1)Lo specchio distorto e il migliore amico del suo amore
Alla
verità del proverbio:
“La vita è fatta a scale, quando qualcuno scende
qualcun altro sale" ci ho
sempre creduto.
È praticamente la storia
della mia vita, solo che io le scale non le ho mai salite le ho sempre
e solo
scese guardando gli altri farcela e salire, allontanandosi da me.
Fa schifo quando senti la
vita sfuggirti dalle mani e non hai idea del perché. Ti
guardi allo specchio e
vedi un essere umano come tutti, ma per gli altri devi essere una
specie di
mostro, visto che la gente non si avvicina a te nemmeno a pagarla e
l’unico
ragazzo che l’abbia mai fatto – l’unico
che hai chiamato amico e poi amore
quando nessuno poteva sentirti – si sia fatto una ragazza
dimenticandosi di te.
Brutto.
Io sono lo specchio
distorto della felicità degli altri, regolarmente registrata
all’anagrafe come
Jennifer Jenkins.
Detto chi sono io, tanto
vale dire il nome del tizio che mi piace: Mark Hoppus, ripetente
dell’ultima
classe.
È un tizio abbastanza
riconoscibile: ha i capelli viola, un sorriso da scemo e un
abbigliamento da
skater.
Per essere chiari è uno
skater con il pallino del basso, con una sua band, il che lo rende
ancora più
figo, se possibile.
Il giorno in cui ha
parlato a una disadattata sociale come – tutta presa dai suoi
libri, dalle
foto, dal disegno e dalle cose inerenti alla morte – ho
pensato che fosse uno
dei miei sogno o uno scherzo ben congegnato. Mi ci è voluto
un po’ per capire
che la mia mente non mi stava proiettando un sogno più
vivido e lungo degli
altri, né che ci fosse una cospirazione dietro questo.
I fighetti della scuola –
i giocatori di football, di basket e i ricconi – non lo
amano, lo tollerano
solo perché fa ridere quelle oche delle loro ragazze.
È stato meraviglioso
averlo al mio fianco, peccato che ora non sia più
così, ora anche lui se ne è
andato lontano da me. Ora anche lui passeggia mano nella mano con
un’altra e
non si cura più della sua amica tetra e poco popolare.
L’altra si chiama Josie ed
è una cheerleader. Una di quelle ragazze iperattive dal
corpo perfetto e amate
da tutti. Un metro e settantacinque di magrezza su cui sono piantate
delle
tette, dei capelli castano dorati, sempre perfettamente acconciati e
degli
occhi castani con cui strega tutti.
Potrebbe fare la
gattamorta con quegli occhi – e lo fa ogni tanto –
ma la maggior parte delle
volte questa Josie risolve le questioni a modo suo e senza
l’aiuto di nessuno
perché è una tipa sveglia, sicura di
sé e indipendente.
È il sogno di ogni ragazzo
ed era anche il sogno di Mark – e io lo sapevo bene viste le
volte che mi ha detto
che avrebbe voluto essere al posto di quello scimmione del ragazzo di
Josie –
ma io non gli ho dato peso. Ho fatto un fottuto errore di valutazione:
ho
creduto che continuando a frequentare me potesse innamorarsi di me
mostrandogli
la Jen migliore.
Tutte palle.
Non si è mai innamorato di
me ed essendo un tipo persuasivo alla fine ha convinto Josie a mettersi
con
lui.
La mia solita fortuna.
Ci è persino riuscito nel
modo più assurdo che un essere umano possa concepire: ha
partecipato per lei a
una gara di corsa ad ostacoli. Supportato da Tom e da Scott –
i suoi compagni
di band – si è iscritto, ma data la sua naturale
goffaggine al secondo ostacolo
è volato per terra.
Josie l’ha salutato, gli
ha donato uno di quei sorrisi che le fanno avere mezza scuola ai suoi
piedi e
lui non ha visto l’ostacolo. Non ho mai visto nessuno cadere
in quel modo e
rialzarsi così distrutto.
Solo lui avrebbe potuto
farlo.
Solo lui ha convinto la
dea della scuola a mettersi con lui tramite una caduta spettacolare,
non so
cosa sia successo o si siano detti mentre lui veniva portato in
ospedale per le
medicazioni e lei gli teneva le mani in ambulanza.
Mark ci sa fare con le
parole, deve averle fatto una dichiarazione spettacolare –
che io invidio
tantissimo – perché il giorno dopo sono arrivati a
scuola mano nella mano.
E da lì è iniziato il mio
inferno personale.
Ho perso il mio amico – il
mio amore – per ritrovarmi a fare i conti con un ragazzo
preso solo dalla sua
ragazza e per cui sono diventata trasparente.
Non sto facendo la melodrammatica,
Mark non mi vede più, per lui sono diventata parte
dell’arredamento scolastico.
La prova? Eccolo che sta
arrivando con Josie. Stanno facendo i piccioncini senza ritegno come
loro
solito, lui la sbaciucchia allegramente, lei fa le fusa: uno spettacolo
rivoltante.
“Ciao, Mark.”
Lo saluto, alzando
timidamente la mano.
Lui mi lancia un’occhiata
brevissima e disinteressata e biascica un “ciao”
mentre guarda verso l’aula di
letteratura.
Io scuoto la testa,
ributto le lacrime dentro di me – nessuno deve vedermi
piangere in questa
giungla, le case sono fatte apposta per sfogarsi – e mi avvio
mesta verso
l’aula di chimica.
L’ho perso e a questo
punto mi chiedo se l’abbia mai davvero avuto.
Entro in classe con
l’umore sottoterra solo per scoprire che il posto vicino al
mio è occupato da
uno dei compagni di band di Mark.
Cosa diavolo ci fa qui?
Di solito fa comunella con
quel genietto di Scott Raynor e con Anne Hoppus, non perde tempo con me. Io non so cosa fare, agire
come se lui non
sia lì forse è la migliore.
Con la guardia ben alzata
mi siedo al mio posto e tiro fuori il blocco degli appunti,
l’astuccio e il
libro di testo. Lui sembra accorgersi di me e mi guarda.
“Ciao.”
“Ciao.”
Rispondo io.
“Tu sei l’amica di Mark,
vero?”
“Sì.”
Pausa di silenzio.
“Non sei di molte parole.”
“Già.”
“Io mi chiamo Thomas
DeLonge, ma mi chiamano tutti Tom.”
“Io sono Jennifer Jenkins,
Jen per farla breve.”
L’arrivo del professore mi
risparmia dal continuare questa conversazione che non so se valga la
pena
portare avanti. Seguo la lezione piuttosto svogliatamente –
il mio cervello è
con Mark e Josie e rimugina su cosa sia andato storto –
quando finisce fuggo
alla prossima senza curarmi di nessuno. Ho la vaga impressione che Tom
mi
chiami, ma non perdo tempo a controllare se sia vero o meno.
Seguo tutte le lezioni
prestando attenzione a corrente alternata a quello che i professori
dicono,
pensando che non vorrei essere lì, ma in un altrove non ben
definito come
Gauguin con la sua Polinesia.
Arrivo a pranzo stanca e
senza un filo di energia, prendo il rancio che ci danno e lo consumo
nel mio
solito tavolo solitario e ben nascosto. Non ho fame, ma non ho voglia
di
crollare come una pera cotta nel bel mezzo della lezione di ginnastica
e farmi
portare in infermeria.
Finito, butto gli avanzi e
metto e posto il vassoio, così posso finalmente uscire.
Il liceo di Poway – come
tutti i bravi licei d’America – è diviso
per zone e a seconda di dove stai sei
uno sfigato, un popolare, un cannaoiolo, un nerd o quello che
è. Io ho trovato
il mio posto che è fuori da tutte queste zone di guerra e
ogni giorno mi fumo
una sigaretta in pace.
Conto di farlo anche oggi,
ma non appena accendo sento inequivocabilmente qualcuno chiamarmi. Alzo
la
testa e vedo Tom avanzare verso di me.
“Dì’ un po’ sei sorda o
vieni da un qualche pianeta alieno?”
“Credo di essere una
terrestre dotata di un buon udito.”
“Devi rivedere questo
concetto. Dopo chimica ti ho chiamata, ti ho fatto cenni a pranzo e ti
ho
chiamata, ma tu niente.”
“Scusa.”
“Tutto qui?”
Mi guarda incredulo.
“Cosa ti aspettavi? Che ti
declamassi la Divina commedia? Non ti conosco, non siamo amici e sono
moderatamente certa che nemmeno Mark sia mio amico.”
Lui mi guarda senza
capire.
“Non capisco, giravate
sempre insieme.
“Lascia perdere, lasciami
fumare in pace.”
Sono davanti alle scale
che portano alla caldaia in piedi, lui si siede sulle scale con
nonchalance e
guarda alternativamente me e il cielo.
Boh.
Fumo la mia sigaretta in
pace, butto la cicca per terra e faccio per andarmene, ma la presa di
una mano
sul polso me lo impedisce.
Tom.
Mi ero quasi dimenticata
di lui.
“Dove vai?”
“A lezione, no?”
“Non devi dirmi qualcosa?”
“No.”
“Ah ah. Errore, Jenkins!”
Il suo tono è strafottente
e i miei nervi iniziano a saltare.
“Cosa cazzo ti devo dire,
DeLonge?”
“Mi devi spiegare perché
Mark non è tuo amico.”
Inizia a venirmi un tick
all’occhio destro, mi succede sempre quando qualcuno mi parla
di Mark e Josie.
Provo a controllarmi, ma niente, il dannato tick parte lo stesso
dandomi
un’aria da psicotica.
“Non è ovvio?
Prima mi cerca lui, poi è sempre
con me e ora che c’è quella vacca di Josie io ho
smesso di esistere. Non mi
cerca, lo devo fare io e a stento mi parla.
Sai cosa penso? Che il tuo
furbissimo amico mi avesse adocchiato come sfigata asociale, un fonte
assicurata di compiti se trattata con qualche carezza!”
“Mmh, a te piace Mark?”
“Va all’inferno!”
Sibilo irritata,
lasciandolo come un baccalà e dirigendomi verso il liceo.
Già ho lezione di
ginnastica – un qualcosa che odio dal profondo della mia
anima nera – non ci si
deve mettere anche lui con i suoi toni strafottenti.
Mi dirigo verso gli
armadietti come una furia, prelevo la mia roba e mi fiondo in palestra.
Gli
spogliatoi sono vuoti – gli stronzi devono essere
già tutti a lezione – e io mi
cambio alla velocità della luce vomitando insulti a destra e
a manca.
In palestra finisco per
prendermi un rimprovero del professore, rimprovero che è
costretto a
rimangiarsi quando
giochiamo a
pallavolo. Di solito faccio schifo, ma oggi immagino che tutte le palle
siano
le teste di Josie, Mark e Tom e le colpisco con violenza inaudita.
In breve tempo divento il
terrore dei miei compagni e il professore rimane a bocca aperta.
Tiè!
A fine lezione sono stanca
come non mai ed è un vero sollievo poter andare a casa:
finalmente è finita!
Arrivo alla mia macchina
per trovare una spiacevole sorpresa: Tom DeLonge è seduto
sul cofano della mia
macchina, lui e la sua faccia strafottente.
La tentazione di ignorare
la mia macchinetta e prendere il pullman per andare a casa è
fortissima – e sto
per girare i tacchi ed andarmene – quando l’ospite
indesiderato si accorge di
me e mi fa cenno di raggiungerlo.
Merda!
“Non scappare Jenkins, mi
devi un passaggio a casa.”
“Quando te l’avrei
promesso?”
“Quando ti sei rifiutata
di dirmi la verità sul perché tu sia
così incazzata con Mark.”
Io alzo agli occhi al
cielo, voglio strozzarlo.
“Sei una piaga!”
“E tu un’ipocrita.”
Lo fulmino con
un’occhiataccia da manuale.
“Non osare dire mai più
quella parola!”
“Perché? È la verità.
Fingi di essere incazzata con Mark e di odiare Josie quando ami lui e
odi te
stessa per non esserti fatta avanti!”
“Io non fingo!”
Sibilo a denti stretti.
“Sì.”
“Scendi dalla mia
macchina.”
“No.”
“SCENDI, CAZZO!”
“NO!”
“TI ODIO, TI ODIO E TI
ODIO! COSA CAMBIEREBBE SE TI DICESSI CHE AMO IL
TUO AMICO? NON LASCEREBBE CERTO JOSIE PER ME, NESSUNO SANO
DI MENTE LO
FAREBBE!
MA TANTO A TE CHE IMPORTA?
HAI AVUTO LA TUA RISPOSTA ORA VATTENE. VOI MASCHI SIETE TUTTI DEI
BASTARDI!”
Uno schiaffo sonoro
interrompe il mio soliloquio. Ha osato schiaffeggiarmi?
Con uno sguardo spiritato
gli restituisco la sberla e tento di spintonarlo via, ma lui mi prende
per un
braccio. Cosa vuole fare?
Penso al peggio, invece mi
abbraccia e basta, sono talmente sconvolta che mi metto a piangere
intanto lo
prendo a pugni.
Perché non mi lascia
andare?
Vorrei urlarglielo in
faccia di mollarmi, ma lui si mette ad accarezzarmi i capelli e mi
sussurra
all’orecchio che andrà tutto bene e il mio corpo
– bastardo traditore – si
rilassa.
“Forza, andiamo in macchina.”
“Lasciami andare, ti
prego.”
“Non ci penso nemmeno.”
Apre la portiera dalla
parte del passeggero e mi fa entrare, lui invece si mette alla guida:
sono
fregata.
“Perché sei qui?”
“Beh, volevo capire perché
non ritenessi più Mark un tuo amico e poi sei finita nel bel
mezzo di una crisi
isterica, non potevo mollarti qui.”
Io continuo a piangere
silenziosamente pensando che lo detesto e che sta rigirando il dito
nella
piaga.
Mark e Josie.
Josie e Mark.
E io, la stupida
rifiutata, che si era illusa di poter contare qualcosa per lui.
“Non è necessario che mi
accompagni a casa, so cavarmela da sola.
Mugugno vedendolo
accendere la macchina.
“Non ti voglio avere sulla
coscienza.”
Sulla mia faccia si
dipinge un sorriso amaro, sono sulla coscienza di qualcun altro se solo se ne fosse accorto.
Continua a guidare senza
chiedermi indicazioni, ma questa non è la strada per casa
mia, dove cavolo
stiamo andando?
“DeLonge, dove stiamo
andando?”
“Non ti preoccupare.”
“Mi preoccupo invece.”
Lui tace e continua a
guidare fino a quando arriviamo al parco della nostra cittadina:
lì si ferma e
parcheggia.
“Forza, scendi.”
Sbuffo e scendo, cosa
diavolo sta tentando di fare?
Entriamo, si ferma a un
chiosco e prende una crepes e due coche, poi mi fa cenno di sedere su
una
panchina.
Agli ordini, mein fuhrer!
Hail DeLonge!
Sulla panchina mangiamo in
silenzio, lui ogni tanto mi guarda – come a studiarmi
– irritandomi. Perché
diavolo mi ha portato qui se deve continuare a guardarmi come se fossi
un
alieno?
“Non sono un alieno!”
“Sto cercando di capirlo.”
Mi risponde lui serafico.
“Ah, che carino. Sono
talmente brutta che non mi ritieni nemmeno una terrestre?”
“No, sei solo strana.”
“No, sono
solo preoccupata perché un perfetto
estraneo mi ha presa e portata al parco contro la mia
volontà: si chiama
istinto di sopravvivenza.”
“Uno: non sono un perfetto
estraneo, ci siamo presentati. Se tu ti ostini a trattarmi come tale
è un
problema tuo.
Due: se fossi un maniaco a
quest’ora ti starei già stuprando.”
“Allora devi essere pazzo,
preferisci ascoltare le lagne di una ragazza che fare altro.”
“L’alternativa sono i
compiti di matematica, tu sembri più gestibile.”
Io sbuffo e scuoto la
testa, bevendo un’altra sorsata della mia coca.
“Allora, ti va di parlarmi
di Mark?”
“Non c’è niente da dire, è
la storia più antica del mondo.”
“Io sono nato ieri.”
Che tizio irritante!
“Sei irritante!”
“Preferisci che diventi un
maniaco? Posso farlo subito!”
Si alza con fare deciso
dalla panchina e mi prende per un polso, trascinandomi verso il capanno
incustodito dei guardiani.
“Ehi, che fai? Lasciami
andare!”
Lui mi ignora e per quanto
io mi divincoli la sua presa è salda, l’altezza e
il fatto che pesi più di me
sono dalla sua parte.
“Lasciami!”
Scoppio di nuovo a
piangere e questa volta quando si volta per abbracciarmi –
questo tizio è matto
come un cavallo! – gli tiro un pugno al petto che lo fa
piegare in due.
“Vattene.”
Farfuglio.
“Vattene!”
Lui alza le mani, ma tiene
lo sguardo incatenato a terra.
“Scusa, non facevo sul
serio, non pensavo che te la prendessi così tanto.
Scusa, era una cavolata.”
Io continuo a piagnucolare
anche se vorrei darmi un freno, lui alla fine mi abbraccia e non viene
respinto.
Mi riporta alla panchina e
mi guarda
“Vuoi raccontarmi di
Mark?”
“Non c’è molto da dire. Io
sono l’asociale della scuola, non sono abituata al fatto che
la gente mi parli
e mi tratti da essere umano e quando il tuo amico l’ha fatto
mi è sembrato un
sogno.
L’ho trovato subito carino
e conoscendolo ho scoperto che era anche una brava persona, ma forse mi
sbagliavo.
Mi piaceva avere qualcuno
con cui parlare, lui mi riempiva la testa di voi, della band e di
Josie, ma non
ho dato peso all’ultima cosa dato che mezza scuola
è ai piedi di quella vacca.
Credevo che continuando a
frequentarmi e ad avere sotto gli occhi la Jen migliore potesse
innamorarsi di
me. Mi sono sbagliata, non è mai successo.
Erano tutti film nella mia
testa.
Un bel giorno è arrivato
fidanzato con Josie e la cosa è semplicemente finita, non mi
saluta nemmeno
più. Fine.”
“Mark è una brava persona,
non lo sembra solo.”
Io alzo gli occhi al
cielo.
A casa mia le brave
persone non smettono di salutarti da un momento all’altro e
iniziano a
trattarti da invisibile senza un motivo.
“Come vuoi. Cosa ci
trovate tutti in Josie?”
“Beh, ha un corpo da
favola. Deve essere bravissima a letto, è molto
intelligente, dovresti sentirla
mentre discute delle mostre che va a vedere o dei libri che ha letto.
È appassionante.
Poi le piace lo sport, è
brava a basket e a baseball. Fa skate, le piace il punk ed è
autonoma.
Non è una di quelle
seccatrici che hanno bisogno di te ogni due per tre o ti trascinano per
negozi
per schiaffarti in mano tonnellate di borse piene di merda
inutile.”
A ogni elogio a lei il mio
cuore sprofonda sempre di più fino a raggiungere le
profondità infernali.
È la ragazza perfetta, che
chance potevo avere io?
Io con il mio metro e
cinquantacinque, il seno inesistente, i miei scialbi capelli castani e due occhi di un
ordinario blu?
Io che sono un’insicura
cronica?
Io che non sono mai stata
nemmeno baciata?
Nessuna.
“Grazie, ora ho capito
perché non sceglierà mai me.”
Mi sto alzando
quando vedo Mark avanzare con lei
attaccata al braccio, non ci hanno visti
e se la ridono felici.
Lui fa una battuta, lei
ride e poi si baciano appassionatamente.
Praticamente la coppia
perfetta, quella che io non sarò mai.
Ricado pesantemente sulla
panchina con le lacrime agli occhi, spero vivamente che non mi vedano,
ma
sembrano decisi a venire da questa parte.
Che faccio?
Ci pensa Tom a risolvere a
modo suo la situazione prendendomi in contropiede.
Con una mossa rapida fa in
modo che io vada dietro di lui e poi mi attira a sé e mi
bacia.
Non un bacio a stampo, un
bacio di quelli con la lingua.
Un bacio di quelli che non
ti scordi.
Un bacio a cui io
rispondo.
Che cazzo sto facendo?
Salve, spero che questa Tom/Jen vi piaccia. Non è finita, sono indecisa se scrivere e pubblicare il quinto capitolo o fermarmi al quattro, per questo la sto pubblicando prima di aver finito di scriverla. Per avere un parere da voi.
Spero di ricevere qualche recensione e che vi piaccia.
Non so cosa altro dire .____. scusate