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Autore: _Eileen    14/11/2012    1 recensioni
"Come se la sua giornata non fosse stata abbastanza disastrosa, sull'autobus si era ritrovata spiaccicata tra un grassone di mezz'età che doveva aver ormai tolto la parola 'bagno' dal proprio vocabolario e una anziana, isterica signora, che si lamentava del tempo, del nuovo secolo, della politica e, naturalmente, dell'abbigliamento poco consono di Gwen"
[Storia scritta per la Tiddì Week - Gwen/Trent]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
- Questa storia fa parte della serie 'Tiddì Weeks'
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Tiddì Week – Wednesday

Studenti in autobus al ritorno da scuola


 


 

 Broken

 

 


 

Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos'altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

[Fabrizio De Andrè]
 



 

Quando sei su un autobus che sta procedendo lentamente per un'affollata via del centro, pieno zeppo di gente che ti sta addosso e ti spiaccica senza pietà contro il finestrino, il peggior suono al mondo che puoi sentire è 'crack'.

«Ti prego no» mormorò una dei passeggeri, una ragazza minuta dall'indistinguibile tratto dark su ogni centimetro della pelle, con una strana smorfia sul viso. La ragazza si chiamava Gwen.

Gwen, conosciuta meglio come 'La Pallida della IV G' aveva avuto una giornata terribile. Quella mattina si era alzata tardi, era arrivata in ritardo a scuola, all'ora di pranzo era scivolata sul pavimento bagnato, lanciando in aria il suo purè color vomito e spiaccicandoselo sull'uniforme dello stesso, orrendo, colore e infine aveva perso l'autobus -essendosi dovuta cambiare per nascondere quell'ennesima figuraccia- e aveva dovuto poi aspettare mezz'ora per quello successivo, rimanendo bloccata per ore nel traffico.

Come se la sua giornata non fosse stata abbastanza disastrosa, sull'autobus si era ritrovata spiaccicata tra un grassone di mezz'età che doveva aver ormai tolto la parola 'bagno' dal proprio vocabolario e una anziana, isterica signora, che si lamentava del tempo, del nuovo secolo, della politica e, naturalmente, dell'abbigliamento poco consono di Gwen.

L'unica nota positiva era stata l'aver intercettato lo sguardo di un ragazzo poco lontano da lei che le sorrideva in segno di conforto, dicendo silenziosamente un'unica parola: Fregatene. Gwen intuì che si riferiva alla signora incapace di accettare i gusti altri accanto a lei e gli rispose quindi con un sorriso, seguendo il suo esempio.

 

Ma adesso eravamo giunti al momento del 'crack', 'bum' 'pfiii'. Con questi tre orrendi suoni l'autobus si fermò cigolando.

Il silenzio calò improvvisamente nella vettura, mentre il conducente imbarazzato cercava di riaccendere il motore. Un'altra volta. E un'altra ancora. L'autobus rimase fermo, senza dare un segno di vita, lasciando i passeggeri frastornati e frustrati.

«Signori, l'autobus si è rotto» disse l'autista stupidamente, dal momento che non c'era nessun motivo di dire a voce alta la già grave situazione. -E' meglio se scendete tutti qui e aspettate il prossimo- mormorò impacciato. Era evidente che non era abituato a gestire situazioni del genere.

Gwen sbuffò più contrariata che mai e scese velocemente dall'autobus, maledicendo tutto quello che aveva fatto nella settimana passata per averle fatto scatenare contro il Karma in quel modo.

Una volta sul marciapiede, si diresse verso la fermata più vicina -per fortuna poteva vederla solo qualche metro più in là- mentre la folla attorno a lei si diradava pian piano; era ancora troppo lontana per andare a casa a piedi e avrebbe dovuto aspettare l'autobus successivo.

Nel giro di dieci minuti se ne erano andati tutti; rimanevano solo l'autista -che continuava a guardare impacciato l'autobus rotto da tutte le angolazioni, grattandosi la testa e mordendosi il labbro inferiore- dal lato opposto della strada e un paio di passeggeri che erano rimasti come lei ad aspettare alla fermata.

Gwen si sedette per terra, tirando fuori dalla cartella un plico di disegni e una matita, cercando di ammazzare il tempo disegnando. Continuò per altri cinque minuti -dell'autobus ancora nessuna traccia- finché non si accorse di un'ombra sul foglio che significava la presenza di qualcuno che le sbirciava i disegni da sopra la spalla. Si girò di scatto, con l'intenzione di dire due paroline a quell'impiccione.

«Scusa-» cominciò, ma venne subito interrotta.

«Sei davvero brava a disegnare» disse lo sconosciuto, e , assottigliando gli occhi, Gwen lo riconobbe come il ragazzo che aveva visto prima sull'autobus e che gli aveva fatto da sostegno morale. La ragazza sorrise, ripensando a quanto fosse stato carino da parte sua, ma non per questo aveva il diritto per ficcare il naso nei suoi affari.

Senza che Gwen avesse detto niente, lui si sedette accanto a lei, senza spostare lo sguardo dagli schizzi di grafite della ragazza. «Mi piacerebbe saper disegnare così. Trovo fantastico il fatto che la gente riesca a esprimere i propri pensieri in cose concrete; è un po' quello che faccio anche io, però...»

«Perchè? Che cosa fai?» chiese d'un tratto curiosa lei.

«Suono la chitarra, ma sono ancora agli inizi» mormorò lui, ridacchiando imbarazzato.

Gwen decise di continuare la conversazione con quello strano sconosciuto. Dopotutto, era sempre meglio che aspettare l'autobus infervorata o dover continuare un disegno complicatissimo su cui era ferma da molto tempo. Forse era giusto così: se non fosse riuscita a finirlo come voleva lei, si sarebbe arrabbiata ancora di più, spedendo quell'afoso 5 Maggio nella sezione “Peggiore giornata della mia vita”. In questo modo, invece, poteva rilassarsi e parlare con lui delle cose che apprezzava, condividendo pareri e scambiandosi opinioni. Era strano che si fosse aperta così con quello sconosciuto: forse era per il suo viso sorridente e sincero, per la bontà che gli si vedeva sprizzare da ogni poro della pelle, per il suo sguardo smeraldino fermo e rassicurante, per suoi capelli neri che gli nascondevano le orecchie, o forse, semplicemente, il karma aveva in serbo qualche altra sorpresa per lei.

Sorpresa che si rivelò essere, naturalmente, un autobus. Finalmente dopo quaranta minuti di attesa, la vettura pubblica svoltò l'angolo e si diresse verso di loro, segnando con un cigolio la fine della conversazione.

«Scusa, io devo prendere quest'autobus... Tu?» chiese lei con un sorriso, salendo velocemente sul bus.

«No, aspetto ancora un po', tra cinque minuti passa la linea che mi molla proprio sotto casa, ma tu non ti preoccupare, va' pure!» disse lui, per poi salutarla sventolando la mano.

Mentre le porte si chiudevano davanti a lei, Gwen rispose a quel saluto infantile, sorridendo e sentendosi le guance avvampare.

 

Da quel momento, quando lo incontrava per strada, gli rivolgeva un sorriso e un semplice cenno della mano, come se fosse il loro saluto personale, continuando poi a camminare come se niente fosse.

«Chi è quello?»

«Come è carino!» dicevano le sue compagne un attimo dopo, bisbigliando e formando un piccolo cerchio attorno alla gotica.

«Non è nessuno, ci siamo solo incontrati una volta sull'autobus» rispondeva lei, arrossendo, forse per via del nervo scoperto, forse per via di tutta quell'attenzione che le rivolgevano in quel momento.

Dopotutto, lui non sapeva quasi niente di lei, e lei non sapeva quasi niente di lui. Non si erano nemmeno detti come si chiamavano; ma, in un modo o nell'altro, sapevano che si conoscevano. Sapevano che se si fossero incontrati un'altra volta si sarebbero salutati con un cenno della mano e un sorriso. E, forse, speravano anche di incontrarsi nuovamente su un autobus, per poter parlare liberamente l'un l'altra, come amici di lunga data.

 

 

 

 

  
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