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Autore: Debbie_93    22/11/2012    2 recensioni
Un omicidio troppo facile.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I rintocchi del Big Ben, riecheggiavano nella silenziosa e fredda notte autunnale della Londra del ventesimo secolo. Il vento ululava accarezzando le piccole onde del Tamigi, che scorreva tranquillo attraverso la città. Tutto appariva immobile come se il tempo si fosse fermato al termine dei rintocchi. Una fila di lampioni illuminava un lungo rettilineo, rendendo l’asfalto grigio. Il cielo coperto da nubi grigie e cariche di pioggia, che diede alla città un’ambientazione autunnale.
Dagli alberi cadevano dolcemente le foglie, posandosi sui verdi prati bagnati e luccicanti. Era tutto apparentemente normale.
In una villetta bianca, con delle decorazioni risalenti al ‘700 e un giardino ben curato sul retro; al suo interno tra una pila di libri e qualche bicchiere di vino, di fronte al fuoco del camino si trovava una sagoma più o meno di un metro e ottanta, appoggiata al mobile di una libreria intenta a leggere. Una leggera nuvola di fumo s’intravide scorrere verso sinistra.
Si chiamava William Thompson, un accanito agente di Scotland Yard che voleva far rispettare la legge ad ogni costo. Il lavoro era quello di mantenere l’ordine e la disciplina in una città ormai dominata da una società ormai decadente.
Aveva visto molte di quelle cose che si domandava ancora del perché era rimasto in polizia. Tutti quelli che avevano conosciuto il suo nome si facevano sempre un’idea diversa della sua persona, ma lui era solo un ragazzo di 25 anni e con una carriera alle spalle. Un ragazzo comune, capelli castani e occhi verdi. La sua reputazione era nota a tutti, per questo esigeva il massimo ordine nel dipartimento di Scotland Yard.
Stava sfogliando tranquillamente uno dei tanti dossier, impilati sulla sua scrivania e aveva tanto lavoro da fare: tredici casi da risolvere e tutti correlati fra loro. Si prese il suo bicchiere di vino e si sedette accanto al camino, con il fuoco che lo riscaldava e la sua mente persa nella dinamica dell’omicidio che aveva di fronte a se. Un caso di qualche anno fa a cui aveva dato la caccia l’assassino, ma l’aveva sempre scampata e fino ad ora non era mai riuscito a prenderlo. La frustrazione gli percorse la mente e non voleva altro che quella serie di omicidi finisse.
Sospirando profondamente e il sonno che si faceva sentire, lasciò il bicchiere accanto ai dossier e si addormentò con il dossier ancora aperto, mentre la pioggia cadeva silenziosa.
Un’ombra sospetta si stava aggirando tra le vie di Londra, con un impermeabile e un capello in tinta. Si muoveva con rapidità e senza farsi notare, passava da un lato all’altro della strada, mentre entrò in pub con un’atmosfera calda e accogliente.
“Un whisky”, disse sedendosi al bancone e guardando negli occhi il barista. Un leggero brivido gli percorse la schiena e si tolse l’impermeabile che indossava. Il barista nel giro di qualche attimo lo servì e rimase a guardarlo.
“Giornata dura, è Frank?”, disse ridacchiando leggermente.
L’uomo dai capelli neri e ricci, gli lanciò un’occhiata fulmine per poi prendere il bicchiere e portandoselo alle labbra.
“Non parlare, guarda. Ne ho fin sopra i capelli”, sbuffò e buttandosi giù tutto il contenuto del bicchiere. Ultimamente era esasperato per il lavoro, non faceva altro che fare straordinari da due mesi. Il suo lavoro lo occupava molto e non aveva mai tempo da dedicarsi. Fatto sta che quando aveva un attimo di tempo se la filava nel pub, al solito posto e il solito whisky.
Il barista lo scrutò per vari istanti e sospirò leggermente.
“Almeno hai un lavoro, c’è chi pagherebbe per prendere il tuo posto e credimi ritieniti fortunato”, assunse un’aria quasi da intellettuale, mentre stava asciugando i bicchieri appena puliti dalla lavastoviglie.
Frank si passò una mano fra i capelli, pesando se ne valeva la pena. Poi rivolse lo sguardo di fronte a se.
“Io non dico nulla, ma se mi dessero un riconoscimento… insomma mi faccio in quattro per lo stato e che cosa ci ricavo una lavata di capo dal direttore”, abbassò la testa, si sentiva la stanchezza addosso e non vedeva l’ora di raggiungere il suo letto.
In un angolo del locale si trovava un uomo sulla trentina d’anni e ascoltava la conversazione dei due, mentre si beveva il suo caffè corretto. La sua aria era misteriosa eppure c’era chi lo conosceva benissimo. Con un leggero movimento si alzò e se ne andò fuori dal locale, lasciando i soldi sul bancone accanto alla cassa. Si accese la sua sigaretta ed aprii il suo ombrello, mentre la pioggia cadeva e l’umidità si fece sentire. Sparì nella notte, lasciandosi alle spalle una nuvola di fumo che si disperse nell’aria.
 
 
Nel silenzio che si era creato nella villa di William, fu spezzato da uno squillo insistente del telefono. Il fuoco si era spento e un leggero brivido percorse la schiena dell’agente. Il telefono smise di squillare e lui aprì leggermente gli occhi, sbattendo le palpebre più volte. Posò il dossier sulla scrivania e partì la segreteria telefonica, ma non appena una voce maschile roca stava per parlare, la comunicazione su interrotta. Voltò lo sguardo di fronte a se e intravide una donna dai capelli biondi, raccolti in una coda.
“Buongiorno dormiglione”, disse lei scendendo dal tavolo. Portava un paio di tacchi abbinati alla gonna. Lei si avvicinò a lui e lo guardò, sorridendo.
“Che ci fai qui?”, disse alzandosi, scuotendo di poco il capo. Con la memoria che gli andava a tratti, su quello che lesse la sera prima.
“Passavo di qua”, disse con un sorriso che le si dipinse sulla bocca, si voltò dandogli le spalle e prese un vassoio con del caffè. Glielo porse sulla scrivania, dando uno sguardo a quel mucchio di dossier. Mise lo zucchero nel caffè e porse la tazzina bianca in porcellana al ragazzo.
“Non sei mai qua per caso, Katie”, disse, prendendo la tazzina e sorseggiandosi il buon caffè che la collega gli aveva preparato. Quando si faceva viva a casa sua, non era un buon segno e questo lo sapeva bene. L’ultima volta che successe era per un caso di omicidio, venne dritta a casa dalle 3.00 del mattino e lui come al solito si era addormentato come un sasso sulla poltrona a cui stava dando le spalle in quel momento.
Lei sospirò leggermente e lo guardò, sembrava assolto nei suoi pensieri come se si fosse staccato per un attimo dalla realtà. Così si schiarì leggermente la voce e si sedette sulla scrivania.
“E’ successo un altro omicidio”, disse con espressione serie e composta. Quando si trattava di loro, non perdeva tempo in giri di parole, anche perché non era il suo genere di comportamento.
William non se ne fece meraviglia e posò la tazzina al vassoio. A quelle parole gli si accese tuta una serie di collegamenti e ragionamenti, che aveva accumulato per diversi anni.
“Di chi si tratta?”.
“Un imprenditore tessile italiano”. Rispose diretta.
“Interessante”, disse per poi fare qualche passo verso la porta della stanza, “il medico ha detto che è stato un omicidio?”, chiese infilandosi il suo giubbotto di pelle e si aggiustò la cravatta nera.
“L’unica cosa che sappiamo, è che lo hanno pugnalato al cuore”, lo seguì.
Durante il breve viaggio, diede qualche dettaglio in più, ma nessuno di questi per William era rilevante.
Entrò nell’abitazione, guardandosi attorno. La casa appariva completamente in ordine, anche troppo, per i gusti dell’agente. Continuò a percorrere il lungo corridoio arrivando a una fattispecie di studio, di un noto imprenditore pugnalato al petto. Si fermò a poca distanza dal corpo privo di vita, di un uomo dai capelli grigi con sfumature bianche e due baffi sottili. Aveva più o meno una sessantina d’anni, ma sembrava che ne dimostrasse di meno.
William fece un rapido giro su tutto il corpo, notando la pugnalata alla schiena e l’arma del delitto accanto al cadavere.
“Troppo facile”, disse fra se e se, mentre il medico legale stava mettendo le sue cose apposto.
“Posso dirti solo una cosa William, questo ha l’aria di un omicidio occasionale. L’assassino non era esperto”, disse infine, prendendo la sua borsa in pelle nera e dirigendosi verso la porta.
L’agente William, non escluse l’ipotesi di omicidio e suicidio. Non si poteva determinare dal momento che non fosse intervenuta la scientifica che avrebbe chiarito tutto, come le impronte presenti sull’arma del delitto. Ancora qualcosa non gli quadrava, sembrava come un triangolo di omicidi, ma questo era diverso dagli altri. Meno problematico. Aveva a che fare con un dilettante, lasciare l’arma del delitto e tutta quella macchia di sangue sul tappeto indiano.
Eppure gli sembrava troppo facile, troppo prevedibile.
A Scotland Yard insorse il pandemonio. Londra aveva perso uno degli illustri imprenditori e questo era un duro colpo. La stampa invase i giornali e messaggi chiari venivano pubblicati e detti dai vari giornalisti.
La scientifica aveva rilevato le impronte sull’arma del delitto, ma purtroppo non corrispondevano a nessuna di quelle contenute nel database. La dinamica era chiara, la vittima conosceva il suo assassino, ma niente poteva supporre che si trattava di un killer facile da prendere. Nulla faceva pensare a un omicidio volontario e questo sollevava un enorme quesito.
 
Passarono due settimane e nemmeno un’ombra di una pista e sembrava che l’agente William non ne venisse a capo. Katie passava giornate intere a interrogare probabili sospettati, ma nessuno di loro aveva avuto rapporti recenti con l’imprenditore. Le speranze stavano via, via scomparendo e come succedeva la maggior parte dei casi: il caso veniva archiviato.
Katie passava qualche fine settimana di William, si erano presi qualche giorno di vacanza e di riposo. Accompagnati da cene e qualche partita a scacchi. William nonostante tutto pensava ancora a quell’omicidio, c’era qualcosa nella dinamica che non lo convinceva.
Katie notò lo sguardo assolto di William e si avvicinò a lui, osservando cosa stava leggendo. L’ultimo articolo di giornale d’edizione della settimana scorsa: “Scotland Yard ha archiviato il caso e dell’assassino nessuna traccia”.
“Vado a prenderti un caffè”, non le piaceva disturbarlo quando stava ragionando. Si diresse tranquillamente in cucina, prendendo il caffè e azionando la caffettiera. Aspettò fino a che non finì e mise due cucchiaini di zucchero assieme ad un po’ di latte. Prese il vassoio e ci misi sopra la tazzina con una bottiglia di whisky e un bicchiere di vetro accanto.
Tornando verso lo studio notò la porta d’entrata aperta e andò a chiuderla, probabilmente l’aveva lasciata aperta per sbaglio quando era entrata dopo quella pioggia incessante che infuriava di fuori. Tornò a guardare davanti a se, ma fu bloccata da qualcosa che le si avvicinò alla gola. Trattenne il respiro per un istante e quasi il vassoio le cadde dalle mani.
“Ciao, Katie. Ci rincontriamo dopo tanto tempo”, la voce le penetrò nella mente e fece breccia in ricordi passati. Non ebbe nemmeno il coraggio di voltarsi a guardare il suo aggressore, mentre riconobbe la voce. Stette zitta, non voleva insospettire William, appoggiò il vassoio su un mobile accanto e cercò di respirare affondo. Il killer le teneva il coltello premuto contro il collo, senza però affondare nella carne.
“Se mi lasci non dirò a nessuno che ci siamo incontrati”, disse a bassa voce, quasi come un sussurro. Lui ridacchiò alle parole della ragazza.
“L’omicidio dell’imprenditore non è stato un caso”.
Katie restò calma e lucida, proprio o poi sarebbe successo qualcosa. A quel punto tutto aveva un senso e una serie di collegamenti si creò dal nulla.
“Sei stato tu”, disse con lo sguardo perso nel vuoto, mentre sentiva dei passi avvicinarsi. William a quel punto avrebbe scoperto tutto e questo non poteva assolutamente accadere. Ormai era troppo tardi, l’agente di Scotland Yard aveva una pistola in mano e mirava alla spalla dell’aggressore.
“Getta il coltello, Frank!”, gli ordinò senza abbassare la guardia e rivolgendo uno sguardo a Katie. L’uomo con il coltello premette di poco la lama nella carne della ragazza e un leggero rigagnolo di sangue le percorse la gola.
William non esitò un istante di più e fece fuoco due volte: un colpo colpì la spalla e l’altro andò dritto al cuore.
Katie cadde fra le braccia del ragazzo e rivolse una breve occhiata al corpo che cadde con un tonfo.
Frank Carter, autore di una serie di omicidi: con arma del delitto sulla scena, ma era noto solo ad alcuni organismi delle forze speciali americane.
Un killer di poche pretese e un gran trafficante di stupefacenti.

 
   
 
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