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Autore: _Kiiko Kyah    14/11/2012    4 recensioni
Sono passati quattro anni dall’ultima volta che l’ho vista.
Il giorno del diploma delle superiori, aveva un sorriso stampato sul volto.
Mentre le consegnavano quel rotolo di carta, simbolo della sua maturità, io ripensavo a tutti i battibecchi che ci avevano rese inconsapevolmente così unite.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sono passati quattro anni dall’ultima volta che l’ho vista.
Il giorno del diploma delle superiori, aveva un sorriso stampato sul volto.
Mentre le consegnavano quel rotolo di carta, simbolo della sua maturità, io ripensavo a tutti i battibecchi che ci avevano rese inconsapevolmente così unite.
Ero contenta per lei. Sì, in quel momento ero davvero felice.
 
«Signorina?» quella voce, che chiama proprio me, con quell’appellativo che non mi appartiene,  mi fa sobbalzare.
Quel suono così fragile proviene da una signora sulla quarantina che mi guarda con occhi gentili.
Di colpo ricordo il luogo in cui mi trovo: sono al supermercato, in fila alla cassa, ed è arrivato il mio turno.
«Ecco, mi scusi.» mormoro posando delicatamente i miei acquisti davanti alla commessa, che inizia a valutarne i prezzi. Prendendo in mano il pacchetto formato da cinque volumi del manga Meitantei Konan, mi sorride.
«Compra fumetti per fratellini o sorelline?» mi chiede.
No.
Sono tentata di rispondergli:
No, sono per me.
Poi la guardo, con la sua espressione gentile, e inizio a temere che una risposta di quel tipo avrebbe trasformato quel sorriso in una smorfia schernitrice.
Strano.
Non ho mai provato vergogna comprando manga.
«Sono per la mia cuginetta Yutaka.» mento, e mi sento uno schifo.
 
L’ultimo ricordo che ho di lei risale a una settimana dopo il diploma.
Eravamo al telefono.
«Sai, ci traferiamo in America.» mi ero sentita dire dalla sua voce.
America.
Stava per andarsene dall’altra parte del mondo.
Lì per lì non me la sentii di farle capire quanto quella notizia mi faceva soffrire.
Ma la verità era questa: l’idea di non vederla più mi aveva letteralmente spezzato il cuore a metà.
 
«Ehi, ci sei?» mi grida nelle orecchie la voce di Yutaka, e io mi risveglio dai miei pensieri.
«Cosa c’è?» le chiedo con aria disinvolta e innocente.
Non capisco perché uso quel tono. Mi sembra di essere entrata nei panni di una bambina di dieci anni. Che schifo.
«Scusa, Onee-chan, ma volevo farti notare che sei su quella pagina da almeno dieci minuti. Tutto bene?» a quelle parole io avvampo.
Che figura orribile che ho fatto. Mi sono persa nei miei pensieri e mi sono distratta dal manga che stavo leggendo proprio nel momento cruciale del capitolo.
Non mi era mai successo, non posso permettere che Yutaka se ne accorga!
«Vedi, Yutaka, questa è la parte che mi piace di più, così l’ho riletta parecchie volte …»
Ma mi sento una bugiarda. E ancora, quella sensazione di non essere nel giusto.
 
Mi sono sentita male proprio il giorno della sua partenza.
E non sono riuscita nemmeno a chiamarla per avvertirla e salutarla. Ho chiesto a Miyuki di farlo per me, ma sicuramente se ne sarà scordata, goffa com’è e soprattutto com’era.
Sdraiata sul mio letto, guardavo il soffitto e per consolarmi ho acceso la televisione.
A quell’ora trasmettevano le repliche di “Futari wa Pretty Cure”, un anime del quale conoscevo praticamente tutte le puntate a memoria. Però lo guardai lo stesso, probabilmente solo per distrarmi dal pensiero di non vedere mai più i codini viola della mia amica. Di non poter più prenderla in giro per la sua continua ricerca della linea perfetta, o di non poter più chiamarla “tsundere” facendola arrabbiare, o di non poter più sentirmi rimproverare per la mia immaturità e la mia fissazione per i video giochi.
 
 Sento un colpetto sulla mia testa. Alzo lo sguardo, e mi accorgo che si tratta della mano di mio padre e anche di essere scivolata dal divano per finire per terra, sporcando di polvere i miei jeans preferiti. Non che mi interessi, la moda non fa per me.
«Tutto bene?» anche lui mi fa questa domanda.
Per un attimo non scoppio in lacrime, ma poi riesco a trattenermi e mi sforzo di sorridergli.
«Sì, Oka-san, tutto bene. Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa che non va?»
«Stai leggendo il manga al contrario, ad esempio.» spalanco gli occhi, scioccata da quella notizia, e guardando nelle mie mani scopro che è la verità: il volume è girato sottosopra, e io è quasi un’ora che lo tengo in quella posizione.
Ma, pensando a lei, non me ne ero nemmeno accorta.
Mio padre passa una mano sui miei lunghi capelli blu, e i miei occhi verdi si chiudono da soli.
«Konata, che ti succede?»
Sento la mancanza della mia migliore amica, Oka-san.
È quello che penso, anche se non lo dico. Perché in fondo, per non avermi fatto una telefonata in quattro anni, lei non può davvero considerarmi la sua migliore amica, quindi neanche io dovrei darle l’onore di essere la mia migliore amica.
La malinconia si è trasformata di colpo in rabbia.
Mi alzo di scatto e getto il fumetto a terra, poi faccio un passo avanti pestandolo con la mia scarpa destra.
«Ho ventidue anni, sono troppo grande per queste cose!» grido, e corro fuori dalla stanza per entrare nella mia camera, dove il disordine regna sovrano, e sbatto la porta alla quale mi appoggio. Scivolo lentamente a terra e stringo le mie gambe al petto, ormai in lacrime.
Non voglio sentire la reazione di papà. Odo la sua voce e la mano di Yutaka sbattere contro la porta di legno, ma non mi muovo.
Semplicemente, chiudo gli occhi e senza alcun motivo mi addormento.
 
«Konata, sei sempre la solita!» dice una voce severa molto familiare.
«Uhm, Kagamin, sei tu che non capisci!» rispondo io, magicamente tramutata di nuovo in una ragazza di diciassette anni, otaku convinta e orgogliosa di esserlo.
«Cosa, non capisco? Che sei troppo pigra per fare i tuoi compiti?» ribatte lei scocciata.
«No, non capisci che non posso fare i compiti e allo stesso tempo surclassare tutti nei RP su internet, no? »
«E allora studia, Konata!» la guardo un attimo, poi chiudo gli occhi con aria di chi sta per dire una cosa ovvia.
«Non ho motivo di preferire lo studio a un buon RP, Kagamin.»
 
Il ricordo si interrompe.
Kagamin … Kagamin, Kagamin!!
Perché?! Perché mi hai abbandonata? Cosa ti ho fatto di così grave?
Pensavo fossimo amiche!! Pensavo che avresti sentito la mia mancanza, almeno un pochino!! Ma forse per te sono sempre stata solo un peso. Solo una stupida otaku che copiava i compiti da te. È questo quello che hai sempre pensato di me, vero Kagamin?
Miyuki mi ha detto che l’hai chiamata parecchie volte in questi anni. E a me nemmeno una minuscola telefonata.
Beh, sai che c’è?
Kagamin, anzi, Kagami, vedi di andare al diavolo, tu con tutta la tua superiorità!
 
Il mio cellulare inizia a squillare con la sigla di Haruhi Suzumiya.
Lo prendo di malavoglia. Numero sconosciuto. Decido comunque di rispondere.
«Chi è?» chiedo, asciugando le lacrime che avevano da poco finire di bagnare il mio viso.
«Yo, Konata~ !» spalanco gli occhi. Quella voce …
«Ka-Kagami …?»
«Ehi, cos’è quel tono? Non sei felice di sentirmi, forse? Eppure, speravo di esserti mancata almeno un po’ …» mi sento come se qualcuno mi avesse trapassato lo stomaco con una spada. Lei sperava che mi fosse mancata?
«Se lo speravi, perché non mi hai mai chiamato in quattro anni?» chiedo in preda alla rabbia. Lei capisce che sono arrabbiata. Lo so che lo capisce.
«Beh, se non avessi cambiato numero di telefono oppure se me lo avessi mandato …» avvampo. Fortuna che non è una video chiamata.
«M-ma scusa, ci hai messo quattro anni a scoprire il mio nuovo numero senza il mio aiuto? Proprio tu che sai sempre tutto?»
Lei sospira. «Non cambi proprio mai, Konata!» e si mette a ridere «Tsukasa lo ha trovato per me. Ho chiesto anche a Miyuki di aiutarmi, ma ogni volta che la richiamavo per sapere mi diceva di essersene scordata … Sai, Tsukasa è diventata un genio dei computer, te lo immagini?»
No, non me lo immagino.
Però sono felice di sentire la tua voce, Kagamin. Tanto, tanto felice.
«Mi manchi, Konata.» dice ad un certo punto, e sento che la sua voce è spezzata dal pianto. Anche io ricomincio a piangere.
«Anche tu, Kagamin.»
 
Angolino della matta che ha scritto ‘sta roba
 
Un epilogo di Lucky Star, spero sia piaciuto. Non so perché, ma mentre scrivo la mia fan fiction ancora in corso mi vengono ispirazione per scrivere one-shot O.O E so già che questa non la leggerà o recensirà nessuno, dato lo scarso successo della sezione Lucky Star …
Vabbè, shau beli!
Kiss, KyawaiiChu
  
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