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Autore: _ivan    15/11/2012    11 recensioni
Un londinese sfortunato, un cinico parigino e un'italiana che si porta sulle spalle l'eredità di una pessima reputazione. Non è l'inizio di una barzelletta, ma il profilo di tre studenti dell'Accademia di magia dell'Ardéche, dove quest'anno serpeggia uno spietato traditore.
Coinvolti nel groviglio di misteri che si celano nell'antica scuola, i tre impareranno ad affrontare i propri mostri, ad affinare l'ingegno e a dubitare di chiunque...anche dei loro più cari amici.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una fiamma verde scoppiettava vicina al soffitto, sospesa al centro del salone di legno. Nodose radici sbucavano dalle pareti e sparivano poi al loro interno, circondate da intagli di simboli mistici e scene di battaglie antiche, quando ancora gli uomini usavano le armature e le armi bianche. Monumentali volte a ventaglio sovrastavano tronchi secolari, che arricchivano la parete destra della stanza. In fondo, sotto un titanico acero rosso, il corpo gelatinoso e verdastro di Vil’yhak gorgogliava placido, lasciando al suo passaggio una scia traslucida e melmosa sul pavimento.
Snow, poco indietro, lo osservò con diffidenza, mentre quello trafficava con stecchetti di incenso ed essenze che, visti attraverso la sua trasparenza, apparivano distorti e rigonfi. Come lui, anche gli altri studenti del primo anno guardavano il mostro informe, ora con interesse, ora con disgusto.
Snow scambiò fugaci sguardi con alcuni dei futuri compagni, ordinatamente seduti nella sala adiacente, separata da quella dove si trovava tramite una lunga inferriata che percorreva il lato sinistro del salone.
Il chiacchiericcio sommesso creava un sottofondo che sembrava crescere direttamente dalle membra dell’edificio.
Quando il primo filo di fumo cominciò a salire dalla punta di uno degli incensi, Vil’yhak si voltò e strisciò verso Snow: un occhio turgido e grande come un pugno sporgeva dalla parte sommitale della creatura, mentre un intrico di nervature si dipanava al suo interno, parzialmente visibile grazie alla sua semi-trasparenza.
Nessuno era a conoscenza della storia di Vil’yhak, guardiano della Prima Sala e secondo custode dell’Accademia Magica dell’Ardèche: alcuni dicevano fosse lì da quando il primo preside conquistò il palazzo, altri che si fosse auto-generato dal Myst presente in quel punto, altri ancora pensavano fosse in realtà una spia, seppur non si sapesse ancora di chi. Quel che più importava, tuttavia, era che Vil’yhak fosse uno dei pochi Siv’ku a risultare al pari degli umani in quanto ad intelletto e indole. Il fatto che fosse buono, dunque, era un evento strabiliante, ciònonostante non bastava a tranquillizzare Snow e gli altri ragazzini che, in sua presenza, non si vergognavano di mostrarsi tesi e distaccati: dopo un’infanzia passata a sentirsi dire certe cose sui mostri, dopo tutto, non era poi così semplice abituarsi all’idea che ce ne fosse anche solo uno di buon cuore.
Snow si portò un dito alle labbra e cominciò a mordicchiarne l’unghia. Con il sibilo di uno stantuffo, nel corpo di Vil’yhak si aprì uno squarcio da cui uscirono parole pronunciate con timbro in tutto e per tutto umano. L’insolito connubio lasciò esterrefatti i presenti, vicini e lontani. L’occhio roteò pigro, inglobato talvolta dalla melma e poi vomitato di nuovo all’esterno.

«Allora, Foster» disse avvicinandosi a Snow, che subito si fece rigido «Usa l’intelletto, ehk. Ok? Ammesso che tu ne abbia, ehk».

Vil’yhak singhiozzò qualcosa di molto simile ad una risata, col corpo informe tremolante. Snow si limitò ad annuire.

«Voi ragazzi siete tutti uguali, ehk» aggiunse il mostro, agitando le appendici viscide che aveva al posto delle braccia «Venite qui, mi guardate con aria strana, annuite, e poi quando vi si presenta di fronte il Si’v cominciate a frignare e vi fate portare fuori con il cucchiaino, ehk. ‘Usa la magia e non frignare’, dico io, ma no, ‘Vil’yhak dovevi spiegare meglio le cose’, mi dicono, ehk. Stai attento, ragazzo. Poi che non mi si dica che io…»

«Monsieur Vil’yhak» una voce maschile irruppe nella stanza richiamando l’attenzione dei presenti.

In piedi oltre le tozze sbarre, il professor Blanchard fissava con sguardo severo il gelatinoso. Al suo fianco, seduta, la preside Prinkett stava lisciando con le piccole mani grinzose il tessuto dei suoi pomposi abiti vittoriani.

«Ha svolto il suo lavoro egregiamente, monsieur» continuò Blanchard «Ma ora per gentil cortesia abbandoni la sala e lasci il ragazzo ai suoi impegni. Sono certo che se la caverà in maniera esemplare, anche senza i suoi vaghi incoraggiamenti».

L’occhio di Vil’yhak sparì al centro della massa gelatinosa, girando su sé stesso lentamente, come un pianeta lontano. Quando questo tornò in superficie, il corpo stava già strisciando verso la porta, lasciandosi il ragazzo alle spalle.

«Egregiamente, dice il signor Blanchard, ehk. Lo spaventi, dice.» bofonchiò «Ma poi dicono che non ho avvisato i ragazzi che si fanno male, ehk».

Le risatine degli studenti accompagnarono la figura fino a quando sparì in una fessura del muro di legno, tra incisioni di cavalli rampanti, strisciandovi dentro come un liquido.
Snow rimase solo e in silenzio.
Blanchard tornò a sedersi assieme agli altri professori. Al suo posto, si alzò la preside Prinkett, in un frusciò di sete e merletti rosa cangianti.

La sua voce squillò come il suono d’una trombetta: «Le raccomando, signor Foster, di prestare la massima attenzione a ciò che la circonderà quando uno dei sommi spiriti Si’v si manifesterà nella sala. Qualora necessario, abbandoni l’idea di entrarvi in sintonia in modo pacifico e si prepari a dominarlo».

Sfilato da una fusciacca vellutata, la preside Prinkett mostrò a tutti un ventaglio dorato col quale prese a farsi aria.

«Faccia attenzione, mi raccomando» aggiunse «Lei è un tipetto intelligente, Foster, sono sicura che farà un’ottima figura. Che piacere, vedo il primo Myst apparire. Non mi resta che augurar buona fortuna!»

Con il rumore degli applausi nelle orecchie, Snow si voltò verso il grande acero, concentrato. Il filo di fumo sollevato dall’incenso definiva spirali che si avviluppavano lungo il tronco e poi sparivano. L’odore di rosa canina si diffuse nell’aria, e con esso l’apparente pesantezza del primo Myst: l’energia magica, presente in grande quantità, cominciò a condensarsi in una soffice bruma dalle sfumature d’ambra. Fumoso, il Myst galleggiò quindi prima vicino al pavimento e poi ovunque, disperdendosi e poi raggruppandosi ancora, in un gioco di flutti e bagliori.
Il suo tepore accarezzò la pelle di Snow, che istintivamente portò la mano destra ad altezza del petto, dove la sua unica moneta magica pendeva da un anello della catena detta monetarium.

«Entra in sintonia col Si’v» sussurrò a sé stesso, accarezzando il cimelio con le dita e percependo l’intaglio a forma d’albero, sulla sua superficie «Entra in sintonia col Si’v, in sintonia, in sintonia…»

Nessuno aveva idea di quale Si’v avrebbe risposto al richiamo, ma qualunque fosse stato, da quel momento sarebbe diventato la sua guida. Ammesso che fosse rimasto vivo.
Fa che sia un Si’v della terra, pensò Snow.
Gli occhi di tutti si incollarono alla sua pelle.
Figure leggendarie sembravano muoversi nel legno, danzando al ritmo delle verdi fiamme magiche sul soffitto.
La linea incandescente della brace serpeggiò lungo il bastoncino d’incenso. Quando anche l’ultima punta profumata fu lambita dal calore, vi fu solo un attimo di silenzio assoluto, poi qualcosa fece tremare lo scheletro dell’edificio.

«Ci siamo!» urlò qualcuno, in un chiacchiericcio generale subito sedato dai professori.

Snow mosse un passo nel Myst, ora ravvivato da sfumature avorio.
Accadde tutto in un tempo breve: dapprima si generarono flussi d’aria che, trascinando il Myst, apparvero come densi serpenti di pagliuzze dorate, ora dritti ed ora a spire, poi fu il momento d’una corrente più forte, che trascinò con sé le prime foglie rosse e le ceneri degli incensi.
Nuovi brusii si sollevarono dal silenzio, mentre l’aria cominciò ad ululare tra le figure nelle pareti.
Snow si voltò verso il pubblico: qualche studente si reggeva alla sedia, altri si legavano i capelli per non farseli trascinare dal vento, altri ancora ridacchiavano visibilmente eccitati. Mathieu, nel posto più in fondo a destra, gli sorrise.
Concentratosi in un unico movimento vorticoso, il flusso d’aria accelerò tanto da fischiare e creare un ciclone non più alto di una persona e che zigzagò nei pressi del grande acero, scosso dalle correnti.
Quando il turbine si espanse, improvviso e violento, più d’una persona si lasciò scappare un urlo. Un’onda d’urto si schiantò contro il corpo di Snow, destabilizzandolo. Inchiodati i piedi al terreno, si ingobbì e chinò la testa avanti per far fronte all’ostacolo. Il vento prese a sferzare con forza il suo corpo: il suo unico Siv’ne, la moneta appesa alla catena, dentro la quale risiedeva la poca energia magica neutrale di cui disponeva, gli scivolò dapprima sul petto e poi oltre la spalla, cominciando a sferragliare nell’aria come una bandiera.

«Mantenete la calma!» urlò qualcuno.

Voltarsi era quasi impossibile.
Stormi impazziti di foglie rosse gli frullarono addosso. Il Myst sfarfallava nell’aria, rilucendo in un mare in movimento, talvolta grigio e talvolta dorato. Le fiamme verdi sul soffitto erano ancora ben visibili, immutate nonostante le correnti. Quando le prime gocce d’acqua punteggiarono i vestiti di Snow, questi si trovò completamente spaesato.
Acqua?
Da qualche parte, immensamente lontano o forse vicino, un tuono rimbombò inghiottendo ogni cosa.
Snow girò il viso verso i compagni, ma oltre il ciclone riuscì a intravedere solo le possenti sbarre nere della grata. Un foglio di carta lo schiaffeggiò, poi venne trasportato via.
L’acquerugiola divvenne pioggia, e la pioggia tempesta.
Ma sì!, pensò, il Si’v della tempesta!
Le gocce precipitavano dalle nubi grigie fluttuanti sul soffitto, picchiando contro il viso contratto di Snow.
Dunque era l’acqua il suo elemento.
Se fosse stato realmente lo spirito della tempesta, allora non avrebbe corso pericoli: fedele alla sua natura dispettosa ma non ostile, non lo avrebbe mai attaccato.
Rincuorato dal ragionamento, Snow cominciò a guardarsi attorno.
Il cuore, risalito ad altezza della gola, batteva così forte da fargli male.
Nel più totale disorientamento, Snow cominciò a muovere i primi passi verso quella che gli sembrava la direzione in cui si era generato il tutto: oltre il muro di vento e magia dorata, il profilo dell’acero si stagliava nero come la notte. I vestiti, completamente fradici, gli appesantirono ulteriormente i passi: ogni secondo era una fatica indescrivibile, sembrava di camminare in una piscina di fango.
Un lampo baluginò nella stanza, seguito da un tuono che ruggì scuotendo ogni cosa: quando la sala si illuminò, Snow vide una sfera nera fluttuare accanto all’albero.
Delle urla gli giunsero alle orecchie, portate dal vento. L’acqua gli stava penetrando fin dentro alle ossa, facendolo rabbrividire.
Snow urlò con tutto sé stesso per lo sforzo, cercando di allungare le falcate, con i muscoli che si tendevano fino a bruciare. La sfera apparve in una danza di fogliame strappato, grande quanto una palla e con una superficie che vorticava talmente forte da far incrociare la vista. Con le palpebre semi-chiuse ed un braccio ad altezza della fronte, Snow osservò fili di vento, solidi e densi, intessersi e poi sbrogliarsi attorno al globo, donandogli l’aspetto d’un gomitolo evanescente. Oltre quella rete intricata, tra gli squarci che di tanto in tanto comparivano, una piccola creatura stava frullando le ali.
Snow non riuscì a vedere molto, oltre alle piume blu cobalto e il becco argento, coperto nella parte sommitale da una maschera di cuoio le cui frange frustavano l’aria sopra il capo, nervose. Quando il becco si aprì, un rombo di tuono scoppiò da qualche parte nella tempesta.
Era dunque questo l’aspetto dello spirito.
Lo sciabordìo dell’acqua confuse ogni cosa.
Snow esaminò la situazione: se avesse ceduto ora non sarebbe mai più riuscito a raggiungere il Si’v, e per lui sarebbe finita. Era giunto il momento di ricorrere alla magia. Con fatica millenaria, Snow protese il braccio e aprì il palmo in direzione del globo impazzito. Concentrato, attinse alla magia che percepì scorrere nel corpo.

«Ku’Ra’de!» urlò, col vento che lo schiaffeggiava con forza, penetrandogli in bocca e fischiando nelle orecchie.

Davanti alla sua mano, una forza invisibile detonò divampando con un’onda d’urto e fendette il vento in verticale, come una lama sottile. Il colpo s’infranse contro la sfera, che si schiuse in una corolla attorno alla creatura che custodiva. Nei lucenti occhi neri dello spirito scoppiettarono fulmini e saette.
Poi tutto finì, svanì inspiegabilmente nel nulla: vento, acqua, Myst e persino il Si’v.
Snow rimase da solo al centro della sala vuota, fradicio, su un letto di foglie rosse che sembravano sangue. Il ticchettìo delle gocce che colavano dai vestiti era l’unico suono udibile, seppur estremamente leggero.
La confusione gli fece girare la testa.
Gli applausi che si sollevarono distolsero la sua attenzione: oltre le sbarre, gli studenti gli sorridevano felici, chi con i capelli sfatti, chi con una sciarpa al collo.

«Zitti tutti, vi prego!» urlò il professor Blanchard: il cipiglio nella sua espressione non prometteva nulla di buono «La moneta non è ancora comparsa, e questo significa che non è finita».

I ragazzi si scambiarono sguardi straniti, in silenzio.
Appollaiato su un ramo spoglio dell’acero, il volatile evanescente fissava Snow. Quando spiccò il volo precipitando in picchiata verso di lui, qualcuno emise un gridolino.
Fu a mezz’aria che una massa fumosa e nera cominciò a colare dai suoi occhi, veloce e famelica: quella si modellò e si distese, ammantando il volatile in un concerto di garriti sofferti. Tentacoli ombrosi prima si allungarono e poi tornarono indietro, inghiottendo l’uccello e trasformandolo in un’unica macchia d’oscurità che si stendeva e poi comprimeva. Quando quella pasta si schiantò a terra sollevando sbuffi di fuliggine, Snow fece giusto in tempo a saltare alla sua destra, rotolando in uno sferragliamento di catene e fruscii di foglie. Ruzzolò fino a sbattere contro il tronco d’una colonna, e con l’urto cacciò l’aria rimasta nei polmoni. Per fortuna il suo fisico gli permetteva simili abbozzi d’acrobazie.
Il Myst ricomparve leggero e spumoso, d’un colore ora argenteo e ora rosato: era un fantasma che aleggiava ad altezza delle caviglie.

«Foster, ci dica subito cosa ha fatto!» squittì la preside Prinkett, avvicinatasi alle sbarre e con un fiume di capelli che ondeggiava dietro di lei.

Snow la osservò confuso, rialzandosi acciaccato e con il fogliame incollato ai vestiti, resi pesanti dall’acqua. Nello stesso istante, da terra le ombre si sollevarono con lentezza, plasmandosi in una figura sottile.

«Foster, risponda! Immediatamente!»

L’oscurità gorgogliò modellandosi come plastilina: dopo quello che sembrò il corpo d’una donna, il nero assunse le forme d’un lungo serpente e poi quelle d’un cavallo. Le linee e le sfumature all’interno di quelli erano invisibili, assorbite da un’unica macchia così nera da sembrare irreale, un buco nel mondo avvolto da un’aura nebbiosa.
Da un corpo scivolarono a terra quattro zampe, poi una coda e una testa tozza, incorniciata da voluminose forme scure.
Un leone.

«Foster!» la Prinkett urlò infuriata.

«NON LO SO!» rispose.

Il terrore rese acuta la voce di Snow.
Una ragazzina, bassa e castana, si alzò dalla sedia e puntò il dito verso la creatura d’ombra.

«È il Si’v del Cambiamento!» urlò.

Tra lo sgomento degli studenti, i professori sciamarono borbottando.
La Prinkett zittì con un braccio la ragazza e gli altri ciarlatori.

«Gatti, faccia silenzio! Tutti Quanti!»

Le zampe della creatura si poggiarono con insolita grazia sul pavimento di foglie, senza produrre alcun suono. Snow, con le spalle contro il titanico tronco, mosse piccoli passi in direzione della porta. La coda della bestia frustò l’aria. Il sudore freddo si unì all’acqua, sul volto di Snow, appiccicando i capelli castani alla fronte.
Non era sicuro d’esser pronto a morire.
Non gli restava che attaccare.

«Ku’…» la voce gli morì in gola.

Tremava come un fuscello.
Fu l’istinto di sopravvivenza a tirarlo fuori dal baratro, quando la bestia scattò e spiccò un balzo verso di lui.

«Ku’Ra’de!» urlò Snow, con la schiena appiattita contro la colonna di legno e le mani tese davanti a sé.

Pura energia, densa e semi-trasparente, si sprigionò dai suoi palmi come un campo di forza, si espanse come un elastico e schizzò verso il Si’v, mancandolo di poco: il colpo percorse il resto della stanza e si schiantò contro una sbarra di metallo, che risuonò e vibrò dando l’impressione d’essere una grossa campana.
Dong.
Il caos stordì Snow, poi, quando la bestia affondò le fauci nel suo braccio, tutto si tinse indistintamente di nero.
Il dolore era lancinante, insopportabile.
Snow urlò come mai in tutta la sua vita. La luce verde delle fiamme sul soffitto appariva lontana, sfuocata. Più perdeva i sensi e più voleva tornare sano, più tornava sano e più sentiva dolore. Le orecchie fischiarono con forza zittendo per un attimo tutto il resto.

«Drih’tan!» squillò la voce di una donna.

Il crepitìo assordante dell’elettricità fu seguito da uno scoppio di cui Snow percepì il calore e lo sbuffo d’aria sul corpo. La morsa che gli stringeva il braccio si sciolse, e lui fu libero di cadere a terra. Sentì addosso il sangue e l’umidità della tempesta che c’era stata.
Snow lottò con tutte le sue forze per non farsi trascinare nel buio.

«T’nays!» urlò qualcun altro.

Uno sfarfallìo di luci viola scoppiò nell’aria inscenando uno spettacolo pirotecnico.

«Foster! Foster!»

«Snow!»

Le guance avvamparono.

«Foster!»

Qualcuno lo stava prendendo a schiaffi.
Il professor Blanchard.
Quando Snow tornò in sé, pur non essendo mai svenuto, inspirò l’aria con avidità e si sentì raschiare la gola. Con le sue grosse mani, Blanchard lo scosse per le spalle. Tutto quel movimento gli diede il vomito.

«Ti senti bene?» chiese l’uomo, mentre il suo viso incorniciato tra folti capelli biondi assunse forme sempre più delineate.

«Mi fa male la testa…e il braccio.»

Snow sbattè le palpebre e sollevò la mano sana per scostare i capelli fradici. Con la stessa si riportò davanti al petto la moneta magica appesa alla catena.

«Guardate, si è svegliato!» cinguettò qualcuno, poco distante da lì.

«Chiudi gli occhi.» gli ordinò Blanchard.

Snow obbedì, e un attimo dopo sentì qualcosa di fresco sul braccio, forse un unguento. Un avvolgente odore di mele gli risvegliò i sensi, e l’appetito. Si morse il labbro e patì le ultime fitte al braccio, poi tutto si assopì lentamente, come le pieghe di un lago smosso da un sasso.
Con l’aiuto del professor Blanchard, Snow tornò in piedi. Gli studenti, passati oltre le sbarre, erano sparpagliati un po’ ovunque nella stanza. In molti lo fissavano, ma altri erano intenti a guardare altrove, dove i professori e in primis la preside Prinkett si erano raggruppati.
Ai loro piedi, un bambino riposava rannicchiato tra le foglie, circondato da lucciole viola il cui bagliore si perdeva nel nero profondo dei suoi indumenti. Quando la luce si rifletteva sui sottili capelli bianchi, donava loro sfumature d’ametista.
Sulla schiena del Si’v, tentacoli di fumo non più lunghi d’un braccio accarezzavano l’aria, giocando a intrecciarsi.
Una maschera nera gli tagliava il volto in due: una benda scura sulle palpebre appesantite dal sonno.
Qualcuno battè le mani due volte: la Prinkett.
I suoi scatti e i movimenti frenetici tradirono l’intento di apparire tranquilla.

«Tornate ai vostri posti! Mi prenderò la briga di punire severamente e di persona chiunque si ostini a non farlo!»

I primi ragazzi scivolarono in silenzio oltre le sbarre. Quelli che durante la prova erano stati i primi della fila, erano ancora bagnati per la tempesta. Con essi se ne andò anche la ragazza che Snow aveva sentito gridare il suggerimento. L’ultimo fu Mathieu, che tornò al suo posto non prima d’aver lanciato un’occhiata strana che Snow non riuscì a comprendere.
Del Myst che avvolgeva la sala restava solo qualche spruzzo fumoso qua e là, in banchi che fluttuavano soprattutto attorno alle colonne.
Snow si osservò il braccio ferito, avvolto da una pasta di erbe verdi e gialle. Le scarpe fradice sfigolarono mentre prestava attenzione a non cadere sul letto di foglie, là dove erano più bagnate.
Lui e Blanchard si fermarono vicini al bambino: il suo petto si sollevò lentamente, prima di riabbassarsi. Le piccole labbra schiuse erano distese in un sorriso beato.

«Sono stato io?» disse Snow con un filo di voce.

«Non proprio, signorino Foster».

A rispondere fu la Prinkett, con il ricordo d’uno chignon bianco latte che pendeva scomposto a lato del capo. I vestiti, accartocciati, disegnavano pompose onde di rosa e violetto.

«I professori dell’accademia sono intervenuti per evitare che la situazione degenerasse:» aggiunse «Il Si’v del Cambiamento è uno spirito ostile e pericoloso. Quello che non ci spieghiamo è come tutto questo sia potuto succedere…»

Il suo silenzio lasciò intendere a Snow che cercava in lui le risposte alla tacita domanda.

«Io non saprei…» dise il ragazzo, rapito ora dal viso accigliato della donna, ora da quello beato dello spirito, raggomitolato a terra come un gatto.

Ne osservò il corpo vibrare e a tratti sparire, come un’immagine riflessa sullo specchio d’un lago.
Il chiacchiericcio degli altri studenti riempiva la sala, mescendosi al crepitio delle fiamme sul soffitto, ancora vive.

«Avanti, Foster» aggiunse la Prinkett, sfilando il ventaglio e facendosi aria «Eventi fortuiti e inaspettati o meno, questo è quello che ha voluto il fato per lei, dunque assimili la magia del Si’v. Questa giornata non può fermarsi».

Il sorriso della donna non riuscì a tranquillizzare Snow. Affatto.

«Mi aspetto di trovarla nel mio ufficio, questo pomeriggio: sarò ben lieta di offrirle un the».

Snow attese in silenzio.

«Avanti» lo incalzò lei.

Il ragazzo annuì e prese un respiro profondo. Si sentiva stanco come non mai. Pose una mano sul corpo rannicchiato dello spirito e si schiarì la voce.

«E lyd’r oui» disse, cercando di ripetere la pronuncia perfetta.

Prima sparirono le lucciole violacee, frutto dell’incanto del sonno, poi spire di Myst avvilupparono gli arti e la testa del bambino dalla pelle diafana, ingobandoli lentamente e rendendoli prima evanescenti, poi invisibili. Un bagliore crebbe al centro dell’ammasso informe di energia, e quello fu l’ultima cosa a sparire. Al suo posto, a terra, rimase solo una moneta, poco più piccola d’un pugno e con un foro sulla parte alta.
Snow si chinò e la prese in mano, quindi la osservò: inciso sulla superficie dorata, il Si’v bambino gli sorrideva sghembo.
Il fogliame sparso ovunque svanì nel nulla, e con esso le poche pozzanghere non filtrate nel pavimento. Quando Snow sollevò lo sguardo, l’acero era rigoglioso al centro della stanza, come se lo ricordava prima di tutto.
Vyl’yhak strisciò fuori da un fregio intagliato nella parete e si ricompose. Come se nulla fosse, il mostro andò ad armeggiare con gli incensi.



NOTE VARIE : ecco qui il nuovo progetto dai toni harrypotteriani (nonostante io non abbia mai letto harry potter, sigh).
pur avendo già scritto un'altra trentina di pagine, penso che aspetterò con la pubblicazione perchè vorrei prima far conoscere la storia. a tal proposito, se l'hai letta, ricordati di farmelo sapere anche solo con un pm (della serie 'non importano tanto le recensioni, quanto i sorrisi').
A onor del vero, devo ringraziare a gran voce Ely79, che si è occupata di editare il testo apportando modifiche che ne hanno indiscutibilmente migliorato la qualità. è una scrittrice grandiosa, e consiglio a tutti voi di dare un occhio alle sue storie, che spaziano dal genere steampunk, a quello sovrannaturale (licantropi), a quello dai toni più drammatici. qui c'è il link al suo profilo ( click )
   
 
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