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Autore: __Aivlis    15/11/2012    0 recensioni
Ci sono cose che mi sono sempre tenuto dentro più per protesta che per incapacità di esprimermi. Oltre ai traumi infantili, che sono scemati via come fa sabbia tra le mani, ce ne sono stati altri, che invece mi tengo ancora dentro come fossero cimeli di una vita un po' svalvolata. Forse per colpa del mio vivere tutto fino infondo, di ingigantire ogni cosa che vivo. Mi porta a non rendermi più conto della vera portata delle cose. A volte esagero con tutto, e questo è uno di quei momenti.
Sono sempre stato determinato ma mai abbastanza. Quello che mi è sempre venuto male, è abbandonare certe cose in favore di altre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Black Parade Is Dead!



So say goodbye to the last parade,

And walk away from the choice you made,

And say goodnight to the hearts you break,

And all the cyanide you drank.




2005, Tennessee


Gerard scese dal palco e percorse il corridoio che lo portava dietro le quinte con il sorriso ancora stampato in faccia.

Quando si sedettero sui divani proprio davanti ai tavoli del buffet, Frank guardò Gerard storcendo il naso.

In balia alle dipendenze, le persone cambiano. In balia ai sentimenti, senza restrizioni, le persone fanno cose, dicono cose, giurano cose che non avrebbero mai immaginato in un attimo di sobrietà. Gerard non si concedeva un attimo del genere ormai da troppo tempo.

Frank restò a guardarlo ancora per un po', ragionando su cosa stesse diventando.

Gerard non era mai stato un tipo normale. Lui era teatrale, come se vivesse costantemente su un palco e dovesse dimostrare in continuazione di che pasta fosse fatto. In tempi migliori avresti detto che la sua caratteristica principale fosse l'energia vitale. Ora la sua energia vitale era diventata mortale. Lo vedevi dagli occhi – lo vedi da quelli quando una persona sta male con se stessa –, e nei suoi Frank leggeva la disperazione.

« Portatemi un bicchiere di vodka! » esclamò Gerard, distogliendo lo sguardo dagli occhi di Frank.




2013, Los Angeles


« Dai, Gee, fallo per me... »

« Non se ne parla, Frank. Non ho intenzione di lasciare mia figlia con una perfetta sconosciuta la notte di Halloween »

« Ha sei anni! E' arrivato il momento di lasciarle i suoi spazi, non potrà starti attaccata per sempre. Devi incominciare ad abituarti all'idea. E poi si tratta di una sera. Qualche oretta, e poi torni da lei »

« Frank... no »

« Dai, siamo pure riusciti a convincere Mikey! »

« Non lo faccio per cattiveria, è che non mi fido... »

« E' il mio compleanno, fallo per me »

« … »

« Ti prego... »

« Non lo so, Frank. E' che... è così piccola, ancora. Senti, ci penso e poi ti faccio risapere, ok? »

« Sei una fottuta checca, Gee, sappilo »

« Anche io ti voglio bene, Frank » dico, ridendo mentre riaggancio il telefono.

Hope sta giocando nel suo spazio davanti alla televisione, e per qualche secondo mi metto a guardarla. E' piccola e indifesa, e Frank non può chiedermi una cosa del genere.

Oggi è il 31 ottobre, il compleanno di Frank, ed è riuscito ad organizzare una serata così, tra di noi. Io, lui e Mikey. Ma questo comporta dover chiamare qualcuno per badare a Hope, e sinceramente il solo pensiero di lasciarla sola mi uccide dentro.

Cerco di non pensarci e vado in cucina a finire di asciugare i piatti della colazione.

La cosa che mi fa prendere in considerazione di poterlo fare, di poterla lasciare sola per una sera, è il fatto che se ci riuniamo, oggi, non so cosa potrà succedere. Magari questa sera è destinata a diventare la sera in cui i My Chemical Romance decideranno di tornare sul palco. O magari no. Ma sta tutto a me.

Con Frank, poi, ci siamo rivisti svariate volte con lo scopo di farmi cantare, di farmi riabituare, in qualche modo, a quel modo di vivere la vita. Tutte le volte che ci siamo incontrati con una chitarra in mano sono stato colpito da emozioni diverse tra loro, ma che credevo di aver abbandonato. Non so cosa significhi, ma questo mese trascorso a rivangare il passato mi sta cambiando, e ne ho quasi paura. Ho paura perché mi sembra di non sapere più chi sono, mi sembra di star perdendo me stesso. Ho già provato questa stessa sensazione altre volte, nella mia vita, e tutte le volte non ha mai portato nulla di buono.




Alle sei del pomeriggio, dopo un lungo colloquio con me stesso, con la testa tra le mani e i gomiti puntati sulle ginocchia, mi sono convinto a prendere il giornale e leggere gli annunci che riportano la scritta 'Baby-Sitter' in bella vista.

Alle nove di sera ho già avuto almeno dieci colloqui con persone diverse, e non ce n'era nemmeno una che mi ispirasse fiducia. Neanche un po', neanche per caso.

Mentre chiudo la porta alle spalle dell'ennesima donnicciola da quattro soldi che ha tentato fino a due minuti fa di convincermi che fosse la persona adatta per mia figlia, mi chiedo se magari fosse giusto chiedere il parere di Hope, prima di pensare di lasciarla sola.

Vado in camera sua, con passo lento, e la vedo alle prese con un disegno molto colorito.

« Hope... » sussurro.

« Che c'è, papà? » mi dice, voltandosi verso di me con quegli occhi pieni di gioia.

« Devo chiederti una cosa, vieni qui » le dico, accomodandomi sul suo letto e facendole segno di raggiungermi.

Lei si accoccola accanto a me come d'abitudine, e inizio ad accarezzarle i capelli.

« Se ti facessi conoscere una persona davvero molto simpatica, ti dispiacerebbe se per una sera non stessimo insieme? Sai, devo sbrigare una faccenda con lo zio Frank, è un cosa molto seria. Mi capisci, vero? »

Sono assolutamente conscio del fatto che un genitore qualunque, con la testa sulle spalle, non avrebbe mai chiesto a sua figlia di sei anni se le dispiacesse non passare una serata con suo padre ma con un'emerita sconosciuta, ma da qualche parte dovevo pure iniziare. E poi, c'è da dire che noi non siamo mai stati una famiglia normale.

Ok. Non ho ancora la persona adatta, ma credo che se Hope è tranquilla, io sono più in grado di trovare qualcuno.

« Ma dove devi andare? »

« Te l'ho detto, sono a casa dello zio Frank. Sarà come quando vai a scuola, però starai a casa. »

Lei annuisce un po' triste, e per un attimo mi si stringe il cuore. Una delle cose che mi colpiscono ogni volta, di questa bambina, è che non sa mai dire di no. Neanche una volta che si fosse lamentata di qualcosa, neanche un capriccio, mai uno screzio, e, arrivati a questo punto, non so dirmi se sia un bene o un male.

Mi squilla il cellulare nella tasca dei pantaloni ed è Frank. Quasi quasi gli dico che non se ne fa niente.

« Frank » rispondo, alzandomi dal letto ed uscendo dalla camera.

« Prima che tu dica qualsiasi cosa, so che non hai ancora trovato nessuna, me lo aspettavo, ed è per questo che ci ho pensato io. E' mia cugina, si chiama Dianna, è adorabile, ha 28 anni ed è molto più responsabile di suo cugino. »

« Credi davvero che io sia in grado di mettere mia figlia nella mani di uno qualsiasi della famiglia Iero? »

« Se non altro ci spero! Dai... dai... »

Lo odio quando inizia a fare il bambino, ma devo dire che mi ha quasi convinto.

« Ci organizziamo così. Vengo giù insieme a lei fra mezz'ora, chiamo anche Mikey. Andiamo tutti insieme a fare dolcetto o scherzetto con gli amichetti di tua figlia – e solo questo dovrebbe farti capire quanto mi ci sto impegnando – così le facciamo conoscere, dopodiché torniamo a casa e Hope sarà così stanca da cedere a qualsiasi proposta, e la serata è fatta. »

« Perché mi sembra tanto un tradimento? »

« Dai, Gee, sai che non è così... Lo faccio anche per te, in parte. »

« Facciamo che intanto venite a casa mia, poi vediamo come si mette la serata. »

Chiudo la chiamata e torno da Hope, che intanto si è rimessa a lavorare sul suo disegno.

« Allora ti va se andiamo a fare dolcetto o scherzetto con i tuoi amichetti, Frank, lo zio Mikey e la cuginetta di Frank? » le chiedo, accucciandomi accanto a lei.

« Va bene » mi dice, con quegli occhi azzurri.




Frank entra in casa vestito da vampiro con tre sacchi di plastica con una zucca disegnata sopra. Dietro di lui c'è Mikey, e dietro ancora sua cugina, vestiti rispettivamente da Frankestein e da strega. Evviva l'originalità.

« E Hope da cosa si è vestita? » mi fa Frank, tutto emozionato.

« Beh, ancora da niente. Siamo indecisi sul vestito da ape assassina, o quello da scienziato pazzo »

« Tutte cose molto femminile, eh, Gee? » mi fa lui, ironico.

« Le ha scelte lei! » esclamo, alzando le mani in segno di discolpa.

« Comunque lei è Dianna. Dianna, lui è Gee » dice Frank, lanciando l'indice alla rinfusa prima verso l'uno, poi verso l'altro, e viceversa.

Questa ragazza un po' bassetta mi si avvicina e mi tende la mano, guardandomi negli occhi. Non la vedo bene perché ha una maschera che le copre metà volto, ma ha dei grandissimi occhi verdi scuro, a tratti grigi. Potrebbe essere una bella ragazza.

« Piacere » sussurro.

Solo quando apro bocca mi rendo conto di essermi soffermato un po' troppo su quel poco di lei che riesco a identificare.

Lei mi stringe la mano e sussurra lo stesso. Ha una stretta forte e salda, e la voce quasi un sospiro. Nonostante questo, mi sembra una tipa apposto, una ragazza che mi ispira fiducia. Forse potrei davvero cedere e lasciare Hope con lei per un'oretta o due. Non dico niente per non dare a Frank troppe speranze.

« Ciao Gee » mi dice Mikey, dandomi una pacca sulla spalla.

« Come vanno i preparativi del matrimonio? » gli chiedo, anche se non mi interessa troppo.

« Alla grande »

A parlare di matrimoni mi trovo male. Ho sempre sognato il mio, e non l'ho mai avuto.

« Forza, andiamo a vestire questa povera bambina! » esclama Frank, andando in camera di Hope facendo grotteschi versi da serata di Halloween.

Offro un bicchiere d'acqua a Mikey e Dianna, e ci sediamo in cucina aspettando che Frank vesta Hope.

« E così tu saresti la cugina di Frank? » le chiedo.

Lei annuisce e si porta la maschera in testa, chiudendo leggermente gli occhi mentre lo fa. Adesso che la vedo senza maschera mi sembra di averla già incontrata, ha un non so che di familiare.

Le chiedo se ci siamo mai visti da qualche altra parte.

« Pranzo di primavera a casa dei miei, in campagna. 2011. » risponde, sorridendo.

« Ma tu sei quella ragazza che ha tenuto a bada i bambini per tutta la giornata? »

Ora mi ricordo di lei. Certo, come posso essermi dimenticato.

Dianna annuisce.

« E questo è uno dei motivi per cui dovresti fidarti a lasciare Hope con Dianna... è una ragazza piena di sorprese » si intromette Mikey, sempre fuori luogo.

Credo di essere diventato rosso come un pomodoro, dopo quest'insinuazione. Se non altro anche lei è arrossita leggermente sulle guance.

E' una ragazza riservata, dai lineamenti poco marcati; due grandi occhi e la bocca carnosa e morbida, rossa come una ciliegia. Ha i capelli biondi, e credo siano lunghi, perché – nonostante li tenga legati con un fermaglio dietro alla nuca – ha ancora qualche ciocca che le ricade un po' a caso attorno al volto.

Questo vestito da strega non le dona affatto. Questi colori spenti, mi sembrano poco adatti.

« Bene, noi siamo pronti! » urla Frank, dall'altra stanza, mentre torna da noi assieme ad Hope.

« Papà, papà! Guarda come mi ha truccata bene lo zio Frank! » urla Hope, saltandomi in braccio con tanta foga che quasi la faccio cadere. E mentre la riprendo al volo vedo Dianna sporgersi impercettibilmente verso di me, ed aprire leggermente la bocca in una smorfia quasi di paura. Rimango impressionato.

« Ehy, amore, ma sei bellissima! » Le rispondo, contento di vederla ridere; era da molto che non lo faceva.

Ed è vero, Frank l'ha truccata proprio bene.

Alla fine avevano optato per lo scienziato pazzo, anche se il trucco che aveva addosso assomigliava molto di più a quello di uno zombie.

Qualsiasi persona che non conosca Frank direbbe mai che in fondo è una checca. Che quando eravamo giovani ci piaceva salire su un palco conciati come mostri e scatenarci fino a sudare via le paure e le angosce. Funzionava così, era la nostra terapia, per quanto poco efficace potesse essere.

Usciamo di casa tutti insieme. Io e Frank per ultimi.

« Ah, giusto... Auguri » gli sussurro, in privato.

Quando eravamo giovani, tra me e Frank c'è sempre stato un rapporto particolare. Più di un'amicizia, meno di un innamoramento. Non so perché in quel periodo ci piacesse andare in giro a dire di essere bisessuali, e non so neanche se fosse vero o se lo facessimo solo per darci delle arie. Erano gli anni d'oro degli alternativi, qualsiasi pretesto era buono per dimostrare qualcosa agli altri, e noi, in quanto una delle band di maggiore rilevanza del genere, facevamo da portavoce come meglio potevamo.

Inutile dire che tra me e lui l'attrazione c'era stata davvero. Non eravamo mai andati oltre a qualche bacio dato sul palco per attirare l'attenzione dei media, ma in cuor mio sapevo bene che Frank era diventato come una droga per me, una delle tante, in ogni caso, e che, per quanto potesse sembrarmi irreale, ne avevo bisogno come dell'aria che respiravo.

Ad ogni modo, non ero innamorato, questo è certo, e ogni attrazione inconveniente con il tempo è scemata via da sé. Ma non per necessità o per condizionamento, solo perché quando cresci ti rendi conto davvero di cosa vuoi per te e cosa decidi di lasciare per strada. Io avevo semplicemente deciso di buttare via quelle pretese infantili, e concentrarmi interamente su Julie.

Non mi sono mai pentito della scelta che ho fatto, e neanche Frank. Ma tutt'ora ci unisce qualcosa che è necessariamente e indubbiamente diverso dagli altri. E' qualcosa di tanto innocuo quanto forte, ma ciò di cui ho sempre avuto bisogno.




Ancora non riesco a credere di aver lasciato Hope ad una quasi perfetta sconosciuta. In situazioni di poca rilevanza direi di non fidarsi di Frank, ma so anche che in circostanze del genere non mi avrebbe mai lasciato affidare Hope a qualcuno che non fosse responsabile. Nonostante questo, l'immagine della mia casa che va in fiamme è sempre al primo posto nel mio cervello.

Siamo tutti e tre seduti sul pavimento di camera di Frank, appoggiati con le schiene al muro, come quando eravamo adolescenti.

« Ho parlato con Ray » fa poi Frank, dal nulla, con la voce leggermente impastata dall'alcol.

Io e Mikey rimaniamo impietriti; nessuno dei due si aspettava una confessione così.

Ovviamente entrambi sapevamo che Frank era rimasto in contatto con l'altro chitarrista dei My Chemical Romance, ma nessuno di noi aveva mai accennato a volerne parlare. Semplicemente, avevamo sempre fatto finta di niente, avevamo deciso che se quello era il corso naturale delle cose, allora era inutile rimuginarci sopra più di quel tanto.

Lo guardiamo un po' turbati, finché non si decide a parlare. Guarda fisso davanti a sé, con le ginocchia strette al petto e lo sguardo vuoto.

« Gli ho parlato di quello che sta succedendo, del fatto che forse possa esserci un futuro per il gruppo... »

« Sai che non ho mai detto di voler continuare, Frank » lo interrompo.

Lui si volta verso di me. « Frena tigre, non gli ho dato nessun tipo di certezza, gli ho solo detto come stanno le cose »

« E lui che ha detto? » chiede Mikey.

« Ha detto che torna. Solo questo, non ha aggiunto altro. Ma non credo lo faccia per noi. O meglio, credo che quella sia la scusa, la maschera che gli permette di tornare senza vergognarsi di essere partito. »

Mi rimetto l'anima in pace, appoggio la testa contro il muro, e tiro un sospiro di sollievo. Per un secondo, la paura che Frank avesse frainteso le mie intenzioni mi ha fatto gelare il sangue. Non sono mai stato sicuro delle mie intenzioni, tanto meno adesso.

« Quando torna? » sussurro.

E' tutto silenzioso, e sembra impossibile in un appartamento nel bel mezzo di Los Angeles. Ma è così, c'è silenzio.

« A natale. »

Nessuno dice niente per un po'. Nessuno ha niente da aggiungere, oppure abbiamo solamente troppe cose da dire, e invece che sforzarci stiamo tutti zitti.

Mi è venuto un groppo in gola.

Passa poco tempo, e già non ci pensiamo più. Come se niente fosse stato realmente detto.

« Frankie, ce l'hai più quella roba che ti portavi sempre dietro al liceo? »

Frank guarda Mikey come se avesse appena bestemmiato su sua madre, e solo dopo capisco davvero a cosa si riferisca. Mi sento tradito, mi sento scansato.

« Non starete mica parlando di quella roba... »

« Sì, cioè... a te darebbe fastidio se me ne facessi una? »

Siamo seduti sotto alla finestra della camera da letto di Frankie, e credo di essere rimasto l'unico sobrio, per ovvi motivi.

In tutto il tempo in cui sono stato pulito da droghe e alcol, non mi ha mai dato realmente fastidio vedere altre persone abusarne. Non sono mai stato uno protettivo sotto quel punto di vista, neanche con mio fratello Mikey, perché so per certo – perché l'ho sperimentato su me stesso – che qualcuno che ti stia lì col fiato sul collo a dirti quanto sia sbagliato quello che stai facendo è una delle cose più inutili di questo cazzo di mondo. E' semplicemente insensato. Per questo non ho mai detto niente, non ho mai fatto niente per impedire agli altri di fare certe cose davanti ai miei occhi. Era una prova per me stesso, per vedere per quanto tempo sarei riuscito a resistere. E fin'ora non mi sono mai dato l'opportunità di deludermi.

Ora è diverso. Non mi ritrovo in una situazione di questo genere da troppo tempo.

Quando eravamo un gruppo di rockstar smontate dalla vita era diverso. Era quasi all'ordine del giorno che qualcuno si accendesse una canna con la stessa facilità con cui si accende una sigaretta. Ma questo era prima di Hope, prima di crescere, prima di sentirsi davvero apposto col mondo, davvero completamente pulito.

« No, fate pure » dico, senza dimostrare troppo ciò che sento.

In realtà ho le budella contorte per l'agitazione, e credo di stare sudando freddo. All'improvviso, il mio amico Frank e mio fratello Mikey sembrano distanti anni luce da me. Come bloccati in un vita passata, come se ancora non ne fossero usciti realmente.

« Ma non credo vi faccia poi così bene » aggiungo, mentre Frank torna da noi con un sacchettino di plastica in mano.

« E' il mio compleanno, concedimelo » mi chiede Frank, guardandomi negli occhi senza troppo sicurezza.

Non rispondo, li lascio fare.

Dopo poco sento già quell'odore familiare avvolgermi senza lasciarmi aria da respirare. E' sempre più forte, sempre più acre, e il mio stomaco sta sempre peggio.

« Gee, stai bene? » mi chiede Mikey. « Sei più bianco del solito »

« Io... » faccio per dire. Ma appena apro bocca sento una sensazione strana all'altezza dello sterno. Ho i brividi, e quell'odore è insopportabile.

Mi alzo in fretta e corro al bagno a vomitare.

« Gerard! » mi urla dietro Frank. Mi raggiunge.

Quando ho finito mi rialzo, mi sciacquo la bocca con l'acqua del rubinetto.

Frank sta bussando con tutta la sua forza. Dopo un po' gli apro.

Penso a Hope, penso a me stesso. Penso all'odore di quella canna, e ai capelli biondi di una perfetta sconosciuta che ora è con mia figlia, mentre io sono qui a subire il mio passato senza riviverlo.

« Cosa c'è? » mi chiede, preoccupato in volto.

« Credo di non stare bene. Forse tutti quei dolcetti di Halloween mi hanno fatto male. Credo tornerò a casa... » mento.

Mi asciugo gli occhi, e li saluto con brevi frasi di circostanza. Salgo in macchina, e a metà strada una lacrima mi scende lungo la guancia.

Ho sempre recitato la parte di quello forte, di quello che non si abbatte facilmente, ma ora sento il peso del mondo sulle spalle. Ora sento di non farcela, sento che improvvisamente tutte le frustrazioni di una vita stanno tornando su dai meandri di me stesso. Come se avessi bisogno di qualcuno che mi protegga da quella parte di me che avevo giurato di non far riaffiorare mai.

Gerard Way, quello della Black Parade, quello dipinto dai media. Quel demone che si è impossessato di me con tutta la forza del mondo, è morto sei anni fa.

Cerco di convincermi di questo mentre torno a casa da mia figlia. Da quel qualcosa che mi ricorda perennemente chi sono e cosa ho sempre voluto da questa vita che toglie tutto senza dare indietro niente.

Gerard Way, quello col trucco nero in faccia, è morto sei anni fa.




Il tintinnio delle chiavi che sbattono tra di loro mentre le giro nella toppa mi è familiare. Mi ha sempre dato un senso di sicurezza, come a volermi dire “Gee, sei a casa, sei salvo anche per oggi”. E non potrebbe farlo più di stasera.

Controllo l'orario sul cellulare, che illuminandosi rischiara il buio del corridoio prima che la porta si apra a lasci uscire la tenue luce del soggiorno.

Dianna mi si catapulta davanti alla visuale come un grillo. Ha gli occhi spalancati, e ha tolto il costume da strega e tutto il trucco. Tiene i capelli legati alla meno peggio con un elastico che sembra aiutarla ben poco, e un cerchietto scuro che le tiene i capelli lontani dalla faccia. Ha un abbigliamento pratico, come se ci si fosse impegnata con tutta se stessa, in quell'incarico posticcio.

« Buonasera » mi sussurra, con uno sprint vitale un po' inappropriato all'orario.

« Dov'è Hope? » le chiedo, sollevato del fatto che la casa non sia realmente in fiamme.

« Sta dormendo, era stanchissima »

Vado nella sua cameretta e la guardo dormire. Per un attimo faccio caso se il suo sterno si muova regolarmente o no. Quando vedo che respira, mi sento un completo idiota. Però sono sollevato.

« Bene, il mio lavoro qui è finito, allora. Posso andare? » mi fa, sorridente.

« No, aspetta. Dimmi quanto ti devo... » le dico, fermandola prima che metta la mano sulla maniglia della porta.

Fa storie, dice che non ce n'è bisogno, che l'ha fatto con piacere. Ma decido di metterle dei soldi in mano e basta, e alla fine li accetta.

« Com'è stata Hope, ha fatto i capricci? »

« No, è stata fantastica, ovviamente. »

Mentre parla ha un tono così lieve ma energico allo stesso tempo che è un po' come una dose forte di camomilla.

Quando mi sorride con quei suoi denti bianchissimi, mi tranquillizzo un po'.

Per un attimo dimentico Ray, dimentico la canna di prima, e le lacrime. Per un attimo penso che in tutta questa merda di vita ogni tanto accada anche qualcosa di positivo.

Quando qualcuno entra nella tua vita, può essere un bene enorme o la delusione più grande. Lei non può che essere un bene, soprattutto per Hope.

Mentre chiudo la porta alle spalle di quella biondina di un metro e sessanta con gli occhi troppo grandi e la postura da ballerina di danza classica, capisco che forse questa serata assomiglia ad un grande svolta. E fa male, come ogni grande svolta, in base a quanto farà bene col passare del tempo.




   
 
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