquila e sono tornato di nuovo a Roma-.
Rimasi a bocca aperta a fissare i suoi strani occhi. Lui sorrise come se ciò che aveva detto fosse la cosa più normale del mondo. Ci credo che non possedeva alcun accento, non aveva avuto modo di acquisirlo!
Mi chiesi ancora una volta chi fosse lui. E perché aveva attaccato bottone proprio con me? Una normale – anche troppo – ragazza di città. I miei capelli castano chiaro, le mie guance paffute, il mio sorriso incerto e i miei occhi celesti, non erano niente di speciale.
Scossi la testa, era stato un caso. Sì, un caso.
Cominciò a parlare solo lui e mi raccontò di tutte le città dove aveva vissuto –tranne Roma, beh, la conoscevo a memoria-, svelandomi che nonostante avesse girato così tanto, non aveva mai visitato la Toscana.
-Quindi sei qui per farti una vacanza?-, chiesi, ormai presa in tutto e per tutto da lui.
-Beh, sì diciamo che è così. Sono curioso di visitare questa regione-, sorrisi. –E tu invece? Una ragazza come te che viaggia da sola. Che scopo ha questo tuo viaggio?-.
Guardai in basso piena di nostalgia. Storsi la bocca reprimendo il dolore del vuoto al petto. Lasciai cadere le mani sopra le ginocchia e socchiusi gli occhi.
-Volevo, soltanto tornare nel posto in cui sono nata-, alzai di nuovo lo sguardo cercando di non apparire sofferente. –Sai, da piccola passavo un mese dell’estate nella Toscana, ed in quegl’anni me ne sono innamorata. E’ perfetta, i suoi paesaggi, le pianure, le distese infinite e tutte le meraviglie che possiede… io le amo tutte. E’ l’unica di cui io mi sia mai innamorata.
-Poi però i miei hanno smesso di andarci e hanno venduto la casa che avevamo, quindi, mi è rimasta tanta nostalgia di questo posto-.
Forse fu solo una mia impressione, ma per un attimo il suo sorriso mi sembrò triste.
Quando il treno si fermò sospirai. Finalmente eravamo arrivati, presi la piccola valigia che mi ero portata dietro e misi lo zaino in spalla. Lui fece la stessa cosa, anche la sua valigia era piuttosto piccola. Scendemmo insieme e camminammo per la bella stazione di Firenze, tranquillamente. Era praticamente vuota a quell’ora.
-Dove alloggerai?-, chiese quando uscimmo dalla stazione.
-Conosco un bell’albergo qui dietro, passerò lì la notte-, risposi tranquillamente. Poi lo guardai, quello era il momento della separazione. Era giunto quindi. Sentii uno strano peso al cuore, scrutai sotto la luce di un lampione i suoi occhi grigi. Essi, facevano lo stesso, il suo viso era insolitamente serio ed era oramai stampato nella mia mente: Bellissimo.
-Posso venire con te? Io non so dove andare-.
Quella proposta mi diede un senso di felicità indescrivibile. Cosa?! Ma cosa mi prendeva!
Non gli chiesi nemmeno perché non aveva pensato a prenotare un albergo, non m’importava!
Lo guardai ancora, perché ero così felice di poterlo avere accanto? Beh, pensai, forse perché avevo paura della solitudine.
-Certo-, sussurrai.
Tornò a sorridermi.
 
-Mi scusi, non può prendere una stanza se non è maggiorenne-, la voce neutrale della donna dietro il bancone mi fece saltare i nervi. Presi i documenti e glieli sbattei in faccia.
-Lo vede cosa c’è scritto?!-, scandii bene le cifre –Sette, Gennaio, millenovecentonovanta!-. la donna rimase allibita e si scusò immediatamente. Dietro di me Dave rise di gusto, mi voltai per guardandolo in cagnesco.
-Volete una doppia?-, chiese spaventata.
Io sospirai e cercai di calmarmi.
-No, direi che prendiamo due singole, giusto?-.
Storse la bocca incerto e fece cenno di avvicinarmi a lui.
-Non pensi che sia meglio prendere una doppia? Così dividiamo il prezzo, ci viene di meno. Facciamo mettere due letti separati, che ne dici?-.
Lo guardai sconcertata. La proposta di stare in camera con un uomo come lui mi allettava, questo era certo. Quale ragazza sana di mente avrebbe rifiutato una proposta da un tipo del genere?!
-Ma ti conosco da meno di due ore-, dissi sottovoce. Eppure dentro di me sentivo tante vocine che fastidiosamente mi suggerivano di accettare quella proposta.
-Già, hai ragione. Scusami, è che pensavo che magari sarebbe stato meglio dividere il prezzo. Non per altro. Comunque se ti crea disagio vanno bene anche due singole, non c’è alcun problema-.
Pensai qualche istante, era praticamente uno sconosciuto e sin da piccola avevo imparato a non fidarmi degli sconosciuti. Sì, era la persona più bella che io avessi mai visto, ma cosa c’entrava? Era pur sempre uno sconosciuto!
Mi avvicinai con aria spavalda al bancone e fissai la donna.
-Una doppia, con letti separati, grazie-.
Con la coda dell’occhio, vidi i suoi occhi illuminarsi ed il suo sorriso comparire più splendente che mai.
 
-Finalmente un letto!-, esclamai buttandomi sopra al primo materasso che trovai. Era morbido e confortevole, affondai la testa nel cuscino beata.
La stanza era uno splendore. Il pavimento in legno, le pareti rivestite con carta da parati giallo ocra. La porta-finestra infondo alla stanza donava una vista straordinaria su tutta la città di Firenze. C’era la televisione, il minibar, mobili dove mettere i vestiti e il bagno super accessoriato.
-Signora, lascio i bagagli qui?-, il facchino mi guardò incerto e spaventato. Facevo così tanta paura? Mi alzai e gli sorrisi.
-Sì!-, esclamai piena di entusiasmo, misi una mano in tasca estraendo un po’ di soldi. Di solito quanto si dava di mancia ad un facchino? Boh. Gli diedi tutto quello che avevo in tasca e lui se ne andò soddisfatto.
-Wow! Che roba magnifica!-.
Dave era appena entrato e ammirava la stanza estasiato. Posò lo zaino a terra e corse in terrazza ammirando il panorama, lo raggiunsi con un sorriso e commentai.
-Cosa ne pensi? Firenze non è la città più bella del mondo?-.
Lui sorrise felice e respirò a fondo l’aria della città.
-Sì, è bella. Domani voglio visitarla tutta!-, si voltò verso di me. –Mi farai da guida, vero?-.
Sorrisi, meglio stare con lui che fuggire da sola. Almeno avendo qualcuno che mi faceva compagnia avrei potuto fare finta di essere lì per divertirmi. Avrei potuto fare finta che i miei genitori stessero a casa ad aspettarmi. Avrei potuto fare finta che la mia vita fosse perfetta.
Avrei ingannato me stessa, per quel poco che bastava a farmi sentire finalmente in pace.
Sì, stavo ancora scappando, scappavo dalle mie responsabilità, scappavo dalla mia vita, dal mondo, dai miei amici e dalla mia famiglia. Non m’importava niente, scappavo come mio solito e questa volta non sarei tornata.
 
Osservavo nel buio il braccialetto con inciso il mio nome che Dave mi aveva restituito in treno, per un certo senso era triste ritrovarsi lì.
Nel suo letto lui dormiva tranquillo, non sapeva che io soffrivo d’insonnia. Per fortuna avevo portato con me i sonniferi. Li estrassi dallo zaino e ne presi due pasticche ingoiandole intere e bevendo un po’ d’acqua. Ben presto mi avrebbero messa ko.
 
Quando mi svegliai, la mattina dopo, la prima cosa di cui mi resi conto fu di morire di fame. Mi alzai intontita e mi guardai attorno.
Dave non era nel suo letto e nemmeno in bagno, così ci andai io. Cercai di mettere apposto i capelli –impresa molto ardua- e di svegliarmi completamente.
Quando uscii dal bagno notai che il ragazzo dai capelli rossi si trovava in terrazza.
Gli arrivai accanto e sorridendo dissi in un sussurro.
-Buongiorno-.
Lui si voltò appena e mi sorrise. Oh, mio Dio, era ancora più bello tutto spettinato e assonnato.
-Ti piace davvero tanto questa città, eh?-, continuai a bassa voce.
Lui annuì continuando a sorridere.
-Vista da qui, mi sembra di essere in cima al mondo. Osservo la gente e le macchine che passano, guardo i campi di grano all’orizzonte. Ammiro il duomo e tutto questo, mi fa sorridere. La quotidianità di queste cose che esistono da anni. Io, non lo so-, sembrò confuso –Tutte queste semplici cose, il solo fatto di poterle osservare, mi rende felice-.
Non afferrai completamente il senso di quella frase.
Guardai l’orizzonte, il sole era alto nel cielo da un bel pezzo ormai. I sonniferi mi uccidevano davvero, però, meglio dormire tanto che non dormire per niente!
La maglietta del suo pigiama era a maniche corte, e non potei fare a meno di notare dei buchi sopra la vena del braccio, erano due ben visibili, sembravano recenti.
Entrai nel panico.
Alzai lo sguardo e lo fissai attentamente.
-E quelli?-, di solito entravo nel panico solo interiormente. All’esterno cercavo sempre di mantenere la calma. Lui guardò il proprio braccio e sospirò.
-Mi hanno fatto un bel po’ di analisi ultimamente-, rise –Mi hanno tolto litri e litri di sangue-, il suo tono era così sincero che non potei fare a meno di credergli.
-Analisi per cosa?-. Guardò in alto.
-Bah, roba di routine, sai mio padre ha sempre paura che possa contrarre qualche malattia. Allora mi fa fare ogni tipo di analisi per sicurezza-. Inclinai la testa.
-Sei cagionevole di salute?-.
-Sì, diciamo un po’-. Si voltò a guardarmi sorridente. –Beh, che ne dici se andiamo a mangiare e poi ci facciamo un giro per la città?-, all’improvviso si fece entusiasta. –E’ già mezzogiorno, direi che possiamo anche pranzare-. Si voltò ed entrò in camera.
Lo guardai confusa.
-Tu da quanto è che sei sveglio?-, chiesi senza pensare. Lui mi guardò e sorrise rassicurante.
-Da poco più di te-.
Era una bugia, questa volta lo sentii.
Aspettai che lui si facesse una doccia. Quando finì entrai io. Era una settimana che non mi lavavo come si doveva, quella doccia bollente mi rilassò completamente. Un paio di jeans ed una maglietta sarebbero andati più che bene. Ci misi meno di dieci minuti.
Quando uscii dal bagno trovai Dave che rovistava nella propria valigia e, con molto piacere, notai che era ancora a petto nudo. Feci finta di non essere imbarazzata e cercai di non guardarlo troppo, rischiavo di mangiarmelo con gli occhi.
-Cosa cerchi?-, chiesi una volta seduta sul mio letto. Parlandogli avevo una scusa per guardarlo!
-Trovata!-, esclamò soddisfatto.
Si eresse in tutta la sua altezza e si voltò verso di me. Non potei fare a meno di rimanere incantata dal suo fisico atletico, scolpito appena ed incredibilmente sexy… scossi violentemente la testa. Scema, scema! Riprenditi!
Tornata in me, notai un’altra cosa. Aveva una strana cicatrice sotto il pettorale sinistro. Non mi sentii in vena di chiedergli cosa aveva fatto, altrimenti avrebbe pensato che non avevo potuto fare a meno di adorare il suo fisico.
Però ci pensai su per un attimo, non poteva essere stata un operazione al cuore. Di solito quando si operava al cuore si passava da destra quindi non mi preoccupai.
Ciò che aveva estratto era una maglietta di un gruppo musicale, disse che era la sua preferita.
Pranzammo al ristorante dell’albergo e lì, cominciammo a conoscerci davvero.
Scoprii che era un appassionato di musica e che aveva suonato il basso per un periodo. Aveva praticato per un po’ la scherma e aveva vinto qualche torneo, ma a causa dei vari spostamenti aveva deciso di mollare tutto. Mi parlò di ogni dettaglio della sua vita, dal fatto che non poteva permettersi di avere una ragazza fissa e che tutte le sue storie erano finite male, al punto che non aveva nemmeno amici. Quando però gli chiesi perché la sua famiglia si trasferiva così frequentemente mi disse, in tono vago, che ai suoi piaceva viaggiare.
Poi toccò a me. E siccome quel bel ragazzo mi ispirava una fiducia tremenda, decisi di raccontargli tutto, ma proprio tutto.
Di come i miei genitori mi avevano trattata in diciotto anni, di come per me la scuola fosse solo una perdita di tempo. Ero stata solo in stupidi e snob istituti privati dove si studiava e basta. Non avevo mai praticato sport. Di musica ne sentivo ben poca. L’unica storia che avevo avuto era stata un anno prima con un bastardo che mi aveva abbandonata proprio nel momento del bisogno. E quei pochi –ma buoni- amici che mi ero fatta, era stato grazie a Ilaria, la mia vicina e coetanea.
Insomma, la mia vita era vuota e triste. Io ero vuota e triste.
Lui ascoltò la mia storia senza interrompere nemmeno una volta, era rattristato quanto me.
-Ma quindi… i tuoi lo sanno che sei qui?-, guardai in basso mentre il cameriere portava via l’ultimo piatto rimasto.
-No, e non devono saperlo-, alzai lo sguardo minacciosa. –Ho diciotto anni, sono libera di fare come voglio-. Lui scosse la testa.
-Non sarebbe meglio affrontarla la tua famiglia invece che fuggire?-.
-E con quali risultati? Pensi che non ci ho provato? E’ inutile, io non voglio pensarci. Ora sto bene, lontano da loro-, mi guardò preoccupato. –E poi-, continuai imbarazzata, come una bambina –Mi trovo bene con te-. Lui rise.
-Con uno sconosciuto?-.
-Uno sconosciuto molto affascinante-, ammisi sorridendo.
-A beh, sì, lo ammetto. Sono troppo bello per essere vero-, lui ironizzò. Ma era la pura verità.
Troppo bello per essere vero.
Sì, lo so che di solito non si dovrebbe giudicare una persona solo dall’aspetto fisico, ma insomma però! Lui era… troppo bello!
Scossi la testa mentre camminavamo davanti al duomo. Appunto per quello, era bello, intelligente, simpatico, cosa ci faceva con una come me? Beh, era stato solo un caso, no?
In una giornata facemmo tutto il giro di Firenze, non era gigantesca come città quindi ce la prendemmo con calma. Però era bella, sempre troppo bella per essere vera. Come lui.
Ecco, lui avrebbe dovuto vivere lì, l’uomo più bello nella città più bella.
Cenammo con un panino e tornammo in camera verso le nove.
Non ero mai stata così bene, ogni volta che vedevo il suo sorriso sentivo una strana vampata che mi invadeva, insomma mi… scaldava? Come potevo descrivere quella strana sensazione?
Lui andò in terrazza ed io lo raggiunsi.
-Ehi-, feci sottovoce poggiandomi alla ringhiera. –Ma te non eri in astinenza?-.
Estrassi un pacchetto di sigarette dalla tasca e glielo porsi. Anche io, ero riuscita a stare più di un giorno senza fumare, il pensiero non mi aveva nemmeno sfiorato, e a quanto pareva nemmeno a lui.
Ne prese una sorridendo.
-Stando con te non ne ho sentito il bisogno. Buffa come cosa, vero?-. Sorrisi. Lui si mise la sigaretta in bocca ed io estrassi l’accendino per aiutarlo ad accenderla. Tirava un po’ di vento, quindi l’accendino faceva i capricci. Mi avvicinai, posi una mano per riparare il fuoco dal vento e finalmente azionai la fiamma.
Lui però non si chinò per accendere la sigaretta, mi scrutò a fondo con quegl’occhi che alla sola luce del debole fuoco, erano diventati grigio scuro, i suoi lineamenti, erano semplicemente da svenimento. Difatti, quando sfiorò la mano che copriva il fuoco dal vento con la sua mi sentii mancare.
Aprì la bocca e lasciò cadere la sigaretta per terra, nello stesso istante io feci lo stesso con l’accendino. Ci mise un millesimo di secondo per prendermi il viso tra le mani e baciarmi.
Il tocco della sua pelle calda provocò una onda di piacere che m’invase tutto il corpo. Non potei fare a meno di aggrapparmi a lui ed approvare con tutta me stessa quel gesto improvviso.
No, no, no. Non volevo staccarmi da quell’unione. Troppo perfetta, troppo assurdamente perfetta.
Le sue labbra erano morbide e soffici, sfioravano le mie così delicatamente da provocarmi un bisogno assurdo, qualcosa difficile da descrivere. Qualcosa che non avevo mai provato. Non era la solita eccitazione.
Abbassò la mano sinistra e la fece passare sulla schiena in modo da avvicinarmi a lui, sentii il suo corpo completamente aderente al mio. Avida di quelle sensazioni indescrivibili mi strinsi ulteriormente alle sue forti spalle.
Stavo per svenire davvero.
Le sue mani, le sue labbra, il suo corpo erano tutto ciò che una donna potesse desiderare. Quindi in quel momento, ero la donna più felice del mondo.
Sfiorò ancora le mie labbra, poi si abbassò sul mento, tornò sulle labbra e salì sulla punta del naso. Infine si spostò sul collo. Tenevo gli occhi chiusi godendo come non mai di quei momenti, ogni suo bacio sul mio collo mi faceva sospirare, era un piacere impossibile da descrivere. Mi sentivo appagata solo dal fatto che mi toccasse.
Mi sentii triste quando smise di baciarmi, si ritrasse di pochi centimetri e mi guardò.
Io aprii lentamente gli occhi, lucidi per quella dolce agonia. Notai che anche i suoi tremavano, il volto era serio e quando mi accarezzò il viso disse in un dolce sussurro.
-Credi nell’amore a prima vista?-.
Delle lacrime, lacrime che dedussi fossero di felicità, cominciarono a scivolare dai miei occhi.
-Ora sì-, risposi con un singhiozzo. Lui mi sorrise soddisfatto e asciugò le lacrime con i pollici. Poi mi prese il viso tra le mani e parlò ancora.
-Io, credo di essermi innamorato di te non appena ti ho vista. Da quando, imbarazzata, hai distolto gli occhi dai miei. Credo sia stato allora-.
Mi tremavano addirittura le labbra dalla felicità. Non era qualcosa di possibile, le persone perfette dovevano stare con le persone perfette!
-Perché proprio io?-, chiesi continuando a piangere, –Perché proprio una persona inutile come me?-.
Mi guardò severo.
-Non sei inutile. Anche se lo neghi hai tante qualità. Sei intelligente e a quanto ho capito hai una passione particolare per la natura. Questa regione ti piace perché in campagna trovi posti magnifici e scommetto che ti ci rispecchi. Inoltre sei bellissima e, sì, so che lo negherai. Ma per me sei bellissima-.
In preda ad una crisi di pura felicità, non riuscendo a negare ciò che aveva detto, mi buttai praticamente su di lui, che mi sorresse con delicatezza e mi strinse, mentre io aggrappata al suo corpo per paura di cadere, piangevo come una bambina.
-Lo sapevo! Lo sapevo che esistevano!-, esclamai singhiozzando.
-Cosa?-, fece lui confuso.
-Gli angeli! Gli angeli! Tu sei il mio Angelo! Grazie Dio!-.
Sicuramente, sembrai una bambina, la quale stava vedendo il suo sogno diventare realtà.
Le lacrime che solcarono le mie guance quella notte, per la prima volta nella mia vita, furono di felicità.
Mi ero davvero innamorata di una persona in un solo giorno? Poteva essere possibile questa cosa? Io? Proprio io, che dopo la delusione d’amore ricevuta, mi ero promessa di non ricaderci mai più? Eppure ero io. E sì, mi ero innamorata di un angelo. 
La sua dolcezza, il suo modo di fare così sereno, la sua scioltezza nei movimenti. Era semplicemente perfetto. E nonostante ancora non mi capacitassi di come poteva essersi  innamorato di una come me, lo accettai in tutto e per tutto.
Quella notte, quando smisi di piangere, facemmo l’amore.
 
La mattina dopo mi svegliai più indolenzita che mai, dovevo aver preso freddo. Per la prima volta dopo tanto tempo, mi ero addormentata senza bisogno del caro sonnifero. Guardai Dave che dormiva al mio fianco, una sua mano era rimasta sulla mia schiena. Il suo viso era sereno e rilassato, sorrisi. Sì, mi ero davvero innamorata di lui.
Accarezzai i suoi capelli stupendi, delineai il contorno delle labbra con il pollice, non potevo fare a meno di sorridere. Ero felice. Per la prima volta nella mia vita, ero davvero felice.
Ma la prima cosa che pensai fu: Avrebbe potuto quella felicità durare per sempre?
Per quanto lo volessi, la risposta fu un semplice No.
Silenziosamente mi alzai dal letto ed infilai la prima cosa che trovai: la sua maglietta, che naturalmente mi calzava tre volte più grande.
Riesumai il cellulare dall’angolo più sperduto dello zaino. Povera Ilaria, pensai, chissà quanto sarà preoccupata, non avendo ricevuto una mia chiamata.
Accesi il telefono e misi immediatamente il silenzioso aspettandomi una raffica di messaggi suoi e di altri amici. Difatti arrivarono dopo pochi secondi.
Quelli di Ilaria erano ben tredici, tutti più o meno simili. Era preoccupatissima. Due erano di altri amici altrettanto preoccupati e uno, era di mamma.
“Dove sei finita ‘sta volta? Vedi di rispondere siamo tutti preoccupati”.
Sì certo, pensai sarcastica.
Risposi soltanto a Ilaria.
“Scusami tanto se non ti ho chiamata. Sto bene. Però non cercarmi, okay? Non mi troverai più al cellulare. Prometto che mi farò viva io. Saluta gli altri e manda a tutti un bacione, grazie per esservi preoccupati”.
Inviai il messaggio e poi andai in terrazza, controllai che non passasse nessuno di sotto e lasciai cadere il cellulare nel vuoto. Beh, erano solo otto piani.
-Non devi mica prendertela con il cellulare se ti arrivano messaggi a raffica-.
Mi voltai di scatto e lo vidi, in piedi davanti a me con appena i boxer addosso che mi sorrideva assonnato.
-Così almeno la gente non mi cercherà più-. Lui sorrise e mi accarezzò il viso.
-Come ti senti?-.
Questa volta non mi sembrò solo una sensazione, il suo sorriso parve davvero triste.
-Io sono in paradiso-, sorrisi con sincerità. –Te invece? Mi sembri un po’ triste, sbaglio?-.
Spostò la mia frangia da un lato e sospiro estasiato.
-No, sono soltanto stanco. Ma sono felice, anzi, la parola ‘felice’ sembra troppo riduttiva per esprimere il mio stato d’animo-.
Presi la sua mano e cominciai a giocherellarci. E sì, cara piccola Lily, stava proprio accadendo.
-Sai, non ho mai provato il servizio in camera-, feci sorridendo.
-Nemmeno io! Dai abbuffiamoci-, disse entusiasta.
Quella mattina facemmo colazione insieme e ridemmo la maggior parte del tempo.
Non c’era niente da fare, stare con lui mi appagava totalmente.
Però, fu proprio lui ad un certo punto, ad affrontare un discorso serio.
-Che intenzioni hai, adesso?-.
-Cioè?-, chiesi stupita sorseggiando il latte.
-Cioè: non puoi mica restare in albergo per sempre. La carta di credito prima o poi si esaurirà. Non puoi continuare a fuggire-.
Guardai in basso.
-Ma cosa vuoi che faccia? Se tornassi i miei mi farebbero nera e sarei costretta a fuggire un’altra volta-.
Lui sospirò.
-Ma io penso che ti troveranno comunque. Insomma sono passate più di ventiquattro ore dalla scomparsa, potrebbero sporgere denuncia. E oltretutto, volendo, tuo padre con l’aiuto della polizia potrebbe controllare i movimenti della tua carta di credito, no?-.
Annuii triste.
-Per adesso vorrei non pensarci-, feci sottovoce.
-Anche io dovrò tornare a casa sai?-.
Alzai all’improvviso lo sguardo ed il fiato mi mancò. No. Perché? Non potevamo restare così per sempre…?
No.
-Ho detto ai miei che stavo fuori solo tre giorni-, borbottò tra sé.
Andai nel panico.
-E… e io cosa farò senza di te? Perché non scappiamo insieme? Magari all’estero! Oppure portami con te in una delle tante città in cui hai vissuto!-.
Scosse la testa.
-Non possiamo scappare, lo vuoi capire? Tu devi finire la scuola e poi devi andare all’università. Hai avuto i tuoi attimi di libertà, no? Adesso devi affrontare le conseguenze delle tue azioni, non puoi fuggire per sempre, Giuly-.
Guardai in basso mortificata, Giuly… era da tempo che qualcuno non mi chiamava così. Il nomignolo Lily era spuntato fuori dalle lettere finali di Giuly, appunto. Quasi tutti mi chiamavano Lily.
-Ma io voglio stare con te-. Sussurrai.
Mi accarezzò il viso.
-Questo è ovvio, non credere che ti lascerò andare via da me-, sorrise e il mio cuore si scaldò all’istante. –Appunto per questo devi affrontare la tua famiglia, così poi, magari, verremo entrambi a fare l’università qui, a Firenze. Che ne dici? Prenderemo casa qui, in questa splendida città. O ancora meglio in periferia, verso la campagna, così potrai ammirare quei bellissimi paesaggi ogni giorno-.
Mi veniva da piangere, quelle parole erano troppo dolci, troppo perfette. Amavo ogni cosa di lui.
-Domani sera-, continuò -partiamo insieme per Roma, okay?-.
Sì, era riuscito a convincermi, se ci fosse stato lui al mio fianco sarei stata capace di affrontare chiunque. Anche i miei genitori, sì, avrei potuto farcela.   
Cercai di passare la giornata seguente godendo di ogni singolo attimo insieme a lui. Andammo insieme a Pisa quel giorno, gli feci visitare la famosa torre, era estasiato solo alla sua vista. Vederlo così entusiasta mi rendeva davvero felice.
Più volte nella giornata sperai che quei momenti rimanessero impressi nella mia memoria per sempre. Il solo tocco della sua mano che stringeva la mia, provocava dentro il mio cuore una sensazione di felicità pazzesca. Ma perché accadeva? Come poteva un semplice essere umano a provocare in me quelle sensazioni?
Osservai sorridente il suo profilo mentre camminavamo per la piazza del centro, ma lui non era un essere umano… era un angelo.
Strinsi la sua mano, mancava poco al nostro ritorno ed io ero piuttosto timorosa, avevo un po’ paura di cosa sarebbe potuto accadere, ma con lui al mio fianco ero sicura di poter affrontare tutto.
Quel giorno però, pur essendo entusiasta di visitare la città, lui non parlò molto. Spesso mi sembrava di vederlo triste o abbattuto, triste per cosa? Mi convinsi che fosse soltanto una sensazione, non era la prima volta che la sentivo, forse erano delle paranoie. Bah, però non ero mai stata paranoica.
Sul treno del ritorno a Firenze non disse praticamente nulla, io come al solito poggiavo la fronte sul vetro del finestrino ed ammiravo affascinata i paesaggi che scorrevano, le distese di fiori erano particolarmente belle ai miei occhi quel giorno, chissà perché?
Dave si limitava ad avvolgere le mie spalle con il braccio e ad accarezzarmi il collo ogni tanto, quando lo faceva io mi voltavo a guardarlo e lui, teneva lo sguardo fisso davanti a se e poggiava la testa al sedile rilassato. Sembrava che solo il fatto di toccarmi lo appagasse, beh, a me succedeva la stessa cosa. Forse non parlava perché aveva esaurito tutti i discorsi da fare, o forse gli bastava solo il fatto di avermi vicina, di sentire la mia presenza… questo era quello che sentivo io.
Senza pensarci troppo mi chinai verso di lui ed appoggiai la testa sul suo petto, chiusi gli occhi e sospirai. Che strano, pensai, non sentivo il suo cuore battere.
Lui mi accarezzava la nuca delicatamente, io poggiai le mani sulla sua coscia sinistra. Oh, mio Dio come stavo bene.
Se la felicità avesse avuto un apice, un limite, un traguardo… beh, io lo avevo superato di gran lunga.
Un angelo mi aveva portata in paradiso, e non sarei più scesa, mai più.
 
-Perché dobbiamo prendere il treno veloce? Quello lento che ci mette dalle tre alle quattro ore è molto più comodo, non credi?-, azzardai mentre preparavo la valigia. Lui rise uscendo dal bagno con i nostri spazzolini.
-Prima arriviamo lì e prima affronterai i tuoi. Vuoi ad ogni costo ritardare tutto?-.
Guardai in basso e storsi la bocca.
-No, voglio stare con te il più possibile-.
Quella risposta stupii pure me, non ero mai stata così spontanea con nessuno, era vero, volevo stare con lui il più possibile, perché dentro di me sentivo una strana certezza. La certezza che quando sarei tornata a casa, mi sarei svegliata da questo straordinario sogno che stavo vivendo e tornando alla realtà, mi sarei ritrovata completamente sola. E a me la solitudine, spaventava da morire.
-E’ proprio per questo che è meglio fare il prima possibile-, senza che nemmeno me ne accorsi mi arrivò di fianco e prese il mio viso tra le mani. –Quando avrai risolto questo problema potremmo stare sempre insieme, capisci? E non avrai più il peso di essere una fuggitiva!-. Sorrise, come al solito le sue parole mi confortavano e il suo sorriso mi scaldava.
Quando fummo pronti uscimmo dalla stanza. Prima di uscire però, guardai i nostri due letti, che due sere prima avevamo unito per fare l’amore. Il ricordo di quella sera non sarebbe svanito mai più dalla mia mente. Né quelle assurde lacrime di felicità, né il primo bacio che mi aveva dato. Quei due letti, come me e Dave, erano diventati una cosa sola.
Sorrisi e diedi un’ultima occhiata alla stanza, ne ero sicura, non l’avrei mai dimenticata.
 
 -Posso farti una domanda invadente?-, chiesi in treno voltandomi verso di lui.
-Certo che puoi-, rispose disinvolto.
-Come ti sei fatto, la cicatrice sul petto?-.
Mi guardò per qualche secondo stupito.
-Oh, l’hai notata-.
-Beh, sai com’è. E’ difficile non notarla dopo queste due notti passate insieme-, mormorai, più a me stessa che a lui. Rise.
-Niente, una piccola operazione di qualche anno fa, piuttosto, ora che me lo hai ricordato voglio farti sentire una cosa-.
Alzai un sopracciglio, cosa?
Storse il busto verso di me, prese la mia testa tra le mani e fece in modo che il mio orecchio si posasse leggermente alla destra del suo petto.
Tu tum, tu tum, tu tum.
Spalancai gli occhi sbalordita, il battito del suo cuore era accelerato e la sua mano accarezzava i miei capelli delicatamente.
-Wow-, feci stupita. Alzai la testa e lo guardai. –Hai il cuore verso destra?-.
Fu uno shock a dirla tutta, forse a lui non lo diedi a vedere. Insomma, era qualcosa di così ambiguo. Eppure era straordinario, un altro segno che lui fosse un essere superiore a tutti.
-Già, è una cosa piuttosto rara-, sorrise.
-Quindi-, storsi la bocca –L’operazione è stata fatta al cuore?-.
Guardò in alto e non smise di sorridere.
-Più o meno-.
-Che significa più o meno?-, chiesi scettica e preoccupata.
-Ehi, ehi-, rise, –è un operazione vecchissima, non ti devi mica preoccupare-.
Feci una smorfia poco convinta.
Quel pensiero però passò dalla mia mente in un istante, non seppi il perché. All’improvviso sentii un assurdo desiderio di baciarlo.
Senza farmi alcuno scrupolo riguardo alla gente che poteva vederci, gli accarezzai il viso ed allungai il collo.
Sfiorai le sue labbra, una, due e tre volte sentendo una pazzesca onda di felicità salire dal cuore. Sorrisi ed aprii gli occhi.
Lui li teneva ancora chiusi, come me, stava assaporando quel momento con tutto se stesso.
Gli passai una mano tra i folti capelli lisci e lo vidi aprire lentamente gli occhi.
-Sai-, cominciai, –non ti ho ancora detto che sono innamorata di te-.
Lui sorrise, quello fu il sorriso più bello di tutti. Talmente caldo che sentii il cuore accelerare di colpo ed il respiro mancare.
Beh… allora, cioè, quindi… era così l’amore? Era questa la sensazione che si provava?
Allora io non ero mai stata davvero innamorata, quindi non avevo amato davvero colui che mi aveva abbandonata un anno prima. Era questo l’amore.
E per quanto ci provassi, non riuscivo a descriverlo. Solo una frase mi veniva in mente.
Troppo bello per essere vero.
Insomma, era la sensazione che completava definitivamente l’anima di un individuo.
Era la consapevolezza di avere finalmente tutto.
Quindi lui per me era tutto.
Tutto ciò che avevo sempre desiderato, tutto ciò che avevo sempre cercato, tutto ciò per cui avevo sempre vissuto.
Forse una settimana prima mi sarei messa a ridere al solo pensiero di provare qualcosa di simile. Eppure eccomi qui, innamorata persa di un angelo.
-Non c’era bisogno di dirmelo. Lo sapevo già-.
Quando fu lui a sfiorare le mie labbra sentii una sensazione completamente diversa da quella di prima. Le sue labbra erano così morbide, così calde e sfioravano appena le mie lasciandole in sospeso, stuzzicandole. Loro volevano di più, molto di più.
Avvolsi le braccia attorno al suo collo e lo baciai con più passione, e anche se durò pochissimi secondi, quando mi allontanai di circa un millimetro, mi sentii pienamente soddisfatta.
Gli sorrisi ancora e mi voltai verso il finestrino. Le distese di grano passavano veloci e magnifiche davanti ai miei occhi, sospirai.
-Quanto le adoro-, commentai estasiata.
La sua mano mi accarezzò dolcemente la nuca.
-Dimmi un po’ Giuly, che facoltà vuoi prendere all’università?-.
Mi voltai a guardarlo.
-I miei mi obbligano a prendere giurisprudenza. Però io vorrei fare qualcosa che c’entri con la natura-.
-Lo immaginavo. E’ anche per questo che sei fuggita?-, chiese in un sussurro. Annuii.
-Tu invece? Quando ci andrai? Oddio-, guardai in alto, –Non so nemmeno che anno fai di liceo-.
Mi sorrise divertito.
-Faccio il quarto, sono più piccino di te, sai? Ho compiuto diciotto anni la settimana scorsa-.
Spalancai la bocca e gli occhi.
Più piccino?! Cribbio! Sembrava avere come minimo vent’anni. Scossi la testa, che idiota che ero. Eravamo stati tutto quel tempo insieme e non gli avevo chiesto quanti anni aveva. Davo per scontato che fosse un bel po’ più grande di me.
-Pensa quanto sono scema, non ti avevo nemmeno chiesto l’età-. Lui rise.
-Non te l’ho detta io, è colpa mia-.
Tornai a guardare i campi che scorrevano fuori dal finestrino.
-Comunque mi piacerebbe prendere Scienze naturali-, mi voltai a guardarlo. Era quella che avrei preso volentieri io se non fossi stata obbligata dai miei genitori. –E dovresti farlo anche tu-, continuò.
Sembrava leggere nei miei pensieri.
-Impossibile, i miei non mi darebbero i fondi necessari-.
-Allora, potresti fare giurisprudenza e poi prendere la facoltà che vuoi, no?-.
Alzai le spalle.
-Sì, è un idea, due lauree non fanno schifo-.
Rise.
-E dopo l’università cosa vorresti fare?-, chiesi dopo un po’.
-Sarebbe forte fare il ricercatore, sai sul campo della biologia. Mi attirano queste cose-, disse con naturalezza.
Però io ero triste, giurisprudenza non m’interessava minimamente. Ma senza soldi non potevo fare l’università. Che disdetta.
-Ehi!-, mi venne una bella idea, mi allungai verso lo zaino ed estrassi la foto-camera digitale           –Voglio farti una foto!-.
Lui parve confuso.
-Perché?-.
-Perché così quando sarai lontano potrò guardarla e potrò riscaldarmi il cuore con il tuo sorriso. Avanti sorridi!-.
Fece come volevo e sorrise sereno. Gli scattai la foto. Venne in una maniera assolutamente perfetta.
-Sai, mio nonno me lo diceva sempre-, cominciò nostalgico.
-Cosa?-.
-Che il mio sorriso, riesce a riscaldare ogni persona. Riesce ad infondere sicurezza-, sospirò –Me lo disse anche prima di morire. Mi disse: Continua a sorridere, se sorriderai sempre, in ogni momento riuscirai a sciogliere il cuore di chiunque-. Abbassò lo sguardo. –Mio nonno morì di una malattia rarissima, non ebbi nemmeno il tempo di sorridergli-.
Guardai in basso anch’io. Sembrava triste, molto triste, eppure sorrideva.
Gli accarezzai i capelli.
-Beh, scommetto che ora tuo nonno ti sta guardando. E anche se continui a sorridere si vede che sei triste, non penso che lui voglia questo, no?-.
Il suo sorriso mutò da triste a felice.
-Hai ragione. Voglio scaldare i cuori di tutti!-, esclamò, all’improvviso entusiasta. Sorrisi anch’io.
Estrasse il telefonino.
-Voglio farti anch’io una foto. A me scalda solo il tuo sorriso-.
-Ma io non sono fotogenica!-.
Rise e mi scattò una foto mentre ridevo anch’io.
Ne facemmo anche qualcuna insieme e mi pentii di essere così presa da lui quando arrivammo perché il viaggio era durato pochissimo.
Quando scesi dal treno sentii il panico diventare parte di me. Purtroppo questa volta avere Dave al mio fianco non mi rassicurò. Non avevo paura di affrontare la mia famiglia, ma avevo paura di quella strana sensazione. La sensazione che mi sarei divisa da lui di lì a poco. Ed infatti, quel momento arrivò, insieme alle mie lacrime.
-E’ giunto il momento di separarci. E’ per poco te lo prometto-, pronunciò quella frase non appena uscimmo dall’entrata principale di Termini. Guardai con occhi lucidi piazza dei Cinquecento, piena di Taxi e autobus in attesa di partire, poi guardai a terra.
-Non puoi venire con me?-, chiesi come una bambina. Lui mi poggiò una mano sulla spalla e con l’altra mi alzo il viso.
-Devi affrontare da sola i tuoi genitori, e io devo tornare dai miei per rassicurarli. So dove abiti e ti verrò a trovare appena possibile. Ho il tuo numero di casa e tu hai quello del mio cellulare, per qualsiasi cosa chiamami-.
In quel momento, in quel preciso istante, mentre cominciavo a piangere, le sue labbra toccarono appena le mie. Io le assaporai più intensamente che potei, gustando il loro buon sapore, ebbi solo il tempo di socchiudere gli occhi. Il cuore non smise di accelerare. Lo vidi sorridere un’altra volta e mi scaldai all’istante.
-Il mio sorriso ti sta scaldando?-.
Annuii singhiozzando.
-Ti amo-, sussurrò ad un orecchio. Come se fosse solo un nostro segreto. Qualcosa che nessun’altro doveva sapere. Solo io e lui.
Guardai in basso continuando a piangere.
Lui si voltò lasciando dolcemente il mio viso e salì sul primo taxi che trovò.
Restai a fissare la macchina sparire nel traffico, intenso e fastidioso, di Roma.
E rimasi lì, impalata a fissare la direzione in cui era sparito. L’avrei rivisto? Sì? Sì, l’avrei rivisto, dovevo solo affrontare i  miei genitori.
Presi un respiro profondo e corsi da un tabaccaio.
Comprai le sigarette ed una carta telefonica.
Corsi ad un telefono pubblico infilai la scheda e composi il numero.
-Pronto?-, rispose incerto.
Chiusi gli occhi e sospirai godendo di quell’istante.
-Ti amo anch’io-, sussurrai.
Lo sentii ridere di gusto, la sua risata mi rassicurò.
-Lo so-, rispose sereno, –Ora vai  però. E chiamami appena avrai risolto tutto, okay?-.
-Sì!-, annuì con determinazione e riattaccai.
Presi la metro e mi diressi a casa.
Mancava poco, molto poco. Mi chiesi come avrebbero reagito i miei genitori. Sicuramente sarei stata messa in punizione. Guardai in alto ed osservai il cielo di Roma. Celeste chiaro e coperto da tantissime nuvole grigiastre.
Respirai a fondo l’inquinamento della città e con aria decisa accelerai il passo. Camminavo per le strade di Piazza Bologna percorrendo le varie vie che mi avrebbero portata al grande appartamento dove abitava la mia famiglia.
Anche se cercavo con tutta me stessa di non pensarci ogni pensiero andava su Dave. Come biasimarmi, dopotutto. Lui era stato la mia salvezza, solo Dio poteva capire quanto lo amassi.
Pensando a lui arrivai a casa in men che non si dica.
Suonai il campanello.
Ad aprirmi fu la figura magra e preoccupata di mia madre. Sembrava invecchiata dall’ultima volta che l’avevo vista. Senza che avessi nemmeno il tempo di dire un ‘Ciao’ si allungò verso di me a mi abbracciò.
-Questa volta pensavamo che non saresti davvero più tornata!-, urlò singhiozzando. Quando riuscii a liberarmi dalla presa mi accorsi che stava piangendo come una bambina. Ecco da chi avevo preso.
Non dissi nulla ed entrai in casa. Posai la valigia e lo zaino in salotto. Dalla porta della cucina spuntò mio fratello con del cibo in mano e uno sguardo ambiguo.
-Non preoccuparti-, dissi prima che potesse aprire bocca –Me ne rivado appena posso-.
Lui storse la bocca e si mise un cioccolatino in bocca.
-Per me puoi rimanere quanto ti pare-.
Era il suo modo per dirmi ben tornata.
-Giulia!-, la voce più possente di tutte mi raggiunse, rabbiosa, preoccupata, incontrollabile.
La figura in giacca e cravatta di mio padre spuntò all’improvviso dal corridoio. Mi venne incontro con aria minacciosa.
Fu allora che presi un respiro profondissimo e mi decisi ad affrontarlo senza nemmeno indietreggiare.
Prese le mie esili spalle tra le sue possenti mani e mi guardò più duro che mai negl’occhi.
-Dove diamine sei stata?!-, esclamò arrabbiato –Ci hai fatto preoccupare come non mai! Siamo addirittura andati dalla polizia! Ma non credere che la passerai liscia questa volta, signorina!-.
-Non mi pare di averla mai passata liscia-, precisai scettica.
Sostenni senza timore il suo sguardo arrabbiato.
-Tua madre ha pianto per due giorni quando non le hai risposto al messaggio ed il telefono era sempre spento! Ha provato a chiamarti ogni mezz’ora!-, la sua voce era diventata talmente alta che mi stupii di vedere i muri ancora fermi.
-Per la precisione, ho buttato il cellulare dall’ottavo piano dell’albergo-.
Sapevo che la mia calma acida lo avrebbe fatto arrabbiare ancora di più. Era quello che volevo, non avevo paura di niente ormai. Attendevo soltanto, attendevo il momento in cui avrei potuto avere di nuovo Dave al mio fianco. Dovevo sbrigarmi quindi!
-E non hai pensato a noi!? Che non potevamo nemmeno rintracciarti?!-.
-Ehm, era proprio questo lo scopo della mia fuga-.
Ringhiò furioso.
-Sei sempre stata un problema. Se ti si fa un torto te la svigni. Se ti si sgrida te la svigni. Se uno scherzo non è di tuo gradimento te la svigni, sei sempre fuggita! Te la sei sempre svignata senza farti troppi problemi!-.
-no!-, urlai –ora no! Ho smesso di svignarmela. Sono tornata per chiarire!-.
Lui si zittì in un attimo e tutti i membri della famiglia mi fissarono increduli.
Non avevo mai avuto il coraggio di gridare contro mio padre, non avevo mai avuto il coraggio di dirgli le cose come stavano. Semplicemente, come diceva lui, me la svignavo e basta.
Era vero, scappavo per qualsiasi cosa, dalla più futile alla più grave.
Non ero mai stata abbastanza forte da far sentire chiaramente la mia voce.
Ma in quel momento, avevo una ragione per farlo. Finalmente, avevo trovato il coraggio per farmi sentire!
-Sono cresciuta! Adesso non scappo più! Non scapperò mai più da voi. Quindi ora state zitti un attimo ed ascoltatemi per la prima volta!-. Strinsi i denti e rimasi ferma, immobile senza riuscire a muovere un solo muscolo. Il mio corpo era immobilizzato.
-Mi avete sempre trattata male, non sono mai stata degna del prestigio di questa famiglia. Non so praticare alcuno sport, non vado bene a scuola, ho pochissimi amici. Quando sono qui in casa e cerco di dare un senso a questa futile esistenza non sento altro che i vostri insulti. Vi sfogate su di me se qualcosa vi va male. Rigirate la frittata come vi pare per far sì che sia io la colpevole!- presi fiato. Osservavo i loro volti immobili, più del mio corpo. –Scappavo perché avevo paura di voi! Sin da piccola mi avete sempre terrorizzata!
-Eppure, non vi siete mai chiesti perché ero così? Perché soprattutto andavo male a scuola?! No? Bene, ve lo spiego io. Cercavo semplicemente di attirare la vostra attenzione!- scandii per bene l’ultima frase. –Volevo che vi preoccupaste, volevo che mi aiutaste nello studio, così… almeno per una volta, mi sarei sentita importante! Avrei capito che nonostante fossi una frana voi vi preoccupavate per me! Invece no! Se andavo male a scuola bastava punirmi! E questo non ha fatto altro che peggiorare le cose! Non ve ne siete mai resi conto!-.
Mi presi una lunga pausa, il cuore batteva all’impazzata e non riuscivo a respirare regolarmente. Ero sudata e cercavo di aprire le mani strette già da un pezzo in due pugni, ma non ebbi successo.
-Ma non fa niente, ora sono grande. Non andrò più male a scuola-.
Finii lì il mio discorso perché la lingua mi si attorcigliò ed il volto di Dave mi comparì improvvisamente davanti. Scossi la testa e tornai in me.
-Perché non ce l’hai mai detto?-, chiese mia madre triste.
-perché dovevate capirlo! non era qualcosa che io dovevo dirvi!-.
Silenzio. Ciò che ne seguì fu solo silenzio.
Così mi feci coraggio, e parlai ai miei di una cosa molto importante.
-All’università, vorrei prendere scienze naturali-.
-Non se ne parla-, rispose mio padre secco quando si fu ripreso dallo shock. –Prenderai Giurisprudenza-.
-E dopo essermi laureata in giurisprudenza, potrò prenderla?-.
Rimase ancora più shockato.
-Allora saresti davvero disposta a fare giurisprudenza?-.
Che domanda idiota papà. Se mi obblighi come posso negarlo? Senza soldi non andrei da nessuna parte.
-Sì-.
-E cosa vorresti fare poi? Che lavoro vuoi fare?-.
-Non lo so. Ma adoro la natura. E non potrai controllarmi per sempre-.
Lui annuii, stava cercando di venirmi incontro. E stava succedendo tutto così in fretta.
-Potrai farla. Te la pagherò io-.
Trattenei a stento le lacrime e per la prima volta sorrisi di gioia. Avevo raggiunto un accordo con i miei genitori!
-Voglio farla a Firenze-.
Sorrise.
-Lo immaginavo questo. Tu ami la Toscana-.
Beh, almeno quel dettaglio non era sfuggito agli occhi di mio padre.
La situazione si era risolta così…
Era stato più facile e veloce di quanto pensassi. In preda ad uno stato di felicità che superava ogni limite mi buttai sul telefono di casa e composi il numero di Dave.
Squillò a vuoto per tre minuti poi smise. Riattaccai. Forse aveva lasciato il telefono da qualche parte e non lo sentiva.
Mi affrettai a chiamare tutti i miei amici, per prima Ilaria, che non appena seppe dov’ero venne immediatamente a casa mia.
Mi fece piacere rivederla, lei e il suo entusiasmo su ogni piccola cosa.
Chiuse nella mia camera, le raccontai del mio stupendo viaggio in ogni dettaglio. Lei non m’interrupe nemmeno per un secondo, sembrava sbalordita e entusiasta.
-Che storia romantica!-, esclamò alla fine. Io risi per il modo in cui lo disse.
Ormai era tardi, le dieci di sera erano passate e lei tornò a casa sua.
Provai di nuovo a chiamare Dave ma trovai il telefono spento.
Non mi feci troppi problemi, lo avrei richiamato l’indomani mattina.
Quella notte, dormii con un peso in meno sul cuore.
Avevo un angelo come ragazzo, avevo chiarito con la mia famiglia, potevo fare ciò che amavo        –anche se dopo giurisprudenza-, e avevo finalmente raccontato alla mia migliore amica quella storia mozzafiato che avevo vissuto.
Meglio di così non poteva andare.
Certo, per riprendere i rapporti con i miei genitori sarebbero occorsi anni, ma in fondo chi se ne frega?! L’importante era aver raggiunto un accordo!
La mattina dopo non andai a scuola, ero troppo stanca.
Mi misi a fare colazione ed accesi la televisione con il notiziario del mattino. Che palle, le solite stupide notizie.
Omicidi, rapine, politici corrotti, niente di nuovo. Non mi stupivo più di niente ormai.
Mi concentrai a bere il mio latte caldo.
-A quanto pare ieri sera è tornato a casa il figlio di un ricco investitore-, la notizia attirò subito i miei occhi sullo schermo –Sparito pochi giorni fa sembra che il ragazzo di nome Dave, sia tornato a casa sano e salvo- aggrottai le sopracciglia e sorrisi. Wow, era figlio di un ricco investitore.
–Proprio stamattina, è stato ritrovato il suo corpo privo di vita nel proprio letto, il ragazzo soffriva di una grave mal formazione cardiaca, la quale…-.
Il tempo si fermò, il mondo cadde in un istante. La tazza che tenevo in mano si schiantò sul pavimento. Il mio cuore accelerò d’un tratto. Non riuscii più a respirare. Lacrime copiose ed insidiose scesero dai miei occhi, troppo arrossati per riuscire a vedere.
L’unica cosa che si sentì quella mattina, nel silenzio della casa, fu il mio, acuto, terrorizzato e morto, urlo di disperazione.
Il tempo si fermò.
Il mondo cadde.
Le luci si spensero.
Le grida cessarono.
E la vita, perse improvvisamente il proprio senso.
 
I buchi sulle braccia erano i risultati delle analisi che faceva spessissimo, stavano cercando di curarlo. La cicatrice al petto era ciò che rimaneva di un operazione che gli aveva solo allungato la vita. Il fatto che ogni tanto sembrasse esausto era per colpa delle emozioni troppo forti che aveva provato.
Allora anche gli angeli muoiono.
Il mio paradiso si trasformò in inferno.
Lui aveva sempre saputo che non sarebbe vissuto così a lungo. Lui sapeva che non sarebbe andato all’università. Sapeva che non mi avrebbe più rivista. Eppure, si comportò con naturalezza, come se fosse tutto normale. E mi illuse, mi illuse fino all’ultimo istante che la nostra storia sarebbe potuta continuare! Lo detesto! Mi ha uccisa! Mi ha uccisa dentro! Io…
–Tutte queste semplici cose, il solo fatto di poterle osservare, mi rende felice-.
All’improvviso, afferrai il senso di quella frase. Lui non avrebbe più potuto osservarle…
-Bah, roba di routine. Sai, mio padre ha sempre paura che possa contrarre qualche malattia. Allora mi fa fare ogni tipo di analisi per sicurezza-.
Bugiardo!
-Questo è ovvio, non credere che ti lascerò andare via da me-.
Traditore!
Quella mattina quando mio padre mi portò in braccio sul divano ed andò in cucina per discutere con il resto della famiglia, io notai che sul telefono di casa lampeggiava la spia della segreteria.
Così, non potendo usare le gambe, strisciai arrivando al telefono, ci misi molto per trovare il bottone a causa degl’occhi gonfi. Quando finalmente ci arrivai ascoltai a stento il messaggio e non capii nemmeno di chi fosse, così lo azionai una seconda volta.
-Perdonami Giuly. Io non sono l’angelo che credevi. Sono scappato di casa per attendere la morte in santa pace. Ma poi ho conosciuto te. E in quei tre giorni passati insieme, ho capito che volevo ancora vivere. Volevo vivere il più a lungo possibile. Perché volevo renderti felice.
-Perdonami se puoi, non avevo previsto che ormai per me fosse troppo tardi. Ti chiedo soltanto una cosa adesso…
-Ti prego, sorridi, è il tuo sorriso che riesce a scaldare tutti i cuori-.
Ascoltai quel messaggio centinaia di volte. No, forse mille, o anche di più.
Lo amavo, lo amavo con ogni particella del mio corpo. Come potevo non perdonarlo?
 
Dal tetto della casa osservo il bel campo di fiori di fronte a me, scruto il cielo e vedo delle belle nuvole bianche. Il vento scompiglia i miei capelli mentre sorrido soddisfatta della mia vita. Il campo di grano alla mia destra si muove sinuoso sotto le onde del vento. Lo osservo e sorrido, sorrido ancora una volta.
Le spighe ballano una danza elegante, i fiori mi guardano sereni ed illuminati dal sole si divertono ad illudere i miei occhi cambiando colore.
Osservo la foto che gli feci quel giorno in treno.
Mi chiamo Giulia, ho venticinque anni, frequento la facoltà di scienze naturali all’università di Firenze. Quando sarò laureata farò la ricercatrice.
Ogni sera prima del tramonto del sole mi rifugio qui, sul tetto della nostra casa.
Mi rifugio assieme a lui, nel nostro angolo, durante il nostro momento, io e lui.
Lo dissi sin dall’inizio, lui era il mio angelo custode…
-Ehi, Giuly, il mio sorriso ti sta scaldando ora?-.
-Sì, Dave. Il tuo sorriso mi ha scaldata sin dal primo istante-.



                                                                                                                                                                                                  FINE



Ciao a tutti! Sono tornata con una storia originale dopo circa tre anni, spero vi sia piaciuta, fatemi sapere!

Hinata Ookami.
  
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