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Autore: Angy_Valentine    17/11/2012    10 recensioni
Non sono più una stracciona del Rukongai che si nascondeva da sudici uomini che tentavano di mettermi le mani addosso spinti da altrettanto sudici istinti, non sono più quella donna che raccattava pochi scarti di cibo che trovava per terra per arrivare a fine giornata – no, ora sono la… come mi hanno definita? La “Lady” del nobile casato Kuchiki, la sposa del ventottesimo capofamiglia, Byakuya Kuchiki.
Hisana Kuchiki.

Una prima notte d'amore, non per dovere, ma per legarsi l'uno all'altro, per sempre.
[Byakuya x Hisana]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Hisana Kuchiki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'When the Snow falls'
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Ullah. Sono di nuovo tra voi 8D non ve l’aspettavate, lo so… ma è ByaSana, dovreste sapere quanto lo amo. E niente, con questa terza parte, dopo "When the Snow falls" e "When the Snow falls: After the Snow, just the Silence", mi sa che ho raccolto tutti i “momenti topici” di questa coppia – anche se secondo me c’è ancora tanto da scrivere, ma giustamente, appena c’è l’ispirazione… Purtroppo, duole ammettere che per certe cose non ci so fare -___- ditemi voi se il rating va bene, ho cercato di non scendere troppo nel dettaglio. Forse sembrerà che in alcune parti "manchi qualcosa" in termini di spiegazioni, specie all'inizio, ma essendo un POV di Hisana, ovviamente non potevo farle dire tutto e subito - motivo per cui, sarà Byakuya a fornire ulteriori dettagli per certe questioni. Per il resto non vi tedio ulteriormente, bella gente: se avete voglia di lasciare un commentino, sapete che mi farà molto piacere!

 

 

When the Snow falls – Blossom of Love

が落ちたと- 愛の花

 

«A te che mi hai trovato
All’angolo con i pugni chiusi
Con le mie spalle contro il muro
Pronto a difendermi
Con gli occhi bassi stavo in fila con i disillusi
Tu mi hai raccolto come un gatto
E mi hai portato con te
A te io canto una canzone perché non ho altro
Niente di meglio da offrirti di tutto quello che ho.
»

Frastornata – non saprei come meglio definirmi in questo momento. Dopo un intero giorno passato in mezzo a decine, forse un centinaio di persone, questa improvvisa quiete mi scombussola non poco. Ancora fatico un po’ a metabolizzare la cosa – non sono più una stracciona del Rukongai che si nascondeva da sudici uomini che tentavano di mettermi le mani addosso spinti da altrettanto sudici istinti, non sono più quella donna che raccattava pochi scarti di cibo che trovava per terra per arrivare a fine giornata – no, ora sono la… come mi hanno definita? La “Lady” del nobile casato Kuchiki, la sposa del ventottesimo capofamiglia, Byakuya Kuchiki. Non sono più solo “Hisana”, no, ora al mio nome segue anche un cognome – qualcosa che, dopo la morte, avevo completamente dimenticato. A che mi sarebbe mai servito un cognome, nella povertà del Rukongai? Non mi avrebbe assicurato un posto dove dormire né qualcosa da mangiare, motivo per cui ne avevo perso totalmente il ricordo. Ero diventata una delle tante anime anonime dei quartieri poveri, senza particolari abilità che mi aiutassero in quella vita di stenti – così simile a quella che, per quanto ricordavo, avevo già vissuto nella vita terrena. Non che me ne lamentassi, mi sarei semplicemente dovuta abituare. E lo ammetto, lo scorrere delle giornate era diventato sempre uguale, giorno per giorno, in mezzo ad altri poveri, tra la polvere delle strade e le baracche fatiscenti… non cambiava mai nulla, a parte la quantità di cibo che riuscivo a trovare. Una routine da cui non riuscivo né volevo uscire, anzi.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, mi è apparso davanti quello che ora è ufficialmente mio marito. Sporco di terra e sangue di Hollow, con la spada ancora sguainata – e la lama riluceva alla luce del sole. Era una fredda giornata d’inverno, lo ricordo bene. Quel giorno non disse una singola parola, limitandosi ad osservarmi distaccato, alternando lo sguardo dal mio viso alla brocca sbeccata con dell’acqua che gli stavo offrendo per pulirsi il viso – e silenzioso com’era apparso, si era voltato e se n’era andato. Quella poca acqua contenuta nel vaso rotto aveva riflesso l’amara consapevolezza che nella mia condizione, qualsiasi aiuto avessi dato sarebbe risultato ridicolo. Probabilmente gli ero sembrata patetica, ad offrirgli dell’acqua quando io per prima avrei necessitato di una doccia al più presto – una poveraccia che osava offrire aiuto ad uno shinigami, magari s’era offeso davvero. Insomma, chi ero io per pretendere di potergli dare qualcosa che lui non avrebbe avuto problemi a procurarsi in uno stato migliore? Lo dimenticai in fretta, convinta che non lo avrei più rivisto. Quanto mi sbagliavo!

Lo incontrai nuovamente qualche settimana dopo, in un pomeriggio di una primavera che si faceva timidamente strada tra gli ultimi stralci d’inverno, sulle prime non m’era parso nemmeno lui – indossava un haori differente da quello che gli avevo visto indosso la volta precedente, ma la sciarpa che gli ricadeva morbida attorno al collo era la stessa, sì. Così come l’avrei notato in tutti i nostri incontri seguenti – ma non capivo, non capivo davvero il perché, per quale motivo cercasse la mia compagnia anche per pochi minuti. Rimasi letteralmente spiazzata quando, nell’udire uno scocciato “Accidenti, lo shinigami s’è già preso la pollastra”, fece volare dall’altra parte della strada l’uomo che aveva pronunciato quella frase usando il… come l’aveva chiamato? Ah, sì, kido, l’arte demoniaca che imparano gli shinigami. E lì, giustamente, chiese spiegazioni che gli fornii, seppur un po’ controvoglia. Insomma, non era esattamente bello far sapere a quell’uomo, di cui conoscevo solo il nome, che dovevo scappare per non far la fine di tante donne soggiogate dalla legge del più forte. Avrei dovuto sospettare anche di lui, sì. Ma il modo in cui mi parlava, mi trattava o mi guardava, mi convinse che era di tutt’altra risma. E questa volta, invece, la mia impressione fu più che corretta. Era piacevole stare in sua compagnia, per quei minuti potevo… dimenticare. Scordare dov’ero, cos’ero, cosa avevo fatto. Quando lo salutavo, mi chiedevo sempre se l’avrei più visto un’altra volta. Non capivo perché, e forse avrei dovuto stargli distante – ci provai, le prime volte. Non sapevo proprio, allora, con chi avevo a che fare. Lui s’era ben guardato dallo sbandierare i suoi natali, pensavo fosse un semplice shinigami – decisamente bello e raffinato, sì, ma… normale, diciamo così. E non nascondo che le prime volte mi vergognavo assai a stargli accanto, per quanto tentassi di tenermi pulita il più possibile accanto a lui mi vergognavo come una ladra – e mi rendevo sempre più conto di quanto sudicia apparissi al suo fianco. Non osavo avvicinarmi troppo, nemmeno quand’era lui ad invitarmi. E se chiedeva il motivo, non davo risposta – la vergogna era davvero, davvero troppa.

E poi, quell’ammissione dei suoi sentimenti, quell’invito a seguirlo nel suo mondo, nella sua casa. E fu allora che scoprii che non era certo l’ultimo shinigami della Soul Society – no, quello che mi aveva chiesta in sposa non era altri che uno degli uomini più nobili e potenti di tutta la Seireitei. Inutile dire che, sulle prime, feci di tutto per tirarmi indietro – non perché non lo amassi, anzi. Ma la differenza di ceto tra me e lui era abissale, io ero una semplice stracciona che si lavava in un fiume, mangiava rimasugli di cibo trovati per terra e sapeva a stento leggere, lui era… era troppo per me. Troppo bello, troppo istruito, troppo nobile, con dei doveri tutt’altro che trascurabili sulle spalle, soprattutto nei riguardi della sua famiglia. Chi ero, io, per rovinare il lavoro di anni e anni, tutte le fatiche che aveva fatto fino ad allora sarebbero state buttate, se mi avesse veramente presa in sposa. Eppure lui mi chiese di dargli fiducia. Perché “era pur sempre il Byakuya che mi invitava a passeggiare nel Rukongai” e, talvolta, portava poche vivande per uno spuntino. L’uomo che in quelle lunghe settimane di incontri e chiacchierate avevo imparato ad amare.

Non mi stupii nel vedere che la sua famiglia non era assolutamente d’accordo con le sue intenzioni – mischiare il sangue nobile dei Kuchiki con quello di una stracciona spuntata da chissà dove per loro era un’eresia bella e buona. E li capivo, davvero – sebbene non potessi fare a meno di rimanerci male. Non era arrivismo il mio, quello che ormai ci legava era un sentimento forte e saldo, che sarebbe rimasto lo stesso anche se lui non fosse stato aristocratico o potente. Ma il nobile Byakuya (non riuscirò mai a chiamarlo semplicemente “Byakuya”, temo) era un uomo fermo sulle proprie idee, quello che quando desidera qualcosa lo ottiene – a maggior ragione se quel desiderio è dettato dal cuore. Si offrì di istruirmi, insegnarmi come ci si comporta in mezzo ai nobili; le sere in cui avrebbe necessitato di andare a dormire presto le passò insegnandomi le arti tradizionali e la letteratura più complessa – e visto che le mie proteste e i miei tentativi di farlo rinunciare furono totalmente inutili, feci del mio meglio per non deluderlo, per far sì che almeno lui fosse fiero di me. Obbligò la famiglia ad accettare la sua decisione, ad accettare quel nostro amore – ma loro mi vedranno sempre come un avvoltoio, temo. Ma “fai buon viso a cattivo gioco”, si usa dire: alla fine decisero di accettare la nostra unione. Tuttavia, gli auguri che ci fecero in occasione del Yui-no, la cena di fidanzamento, furono quanto di più falso sentii in vita mia, i doni venivano portati con ipocrita reverenza. Ma per quello che sarebbe diventato mio marito, per l’uomo che amavo, accettai tutto con un sorriso - e lui non mostrò mai segni di cedimento o ripensamenti. Mi strinse la mano sfiorandomi la fronte con le labbra prima di darmi la buona notte sulla soglia della mia camera, quasi a volermi far forza – il giorno dopo nessuno avrebbe più potuto dir nulla su di noi. Ci saremmo sposati, sarei stata in una posizione tale che nemmeno gli anziani avrebbero potuto avanzare proteste.

Ed ora eccoci qui, l’uno di fronte all’altro. La giornata è stata a dir poco sfiancante – seppur bellissima, questo è ovvio. Ho appena tolto il tradizionale shiromuku bianco, sistemandolo per bene su un apposito appendiabiti, restando con il kakeshita e lo shitagasane dello stesso colore, rindossati dopo i canonici cambi d’abito. La testa un po’ mi duole per via della parrucca con lo tsunokakushi che ho dovuto portare – quelle corna di demone, simbolo della gelosia, nascoste sotto il velo a forma di cappuccio, per dimostrare la totale concessione della mia sottomissione al mio sposo. Non che fosse necessario questo scomodo copricapo, per garantire ciò. Ed ogni singolo capo indossato dalla sposa è bianco, il bianco più puro simbolo di purezza e verginità. Non riesco a celare un certo imbarazzo, sapendo come… insomma, come si porterà avanti questa notte. E sottilmente, dentro di me, una vocina molesta mi fa quasi esitare. Lo voglio davvero?

Inginocchiato di fronte a me, vedo il mio nobile marito tendere le mani verso la mia testa, invitandomi con poche parole ad abbassarla lentamente per aiutarmi a togliere il copricapo. Presto i miei capelli sono liberi di tornare sciolti sulle spalle, i ciuffi di ricadermi davanti agli occhi. Non ci diciamo nulla, ancora inginocchiati sui tatami, con ancora indosso gli ornamenti tradizionali. Con gesti lenti il mio sposo mi passa le dita tra i capelli, gentilmente, ravvivandoli e sistemandoli, massaggiandomi piano la cute – e con altrettanta lentezza, le sue mani si spostano dai miei capelli alle mie braccia, scivolando leggere fino alle mani, che mi stringe. Osando alzare lo sguardo verso di lui, scorgo un tenue sorriso alla luce dell’andon che illumina fiocamente la stanza. Sempre tenendo le mie mani tra le sue, se le avvicina alle labbra e ne bacia le dita, lentamente, più volte, accarezzandomi i dorsi con i pollici.

«Cosa ti turba, Hisana?» mormora, con le labbra lievemente posate contro le mie nocche.

Come può essersene già accorto? Pensavo di esser riuscita a celare bene le mie incertezze – ma a quanto pare, sono davvero una pessima attrice. Rafforzo per un istante la presa sulle sue mani, abbassando il viso. Sento le guance bruciarmi, ho quasi timore di dirgli ciò che mi passa davvero per la testa – perché quest’uomo non merita delusioni, no davvero. Eppure… nonostante lo guardi, cerchi di comprendere in quelle iridi grigie ciò che non dice a parole, non riesco a capirlo come lui invece pare capire me. Cos’avrà pensato in quella notte precedente al nostro giuramento? Ha avuto anche lui un sonno agitato per la tensione, oppure ha riposato tranquillo? Ma soprattutto… cos’è che l’ha spinto a scegliere me, a fare di una poveraccia la sua sposa? Mi rifiuto di credere che non ci fossero tante altre nobili più adatte di me, pronte a cogliere al balzo questa occasione.

Ricambio per un istante il suo sguardo, che si è notevolmente addolcito. Non pare più l’uomo distaccato che incontrai nel Rukongai, quello shinigami freddo che rifiutò l’acqua per il viso. Tuttavia, esito ancora. Ho paura di deluderlo, non voglio deluderlo – anche se lui sa che non sono affatto tranquilla. Le donne anziane della famiglia mi hanno spiegato come funziona il matrimonio, nella nobiltà – e a quanto pare, consumare la prima notte di nozze è ciò che più aspettano per rendere effettivamente valido il nostro giuramento. Si sono debitamente informate i giorni precedenti alla cerimonia, quasi sperando non avessi una verginità da offrire al mio sposo. In sé, credo che il nobile Byakuya temesse una cosa del genere, visto l’ambiente in cui vivevo precedentemente. Rassicurai tutti sul fatto che non ero mai stata con nessuno prima, ero sempre riuscita a scamparla nell’Inuzuri e nel mondo terreno ero morta troppo presto. L’abito bianco mi avrebbe rappresentata in tutto e per tutto, immacolata in tutti i sensi. Vedendomelo ancora addosso mi pare quasi un peso – e sottilmente, sto odiando il protocollo. Perché per rendere valida la nostra unione, è necessario consumare la prima notte? Ho ancora troppa paura, troppi dubbi per la testa.

Amo il nobile Byakuya, forse anche troppo, e non perché mi ha raccattata come un animaletto abbandonato e mi ha offerto cibo e un alloggio… ma per il suo riguardoso rispetto, per la dolcezza che ha dimostrato in quegli istanti che abbiam potuto passare insieme, per la serietà con cui opera nelle missioni e come capitano nella sua brigata. E questi sono solo i primi motivi che mi vengono in mente… perché sarebbero ancora tanti, davvero tanti. È come se solo io avessi il privilegio di vedere il vero Byakuya Kuchiki – non quello freddo e altero, restio a pronunciarsi o ai semplici contatti, ma quello che sorride, mi prende per mano, mi abbraccia anche così, per il semplice piacere di stare vicini, baciandomi di quando in quando le guance o le labbra. Usa sempre una delicatezza assoluta con me, forse anche per la notevole differenza fisica che ci separa – ma è anche per questo che amo tanto i suoi abbracci: quando mi stringe ho quasi l’impressione di sparire alla vista del mondo, celata dalla stretta delle sue braccia. Ed è proprio lì che mi ritrovo, quasi senza rendermene conto. Il suo abbraccio è caldo e gentile, le sue carezze così leggere che pare mi sfiori appena.

«Anch’io ho paura, Hisana.» mormora, premendo le labbra contro la mia fronte.

Prego? Ho sentito bene? Byakuya-sama ha… paura? L’ha davvero ammesso a voce alta? Mi rannicchio un po’ di più contro il suo petto, stringendo la stoffa del suo kimono e dandomi della sciocca: perché stupirmi di un’ammissione simile? Certo, è strana da parte sua, ma… insomma, è umano anche lui, no? Avrà timori e pensieri come tutti, mi dico. Ma è quel “anch’io” che mi dà da pensare… ha capito. Ha capito tutto, senza che io gli dicessi nulla. Questo abbraccio, dunque, può significare “non ti lascio sola”?

«Byakuya-sama, io…» abbasso lo sguardo, staccandomi di poco da lui «So che forse la mia domanda vi sembrerà fuori luogo e… vi prego di perdonarmi se vi parrà inopportuna, specie in questo momento, specie… ora che avete fatto di me la vostra sposa.».

La sua presa si fa più leggera, avverto le sue mani ferme sulla mia schiena. Mi sento addosso il suo sguardo grigio, attento, quasi in attesa che io lo ricambi. Il suo silenzio pare quasi un invito a proseguire.

«Ecco, io… vi prego, siate sincero, Byakuya-sama. Anche se la risposta non dovesse essere… insomma, bella, ma… per favore, ditemi la verità. Perché avete scelto proprio me? Tra tante donne che potevano offrirvi di più… perché io?».

Per svariati istanti non si ode nulla, a parte i nostri respiri che però sembrano quasi assordanti. Mi stringo i pugni al petto – ho rovinato tutto? Sento i sudori freddi scorrermi lungo la schiena, avrei fatto meglio a tacere. Ma ormai pare tardi per rimediare, Byakuya-sama mi osserva serio, senza nemmeno sbattere le palpebre. Stupida, stupida Hisana, avrei dovuto tacere! Penserà che l’abbia sposato controvoglia, che non nutra la benché minima fiducia in lui, che abbia deciso di assecondare il suo desiderio solo per fargli il contentino e godermi la vita nelle ricchezze di questa casa… I pensieri più infausti mi si accavallano nella mente ad una velocità sconcertante, stordendomi – e nemmeno mi rendo conto di aver abbassato lo sguardo e iniziato a tremare. Dopo quella che pare un’eternità, il mio nobile marito prende parola – e ancora, non ha mollato per un istante il nostro abbraccio.

«Ti ho scelta… perché tu avevi qualcosa che nessun’altra donna incontrata finora aveva, Hisana.» mormora, poggiando la fronte contro la mia testa, sebbene non ricambi il suo sguardo «La bontà di cuore. La sincera voglia di aiutare il prossimo senza aspettarsi nulla in cambio. L’onestà e l’umiltà, e la testardaggine per riuscire in ciò che vuoi. Tu non te ne rendi conto, forse… ma sei una persona buona, Hisana, una persona che in mezzo a tanta ipocrisia è come un’oasi nel deserto. Con questo non voglio dire che ti ho scelta per comodo, non fraintendere… ai miei occhi hai la fragilità d’un fiore, Hisana, sei così minuta eppure in te ci sono tantissime qualità.».

Anche se è lui a dirlo, stento a crederci. Non mi vedo come una buona persona… non dopo quello che ho fatto. Ma lui non sa. Non sa di che orrenda colpa mi sono macchiata, sono l’ultima persona degna di essere definita buona. Sento di nuovo la sua voce, bassa e calda.

«Sì, all’inizio non mi avevi colpito molto… quando mi offristi l’acqua, ricordi? Rifiutai solo perché tu ne avevi molto più bisogno, ma non per pietà, e forse avrei dovuto anche dirtelo. Ma mi avevi lasciato spiazzato, Hisana, e avevo bisogno di metabolizzare. Sei stata forse la prima, a parte mio padre, che mi ha teso un aiuto senza aspettarsi chissà cosa. Tutte le altre donne… e furono parecchie quelle che si presentarono per il fidanzamento, davvero… di me hanno visto solo il nome “Kuchiki” e niente di più. I loro sorrisi quando mi guardavano o parlavano... i loro stessi sguardi erano falsi, modellati per l'occasione, per chi avevano davanti. Non era paranoia la mia, Hisana... vivendo nella nobiltà, impari ad accorgertene. Ma se non ti avessi incontrata prima, forse la differenza non mi sarebbe mai parsa così lampante.».

Scosto appena la testa per poterlo osservare, passando le dita sulla sua fronte, sopra le pieghe della pelle causate dalle sopracciglia ora aggrottate, lo fa sempre quando è pensieroso.

«Per questo mi avete chiesto d’incontrarvi al Rukongai?» chiedo, abbassando piano la mano a sfiorandogli distrattamente il petto.

«Esatto. Anche per quello, c’è da dire. Non ti dissi mai come mi chiamavo proprio per vedere come ti saresti comportata credendomi una persona qualunque, e dopo aver saputo chi ero veramente. Ma mi eri tornata in mente… come un fulmine a ciel sereno, direi. Ho ricordato all’improvviso il tuo volto, il tuo… sorriso un po’ esitante, e quella poca acqua che mi offrivi. Perché hai cercato di tirarti indietro, Hisana?».

È una domanda seria? Piego appena la testa di lato, non è difficile dare una risposta chiara e concisa.

«Semplicemente perché… siete troppo per me, Byakuya-sama. Al di là delle ricchezze della vostra famiglia… ma per raggiungere una simile posizione e guadagnarvi il rispetto di tutti, avrete faticato tanto. Sposarvi con me… avrebbe reso vano il vostro lavoro. E perdere tutto per una come me… non ne valeva la pena.».

«Lo vedi? Anche quando potevi pensare di rinunciare per non sobbarcarti responsabilità nei confronti di un clan… pensavi di rinunciare per non rendere vano un lavoro fatto da me. È questa la bontà di cuore che sin da piccolo, vedendo i miei genitori insieme, speravo di poter trovare nella persona che avrei sposato. Ti ho osservata spesso senza che tu lo sapessi, ti vedevo aiutare chi trovavi in difficoltà anche quando tu stessa stentavi a tirare avanti. Quell’anziano che era stato derubato del pane, lo ricordi? Hai fatto a metà del poco che avevi per poterne dare un po’ anche a lui. Sei… Kami-sama, Hisana, non so davvero come spiegarmi.» lo sento stringermi di più, premendo la guancia contro la mia testa – e nel mentre, cerco di metabolizzare quanto ha detto. Non mi ero veramente mai accorta che venisse nell’Inuzuri a mia insaputa, osservandomi, per di più «Sei la donna che amo e che voglio proteggere, Hisana. Proteggerti da chiunque e qualunque cosa possa farti del male, dalle tue paure, da tutti i tuoi timori. Scusami se le mie motivazioni ti sono parse insensate e banali. Ma ti amo, Hisana, davvero. Per così tanti motivi che, se ci penso, continuo a trovarne sempre di nuovi.».

«Anche se questo vi… vi ha portato a scontrarvi con la vostra famiglia?».

«Anche, sì. Sin da quando ero piccolo, ho sempre obbedito alle regole. Mi sono allenato duramente per non sfigurare in Accademia, una volta entrato il minimo che mi veniva richiesto era il massimo dei voti, Hisana, in qualsiasi disciplina. Fallire non mi è mai stato concesso, è un qualcosa che, nell’opinione della famiglia, non deve mai avvenire. Hanno sempre scritto loro la mia vita, io dovevo solamente fare di tutto per non tradire le loro aspettative. Ma non avrei mai permesso loro anche di… di scegliere la donna che avrei dovuto sposare, con cui avrei dovuto avere una famiglia.» torna a stringermi di più, facendomi posare la guancia contro il suo petto e passandomi le dita tra i capelli, in carezze leggere «Tra tante cose… mi hanno insegnato il rispetto per gli altri, per il loro onore. E per come la vedo io, non sarei mai e poi mai riuscito a pretendere il cuore e il corpo di una donna, se io per primo non l’amavo. Certo, non lo farei nemmeno in caso tu non mi amassi, ma…».

«Non è così, Byakuya-sama!» lo interrompo allarmata, stringendo la stoffa del suo kimono tra i pugni – forse è il fatto che stiamo andando a parare in un argomento tanto delicato, che mi impaurisce «Io vi amo, davvero! Se voi foste stato anche un pover’uomo, o meno bello, o… non nobile, se vi avessi conosciuto mi sarei innamorata di voi lo stesso! Ma mi sembra così ingiusto che abbiate litigato con la vostra famiglia per me… Certo, le vostre motivazioni sono più che corrette, però…».

«Fammi finire, Hisana.» mormora, prendendo le mie mani tra le sue e stringendole di nuovo «Dicevo, non lo farei nemmeno se tu non mi amassi… ma nemmeno tu in caso non ti sentissi pronta. Sì, lo so.» piega appena il capo, interrompendo sul nascere il mio tentativo di intervenire di nuovo «Se la prima notte non viene consumata, il matrimonio non viene ritenuto valido. Ma non voglio nemmeno costringerti se tu per prima non ti senti pronta per fare un passo del genere, Hisana. Cosa ti hanno raccontato i miei famigliari?».

Sento le guance bruciarmi, so che non fa apposta a mettermi così in imbarazzo, ma è anche la prima volta che… insomma, ne parlo apertamente con lui. Non che con le anziane della famiglia sia stata molto più a mio agio, ma erano pur sempre donne, lui… sì, insomma, è pur sempre un uomo, sebbene sia mio marito!

«Hanno detto che… come avete detto voi, se la prima notte non viene consumata il matrimonio non viene ritenuto valido. E che domani mattina… controlleranno personalmente.» parlo sempre più piano, finendo per abbassare la testa talmente tanto da non veder altro che la stoffa bianca che ancora mi ricopre le gambe. Non hanno specificato cosa controlleranno, e spero davvero che… insomma… Sento una sua mano sfiorarmi il viso, in un muto invito a rialzare lo sguardo, ma l’imbarazzo è davvero troppo, non mi sposto di un centimetro.

«Domani mattina controlleranno le lenzuola.» spiega «Durante la prima notte insieme, la sposa offre la propria verginità allo sposo – e le macchie di sangue sul lenzuolo proverebbero che effettivamente la sposa è stata deflorata in quella prima notte.».

Oh. Intimamente mi sento quasi sollevata all’idea che le anziane controlleranno le coperte e non il mio corpo. Ma le suddette coperte dovrebbero essere macchiate di sangue, del mio sangue. Sto per ribattere di nuovo, ma il mio sposo non me lo permette.

«Se però tu, Hisana, non ti senti pronta a concederti così… lo capisco, non te ne faccio una colpa. Ci sarebbe un modo per ovviare la questione delle macchie sulle lenzuola, così da non temere ritorsioni da parte della famiglia.» occhieggia verso la sua zanpakuto sistemata su un apposito appoggio vicino al suo shihakusho e al suo haori da capitano, non appena nota il mio sguardo perplesso «Basterebbe un semplice taglio e qualche goccia di sangue, per ingannarli. La ferita sparirebbe con il kido e nessuno se ne accorgerebbe.».

Effettivamente sarebbe una soluzione, sì… eppure non ne sono convinta. Più che altro, non mi piacerebbe l’idea che la “convalida” del nostro giuramento fosse una menzogna. D’altro canto non mi va nemmeno di esser costretta ad avere la mia prima volta solo per la sopraccitata convalida. Osservo a mia volta la zanpakuto per una manciata di secondi, per poi tornare ad osservare il mio sposo.

«Byakuya-sama, voi… lo fareste solo perché lo richiede il protocollo, nonostante il vostro, il mio amore, oppure anche… per un altro motivo?» mi rendo conto di essermi espressa male, al che cerco di spiegarmi meglio «Voglio dire, se il protocollo non lo prevedesse, ma contando solo sul nostro amore… voi fareste ugualmente l’amore con me in questa prima notte?».

Resta in silenzio solo il tempo necessario di ascoltare la mia domanda, prima di scuotere leggermente la testa un paio di volte. No. No? Non riesco a capire a cosa stia rispondendo, esattamente.

«Hisana, te l’ho detto. Se tu non volessi, io non lo farei. Nemmeno se tu volessi farlo solo per farmi contento e per rispettare il protocollo.» sento che la presa delle sue mani diventa ancora più forte «Se pure questa regola non ci fosse, farei l’amore con te solo in caso anche tu lo desiderassi. Solo se anche tu fossi pronta, davvero, perché lo desideri con il cuore, non per un semplice contentino, non per timore di deludermi. Non sono pensieri indecenti o sconvenienti, Hisana, né mi verrà mai in mente di rinfacciarti la cosa qualora tu non volessi fare un passo simile. Aspetterei il momento in cui anche tu vorrai concederti a me, davvero.».

Sento gli occhi inumidirsi. Perché? Cos’ho fatto di tanto buono per meritare un uomo così? Un uomo disposto ad amarmi così tanto, nonostante il mio essere una stracciona dei quartieri più malfamati, che riesce a stento a leggere poemi complessi, rea di una delle colpe più disgustose di cui potrebbe macchiarsi una sorella? Davvero, sento di non meritare affatto il suo amore – eppure non riesco a farne a meno, non quando il petto, il cuore mi fa così male per la consapevolezza sempre più forte che i suoi sentimenti sono totalmente ricambiati – e a parte le parole e le azioni, non so in che altro modo dimostrarglielo. O forse, un altro modo c’è…

«Byakuya-sama, io… lo vorrei. Davvero, non per farvi il contentino o… o per quella convalida. Io vorrei davvero… donarmi a voi, farvi capire quanto, nel mio piccolo, ricambi i vostri sentimenti. Con questo non voglio dire che vi ami di meno, anzi, forse oso pure troppo nei vostri confronti, ma…».

Stavolta è un suo bacio a zittirmi – leggero, gentile, quasi reverenziale. È come se il semplice tocco delle sue labbra riuscisse a far calmare il panico che mi stava prendendo in quel goffo tentativo di spiegazioni, ma a quanto pare il mio nobile marito è piuttosto perspicace, gli bastano poche parole per capirmi. Mi tiene il viso tra le mani, osando un po’ di più, modellando le labbra contro le mie, facendomi piegare leggermente la testa di lato – e nel mentre, sento la punta della sua lingua sfiorare leggera il mio labbro, quasi a chiedere un permesso che non tardo a concedere. Nemmeno mi rendo conto di stringergli il kimono nei pugni, un barlume di lucidità mi dice di mollarlo, che rischio di rovinarlo – ma ben presto ogni pensiero è focalizzato esclusivamente sull’uomo che, quasi dispettoso, gioca con la mia lingua in un muto invito a seguirla, ricambiare. È un bacio diverso da quelli che ci siamo scambiati finora, molto più lungo, molto più dolce, ma con una passione mai sentita prima. È come se con questo bacio mi stesse di nuovo dicendo quanto mi ama, e quello che sento è tanto, tanto amore – forse pure troppo, penso di nuovo. A stento mi rendo conto che mi ha fatta stendere sul futon, la mia testa sfrega contro la stoffa del cuscino, sospinta anche da questi baci che non mi danno tregua. Sento le sue mani tra i capelli, si regge sui gomiti per non gravarmi addosso con il suo peso – e nel mentre, gli scosto leggermente i ciuffi che gli coprono il viso passando le dita a pettine tra le seriche ciocche corvine, portandole indietro, quasi invitandolo ad avvicinarsi ancora di più.

Non mi mette fretta, lascia che decida io quando portare le mani sui suoi abiti, iniziare a slacciarli, scoprendo prima le spalle e, successivamente, la schiena e le braccia. Il kosode gli si accumula in vita, fortunatamente aveva già tolto l’haori in precedenza. Gli passo le mani lungo la schiena, sfiorando con i polpastrelli i leggeri solchi dei muscoli tesi e la colonna vertebrale, mugolando mentre si china a baciarmi dolcemente la guancia, scendendo poi lungo il collo. Scosta con il naso i bordi bianchi del kakeshita e dello shitagasane per arrivare alla pelle della spalla, mentre la mano scende a sciogliere i complessi nodi che stringono l’obi. Un passo dopo l’altro, tra un fruscio di stoffe e gemiti sommessi, i vestiti rimangono tutti a terra, sparsi attorno al futon matrimoniale. In un’altra situazione non mi sognerei mai di lasciarli in quelle condizioni, buttati a terra, col rischio di rovinarli – ma Byakuya-sama, sopra di me, reclama attenzione con fugaci tocchi e baci, distogliendomi totalmente dal pensiero degli abiti a terra. Ho i brividi, non so se per il freddo o per l’emozione del momento, mentre sento le sue dita scorrere leggere sulla mia pelle, seguendo un tracciato immaginario lungo il mio corpo che ben presto viene solcato anche dalle labbra e dalla lingua. Di per mio riesco a fare ben poco – stordita, impacciata, inesperta come sono – se non assecondarlo, mordicchiandomi il labbro di quando in quando. Mi sembra di bruciare dove mi sfiora, lì dove nessuno mi ha mai toccata prima, costringendomi ad inarcare la schiena per le scosse d’adrenalina che la percorrono più e più volte – e il mio viso scotta più che mai per la vergogna delle reazioni di questo mio corpo, per le parole sconnesse che, di quando in quando, mi escono di bocca, per questi gemiti così… indecenti, a parer mio. Ma Byakuya-sama sembra non farci caso, mentre percorre il mio ventre con le labbra, baciando la pelle sotto l’ombelico, alzando lo sguardo grigio a cercare il mio. Kami-sama, che vergogna, che vergogna. Mi copro il viso con le mani, tentando anche di richiudere le gambe, ma le mie cosce cozzano contro di lui, impedendomi di rannicchiarmi e nascondermi il più possibile al suo sguardo. So che non lo fa per prendermi in giro, ma mi sembra ancora così irreale essere diventata la sua sposa e avere la consapevolezza che, ben presto, saremo uniti anche fisicamente, non riesco a fare a meno di arrossire violentemente. Sento la sua pelle farsi sempre più calda e sudata e, intimamente, sento anche quanto si stia trattenendo.

«Hisana…».

Non nasconderti alla mia vista”, sembra dire. Lentamente scopro il viso, trovandolo al medesimo posto di prima, ma inginocchiato di fronte a me. Sussulto quando lo vedo appoggiare le mani sulle mie ginocchia e aprirle con delicatezza, sporgendosi leggermente in avanti.

«Sei sicura, Hisana? Puoi… possiamo ancora tornare indietro, se non vuoi.» mormora, esitando ancora.

Trattengo il fiato per pochi istanti, per poi scuotere leggermente la testa, sfregando la nuca contro il cuscino.

«No… no, io… lo voglio, Byakuya-sama.» sussurro, stringendomi un braccio al petto e allungando una mano per sfiorare la sua.

È un’unione lenta e dolce, nonostante tutti i timori del caso. Non posso negare di aver pensato, per una frazione di secondo, di fermarlo – colpa mia, di questo corpo così minuto. Ma lui sembra capire al volo, ad un mio gemito un po’ più alto, e rallenta fino a fermarsi, cercando di distrarmi con leggeri baci sulle labbra. Tento di abituarmi alla sua presenza rilassando i muscoli che, involontariamente, si erano contratti a quell’intrusione così... inaspettata, forse? Non che non sapessi a cosa stessi andando incontro, solo, non pensavo fosse… così. Non so davvero spiegarmi, o forse è veramente l’estasi del momento che m’impedisce di ragionare razionalmente. Gli passo le braccia attorno al collo, portandomelo più vicino, stringendolo a me mentre si muove sì dolcemente, ma con progressiva intensità. Kami-sama, mi pare di impazzire, ormai non faccio neanche più caso a quei gemiti che prima mi parevano così indecenti. Intimamente sorrido tra me, sono così minuta che lui mi sovrasta quasi completamente, sento il suo avambraccio contro la testa – il cuscino è finito sul tatami, quand’è che mi è scivolato via da sotto la nuca? – mentre l’altra sua mano stringe la mia, intrecciamo le dita, è una presa salda, quasi abbia paura di vedermi sparire da un attimo all’altro. Non so per quanto continuiamo in questa danza così primordiale, passionale ma allo stesso tempo dolce, ormai non riesco veramente più a pensare ad altro che a lui, solo a lui, il mio nobile marito che, pochi istanti prima dell’apice finale, mi stringe in un abbraccio tanto forte da lasciarmi ancor più senza fiato – e, anche se involontariamente, fa pure un po’ male. Si regge sui gomiti per non collassarmi addosso, ansimante e sudato, i capelli neri gli si sono appiccicati alla fronte. Passo lentamente le mani sulla sua schiena, quasi invitandolo a stendersi, al che alza lo sguardo verso di me, sorridendomi appena. Di suoi sorrisi ne ho visti, sono così rari di solito, ma questo è in assoluto il più bello e dolce che mi abbia mai rivolto. Si sporge per baciarmi la fronte, chinandosi poi per avvicinare le labbra al mio orecchio.

«Grazie… per essere mia, Hisana…».

Non mi lascia il tempo di replicare, dandomi un altro bacio e stendendosi al mio fianco, facendomi poggiare la testa sul suo petto – in quel momento sento il suo cuore che ancora batte come impazzito, al che mi stringo contro il suo fianco, abbracciandolo e sorridendo. Per un attimo, mi sento davvero in pace con me stessa, appagata e felice – il pensiero delle anziane non mi sfiora minimamente, ora come ora. Sappiamo entrambi cosa ci ha uniti in questa notte, non è stato il protocollo, non è stato nemmeno la voglia di accontentare l’altro, ma il desiderio di sentire che ci apparteniamo reciprocamente, incondizionatamente, senza distinzione di classi sociali o cultura a dividerci. Le sue dita che leggere sfiorano i miei capelli sono più dolci di una ninnananna, la stanchezza non ci mette molto a prendere il sopravvento su di me. Ma sono davvero, davvero felice. E il sorriso sereno di Byakuya-sama sembra suggerirmi che, al contrario di quel che credevo, sono riuscita a donargli più di quanto sperassi di poter fare. Non la semplice verginità della propria sposa, quanto piuttosto la compagna che sperava di avere da tutta una vita, per quello che d’ora in poi sarà il nostro cammino insieme.

 

«A te che hai reso la mia vita bella da morire,
Che riesci a render la fatica un immenso piacere,
A te che sei il mio grande amore ed il mio amore grande,
A te che hai preso la mia vita e ne hai fatto molto di più,
A te che hai dato senso al tempo senza misurarlo,
A te che sei il mio amore grande ed il mio grande amore,
A te che sei, semplicemente sei, sostanza dei giorni miei, sostanza dei sogni miei...
»

A te - Jovanotti

 

   
 
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