Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Valentina Viglione    15/11/2012    3 recensioni
Storia partecipante al contest "Se l'amore non ti ha fatto commettere mai neanche la più piccola follia, vuol dire che non hai mai amato"
E forse, pensandoci, è proprio questo che mi da fastidio. E’ proprio questo che non mi fa dormire e che non mi fa scrivere.
Il sapere che se ne andrà, e che non avrò più modo di rimandare all’infinito la mia dichiarazione d’amore.
Dovevo farlo molto tempo prima. Avrei dovuto fregarmene della vergogna e dell’imbarazzo che facevano arrossire le mie guance più dei pomodori maturi. Avrei dovuto buttarmi, perché adesso non c’è più tempo.
Mi alzo di colpo dal letto, folgorata da un’idea. Un’idea pazza, stupida, senza senso, ma che sento di dover e voler realizzare a tutti i costi.
Un’idea che non è da me. Jennifer Alfine non farebbe mai una cosa simile.
Ma una ragazza innamorata lo farebbe. Sicuramente.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

STUPID LITTLE FOLLY...

  

 

“Caro diario,

oggi è stata una giornata impegnativa, ma sono contenta dei risultati ottenuti. La verifica di filosofia che mi preoccupava tanto, alla fine è andata benissimo, ho preso un 8 e mezzo. Mamma e papà sono soddisfatti dei miei risultati recenti. La lezione di piano è durata più del solito, poiché Marta, la mia insegnante, non era molto convinta su di un pezzo suonato e me lo ha fatto ripetere così tante volte che ho perso persino il conto e mi sento tutte le dita indolenzite … e per il resto … beh … tutto benissimo.


Come sempre no? Le mie giornate sono sempre precise e perfette no?

Ok caro diario, non diciamo cazzate.

Fai finta di non aver letto nulla di tutto quello che ho scritto.

Oggi è stata una giornata di merda! “

 

Chiudo con uno scatto veloce e nervoso il diario che ho tra le mani.

Il mio diario.

Quello che fin da quando mi è stato regalato, a 7 anni, racchiude tutti i miei pensieri, i miei desideri, le mie paure, le mie esperienze ed i miei sfoghi quotidiani.

Ma stavolta non riesco a scrivere nulla di vero.

Non riesco a confidarmi con la carta. La penna non è abbastanza veloce, o forse sono io che piuttosto che sfogarmi scrivendo, preferirei prendermela con il mio diario. Strappandolo.

Ma di sicuro non è il caso,  e successivamente me ne pentirei.

 

Sbuffo. Poso, in modo più delicato di come l’ho chiuso, il mio diario sulla scrivania, e poi mi sdraio sul letto.

E chiudo gli occhi.


Ma non serve a niente. I pensieri non si oscurano come la vista, anzi. Diventano persino più nitidi, più grandi, più tormentati.

Così li riapro.

L’orologio a forma di mela arancione che ho sul comodino affianco al letto mi informa che sono le 10 di sera passate. Mia madre passerà tra esattamente 5 minuti a controllare che io dorma. E mi troverà addormentata, come ogni sera. Ma per finta.

Controllata e oppressa da queste manie di regole assurde e rigidità. Ecco come mi sento.

Per una ragazza di 19 anni come me dovrebbe essere normalissimo andare a letto tardi, uscire al sabato sera, andare in discoteca… ma per me non lo è. Non è normalissimo.

O almeno, non lo è secondo i miei genitori.

Non sono certo il tipo di ragazza che andrebbe a scatenarsi in discoteca, luogo in cui mi sentirei sicuramente un pesce fuor d’acqua per tutto il tempo.

Ma non sono neanche un nuovo esemplare di ragazza/nonnesca che non esce alla sera se non per incontrarsi con il proprio circolo del libro o del cucito.

Ho amici anch’io. Ho una vita sociale. Ho desideri… sogni… emozioni…

Ed è proprio questo ultimo punto che mi crea problemi: le mie emozioni.

Emozioni che al momento sembrano impazzite.

Sovrastano ogni cosa e non riesco a ragionare, figurarsi scrivere qualcosa di sensato all’interno nel mio diario personale.

La luce in camera è spenta e la porta è leggermente chiusa, in attesa della “tanto voluta” visita giornaliera di mia mamma.

Quando sento i suoi passi sulle scale, mi affretto ad andare sotto le coperte e ad appoggiare la testa sul cuscino. Gli occhi si richiudono, e il respiro diventa falsamente regolare ad opera della sottoscritta.

Mi viene da sorridere. E’ una cosa che farebbe solo una bambina, per fare la disobbediente. Ma è così che mi sento in questo momento.

Una bambina.

Ultimi passi più udibili dei primi, il cigolio leggero della porta e la sensazione di mia madre che mi osserva aprendosi in un sorriso soddisfatto. Sua figlia è obbediente, è educata, è perfetta. Se sapesse …

Poi esce, chiudendosi dietro la porta.

Ed io rimango nel buio della mia camera chiedendomi cosa fare.

Un’ invisibile ansia si diffonde dalla mia testa fino all’unghia del mio alluce sinistro.

Un brivido. Forse di freddo, forse un avvertimento, un segnale. Non so come interpretarlo.

Ma su di una cosa sono completamente certa. Dormire è fuori questione, non ci riuscirei nemmeno se lo volessi.

Insieme all’ansia si aggiunge una brutta sensazioni di vuoto. Di mancanza. Come se qualcosa non ci fosse più, o come se se ne stesse andando pian piano.

E mi sento stupida mentre, pensando a tutte queste cose che avverto, i miei occhi iniziano a rilasciare liquidi che vanno a bagnare il cuscino del letto.

Piangere è stupido. Piangere è insensato. E’ inutile soprattutto.

Piangendo non si risolve niente. Le cose non cambiano solo grazie a qualche goccia di lacrima salata.

Respiro profondamente.

Come se se ne stesse andando…

Ma è proprio questo il punto. Qualcosa se ne sta veramente andando. O meglio, qualcuno.

Una persona che partendo non lascerà nient’altro che un grosso vuoto, nella sua stanza, nel banco di scuola impolverato, e nel mio cuore.

Solo un ricordo mi resterà. Il ricordo di Christian

Sbuffo. Altro che bambina, sto facendo veramente la figura della melodrammatica! E’ solo un ragazzo infondo!

Altro sbuffo.

Solo un ragazzo.

No, per me non lo è.

Può sembrare stupido, anche esagerato… ma mi distrugge sapere che domani mattina non potrò vederlo a scuola.  Due banchi avanti a me, al suo posto ci sarà solo una sedia inutilizzata.

E forse non lo rivedrò mai più.

Perché dovrebbe tornare poi? Perché dovrebbe venire anche solo a farmi visita? A me, che non l’ho neanche salutato. Che non gli ho detto che mi sarebbe mancato. Che gli avrei voluto bene dovunque fosse andato. Che lo avrei amato comunque, perché ero, e sono, cotta come un pesce dimenticato per ore sulla piastra bollente della cucina.

E forse, pensandoci, è proprio questo che mi da fastidio. E’ proprio questo che non mi fa dormire e che non mi fa scrivere.

Il sapere che se ne andrà, e che non avrò più modo di rimandare all’infinito la mia dichiarazione d’amore.

Dovevo farlo molto tempo prima. Avrei dovuto fregarmene della vergogna e dell’imbarazzo che facevano arrossire le mie guance più dei pomodori maturi. Avrei dovuto buttarmi, perché adesso non c’è più tempo.

 

Mi alzo di colpo dal letto, folgorata da un’idea. Un’idea pazza, stupida, senza senso, ma che sento di dover e voler realizzare a tutti i costi.

Un’idea che non è da me. Jennifer Alfine non farebbe mai una cosa simile.

Ma una ragazza innamorata lo farebbe. Sicuramente.

E con questa convinzione, ed una carica nuova, prendo il giubbotto dall’armadio. Prendo anche le scarpe e le allaccio velocemente.

Controllo l’ora.

Ora sono quasi le 11!

Non mi faccio scoraggiare dall’orario ed apro la porta della camera, bloccandomi subito.

Il suono della televisione.

Mio padre è ancora sveglio. E questo significa che non posso uscire.

Rientro lentamente, per non farmi sentire. E mi sento sconfitta.

E poi un’altra idea, ancora più stupida della prima.

Mio padre è sveglio, e questo vuol dire che non posso uscire, non dalla porta almeno.

La finestra sembra l’ultima via possibile per fuggire.

Deglutisco. Non sono completamente convinta di ciò che sto facendo.

Ho sempre avuto paura dell’altezza, anche se non si tratterebbe che di pochi metri.

Apro la finestra, avvertendo il freddo che mi fa rabbrividire, e mi metto seduta con le gambe a penzoloni verso l’esterno.

L’albero che mi aiuterà in questa eroica impresa di fuga è sospetto. Non so se reggerà il mio peso, o se invece mi farà cadere maldestramente a terra. Ma lo faccio lo stesso, perché le scelte sono solo due:  arrendersi e tornare a dormire nella convinzione di non averci neppure provato, oppure tentare e togliersi un grosso peso dal cuore.

Ed è ovvio che io preferisca scegliere la seconda opzione.

E cosi il mio piede sinistro va ad appoggiarsi sul ramo più vicino alla finestra. Due passi veloci ed abbraccio stretta il tronco. Ok ce l’ho quasi fatta. Sospiro, grata adesso come mai sono stata a mia madre, fissata con la dieta sana e lo sport. Se pesassi un po’ di più di quanto peso al momento, probabilmente metà del mio ciliegio non esisterebbe più.

Facendo sempre attenzione, sia per non farmi male che per non farmi sentire, scendo piano un ramo alla volta.

Quando sento il primo piede che tocca terra mi sento libera. Lo sto facendo davvero! Sono la prima a rimanere stupefatta.

Do un’ultima occhiata alla mia finestra e alla mia casa. E’ la prima volta che esco senza avvertire i miei.

E mi sento come una principessa che fugge dal castello in cui era imprigionata da tanto tempo.

Il sorriso non lascia le mie labbra nemmeno un attimo, mentre a passo accelerato vado verso la mia meta.

Non penso a nulla mentre i miei piedi si muovono. Ho paura di perdere l’entusiasmo che sto provando in questo momento, e di ragionare troppo, decidendo di tornare indietro.

Ma quando arrivo davanti a casa sua, a casa di Christian, capisco che avrei dovuto pensare.

Sono le 11 di sera passate, e domani mattina partirà per Tokyo… sarà sicuramente andato a dormire presto. Come faccio allora a parlargli?

La delusione elimina completamente l’eccitazione che mi ha portata fin qui.

Mi sento stupida.

Tutto questo per nulla.

Non riuscirò a salutarlo, a parlargli …

Mi guardo in torno in cerca di idee, non sapendo più che pesci pigliare.

E poi li vedo. Dei sassolini.

E la mia mente inizia ad elaborare le 50 scene viste e riviste nei film più romantici di sempre. Quando il ragazzo dei sogni lancia sassolini alla finestra dell’amata, per poi dichiararsi, baciarla e vivere teoricamente felici e contenti per sempre.

Scuoto la testa dicendomi che non dovrei farlo. Ma il sorriso  è tornato sul mio viso. E decido di tentare lo stesso.

Raccolgo da terra uno dei sassolini, il più piccolo che trovo, e localizzando la finestra della sua camera, lo lancio.

Tac… Bersaglio mancato. E sguardo demoralizzato da parte mia.

Ne prendo un altro, chiudo un occhio sperando che in questo modo la mia mira sia più precisa e lancio. Mancato di nuovo.

Sbuffo prendendo con stizza un altro sassolino e stavolta lo lancio con forza senza guardare nemmeno il bersaglio.

Ma la finestra stavolta la colpisco.

E starei esultando come un pazza se, oltre ad aver colpito la finestra di Christian per farlo accorgere della mia presenza, non l’avessi anche rotta.

Merda.

Merda.

Merda.

Guardo inorridita il piccolo buco circondato da crepe che si è formato sul lato più basso della finestra, e la luce della camera di Christian che si accende.

Di sicuro ho attirato la sua attenzione. Su questo non c’è alcun dubbio.

Vedo un’ombra che si muove, e poi la mezza figura di Christian appare dalla sua finestra.

E’ in pigiama, ed ha il sasso che ho appena lanciato nella mano.

Mi sorride, ma ha anche uno sguardo confuso. Di sicuro non è normale vedere una sua compagna di classe, con cui non ha quasi mai parlato, davanti a casa sua alle 11 di sera, intenta a demolirgli la casa a colpi di sassate!

Divento tutta rossa.

La gola si fa improvvisamente secca. E tutto il mio coraggio si disperde nell’aria.

Non so cosa dovrei dirgli. Non so come giustificare la mia presenza qui.

Mi sento sempre più stupida.

Apre la finestra.

<< Ciao Jenny >> mi saluta a bassa voce, ma io riesco comunque a sentirlo.

<< Ciao >> gli rispondo semplicemente.

Vedendo che non apro più bocca, riprende lui la parola.

<< Che… Cosa ci fai qui? >>

Lo sto immaginando solo io quel tono divertito?

Divento ancora più rossa ed abbasso la testa. Che imbarazzo!! Cosa gli dico?!

Stupida.

Stupida.

Stupida.

<< Mamma che freddo, vuoi entrare? Tanto non riesco a dormire, ti va? >> mi propone. E io mi limito ad annuire.

Passano due minuti buoni di attesa, e poi la porta della casa di Christian si apre ed io mi affretto ad entrare.

Quando me lo trovo davanti mi imbambolo.

<< Ciao >>

Come ho già detto: stupida! Vi siete già salutati! Cosa gli dici ancora “ciao”?!

<< Riciao >> mi risponde con il suo sorriso divertito. << Vuoi un po’ di latte caldo? >>

Annuisco, e ci avviamo in cucina.

Il suo pigiama consiste in una canottiera grigia e in un pantalone della tuta nero. Le braccia sono completamente scoperte e mi lasciano una piena visione dei suoi muscoli.

Quanto è bello…

<< Non hai freddo? >> gli chiedo cercando di trovare qualcosa per conversare un po’.

<< Un po’, ma si può resistere, io dormo sempre con la canottiera, non riesco ad essere completamente coperto quando vado a letto >> si spiega.

Mi fa togliere il giubbotto e mi invita ad accomodarmi in una sedia del tavolo della cucina.

Mi da le spalle, chinandosi per prendere un pentolino ed il latte.

Ho un panorama perfetto.

Rossa sempre di più, distolgo lo sguardo dal suo fondoschiena prima che si rigiri verso di me.

<< Ci vuoi il cacao? >>

Annuisco ancora una volta.

<< Fa così tanto freddo che ti si sono congelate le labbra e non puoi parlare? >> mi chiede in modo abbastanza sarcastico, ma sempre gentile.

<< No scusa… cioè… scusami per prima… per la finestra… non volevo >> farfuglio. Penso che la mia faccia tra pochi istanti evaporerà da quanto è bollente.

<< Già beh… per quanto mi riguarda non ne faccio un dramma. In fondo da domani non sarò più qui >> dice alzando le spalle.

Da domani non sarò più qui…

E’ questo il momento, devo dirglielo. Devo parlargli.

Parla accidenti… Parla!

<< Mi mancherai >>

Sussurro queste parole, stupendomi io stessa.

Mi guarda, e sorride di nuovo. << Anche tu, mi mancheranno tutti quelli della classe >> e poi si rigira.

Chiudo gli occhi e sospiro affranta. Non voglio che si ricordi di me come “una di quelli della classe”.

<< Mi mancherai veramente … >>

Si blocca, proprio mentre sta accendendo il fornello per scaldare il latte.

Si avvicina a me, e si siede sulla sedia affianco alla mia.

<< Cosa ci fai qui Jenny? >>

Confusione e aspettativa si alternano nel suo sguardo.

Io sento solo il caldo rossore delle mie guance, ma ormai sono partita, e devo arrivare alla meta del mio discorso.

Ora o mai più.

<< Sono venuta perché oggi, quando ci hai detto… che domani saresti partito per Tokyo, non sono riuscita a salutarti come avrei voluto. Sono venuta per dirti una cosa… >>

<< Dimmi >> mi incita avvicinandosi ancora di più a me.

Chiudo gli occhi. Perché vederlo così vicino mi mette in difficoltà. E inizio a parlare.

<< Sono timida, e riservata … e introversa. Lo so. Per questo non sono mai riuscita a farmi conoscere molto… però mi sarebbe piaciuto. Avrei voluto passare più tempo con te. Te che sei completamente diverso da me, sei divertente, estroverso… piaci a tutti >>

<< Piaccio anche a te? >> mi interrompe.

Non apro gli occhi, ma li chiudo ancora di più se possibile.

Però annuisco.

<< Ed è per questo che voglio togliermi un macigno dal cuore. Perché tu poi partirai domani mattina e non so se ti vedrò più. E’ da idioti farlo adesso, perché sapendo che poi sarai lontano ci starò ancora più male, però… però mi sembra ancora più da idioti non dire niente a questo punto. Quindi ascoltami. Ascoltami. So che crederai che … è ridicolo, o qualcosa del genere, però io… >>

Mi fermo e deglutisco. Coraggio.

<< Io … >> ci riprovo, ma mi interrompo ancora.

Stavolta non è la mia vigliaccheria che mi ferma.

No.

E’ il respiro caldo che sento sulle labbra a bloccarmi.

Ho ancora gli occhi chiusi, e mi chiedo se per caso mi sia addormentata all’improvviso e stia sognando, quando infine appoggia la sua bocca sulla mia e mi bacia.

Mi bacia.

Mi sta baciando.

Christian mi sta baciando.

Ed io non ho neanche finito di dirgli che lo amo.

Ma a questo punto credo che abbia recepito il messaggio ugualmente.

Mh…

E’ il mio primo bacio. Ed è ancora meglio di come me lo sono immaginata  nei 600 film mentali che mi sono fatta in questi ultimi tempi.

Molto, molto meglio.

La testa si svuota. I pensieri diventano appannati e leggeri. Una sua mano mi accarezza la guancia lentamente.

 

Ed io mi sveglio.

 

Apro gli occhi di scatto.

Ma dove sono?

Christian… Non ci stavamo baciando fino a pochi secondi fa?

La mia faccia inorridisce quando mi rendo conto di aver sognato.

Niente era reale. Il mio primo bacio non è stato reale. Non è mai avvenuto.

<< Finalmente ti sei svegliata! Come ti senti? >>

Mi giro di scatto riconoscendo la voce. La voce del mio sogno, il viso del mio sogno. Christian è qui per davvero. Seduto su una sedia, con addosso un pigiama molto più coprente di quello della mia fantasia. Davanti a lui c’è il letto a una piazza, dove sono sdraiata io.

Mi siedo velocemente.

<< Cos’è successo? >> chiedo.

Avverto subito dopo aver fatto la domanda un terribile dolore alla fronte, e tocco con una mano il punto dolorante, trovandoci un piccolo bernoccolo.

<< Non chiedermi esattamente come è successo, ma a quanto pare sei stata colpita da un sasso e sei svenuta. Per fortuna ero sveglio ed ho sentito un tonfo che proveniva da fuori, altrimenti saresti rimasta svenuta per terra per tutto questo tempo… ma cosa ci facevi davanti a casa mia a quest’ora? >>

La testa mi gira.

No, non è vero… ero finalmente riuscita a parlargli, ed invece è stato tutto finto.

Tutto finto.

<< Sono … venuta a salutarti. So che domani mattina dovrai partire, e forse non ci rivedremo più così… >> cerco di spiegargli, ma mi interrompe.

<< Come non ci vedremo più?! Starò a Tokyo per una settimana, perché mio padre ha un congresso ed io volevo visitare un po’ la città … ma poi tornerò. Non mi hai sentito mentre lo dicevo oggi? >> mi chiede iniziando ad essere leggermente divertito.

Ecco una cosa in comune con il mio sogno. Il suo sorriso divertito.

Ma io non lo trovo divertente.

Proprio no.

Tutto questo … è stato inutile! La mia fuga, il sasso, il finto bacio, lo svenimento, le mie pippe mentali!!

<< Cosa?... ah ecco io … oddio … scusami … me ne vado subito! Ci vediamo quando torni! >>

Lo saluto, alzandomi velocemente dal letto e scappando letteralmente da casa sua.

Christian mi segue per aprirmi la porta.

<< Allora … ciao Jenny >> mi saluta sorridendo.

Io, rossa di vergogna lo saluto con gli occhi piantati a terra, ed esco.

Che sciocca. Che imbranata. Che stupida!!

Correndo ripercorro la strada di casa.

C’è solo una cosa positiva in tutta questa storia assurda.

Il fatto che Christian tornerà, ed io avrò la possibilità di dichiararmi un giorno.

Magari quando avrà dimenticato la figuraccia che ho fatto stasera.

 

 

  

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Valentina Viglione