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Autore: Writer96    23/11/2012    7 recensioni
"-Io sono qui perché studiare come vivono quelli come te è il mio lavoro, più o meno.- disse, la voce che era all’improvviso alta e sicura. Lui sbuffò e fece un ultimo tiro di sigaretta, facendo uscire dalle labbra degli anelli di fumo che a June ricordavano terribilmente Alice in Wonderland. Rimase immobile e aspettò che lui, nel silenzio e nel buio parlasse.
-E ripeto, vorresti farmi credere che sei normale, tu? Che scegli di venire qui, di avere a che fare con i disperati che non si salveranno?- disse, la voce amareggiata, qualcosa –forse la mano- che saettava verso l’alto, verso quella che doveva essere la testa. June rimase in silenzio e fece un passo avanti, la mano nella tasca che giocherellava con le forcine rotte dopo l’ultima lezione di ginnastica."
E' una raccolta. Saranno cinque storie, cinque personaggi diversi. Decontestualizzati, strappati via dalla loro solita immagine. Mi servivano dei visi per i personaggi. Ora li hanno.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata alla Giò.  Perchè, su, tesoro. Styles è tuo.




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-Fermati! Dove stiamo correndo?-
-In giro...-
-C’è una qualche ragione?-
-Ti ricordi un paio di notti fa, June?-

 
 
 Un sassolino rotolò lungo la strada, rompendo il silenzio e facendo udire perfettamente i suoi piccoli rimbalzi causati dall’impervietà del terreno. June lo seguì con gli occhi fino a quando non lo perse nel buio e si strinse ancora un po’ nel cappotto pesante che si era messa addosso qualche minuto prima. Benché le avessero detto che era pericoloso, che non doveva farlo se teneva alla propria incolumità, lei si ostinava a girare da sola la sera nel cortile interno, una cuffietta infilata dentro all’orecchio e l’altra che le pendeva molle davanti, posata pigramente sul petto. Del resto era metà Dicembre e la gente preferiva rimanere dentro ai dormitori piuttosto che stare fuori al freddo, vittima del vento gelido. Gli unici che stavano fuori erano quelli con un valido motivo per starci, ma June sapeva chi erano e dove si trovavano e così li evitava.
Diede un calcio ad un sasso più grande del precedente e risistemò la cuffia, che in quel momento stava minacciando di cadere, con un gesto secco della mano. Per qualche secondo le note di American Idiot si erano allontanate da lei, ma erano tornate subito ad essere chiare e forti nel suo orecchio, con sua grande soddisfazione. Un refolo freddo le si insinuò nella manica che lasciava scoperto il polso e lei si affrettò a tirarla giù, rabbrividendo e strofinandosi le braccia con le mani.

-Non risolverai niente così.- disse qualcuno e lei sobbalzò così tanto da far definitivamente cadere la cuffia dall’orecchio. Si girò e vide un punto rosso, incandescente, in mezzo ad una delle vecchie nicchiette ancora presenti nel chiostro dell’ex monastero. Rimase immobile e scrutò quel punto con forza, riuscendo solamente a vedere un sottile filo di fumo che si levava da quella che doveva essere una sigaretta accesa da poco.
-Intendo dire, non smetterai di bubbolare né strofinandoti le mani addosso né fissandomi come se fossi uno strano mostro.- ripetè il qualcuno sconosciuto, la voce bassa e calda, resa roca probabilmente dal fumo.
-Non lo sto facendo.- ribattè June, muovendo un po’ le gambe per indietreggiare, incerta se scappare via o restare. Le avevano spiegato come comportarsi in quei casi, aveva fatto corsi su corsi e partecipato a più di una lezione di autodifesa, perciò era abbastanza tranquilla, certa di trovarsi in un ambiente che le apparteneva almeno quanto quella nicchietta nera apparteneva alla figura misteriosa.
-Facendo cosa?- chiese lui, beffardo. Un’altra nube di fumo si levò davanti a quello che doveva essere il suo viso e June, impercettibilmente, si avvicinò.
-Fissarti come se fossi un mostro. Non ti vedo neanche, non posso farlo.- spiegò lei paziente, lo stesso tono che aveva quando a mensa due ragazzi cercavano di picchiarsi perché uno aveva una fetta di pane più grande di quella dell’altro.
-Però non hai negato che io sia un mostro.- replicò e June fece un altro passo, questa volta di lato. Un’altra voluta di fumo si levò dalla sigaretta ed arrivò fino a lei, che sentì gli occhi lacrimare per l’odore di tabacco. Scosse la testa e sentì un tonfo poco avanti a lei, segno che quel qualcuno con la sigaretta era appena sceso dalla nicchia dove si era seduto e che ora si stava avvicinando.
-Andiamo. Vivi qui. Vorresti davvero farmi credere che sei una persona normale?- domandò lei, beffarda, stringendo le mani a pugno dentro alla tasca. Un sospiro e poi i passi dell’altro si fermarono, due metri ancora che li distanziavano, il fumo che ogni tanto usciva dalla sigaretta.
-E tu, allora? Anche tu vivi qui.- la voce di lui era ancora più roca ora che era vicina e June sentì un brivido che non aveva niente a che fare con il freddo correrle lungo la schiena. Si mise una ciocca di capelli dietro alle orecchie, forzandoli per farli entrare sotto la cuffia di lana che avrebbe dovuto, teoricamente, tenerle caldo alle orecchie.

-Io sono qui perché studiare come vivono quelli come te è il mio lavoro, più o meno.- disse, la voce che era all’improvviso alta e sicura. Lui sbuffò e fece un ultimo tiro di sigaretta, facendo uscire dalle labbra degli anelli di fumo che a June ricordavano terribilmente Alice in Wonderland. Rimase immobile e aspettò che lui, nel silenzio e nel buio parlasse.
-E ripeto, vorresti farmi credere che sei normale, tu? Che scegli di venire qui, di avere a che fare con i disperati che non si salveranno?- disse, la voce amareggiata, qualcosa –forse la mano- che saettava verso l’alto, verso quella che doveva essere la testa. June rimase in silenzio e fece un passo avanti, la mano nella tasca che giocherellava con le forcine rotte dopo l’ultima lezione di ginnastica.
Rimasero in silenzio fino a quando June non si avvicinò ancora, arrivando fino al muretto accanto alla nicchia e sedendosi lì, la luna che le illuminava solo un occhio e metà viso. L’altro si avvicinò e si sedette di nuovo, ma questa volta accanto a lei.
Tirò fuori un accendino e un’altra sigaretta e l’accese, senza preoccuparsi di farle schermo dal vento.
Nella fioca luce che brillò in quell’attimo, June vide un paio di occhi chiari, dalle ciglia lunghe, contornati da qualche riccio ribelle che gli cadeva sulle sopracciglia. Nell’avvicinare la sigaretta alle labbra, vide come esse fossero perfette e disegnate, quasi levigate apposta. La luce durò solo un attimo in più, ma a lei parve di scorgere delle fossette sulle sue guance quando lui iniziò a parlare.

-Vuoi?- le offrì lui, passandole la sigaretta con una mano. Lei scosse la testa e poi, rendendosi conto che forse lui non la poteva vedere, disse semplicemente “No, grazie. Non fumo.”
Il ragazzo fece uno sbuffo e la sigaretta tornò tra le sue labbra, arpionata fra due dita lunghe –June le aveva intraviste quando le aveva illuminate la luna- e sottili.
Prese una boccata e poi soffiò il fumo, mandandolo volutamente in faccia a June, che si scostò con un movimento irritato.
-E comunque sia, non ho mai detto di essere normale.- disse lei poi, le mani che erano tornate in tasca e i capelli che le erano usciti ancora una volta dal cappello, lasciandole un buco proprio sopra il collo del cappotto attraverso cui passava un refolo freddo ogni due istanti.
-Però hai parlato di me e degli altri come se fossimo diversi da te...- commentò lui, quasi spuntandole il fumo in faccia. Lei si mosse e lui ridacchiò, mettendosi poi di nuovo la sigaretta tra l labbra e aspirando per qualche istante in silenzio.
-Perché lo siete. Io ho scelto di venire qui. Voi no. E se l’avete fatto e non studiate psicologia come me, allora è preoccupante.- rispose, pentendosi subito delle sue parole istintive. Il ragazzo non se la prese, anzi, iniziò a ridere e si piegò di lato, così da portare la sua spalla a sfiorare quella della ragazza, che si irrigidì un secondo dopo.
-Mai sentita tanta schiettezza nei miei confronti. Hai ragione. E così, studi psicologia?- le chiese, rizzandosi e prendendo ancora una boccata dalla sigaretta, che era ormai quasi finita. Quando soffiò il fumo in faccia a Jane, lei riuscì a non scansarsi e ad accettarlo quasi con passività, come un vecchio amico.
-Faccio una sorta di scuola superiore che prepara agli studi di psicologia, sì. Per prepararmi a fare l’educatrice... Una cosa strana...- spiegò, muovendo i piedi e facendoli toccare l’un l’altro.
-Capisco. Quindi noi siamo parte del tuo progetto formativo?- chiese il ragazzo, scosso da una risatina che alle orecchie di June arrivò attutita a causa della mano che il ragazzo si era portato alla bocca per buttare via il mozzicone di sigaretta. Entrambi lo guardarono bruciare a terra per qualche istante e poi si voltarono.
-Più o meno. Ho scelto io di fare un semestre qui, volevo conoscere ciò che studiavo.- disse e il ragazzo annuì senza che lei lo vedesse.

-E l’hai conosciuto?-
-Perché rubavi?- domandarono, nello stesso istante. Il ragazzo andò indietro con la schiena e si voltò a guardarla, il naso che si scorgeva appena grazie a qualche raggio di luce.

-Come lo sai?- chiese, senza rispondere davvero. June notò che la voce gli si era incrinata e capì di averci visto giusto ancora una volta, anche se forse vedere non era esattamente il termine più indicato.
-Le tue mani con la sigaretta. Me l’hai offerta con la destra, ma l’hai messa in bocca con la sinistra. E prima sapevi benissimo dove stavo guardando anche se non ero perfettamente visibile.-spiegò lei, piegando la bocca in una smorfia. Il ragazzo annuì e la guardò di nuovo, intercettando un paio di occhi scuri che sparivano dentro all’ombra, mescolandosi con essa.
-Però. Sei brava...- commentò, mettendo una mano in tasca e prendendo l’accendino. Lo accese e una fiammella illuminò i loro volti, distorcendoli maldestramente.
-Grazie. Ora rispondimi, però...- ordinò lei, addolcendo la voce alla fine e sistemando ancora i capelli nel cappello. Dovevano essere poco più che le dieci, ma era buio e freddo e a lei sembrava di trovarsi nel bel mezzo della notte in una landa desolata e fredda. In compagnia di un affascinante sconosciuto ex-ladro.
-Avevamo pochi soldi in famiglia, andavo in una scuola da ricchi, popolata da ricchi che guardavano con disgusto quelli con le borse di studio. Storia nota, eh?- commentò acido, valutando se finire l’ultima sigaretta nel pacchetto o farsi un drum alla cieca. Optò per la prima opzione e tirò fuori la sigaretta, riprendendo l’accendino e riaccendendolo. Vide l’espressione di June in quell’istante, le labbra strette e la fronte aggrottata.

-Non ti facevo uno da borsa di studio...- commentò poi lei.
-Perché fumo, perché rubavo, o perché sembro uno sciatto scansafatiche?- chiese lui, beffardo, la cima della sigaretta di nuovo incandescente.
-Perché ti facevo più da ricco ragazzino viziato che ha avuto tutto dalla vita.- spiegò lei, voltandosi a guardarlo e notando come, con gli occhi abituati al buio, la sua figura si scorgesse decisamente meglio. Sembrava alto, magro, riccio, uno di quei ragazzi che vedresti bene in un film e non in un riformatorio o, meglio, in un Istituto Recupero Ragazzi Difficili della periferia di Londra.
-Beh, no. Dalla vita ho preso schiaffi, manette, una denuncia per furto, un sacco di calci in pancia e una dipendenza dalla nicotina.- esclamò, mettendosi a ridere da solo.
-Sembri piuttosto sicuro di te per essere uno che si descrive come uno sfigato senza possibilità di scampo o redenzione.- commentò e sorrise da sola, nonostante il vento freddo che le si era insinuato dentro ad una manica, stabilendocisi stabilmente.
-Sembro sicuro di me solo perché ho iniziato a parlare con l’unica persona che se mi sembrava starsene qui fuori senza il pretesto di assumere droghe o di andare a prostituirsi per avere i soldi per la droga e in più neanche ti vedevo in faccia completamente.- mormorò e fu June a sussultare, colpita da quelle parole dure e allo stesso tempo.
-Ah.- fu l’unico commento che le uscì dalla bocca, mentre il ragazzo prendeva un’altra boccata dalla sigaretta e fissava pensieroso il fumo che gli usciva dalle labbra, una sottilissima scia grigia che spezzava il buio compatto della notte.
-Già. Lo sai benissimo anche tu che gente gira qui fuori di notte. A dire la verità ammiro moltissimo il tuo coraggio.- commentò lui, girandosi per riservarle un po’ di fumo che ancora non aveva sputato fuori.
-E tu non sei coraggioso? Sei fuori anche tu.- disse lei, alzando la testa e scrutando le stelle che ammiccavano dall’alto. Amava quelle notti limpide e con solo un minuscolo spicchio di luna, le ricordavano l’esistenza di tanta gente, apparentemente invisibile e poi realmente fonte dell’unica luce.
-Io sono un ragazzo, ho una sigaretta in mano e mi mimetizzo nelle nicchiette buie. Posso sopravvivere meglio di quanto tu pensi.- spiegò, allontanando la sigaretta dal volto e portandola davanti a sé, intento a fissarla mentre si consumava e lasciava intravedere la cenere grigio-nera mischiata al rosso incandescente della fiammella.

-Ce l’hai un nome?- gli chiese lei dal nulla, nell’esatto momento in cui lui riportava la sigaretta alle labbra. Non le era chiaro perché l’avesse lasciata consumare di proposito, ma effettivamente, in tutta quella conversazione e in tutta quella situazione il senso generale era davvero poco.
-Elizabeth...- mormorò lui e lei si voltò a guardarlo sorpresa. Lui dovette capire che gesto avesse fatto perché scoppiò a ridere, così forte da doversi interrompere un paio di volte per tossire.
-Scherzavo, ti pare? Mi chiamo Harry...- disse subito dopo e anche June scoppiò a ridere, bloccandosi subito perché mesi di frequentazione di quel posto le avevano insegnato che fare troppo rumore era altamente sconsigliato.
-Mi era preso un colpo, ti giuro. Il mio primo pensiero è stato “E’ meglio che io non inizi mai a fumare!”- esclamò lei, abbassando un po’ la voce e chinando, inconsapevolmente, la testa. Si accorse di essere atterrata su di lui quando avvertì una vibrazione in tutto il corpo dovuta alla risatina di Harry.
-Sempre il pensiero più logico, insomma...- disse poi, senza scansarsi dal contatto. June avvertì le guance andarle a fuoco quando si accorse che lui aveva poggiato la testa sulla sua e iniziò a pensare ad un modo poco brusco per allontanarsi. Non che non le facesse piacere: da quello che aveva visto, Harry era bello come pochi altri ragazzi e aveva una capacità di affascinarla, con quella sua voce roca, non indifferente. Ma era pur sempre uno dei detenuti, come si chiamavano tra loro gli studenti e June era consapevole dei rischi.
-Penso spesso ai rischi che le situazioni comportano...- disse infatti, ricollegando il proprio pensiero al commento di Harry. Scivolò fuori dall’incastro spalla-testa di Harry e si voltò a guardando, gli occhi che ormai si erano abituati e che riuscivano a cogliere anche alcuni dettagli, come la forma particolare del naso e la pienezza delle labbra.

-Mmh. Quindi devo chiamarti ragazza dei rischi o hai anche un altro nome?- chiese poi e lei si strinse nelle spalle, ricordandosi solo più tardi che lui non poteva vederla così bene.
-June. Se ti va puoi chiamarmi June, basta che tu non faccia nessuna battutina sull’estate e cose varie. O citi canzoni dei Beatles modificandone il testo, come hanno fatto altri...-  ordinò lei, ridacchiando da sola. Hey June era stato uno dei tormentoni che più spesso l’avevano accompagnata nella sua vecchia scuola. Poco divertente.
-Spero solo che tu non ti chiami così perché sei nata d’estate. Sarebbe terribile...- esclamò poi, impedendosi di ridere perché in effetti ad Hey June ci aveva pensato subito anche lui.
-Veramente sono nata a dicembre, sono solo i miei genitori che hanno una strana ironia e siccome dicevano che quando sono nata io si congelava, volevano che per lo meno portassi calore e speranza. Abbastanza sdolcinata come cosa. Non so neanche perché te la racconto.- si rimproverò poi da sola. Harry non rispose e lei si voltò a guardarlo, le sopracciglia aggrottate e le labbra socchiuse. Non c’era più nessuna lucina rossa, segno che probabilmente si era spenta la sigaretta, oppure Harry l’aveva finita e lei non se n’era accorta. Spostò lo sguardo su di lui e lo vide voltato nella sua direzione.
-Non è una cosa stupida, hai fatto bene a raccontarmelo. Nel senso, non che dovessi, però è stato interessante.- si impappinò lui e lei sorrise, certa che almeno quello potesse vederlo. Una vibrazione le arrivò dalla tasca e lei si chinò a prendere il cellulare, dove un messaggio di sua madre le ricordava –con una tempistica perfetta- di non stare fuori la sera. June scosse la testa e si alzò, seguita dallo sguardo di Harry.
-Devo andare. E’ abbastanza tardi e il mio coraggio ha un certo limite, anche se sono sicura che avere come difensore un povero ex-ladro dipendente dalla nicotina mi potrebbe proteggere da tutto e da tutti.- commentò, le dita delle mani già agganciate alle cuffiette, che avevano continuato a trasmettere musica a basso volume per tutto il tempo.
Anche Harry si alzò e le si avvicinò, posandole una mano sul braccio.
-D’accordo. Buona notte. Pensi che sarebbe sgarbato chiederti se potrò salutarti se mai ti vedrò nei corridoi?- le chiese, la voce ancora più arrochita dalla vicinanza, dato che ora le sue labbra si trovavano a pochi centimetri dall’orecchio di June. Lei scosse la testa e si ritrasse leggermente, per non essere costretta a parlare al bavero del cappotto di Harry, che era davvero troppo alto in quel momento.
-Sarebbe sgarbato non farlo, in realtà.- sorrise e aspettò un paio di secondi, giusto il tempo di sentire le labbra di Harry che le sfioravano la tempia destra. Si allontanò di corsa, ascoltando i propri passi che rimbombavano per il cortile vuoto.

Una volta in camera ascoltò le pulsazioni del proprio cuore premendo le dita contro la vena del collo: erano accelerate come non lo erano mai state e lei era sicura che non fosse tutta colpa della corsa.
Sfilandosi i vestiti, sentì l’odore di fumo che li impregnava e pensò che avrebbe dovuto farsi una doccia, e invece si infilò nel letto, una brandina abbastanza scomoda ma pulita.
I capelli, sparsi sul cuscino, sapevano di fumo, ma a lei sembrava che quell’odore la cullasse familiarmente.
 
 

-Ovviamente, Harry.-
-Hai detto che ti avevano chiamata June anche se eri nata a dicembre.-
-E quindi?-
-Quindi siamo a dicembre e io ho deciso che il tuo compleanno è oggi.-
-L’hai deciso tu o l’hai letto sulla mia bacheca di Facebook?-
-L’ho sentito questa mattina svegliandomi. E poi beh, anche gli auguri che ti hanno fatto un paio di ragazze hanno influito.-
-Quanta dolcezza, Styles, c’è in te.-
-Tantissima, vero?-
-Non capisco cosa ci faccia ancora io con te.-
-Ti ho rubato il cuore, ammettilo.-
-Questa era pessima, lo sai, sì?-
-Penso che tu mi piaccia, comunque.-
-Mmh. Lo penso anche io. Intendo, che tu mi piaccia.-
-Non sono così pessimo, allora.-
-No. Direi di no.-




 

Writ's Corner

Per chi non mi conosce, buonasera. Mi chiamo Writ e scrivo storie in maniera maniacale, compulsiva ed ossessiva.
Per chi mi conosce, buonasera anche a te, che ci fai qui di bello?
#comeperderenuovilettori

Partiamo da una mia lamentela: perchè non mi sono impedita di pubblicare questa raccolta? Perchè?
Volevo fare qualcosa di diverso dal solito, a dire il vero. Una raccolta di OS sugli One Direction, che in realtà sono originali con il loro viso, chi mi conosce lo sa bene. Pubblicherò in maniera sporadica, non sensata, a seconda dell'ispirazione. Ma sono OS, più o meno Originali, quindi dovrei essere brava e non troppo lenta. Diffidate comunque.

Parlando della storia, questa volta ho raccontato di Harry. Un Harry assolutamente OOC (fuma. E già questo dovrebbe avermi condannata a morte, ma pazienza) in un Istituto per ragazzi con problemi di comportamento. Non chiedetemi da dove esce questa, sinceramente non ne ho idea. June è la tipica brava ragazza, studentessa sveglia, curiosa. Spericolata in maniera tutta sua. La raccolta sarà romantica, immagino l'aveste capito, sennò ecco, ve l'ho detto io adesso.
Sperando che vi sia piaciuta.

Writ

   
 
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