Fanfic su artisti musicali > Muse
Ricorda la storia  |       
Autore: mairileni    23/11/2012    8 recensioni
"Cosa avete intenzione di fare? Di me, intendo."
"Non lo so."
"Sei un bugiardo del cazzo."
"Ti sbagli. Io non mento mai." Mentre lo dice fa un sorriso furbetto.
"Non hai risposto."
"L'ho fatto! Non lo so. Davvero. Questo..." Mi solleva la mano ammanettata. "Questo non era... nei piani" dice, e guarda un punto indefinito del pavimento, mentre lo fa. "In realtà è stata una sorpresa anche per me... quindi non lo so."
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Buongiorno!!! *lancia coriandoli*
*v* Come stàtteh? (Cit.)
Allora, allora, intanto:

Matt Bellamy, Dominic Howard e qualsiasi altra persona presente in questa fic non mi appartengono, né mi pagano per scrivere queste boiate, (e posso capire il perché). Ciò che accade in questa storia non è mai accaduto realmente, ma proviene tutto dalla mia mente contorta *sguardo da pazza*.

Bene, spero tanto che abbiate pazienza e pietà per la povera autrice sfigata (io) che ha scritto questa storia >.> e spero tanto che vi piaccia *v*, io sono un po' nervosa ^^'!
Ed è con questo spirito che vi pwesento il capitolo 1! *v*

Buona lettura! ^^

pwo_

 

*** *** ***


I was calling your name


Lo guardo meglio.
Ok. Quanto sarà alto? Uno e settanta? Di sicuro è molto più basso di me.
Bene. Forse si può fare.
Ora devo solo capire se è pazzo.

... Che poi se scopro che è pazzo cosa faccio? Lo curo? Gli faccio la psicanalisi? Chi sono? Freud?

Gli guardo la faccia. L'unica luce al neon funzionante della stanza è esattamente sopra la sua testa.
Lo illumina di una luce brutta, che gli accarezza i capelli e la fronte, inciampa nelle sopracciglia e ricade sugli zigomi e poi sul mento, lasciando un'ombra definita sugli occhi e sulle guance scavate.

Sembra un fottutissimo film.
Un fottutissimo film con una bella fotografia.

Quando parla sobbalzo, come quando la prof ti chiama perché vede che ti sei incantato a fissare qualcosa fuori dalla finestra.

"Allora?"

Allora cosa?

Sto zitto, senza smettere di fissarlo. Parla ancora lui.

"Mangi?"

Lo guardo ancora un attimo, poi faccio no con la testa, piano.

Lui sospira, si volta un attimo dall'altra parte e poi si gira di nuovo verso di me.

Poi fa una cosa strana. Gira la testa di lato, come per guardarmi meglio. Sembra quasi un bambino.

"Che c'è?"

Mi sorprendo della curiosità genuina con cui lo chiedo. Spero che non se ne accorga.
Se n'è accorto. Ovvio.
Sorride, e raddrizza la testa.

"Niente."È serissimo, ora. Probabilmente non aveva sorriso neanche prima. Guarda il piatto a terra.

"Fa' come vuoi."
"Eh?"
"Col cibo. Fa' come vuoi. Però ti conviene mangiare." Pausa. "A meno che tu non voglia morire di fame."

Ah, ok! Grazie della dritta, amico.

Poso lo sguardo prima sui fagioli davanti a me, riluttante, poi su di lui, e alzo la mano, ammanettata ad un calorifero che cazzo, sembra l'unica cosa resistente in questo posto dove tutto cade a pezzi.

E la porta dietro di lui, quella da cui è entrato, è socchiusa. Rabbrividisco. Basterebbe così poco...

Non faccio neanche il tempo a chiedergli di slegarmi che è già su di me -quando si è mosso?-, per liberarmi, armeggiando con una chiave che non mi ricordo di avergli visto tirare fuori.

I suoi capelli mi solleticano il naso.
Che buon profumo.
... Eh? Profumo? Ma a che cazzo sto pensando? Ok, sono molto stanco.
La porta. Forza, Dom.

Lui indietreggia, rimettendosi dov'era prima.

Mi avvicino al piatto, prendo la forchetta, piano, e poi scatto, ed è tutto un attimo.

Mi butto in avanti, lo urto con una spalla, spingo contro il ferro, sono fuori, e c'è un corridoio, ed è pieno di altre porte, e quale devo prendere, merda merda merda! Aspetta, non ci sono svolte, è un corridoio unico. In fondo c'è un'altra porta di ferro, come quella da dove sono uscito, e dev'essere per forza quella, corri Dom, ed è chiusa, certo, cosa pensavi, che fosse aperta? E ci batto contro con la mano e grido, e impreco, come se qualcuno potesse sentirmi. Fine dei giochi.
Non ci credo.
Non ci credo.

Non so con esattezza quanto rimango ad ansimare di frustrazione contro quella porta, forse un minuto, ma non importa.

Quando mi giro lui è ancora lì, il ritratto della tranquillità, che mi guarda. Mi guarda con un'espressione a metà tra lo stupore e l'umana comprensione, di quelle del tipo 'scusa, amico, non pensavo fossi messo così male'.

"Cosa stai facendo?" chiede.

Ma come, non vedi? Sto facendo un balletto classico.

"Cosa pensi che stia facendo?"
Mi sta ancora guardando in quel modo e ora alza le spalle.
"Hai finito?"
Che stronzo.
"Sì. Sì, ho finito, grazie!" rispondo, sarcastico.
"Bene. Allora, mangi o cosa?"
mi viene quasi da ridere, tanto la situazione è surreale.
"Non ci sono altre uscite."
"Cosa?"
"È inutile che stai lì a cercare di pensare in fretta. Non riuscirai ad uscire."

Torno dov'ero prima, quasi mi stupisco di farlo, ma lo faccio. Torno dentro.
Mi siedo e inizio a mangiare il mio squallido pranzo, senza fiatare. Mangio di gusto, in realtà, perché non ricordo quando ho mangiato l'ultima volta, non so da quanto sono qui. Bevo anche l'acqua, senza soffermarmi troppo a indagare sulla pulizia di quel bicchiere.
Quando finisco mi allontano dal piatto e aspetto che mi ammanetti di nuovo, senza opporre resistenza.

"Dove siamo?"
"Qua." Ma che simpatico.
"... E dov'è 'qua'?"
"Cosa cambia?" Effettivamente.
"Cosa avete intenzione di fare? Di me, intendo."
"Non lo so."
"Sei un bugiardo del cazzo."
"Ti sbagli. Io non mento mai." Mentre lo dice fa un sorriso furbetto.
"Non hai risposto."
"L'ho fatto! Non lo so. Davvero. Questo..." mi solleva la mano ammanettata:"Questo non era... nei piani." dice, e guarda un punto indefinito del pavimento, mentre lo fa:"In realtà è stata una sorpresa anche per me... quindi non lo so."

Certo. Ricapitoliamo. Torno da scuola, mi ferma questa specie di strano ragazzino che mi sembra pure di aver già visto in giro, qualche volta, mi chiede una sigaretta, e ok. Poi mi chiede dei soldi, ed è già meno ok. Poi, guarda un po', qualcun altro da dietro mi sbatte uno straccio imbevuto di non so cosa in faccia, poi più nulla. E mi ritrovo qui. Quindi o è una candid, o questo è sequestro di persona bello e buono.

"Se volete chiedere un riscatto, sappiate che..."
"Non penso." La sua voce è un sussurro.
"Eh?"
"Non penso che lui voglia muoversi in quella direzione."
"Lui chi?"
"Ehm...Mr. Cloroformio?" Di nuovo l'espressione compiaciuta.
Non so da quanto sono qua, forse due giorni, ma è abbastanza da non stupirmi neanche più.
"E allora perché?"
"Non lo so, te l'ho detto."

Va bene, questo ragazzo è una causa persa in partenza. E tuttora non ho idea di che faccia abbia Mr. Cloroformio.
Aspetta. Davvero l'ho chiamato 'Mr. Cloroformio'?

Fa per andarsene, ma non so quando potrò avere di nuovo un'occasione tanto succosa, quindi riparto all'attacco.

"Come ti chiami?"

Ti prego dimmi che non gliel'ho chiesto sul serio.
Ma devo fare in modo che non se ne vada. È comunque un diversivo.

"Mh?"
Si è girato distrattamente, forse non ha sentito.

Vai, Dom, puoi ancora cambiare questa domanda con una più intelligente.

"Ti ho chiesto come ti chiami."
... Ecco appunto.
Lui mi guarda sinceramente sorpreso e aggrotta un po' la fronte.
"Matthew."

Va bene, è pazzo. Mi dice pure come si chiama!
Lo dice con gli occhi bassi, sembra quasi... timido?

"Te lo stai inventando."
La testa scatta veloce e i suoi occhi si aggrappano nuovamente ai miei, fermi.
"No. Ti ho detto che non mento mai." Pausa. "E poi che senso avrebbe? Tanto in faccia mi hai visto." Altra pausa. "Ora vado. Ciao."

Non faccio in tempo ad aprire bocca che si è già precipitato fuori, con il piatto vuoto del mio pranzo, chiudendo la porta a chiave.
Resto ad ascoltare il rumore dei suoi passi sempre più lontani.

E mi ronza in testa.

Matthew.

***

Quando mi sveglio il buongiorno mi arriva dal gorgoglìo umido dello scorrere dell'acqua dentro all'enorme tubo che striscia sul soffitto.

Buongiorno, mondo.
"Buongiorno", anche se, visti la totale assenza di finestre e il neon che incombe, potrebbero benissimo essere le tre del mattino.

Mi siedo sul materasso vecchio (che uso per dormire probabilmente rischiando la vita) gentilmente offertomi dalla Mr. Cloroformio & Co e mi guardo intorno, come aspettandomi che possa essere cambiato qualcosa, nella mia bellissima stanza.

Mi stringo nell'angolo dove è stato sistemato il mio accogliente giaciglio. Muovo la sinistra, è sempre ammanettata al calorifero, che tra l'altro neanche funziona, accanto al materasso.

La porta è davanti a me, mentre il resto della camera si sviluppa alla mia destra, dove, sorpresa sorpresa, ci sono addirittura una sedia e un mobile (rotto).

Prima ancora che io possa formulare un pensiero di senso compiuto, sento dei passi, e, devo ammetterlo, non avrei potuto sentire suono più bello, ora.

Quasi fremo di impazienza quando sento il rumore metallico della chiave che gira nella serratura, e non so perché.

La figurina magra di Matthew compare sulla soglia, e sono stranamente felice.
Chissà se ha anche vestiti non neri.

... O chissà se recupererò la mia sanità mentale, prima o poi.
No, perché al momento sono messo male.

Biascica un frettoloso "ciao" e fruga nella tasca della giacca. Ne tira fuori una piccola chiave, viene verso il letto. E porta aria fresca nell'aria stantia di quella specie di buco in cui sto da non so quanto.

Appoggia un ginocchio sul letto e inizia a trafficare con la serratura delle manette. Ad un certo punto, alza la testa e mi guarda dal basso, negli occhi. Uno scatto metallico, ma non sono libero. Le ha aperte dalla parte del calorifero.

"Cosa fai?" chiedo.
"Ti tolgo da qua."
"Perché?"
"Perché ce ne andiamo."

Sì. Sì sì sì!

"Dove?"
Di nuovo lo sguardo di umana comprensione. Beh, certo, questa volta posso capirlo.
Matthew prende il bracciale metallico appena tolto dal calorifero e se lo chiude attorno al polso.
"Ma... cosa fai?"
"Ci lego insieme." Alza le sopracciglia, come a ricordare l'episodio del giorno precedente "Da oggi... sostituisco il calorifero."
"Ah."

I nostri polsi sinistri sono già uniti tra loro dalle manette, eppure infila di nuovo la chiave nel bracciale che cinge il mio.
Lo guardo con aria interrogativa, e quasi a rispondere alla domanda che non avevo ancora deciso se formulare ad alta voce o meno, inchioda gli occhi nei miei: "Per il sangue." dice, con aria indifferente.
"Eh?"
Non risponde, ma toglie con cura meticolosa il cerchio metallico, attento a non farmi male.
Cazzo.
E quel sangue da dove esce?
Non mi ero accorto di come, tentando di forzare la catena che mi univa al calorifero, ero riuscito a tagliarmi praticamente tutta la circonferenza del polso.
Ho una vaga sensazione di nausea.
"Non dirmi che non te n'eri accorto."
"Eh? Ah, no... cioè, boh, non so, io..."
Mi lega velocemente la destra e si alza.
"Andiamo."

***

Mentre svoltiamo nel labirinto di corridoi identici di questo posto del diavolo, non cerco neanche di memorizzare la strada. Matthew è davanti a me, e io lo seguo passivamente, lasciandomi trascinare dalla mano che mi lega a lui.
Sono due minuti buoni che camminiamo in silenzio, finché lui non apre una porta e vengo inondato da una luce che non vedevo da troppo, e che traumatizza per un attimo i miei occhi.

Quando riesco a mettere bene a fuoco davanti a me, la prima cosa che vedo è la faccia di Matthew, che mi guarda impassibile.

Non ha ancora sfoggiato il suo sorriso furbetto, stamattina, e ora che lo guardo meglio, fuori dalla luce stralunante del neon, ha la faccia molto stanca. Sembra quasi che abbia passato la nottata in bianco.

Certo.
Perché io sono Dominic Howard e mi preoccupo dello sconosciuto che mi tiene in ostaggio.
Molto bene.

Siamo in uno stanzone che sembra una specie di ex-laboratorio, con tanto di tavoli, panche, sedie, scaffalature vuote, armadi e pezzi di scotch dimenticati al muro.
Credo che tutto questo, tutto questo posto, intendo, debba essere stato un college, tempo fa.

Matthew mi porta fino a uno dei tavoli di ferro, dove sono sistemate una boccetta, delle forbici e una scatoletta di metallo.

Mi indica la panca con la testa e mi siedo compostamente.
Lui invece vi si mette a cavalcioni, rivolto verso di me.
Mi giro verso di lui, che con la mano ammanettata tiene fermo il piccolo contenitore, mentre con l'altra toglie il coperchio.

Bende? Ma cos'ha in mente di fare?

Prende la boccetta e svita il tappo.

"Cosa fai?"

Non risponde, ma tira fuori dalla scatoletta del cotone, con cui forma un batuffolo che imbeve del liquido della boccetta.

Si sporge verso di me, e cerco di ignorare il profumo di buono che mi arriva con lo spostamento d'aria. Mi prende la mano più lontana da lui, la sinistra, quella che mi ha liberato dalle manette, e preme forte il cotone sulla parte ferita. Ma cosa...?
Il dolore arriva come una scossa, dal polso fino a tutto il corpo, e gemo.

Matthew separa immediatamente il batuffolo dalla ferita e mi guarda, spaventato.
Spaventato?

Aspetta. Ok. Calma, Dom.
Perché il cuore mi batte così forte?
... È perché mi sta facendo male.
Sì.
Sì, sì. È per quello.

"Ti faccio male?"
"Sì."
E... abbassa lo sguardo?
Parlo ancora io: "Perché?"
"Perché cosa?"
"Tutto questo."
"Perché sanguini."
Ah, beh, certo.
"Ma perché ti prendi la briga di farlo? Cosa ci guadagni?"
Mi guarda con un'espressione sbigottita, che però sostituisce subito con la solita maschera impassibile.
"È... per il furgone. Ce ne andiamo con un furgone."
"E allora?"
È... preoccupato per me?
"Lo macchieresti tutto. Quindi non rompere i coglioni e sta' fermo."
Ah, ecco.

Fermi tutti.
Sono... deluso?
Cos'è, Dom, sei diventato frocio, forse?

"E allora perché non mi copri la ferita e basta?" dico, senza pensarci.
"Perché se no ti viene un'infezione e muori. E sarebbe molto seccante."

Ah. Beh, ok.

"Ce ne sono stati altri? Prima di me, intendo."
Matthew sembra esitare: "No. Te l'ho detto che non eri nei piani."

'Non eri nei piani'.

Cerco di pensare oggettivamente, perché è troppo tempo che non mi fermo a farlo.

Sono stato rapito.
Non volevano, 'non era nei piani', doveva andare in un altro modo, sono dispiaciutissimi, ma mi hanno rapito.
Va bene.
No aspetta.
Va bene un cazzo.
Non sono ricco, e credo che loro lo sappiano, quindi niente riscatto.
Si fa strada nella mia testa un'opzione che so essere la più probabile, ma a cui non voglio neanche pensare.

"Mi venderete, giusto?"
Lui mi guarda, e stavolta ha la faccia angosciata, come se avessi detto qualcosa che lui non aveva il coraggio di dire.
"Cos'è? Traffico di organi? Prostituzione? O magari..."
"Non lo so." mi blocca lui.
"Però lo pensi."
"Non vedo troppe soluzioni alternative."

Inizio a sentire gli occhi inumidirsi, e per un attimo vedo annebbiato, ma mi costringo a trattenermi.

Ha finito di disinfettarmi, e ora sta tagliando la garza con cura.
Non posso pensarci, quindi cerco di deviare il discorso:"Mr. Cloroformio?"
"Arriva."

Non so se chiederglielo.
Fanculo, glielo chiedo.

"Quanti anni hai?"
"Perché?"
"Così."
"Diciassette."
"Ah."
"... Tu?"
Stiamo... chiacchierando?
"Diciotto. Diciotto tra poco."
"Quanto poco?"
"Il 7."
"È molto poco."
Improvvisamente mi rendo conto di non sapere né data, né ora.
"Che giorno è oggi?"
"Il 25."
Penso alla mia famiglia, alla mia casa, al mio compleanno.
Quando torno da scuola il posto dove meno vorrei andare è casa mia. Ma in questo momento non c'è luogo che mi manchi di più.

Matthew infila l'estremo della striscia di garza sotto ad un lembo che avevo già piegato prima e, non so come, la fasciatura regge.

"Dove hai imparato?"
"Da solo."
"Matthew..."
Sussulta, e si gira verso di me talmente velocemente che quasi mi spaventa. Mi fissa un attimo per poi chiedere:"Cosa?"
"Perché fai questo... 'lavoro'?"
Sorride sarcastico:"Non mi pagano, sai?"
"No, ok ma... dico... cioè, perché hai iniziato..."
"... Diciamo che Stan aveva un buon motivo per convincermi."
"Stan."
"Sì, Stan... ah, già... 'Mr. Cloroformio'."
"Oh. Ti ha... ti ha ricattato?"
Occhiata di umana comprensione.
Ok.

Sento un rumore metallico, una porta che si chiude, passi veloci e tintinnio di chiavi. Matthew si alza di scatto, i passi sempre più vicini, e mi sistema la manica della felpa sulla fasciatura, in modo che non si veda.
Lo guardo con aria interrogativa, ma ha già distolto gli occhi da me.

Mi volto, nello stesso momento in cui un tizio che non avrà più di trent'anni compare sulla soglia. Immagino sia Stan. Sarà alto come me, o almeno credo. Capelli castani, un po' mossi, né magro né grasso, sciatto. Ha una sigaretta nella destra.

Non alza neanche gli occhi ed entra nella stanza a passo di carica, mentre estrae dalla tasca dei jeans un mazzo di chiavi. Solo dopo averle prese si volta verso Matthew per lanciargliele, senza degnarmi di uno sguardo.

"Matt, va' a prendere il furgone e aspettami qua fuori, mentre preparo il foglio. Sali già dietro, poi."

Di tutta risposta lui gira sui tacchi e mi strattona con le manette per farmi cenno di muovermi.
Prima che raggiungiamo la porta, Stan borbotta un 'ehi' che fa girare Matthew, a cui lancia un pacchetto di Marlboro.

"Ah, già. Grazie." dice lui, e usciamo.

Sono passati due minuti al massimo, e siamo fuori.
Fuori.
Quasi non mi sembra vero, quindi cerco di godermi la gelida aria mattutina, finché posso farlo.

Camminiamo fino al retro dell'edificio, sul prato rado che lo circonda, finché dietro l'angolo non compare un furgoncino, bianco, di quelli che si vedono tutti i giorni per strada.

Matthew sale per primo, dallo sportello sinistro, e striscia fino al volante, mentre io mi sistemo accanto a lui, chiudendo la portiera dietro di me.

Mi ritrovo ad osservarlo mentre mette in moto, abbassa il finestrino, prende una sigaretta, la accende, tira una boccata e soffia il fumo fuori dall'auto.

Quando con la sinistra fa per prendere il cambio, trova l'impaccio della mia mano a bloccarlo.
La avvicino in modo che abbia abbastanza libertà di movimento e partiamo, fino ad arrivare in corrispondenza dell'ingresso principale, da cui penso ci separino una trentina di metri. Dal mio finestrino vedo l'enorme costruzione che mi ha ospitato in questi quattro giorni, e la odio, ma l'idea di lasciarla per... qualsiasi cosa mi aspetti mi angoscia.

Dopo aver concluso il suo compito, mentre ha la sigaretta in bocca, mi fa cenno di scendere dal furgoncino, e con qualche difficoltà riesce a seguirmi e saltiamo giù.

Appena scesi Matthew mi spinge dall'altro lato dell'auto, verso la fiancata opposta, quella che dà sulla strada.
Guarda un'ultima volta verso l'edificio, come per assicurarsi che non ci sia nessun altro oltre noi.

Dunque mormora:"Vuoi una sigaretta?"
"Cosa?"
"Fumi, no?"
"Sì."
Mi passa una sigaretta e quando me la sono messa tra le labbra me la accende con la sinistra.

Ne prende un'altra anche lui e rimaniamo in silenzio per qualche attimo.

Faccio tre lunghi tiri, poi gli chiedo:"Perché stiamo qui dietro?"
"Perché qui dietro Stan non ci vede."
"E perché non vuoi che ci veda?"
"Non penso che sarebbe troppo contento di constatare che ti ho fasciato una ferita e ti ho offerto una sigaretta."
In effetti non avrebbe neanche tutti i torti.
"Ah, già... a proposito... grazie."
Mi guarda stupito, e in questo momento mi viene da ridere, perché sembra un bambino che guarda la maestra chiedendole di ripetere, perché non ha capito la domanda.
"Per... la fasciatura. È fatta bene."
"Io... ah, ok... prego." E smettiamo di parlare.

***

"Matthew..."

E non so perché ma mi ghiaccio.
E mi si ferma il cuore.
Matthew.
Matthew.
No, lui l'ha detto in un modo diverso, più dolce.
Matthew.
Ti prego, fallo ancora. Chiamami ancora Matthew. Ripeti il mio nome.
Matthew.
Dillo.
Cazzo, dillo.

Rispondo:"Cosa?"
"Perché fai questo... 'lavoro'?"

Forse perché non ho altra scelta.
Anzi, è solo per quello.
Matthew.
No, lui lo dice meglio.

Non mi ricordo bene cosa è successo da quando hai detto il mio nome e mi hai fatto quella domanda, ma so che ora siamo dietro al furgoncino e stiamo fumando come vecchi amici.

Se non fosse che io ti ho rapito ed è ovvio che ti comporti bene solo perché sai che è quello che ti conviene fare al momento.
Lo so che sei intelligente.

"Ah, già... a proposito... grazie."

Ti guardo, perché non so il motivo per cui mi ringrazi.
Io ti ho rapito, o meglio, ho partecipato al tuo rapimento, ti tengo sottochiave, ti tratto di merda, ti lego e tu mi ringrazi.

"Per... la fasciatura. È fatta bene."

La fasciatura. Mi sta ringraziando per la fasciatura. Cosa gli dico?

Che begli occhi. Di che colore sono? Ho provato anche a guardarlo meglio, ieri, ma non riesco a capire. Anzi, mi sono solo fatto beccare.
'Che c'è?', mi ha chiesto.
'Nulla. No, beh, sai, sono gay, e penso che tu sia bellissimo.'
Ti immagini?

Cazzo cazzo cazzo, aspetta.
Concentrazione.
Grazie. Mi ha detto 'grazie'. Dovrei rispondere 'prego'.
Quindi prego.
No, aspetta, Matt, ad alta voce.

Biascico qualcosa, ma lui sorride e sembra capire.

Non mi ha più chiamato per nome.


*** *** ***


Ehm... eccomi qui! ^^' *schiva un pesce partito dal pubblico ma è goffa e ne prende un altro in faccia*
Allora... piaciuto? *no*
Dunque, se vi va e avete tempo recensite (ma se non avete voglia non importa ^^), io cercherò di aggiornare presto!
Vorrei dedicare questa fic alla mia amica e n d, che ha avuto tanta tanta tanta (no, davvero tanta) pazienza con me che sono una seccatrice *v*! Mi ha dato molti consigli, ed è merito suo il titolo di questo capitolo! Grazie di tutto, davvero!

Bene, non vi secco più e me ne vado! ^^ grazie a chiunque passerà di qui!

Ps. Ci vediamo a Torino! *fugge felice*

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Muse / Vai alla pagina dell'autore: mairileni