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Autore: aki_penn    21/11/2012    1 recensioni
Gale e Katniss sono sempre stati uguali, prima e dopo Prim.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questo non è il mio genere, io sono davvero una che scrive solo stupidaggini, ma Hunger Games ha letteralmente ucciso tutta la mia voglia di scherzare, perciò, ecco quello che ne viene fuori. Questo è dovuto al mio naturale odio per gli epiloghi. La one-shot si posiziona tra l’ultimo capitolo e l’epilogo, appunto. Spero davvero che vi possa piacere, in ogni modo, grazie per essere passati! Aki_Penn
 
 
A conti fatti
 

 
 
Ero seduta su una balla di fieno, quando rividi Gale per la prima volta dopo la morte della Coin. Non me l’aspettavo, a dire il vero, era estate e faceva un gran caldo, nonostante questo avevo acceso un piccolo fuoco per cuocere il tacchino che avevo ucciso durante una delle mie passeggiate nel bosco.
Avrei potuto cuocere tutta la selvaggina che volevo in casa, ma cucinare fuori mi faceva sentire libera e sola. Di solito non mi piaceva stare da sola anzi, mi terrorizzava pensare che le persone che non avevo accanto potessero scivolarmi via dalle mani senza che io le potessi aiutare, mi era già successo con fin troppi amici. Ma quello non era uno di quei giorni, era uno di quei momenti in cui sentivo il bisogno di stare sola con me stessa. Per stare con Peeta avrei avuto tempo, tutta la notte, e tutte le notti seguenti, come sempre.
Eravamo soli, da quando eravamo tornati al distretto dodici, tanto soli che non avrebbe avuto più senso abitare in due case separate. Io avevo ancora mia madre, che mandava lettere ogni tanto, ma era così fisicamente lontana che a volte mi dicevo che non mi avrebbe più scritto.
Sae la Zozza si occupava ancora di noi, talvolta, ma da quando Peeta viveva con me stavamo meglio entrambi. Dormire insieme ci aiutava, anche se a volte svegliandomi nel bel mezzo della notte ero convinta di trovarmi ancora nella grotta dei miei primi Hunger Games. Quel fuoco e quel tacchino avrebbero dovuto ricordarmeli, tra l’altro. Fare cose che correlavo a quelle esperienze mi aiutava a capire che quei momenti non sarebbero più tornati né per me né per i figli che io non avrei avuto, ma che qualcun altro avrebbe potuto avere, nel distretto dodici.
C’era voluto del tempo perché mi rendessi davvero conto del fatto che volevo Peeta accanto a me tutta la vita e non era solo perché volevo essere sicura che fosse vivo, come all’inizio, volevo che fosse vivo e che volesse stare con me. A Gale pensavo raramente, o almeno, ci pensavo in modo diverso, da quando non mi vergognavo più di vedere Peeta nudo.
A volte mi chiedevo come stesse e che tipo di donna avesse tra le braccia in quel momento, perché ero sicura ne avesse una. Non ero gelosa, volevo davvero che fosse felice anzi, forse, avrei voluto valutare personalmente affidabilità di quella donna.
Spuntò dal nulla, facendomi sobbalzare, mentre spennavo il mio tacchino, in cima a una balla di fieno. Non avevo bene idea di cosa ci facesse lì quel cumulo di paglia, ma era comoda per stare seduti. Avevo acceso il fuoco abbastanza lontano, non volevo prendere fuoco, un’altra volta, più che per il dolore fisico, perché mi avrebbe ricordato Prim.
“Catnip” esordì, mentre io sobbalzavo e alzavo gli occhi alla ricerca della sua figura, che conoscevo meglio di qualunque altra.
L’unica cosa che mi uscì dalla bocca, all’inizio, fu un “Oh” abbastanza pacato, bizzarra reazione per  una che non lo vedeva da tempo e che davvero voleva rivederlo. Lui rimase serio, senza dare segni di delusione e fece un salto per salire sulla balla di fieno accanto a me.
“Ciao” dissi poi, rendendomi conto che stava a me dire qualche cosa, era lui la sorpresa, io ero inchiodata al villaggio dei vincitori, come ovvio.
“Come stai?” chiesi poi. Lui annuì, credo che volesse dire che stava bene, a suo modo. La questione era che io e lui eravamo troppo simili, c’era voluto del tempo per capirlo, ma entrambi non eravamo un granché a comunicare.
“Tu?”
“Meglio, credo” risposi e rimanemmo in silenzio di nuovo, ricominciai a spennare il mio tacchino pensando a cosa dire, non era mai stato così difficile parlargli, lui allungò la mano e staccò un paio di piume. Era innaturale e forzato che si mettesse in mezzo al mio lavoro, era una cosa che si faceva molto meglio con sole due mani, invece che quattro, ma avrei voluto ringraziarlo per questo, per avermi dato, almeno per un secondo, la sensazione che stessimo zitti perché davvero non avevamo nulla da dirci.
“Ho visto tua madre” disse finalmente lui “Io ho visto la tua, invece” risposi subito.
Sorridemmo entrambi, nonostante tutto quello che era successo cercavamo comunque di occuparci delle nostre promesse. Gale aveva detto che si sarebbe occupato di mia madre e Prim, se non fossi tornata vincitrice dai miei primi Hunger Games, e io avevo promesso lo stesso per anni per la sua famiglia. Non c’erano più gli stessi pericoli, ma quando passavo davanti alla nuova casa di Hazelle lasciavo sempre che l’occhio scivolasse sui vetri delle finestre, alla ricerca della madre di Gale.
“Non se la passa male. La vita non è sempre rose e fiori, ma stiamo cercando di rifarci, quaggiù” spiegai, annuendo convinta.
“Sì, lo so, ho dormito a casa mia, la scorsa notte, dopo essere passato da casa tua” disse, senza guardarmi.
“Non sei passato da casa mia” ribattei, senza capire.
“Sì, ma eri impegnata” fece lui, smisi di guardarlo, capendo che più che un eri, sarebbe stato meglio dire eravate. Era un po’ imbarazzante. Credo che lo sarebbe stato anche se la situazione fosse stata contraria, se avessi trovato Galeimpegnato, con qualcuna.
“Ah” mi limitai a dire, avevo smesso di curarmi nel tacchino, e l’animale giaceva mezzo spennato sulle mie ginocchia. “Come sta, la mia, di madre?” chiesi poi, mi sembrava un argomento molto più neutro, e avevo più voglia di sentir parlare di lei che di quello che Gale aveva potuto sentire, suo malgrado, passando sotto le finestre di casa mia.
“Come sempre impegnata, non ti scrive?”
“Lo fa. Raramente, ma lo fa” lo guardai, aspettandomi che sorridesse, ma non lo fece, rimase a guardare per terra, pallido. Aveva l’aria di dover vomitare, sudava, ma probabilmente non era solo il caldo. Gli misi una mano sulla schiena, coperta da una camicia a quadri, fradicia di sudore.
“Gale…” cominciai.
“Era mia, la bomba” sputò alla fine, senza guardarmi “Lo era sicuramente”
Fu un po’ come se mi avessero tirato un pugno alla bocca dello stomaco, sentii la mia gola chiudersi e i polmoni raggrinzirsi senza riuscire più a contenere un briciolo di aria. Probabilmente impallidii, ma le mie reazioni non andarono molto oltre questo.
Lui alzò la testa, per un secondo lo vidi setacciare le vicinanze in cerca del mio arco, forse pensò che il mio silenzio significasse che avevo intenzione di ucciderlo.
Nonostante tutto avevo visto e rivisto così tante volte la morte di Prim nella mia testa che l’aria ricominciò a scorrere nei miei polmoni e lo stomaco smise di fare male quasi subito.
Prim era morta, nei miei incubi e anche nella realtà. A volte mi svegliavo pensando che fosse un brutto sogno e mi rendevo conto che l’incubo invece era vivere, e sarebbe stato peggio se non mi fossi arresa alla realtà. Sarebbe stato peggio se non mi fossi arresa a quelli che rimanevano, a Gale, per esempio.
Alzai le spalle “Lo sapevo già, l’ho sempre saputo. Anche tu, l’hai sempre saputo” dissi.
Ci guardammo per un po’ senza parlare, probabilmente, in tutti gli anni che avevamo passato insieme, ci eravamo capiti di più guardandoci che parlandoci, non ve ne era dubbio, eravamo così simili.
“Non volevi davvero ucciderli, oh, sì, ma non volevi davvero uccidere qualcuno che non se lo meritava” aggiunsi, mandando giù un boccone amaro. Gli occhi mi bruciavano da morire e probabilmente i suoi facevano lo stesso, erano rossi.
Appoggiai la testa alla sua spalla ed entrambi ci mettemmo a guardare lontano, per lasciare all’altro la giusta privacy, nel caso avesse voluto piangere. Io lo feci silenziosamente.
Ero convinta che nessuno potesse mai capire quanto mi mancava Prim, nemmeno Peeta che aveva perso tutta la sua famiglia sotto i bombardamenti, ma che almeno non li aveva visti prendere fuoco sotto i suoi occhi, ma, per un secondo, apensai che in quel momento Gale stesse peggio di me. Ed era sicuramente così.   

   
 
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