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Autore: __Sabotage    17/11/2012    2 recensioni
"L'amore l'avevo sempre paragonato ad un acido, corrodeva il cuore e annebbiava la mente e gli esseri umani erano così autolesionisti da cercarlo sempre. Io no, non lo volevo, desideravo divertimento e comprensione, ma non amore. Per quello ero sempre la prima a svegliarmi e a scappare. Non che Sebastian ci tenesse a volermi con sé, era come me, oddio non posso credere di averlo detto, in un certo senso. Era un animale, amante del rischio e del pericolo e non amava cose come i sentimenti. Forse per quello aveva scelto me, perché insieme eravamo pericolosi."
Sequel di Do you still think I sucked?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Santana/Sebastian
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Così non poteva andare avanti, io che sgattaiolavo fuori dalla camera di Sebastian come una ladra e mi facevo lunghe docce per togliermi il suo profumo di dosso, anche se inevitabilmente, restava impresso nella mia mente.
Erano già trascorse cinque notti, nelle quali approfittavo di ogni singola selvaggia carezza e sguardo enigmatico e passionale del ragazzo francese, che dicevo a tutti di odiare. Ed era vero, non ero innamorata di Sebastian, non lo ero mai stata di nessuno. Certo, Brittany era la mia ragazza, forse più perché era l'unica persona al mondo di cui mi fidassi, che perché l'amassi. L'amore l'avevo sempre paragonato ad un acido, corrodeva il cuore e annebbiava la mente e gli esseri umani erano così autolesionisti da cercarlo sempre. Io no, non lo volevo, desideravo divertimento e comprensione, ma non amore. Per quello ero sempre la prima a svegliarmi e a scappare. Non che Sebastian ci tenesse a volermi con sé, era come me, oddio non posso credere di averlo detto, in un certo senso. Era un animale, amante del rischio e del pericolo e non amava cose come i sentimenti. Forse per quello aveva scelto me, perché insieme eravamo pericolosi.
Parlavamo, mi raccontava delle sue competizioni di canto, arricchendole da baci e carezze, mentre io gli raccontavo di come odiassi tutti, smontando ogni volta le sue gare con un "io avrei fatto meglio". Cercava attenzioni Sebastian, cercava di possedere il mio corpo perché lo riteneva l'unico modo per essere ascoltato. Si impegnava nelle sfide di canto per poter essere al centro dell'attenzione, Sebastian era un dominatore ed io ero la sua preda. Ma c'era un problema: ero una dominatrice anch'io.
La mattina in cui tutto, più o meno, cambiò fu una serena giornata primaverile. Il sole filtrava attraverso le persiane abbassate del capitano dei Warblers e creava uno strano gioco di luci lungo la parete opposta al letto. Fu proprio quella luce ad attirare l'attenzione di Sebastian e a svegliarlo dall'approssimativo sonno della notte precedente.
Non sapevo cosa mi trattenne a letto, probabilmente l'aria nuova e il calore della primavera appena arrivata, fatto sta che non mi svegliai. Una volta distolta l'attenzione dalla parete illuminata dal sole, Sebastian notò che ero ancora al suo fianco, non ero scappata, come facevo di solito. Non seppi cosa lo spinse a cercare la mia mano sotto le lenzuola, ma come se fosse una reazione a catena, mi strinsi ancora di più a lui e rimanemmo abbracciati per alcuni minuti, mentre circondata dalle forti braccia di Sebastian sorridevo per via dei piacevoli grattini che lasciava sul mio avambraccio.
La consapevolezza di quello che stava succedendo mi colpì dritta come un pugno, anche se mente e corpo parevano avere vita propria.
– Devo andare. – Le parole uscirono quasi in automatico, anche se non ero in grado di muovere un singolo muscolo. Per tutta risposta Sebastian, strinse la presa intorno al mio braccio, senza dire niente.
– Sebastian. – Ancora nessuna risposta, così mi divincolai per liberarmi della sua presa, che aumentava di forza. – Sebastian, mi fai male. – Furono quelle semplici tre paroline a permettermi di alzarmi dal letto e raccattare le mie cose.
Eravamo bravi con le parole quando si trattava di umiliare l'altro, ma non quando si trattava di spiegare una situazione complicata, così comunicavamo tramite sguardi e gesti e non sapendo cosa dire, mi diressi verso la porta, pronta ad uscire.
– Sei una bambina viziata che è stata ferita più volte di quelle che vuole ammettere e scappa per non essere ferita di nuovo. – asserì Sebastian dal nulla, fermandomi appena in tempo, prima di fuggire.
Mi voltai scioccata, come aveva osato giudicarmi?
– Oh la piccola Santana Lopez si è offesa, buuhuu. – affermò sarcasticamente, sostenendo il mio sguardo.
– Vuoi giocare, Smythe? Giochiamo. Sei un’esibizionista del cazzo, alla costante ricerca di attenzioni, perché mai nessuno nella tua vita ti ha preso sul serio e fai in modo di rendere ben visibili i tuoi premi, per non sentirti una nullità assoluta. – Mi avvicinai nuovamente al letto, portando le braccia ai fianchi.
– Sei nelle cheerleaders perché senza la popolarità non saresti in grado di sopravvivere un solo giorno. – ribatté avvicinandosi al mio viso, come un cacciatore.
– Pensi di essere adorato e venerato da tutti perché sei il capitano dei Warblers, in realtà nessuno sopporta il tuo carattere di merda, per questo il tuo compagno di stanza non c’è mai. – Eravamo sempre più aggressivi e ad ogni frase accorciavamo le distanze, quasi a volerci sbranare. E non ci accorgemmo che stavamo provando proprio quella cosa che cercavamo di evitare a tutti i costi; un sentimento, anche se era carico di odio.
– Sei sexy quando ti arrabbi. – esclamò provocatorio, alzando un sopracciglio.
– Zitto e baciami. – risposi, buttandomi sulle sue labbra, notando un sorriso felice che non avevo mai visto su Sebastian.
***
– Lo sai, è vero… Io sono tutto quello che hai detto. – asserì Sebastian sdraiato sul letto affianco a me. Avevamo fatto la pace a modo nostro e stavamo  
– Se tua madre, la persona che ti ha messo al mondo, ti abbandona, come puoi fidarti delle altre persone? In fondo, sono estranei. – ribattei, distogliendo lo sguardo dal soffitto e guardando il ragazzo francese.
– L’unico momento in cui mia madre sembra essere orgogliosa di me è quando vinco qualcosa, anche questo ti condiziona. – Mi lanciò uno sguardo comprensivo, poi riprese a fissare un punto indefinito sul soffitto.
– Fare la stronza è l’unica cosa che so fare, se togliessi questa maschera nessuno mi parlerebbe.
– Se non fossi capitano dei Warblers, nessuno mi parlerebbe.
– Sai, io e te non siamo proprio così diversi. – constatai, con mio grande stupore.
– Ed è una cosa assolutamente spaventosa. – ribatté, lasciandosi scappare una risata che uscì involontariamente anche a me.
– Direi di sì. – Ridacchiai e alla fine ci addormentammo trascorrendo un’ulteriore notte insieme, questa volta priva di malizia. Un senso di agitazione mi svegliò e notai Sebastian sdraiato al mio fianco, sembrava così vulnerabile ed io che lo osservavo mentre dormiva parevo la classica fidanzata. Questa cosa mi spaventò, lo sapevo che il ragazzo non voleva una relazione e che non sarebbe mai cambiato, ma il vero problema era che ero terrorizzata dal fatto che potesse indurmi a desiderare una relazione con lui. Così feci la cosa che sapevo fare meglio e che aveva quasi rovinato il nostro rapporto; scappai.
 
***
 
Capii di aver fatto una grandissima cavolata quando la sera dopo ritornai al dormitorio di Sebastian e trovai la porta della sua stanza chiusa a chiave. La lasciava sempre aperta in modo che io potessi intrufolarmi senza problemi e senza attirare troppe attenzioni, e sicuramente non era stata una sbadataggine. Gli avevo lasciato un messaggio e una chiamata sul cellulare ma non avevo ricevuto nessuna risposta, Sebastian aveva deciso di tagliarmi fuori, o meglio si era adeguato alle mie continue fughe. Probabilmente avevo ferito il suo orgoglio e non volevo veramente conoscere i motivi per cui mi aveva chiuso fuori, così decisi di non indagare oltre. Gli aveva scritto un messaggio, era sufficiente. Lui non aveva risposto e quindi era andata così. Dimenticare e andare avanti, era quella la cosa giusta da fare. In fondo, era solo sesso.
 
2 MESI DOPO
Giugno. Adoravo le giornate estive, perché tutto era più bello con un cielo limpido e un sole splendente sopra la tua testa. Erano iniziate da poco le vacanze ed ero intenzionata a fare domanda per uno stage a Cosmopolitan, avevo letto che cercavano giornalisti ed io sfogliavo quella rivista da quando avevo sette anni. Sarebbe stata la mia occasione, me lo sentivo.
Con quei pensieri, raggiunsi la mia solita edicola, in modo per poter comprare il nuovo numero di Cosmo. Ma non fu Heidi Klum in copertina ad attirare la mia attenzione, bensì il titolo di un articolo sul quotidiano locale.
“Un infarto stronca la vita del magnate francese Smythe” Mi tornò tutto alla mente, di colpo, come uno schiaffo. La canzone che risuonava costantemente nelle mie orecchie, i suoi premi, i suoi occhi, i nostri incontri, le sue carezze, i nostri battibecchi, la mia fuga. La vita era troppo breve per dare tutto per scontato ed io l’avevo fatto, avevo agito come se non m’importasse nulla, quando invece avrei dovuto sistemare le cose, visto che ne avevo il tempo. Presi frettolosamente il quotidiano tra le mani e iniziai a scorrere velocemente con lo sguardo l’articolo.
“Jacques Smythe, magnate dell’industria francese, si è spento qualche giorno fa, a causa di un infarto che l’ha colpito nel sonno. Addolorati i famigliari, la moglie Luise e il figlio Sebastian […]”
 
Sebastian aveva perso il padre. Per un folle attimo, avevo temuto che fosse stato il ragazzo francese ad aver perso la vita e mi sentì crollare il mondo addosso, debole e fragile. Non che mi sentissi meglio, dopo aver appreso che il soggetto in questione era il padre. Provai un grande senso di pietà e dispiacere e un insolito desiderio di stringere il ragazzo e rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene.
Interpretai questo fatto come un segno, non volevo avere una relazione con Sebastian, ma almeno chiarire una volta per tutte, prima che fosse stato troppo tardi.
Era probabile che si trovasse a Parigi insieme alla sua famiglia, dovevo solo trovare il suo indirizzo e l’unico momento per ottenerlo era convincere a modo mio i segretari della Dalton.
 
***
 
Era folle quello che avevo fatto. Cercare l’indirizzo di Sebastian, partire, ed ora che ero davanti alla sua porta avevo solo voglia di scappare a gambe levate e fare finta che non fosse successo niente.
Mentre mi mordicchiavo le unghie, indecisa sul da farsi, sentì aprirsi la porta e involontariamente feci un passo indietro, oddio che figura mi avranno preso per una maniaca, pensai.
Ma la vera sorpresa fu che mi trovai davanti proprio il ragazzo francese.
– Santana Lopez… Che ci fai qua? – Lo stupore era ben visibile sul suo viso, e non vorrei sbagliarmi, ma mi parve di vedere anche un sorriso.
– Io… niente, passavo di qua. – Ok, questa scusa era davvero pessima, infatti strappai un sorriso a Sebastian.
– Certo, Lima e Parigi saranno a due chilometri neanche di distanza… mi sembra lecito. – ironizzò, appoggiandosi allo stipite della porta.
– Sai com’è, ho sempre fatto schifo in geografia. – Risi. – Mi accompagneresti a fare un giro? – Il ragazzo annuì, s’infilo alla meglio una giacca di pelle e poi richiuse la porta alle sue spalle.
– E così, sei a Parigi… – esclamò Sebastian incerto, infilandosi le mani in tasca.
– Sono a Parigi… Ho letto di tuo padre, mi dispiace. – Le parole mi uscirono di bocca quasi spontaneamente.
– Nah, non eravamo una di quelle famiglie. Mia madre sta già pensando ad occupare il posto di presidente delle industrie Smythe, quindi è il normale ciclo della vita, no? – Notai un velo di ironia nelle sue parole, non ci credetti nemmeno per un secondo che non gliene importava nulla della morte di suo padre.
– Hanno qualcosa di strano i genitori, non so credo sia il fatto di avere lo stesso sangue, ma non hanno mai fatto nulla per me, a livello affettivo, eppure continuo a cercare la loro benevolenza e la loro approvazione. E credo che la morte di un genitore non si superi così facilmente. – dissi, cercando di intercettare il suo sguardo, che invece era fisso sui ciottoli che calciava con un piede.
– Ti va di vedere il mio luogo preferito di Parigi? – Dopo qualche secondo, Sebastian sollevò la testa e mi guardò, ignorando del tutto la mia affermazione. Questa sua reazione mi colse un po’ alla provvista, ma annuii.
Dieci minuti dopo ci trovammo sul tetto di un vecchio edificio, seduti sul bordo con le gambe penzoloni.
– Questo è stato il mio primo ufficio delle industrie Smythe, ci venivo sempre da bambino e mi piaceva soprattutto perché da qui hai l’intera visione della Tour Eiffel. – esclamò, indicandomela con un dito. – Poi mio padre ha comprato altri uffici e questo è stato abbandonato e da allora è il mio posto speciale.
– E’ davvero un bel posto, la Tour Eiffel è magnifica. – affermai, osservandola da lontano.
– Già. Mia madre vuole che entri a far parte dell’industria di famiglia, anche se a me non interessa per niente. Essere relegato dietro una scrivania non mi renderà mai felice come quando canto, ma sai com’è, sono affari.
– Non devi sottostare ai voleri di tua madre, ribellati, lotta per quello in cui credi. Non fare gli stessi errori di tuo padre, credo che lui sarebbe orgoglioso di te. – annuii, sprofondando nei suoi occhi verdi, così intensi.
– Mi manca, Santana. – asserì, con la voce rotta dal pianto, scoppiando proprio davanti ai miei occhi. Non potei fare altro che accoglierlo tra le mie braccia e cercare di calmare i suoi singhiozzi.
– Mi sembra una grande stronzata dirti che andrà tutto bene, ma sarà così. Non permetterò che niente vada per il verso storto e sai perché? Facciamo un patto, tu ci sarai per me, io ci sarò per te. Niente fughe, niente sentimenti. Solo comprensione e sostegno, ci stai? – domandai, slegando l’abbraccio.
– Siamo a poca distanza dalla Tour Eiffel, questa è una tipica cosa che fanno le persone che provano sentimenti. – disse, indicandola con il capo.
– Beh, allora dovremmo fare una lista delle cose ch_ – Non feci nemmeno in tempo a terminare la frase, che Sebastian si gettò sulle mie labbra, un po’ meno come un cacciatore, un po’ più come l’unica persona che riusciva a capirmi.
Io e Sebastian non diventammo mai una coppia, frequentammo altre persone, ma alla fine tornavamo sempre l’uno dall’altra, perché a rendere speciale un posto non era la posizione geografica, bensì la persona con cui lo condividevi.

So what?
Ehilà! Innanzitutto vi ringrazio immensamente se siete arrivati fin qui :) Come scritto nella descrizione, questa OS è il seguito della mia precedente OS Do you still think I sucked? (sono pessima con queste cose e non so darvi il collegamento ._.) In realtà, non era nei miei piani continuarla, solo che un po' il vostro caloroso affetto, del tutto inaspettato e i Sebtana feelings che scalpitavano per uscire, mi sono decisa a liberarli. Dite che ho fatto bene? XD Non c'è niente da dire, mi sono innamorata dei Sebtana dalla puntata di Michael e sono troppo OTP, quindi la smetto di blaterare e vi lascio andare XD
Un grazie sincero a tutti quelli che hanno creduto in Do you still think I sucked? e che, speranzosamente, crederanno in questa nuova OS.
Keep rocking, Giulia.

   
 
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