Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Beauty    24/11/2012    27 recensioni
E' il 1912. Sulla nave dei sogni si intrecciano i destini di Emma Swann, Regina Mills, Archie Hopper, Ruby Lucas, Mary Margaret Blanchard, il signor Gold, Belle French, Jefferson e molti altri, mentre il Titanic si avvia verso il suo tragico destino.
Chi sopravviverà?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Ruby/Cappuccetto Rosso, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Emma Swann guardò per la centesima volta il suo biglietto, ormai stropicciato a furia di rigirarselo fra le mani. Le era costato tutti i suoi risparmi; la sua nuova datrice di lavoro non si era certo preoccupata che lei avesse i mezzi per procurarsi un biglietto – era solo una tata, in fondo, avrebbe potuto essere sostituita in qualunque momento –, ma non ne era pentita. Lì in Inghilterra non le era rimasto nulla. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori, i pochi amici che aveva mai avuto erano tutti emigrati in qualche angolo dell’Europa continentale, e le rare relazioni amorose che aveva avuto non erano durate mai così tanto da trasformarsi in un legame stabile.

Quel biglietto era tutto ciò che le occorreva per iniziare una nuova vita. Quello, insieme a suo figlio.

Emma era stata assunta appena una settimana prima come tata del suo bambino, il bambino che aveva dato in adozione dieci anni prima. L’aveva ritrovato per caso un paio di mesi addietro – o meglio, era stato lui a trovare lei.

- Signorina Swann! E’ incantata, per caso?- la riprese la sua datrice di lavoro, la nuova madre di suo figlio. Emma si riscosse, afferrando la sua vecchia valigia consunta e affrettandosi a seguire la donna e il bambino. Henry, per mano a sua madre, si voltò e le rivolse un sorriso, che Emma ricambiò. Sua madre se ne accorse, e strinse più forte la mano del ragazzino in modo che si voltasse. Più tardi, Emma lo sapeva, lo avrebbe rimproverato dicendogli di non dare confidenza alla servitù. A quel pensiero, sentì una morsa gelida intorno al cuore.

Emma si domandava spesso come una donna come Regina Mills fosse riuscita ad ottenere l’adozione di suo figlio. Certo, era ricca, facoltosa – i posti riservati in prima classe ne erano una prova, con quel che costavano –, ma fredda, calcolatrice, poco incline a qualsiasi forma di dimostrazione d’affetto. Era rigida, severa, ed Emma avrebbe potuto giurare di non averla mai vista sorridere a suo figlio. Non era esattamente il prototipo di una madre perfetta.

E tu chi saresti, per giudicarla?

La strana voce nella sua testa fu in grado di mettere a tacere tutte le sue riflessioni. Emma accelerò il passo, facendosi strada fra la folla rumorosa e salendo in fretta la passerella a seguito di Henry e Regina. Lei non era nessuno per giudicare come la signora Mills facesse la madre, dal momento che aveva dato in adozione l’unico figlio che avesse mai avuto.

Emma sollevò lo sguardo, sussultando di fronte all’imponenza e alla magnificenza dell’imbarcazione. Non era la prima nave che vedeva, ma quella era senza dubbio la più spettacolare. Non si era fatto altro che parlare di lei sin da quando era ancora nel cantiere, e ora la leggenda era divenuta realtà. Dicevano che fosse estremamente lussuosa, enorme, e addirittura inaffondabile.

Emma non avrebbe saputo spiegare con esattezza l’effetto che le faceva sapere di stare salendo proprio lì sopra; era un misto di desiderio, di paura e di speranza. Quella nave l’avrebbe portata in America, lontano da quei luoghi senza significato in cui era nata e cresciuta, verso una nuova vita. Una nuova vita, sperava, accanto a suo figlio. Ancora non sapeva come avrebbe fatto a riprendersi Henry, ma era contenta di potergli stare vicino, seppure solo come bambinaia. Ma avrebbe trovato un modo, e stavolta non avrebbe abbandonato suo figlio.

Forse, pensò, era proprio vero che il Titanic era la nave dei sogni…

 

***

 

Il capitano Graham si specchiò un’ultima volta, aggiustandosi il colletto dell’uniforme. Rimirò la sua figura riflessa, soffermandosi sull’uniforme decorata di medaglie per poi passare al viso ancora giovane su cui una leggera barba spuntava incolta ma elegante. Graham si passò una mano fra i capelli, soddisfatto di se stesso. Dopo anni e anni passati a marcire in uno squallido ufficio di Southampton, finalmente aveva ricevuto ciò che meritava.

Ricordò il giorno in cui aveva ricevuto la lettera: quasi non gli era parso vero che la sua domanda fosse stata accettata, ma il contenuto della missiva sosteneva il contrario. Era stato assunto come capo della giustizia a bordo del Titanic, la nave inaffondabile, che di lì a mezz’ora lo avrebbe condotto insieme a migliaia di altri passeggeri a New York.

Era forse l’incarico più prestigioso e vantaggioso che avesse mai ricevuto in tutta la sua carriera, e includeva non solo un salario da fare invidia a uno sceicco, ma anche un posto in prima classe e vitto gratuito. E poi, pensò Graham, che mai sarebbe potuto succedere di così grave a bordo di quella nave da richiedere la sua presenza?

Aveva fatto i bagagli e salutato i pochi amici che aveva. I suoi sogni si stavano avverando.

 

***

 

- Ecco, questa è la nostra cabina…- Ruby Lucas entrò nell’angusto scompartimento di seconda classe, poggiando pesantemente i bagagli sul pavimento. Granny la seguì, sbuffando.

- Ti fa male?- chiese la ragazza, notando che la nonna si stava massaggiando l’avambraccio.

- Come ogni luna piena…- fece la donna, imbronciata. Ruby non ci badò, e iniziò a disfare i bagagli. Sapeva perché sua nonna fosse tanto brontolona, quel giorno, e non riusciva a spiegarsi perché, dato che era stata una cameriera per anni e non aveva mai protestato. Forse, pensò la ragazza, dipendeva dal fatto che il locale in cui serviva era di sua proprietà, ma questo valeva ben poco, ora. Dopo il fallimento del Bed & Breakfast, dovuto all’affitto troppo alto richiesto dal padrone, il signor Gold, l’unica possibilità che era rimasta loro era riposta in quei due biglietti di seconda classe che Ruby era riuscita a procurarsi scendendo a un compromesso: due posti a bordo del Titanic per lei e sua nonna, in cambio del suo servizio di cameriera sulla nave per tutta la durata del viaggio.

Granny aveva protestato con tutte le sue forze, ma alla fine Ruby, avvalendosi della razionalità, l’aveva avuta vinta: che altra scelta avevano? A Southampton non era rimasto loro nulla, mentre a New York, in America, avrebbero potuto ricominciare una nuova vita. E poi, era stata una cameriera per tutta la vita, esserlo ancora per quattro giorni non avrebbe fatto molta differenza.

Ruby gettò un’occhiata frettolosa all’orologio, quindi si sfilò il cappotto, sotto al quale aveva precedentemente indossato la divisa da cameriera. Granny le scoccò un’occhiata innervosita.

- Sarà meglio che mi metta al lavoro, il capo ci vuole pronti per quando la nave salperà…- disse, afferrando la maniglia della porta. Granny le rispose con un grugnito.

- Nonna, non fare così…- fece Ruby. - Dai, che vuoi che sia? E’ il mio mestiere, in fondo…

- Non è di te che mi preoccupo, mi preoccupo dei nobili maiali dei quali dovrai rifare i letti!- sbottò l’anziana donna.- Sta’ attenta, Ruby, quelli sono leoni travestiti da damerini!

- Credevo si dicesse leoni travestiti da agnelli…- ridacchiò la ragazza.

- E’ lo stesso. Comunque, fa’ attenzione. E se qualcuno ti da fastidio, vieni subito da me. Gli faccio passare la voglia!- Granny brandì un pugno con aria minacciosa. Ruby rise.

- Non stancarti troppo, nonna…- e uscì.

 

***

 

- Dite che è questa la passerella per la terza classe?- domandò Marco, guardandosi intorno con aria spaesata. Tutta quella confusione lo…confondeva. Si ritrovò a rimpiangere la sua vecchia bottega da falegname, la sua solitudine e il suo silenzio. Lì, in mezzo a tutti quegli spintoni e quegli schiamazzi, gli pareva quasi di trovarsi in una giungla. Si chiese con ansia se anche l’America fosse così caotica.

Suo figlio August notò il suo nervosismo, e gli avvolse un braccio intorno alle spalle.

- Sì, credo che sia questa…- disse, indicando una passerella.- Credo che dovremmo metterci in fila per la visita…

- Visita?- fece Marco, stupito.- Perché? Non abbiamo mica le pulci!

Alla parola pulci, il dottor Archibald Hopper scoccò un’occhiata preoccupata al suo cane.

- Dite che mi faranno storie?- chiese, accarezzando la testa del dalmata.- Non posso partire senza Pongo…

August rise.

- Tranquillo, Archie!- indicò la folla che si stava imbarcando per la prima classe.- Se quelle signore dell’alta società possono portarsi dietro quei batuffoli di pelo che chiamano barboncini, Pongo non avrà problemi a salire con noi…

- Lo spero tanto…

Marco fece una smorfia.

- Mi dispiace tanto, Archie…- mormorò.- Tu potresti permetterti un biglietto di prima classe, invece di startene con noi in chissà quale topaia…

- Sul serio, Marco, ne abbiamo già parlato - sorrise Archie.- Preferisco stare un po’ stretto, ma in vostra compagnia, che avere tutto lo spazi di questo mondo in mezzo a gente snob e sconosciuta.

Marco si zittì, seguendo suo figlio verso la passerella.

Archie sospirò, seguendo i due uomini. La cocciutaggine di Marco aveva pochi alti esempi nel genere umano. L’uomo era molto più vecchio di lui, ma era il suo migliore amico da quanto riuscisse a ricordare. Marco aveva avuto una bottega di falegnameria che aveva dovuto vendere per procurarsi i biglietti per il Titanic per lui e suo figlio August, uno scrittore sconosciuto e squattrinato, nella speranza di poter trovare a New York un guadagno migliore di quello scadente e destinato al fallimento di Southampton, nonché la giusta fama e il meritato riconoscimento per la bravura del figlio.

Quando aveva saputo della loro partenza, Archie non aveva esitato nemmeno un secondo e aveva fatto i bagagli. Si era laureato in medicina all’Università di Oxford qualche anno prima ed era un ottimo psicanalista, ma le possibilità di lavoro in Inghilterra erano poche, nel suo campo. A New York avrebbe potuto aprire uno studio proprio, e nel contempo stare vicino ai suoi due amici, l’unica cosa più vicina a una famiglia che avesse mai avuto.

Archie sorrise a quel pensiero, e accelerò il passo nel salire la passerella.

 

***

 

- Oh, santo cielo! Amore, guarda!- Kathryn Nolan prese suo marito per un braccio, indicando eccitata la nave. David sorrise, lasciando al facchino una generosa mancia e facendosi strada fra la folla insieme a sua moglie. Kathryn aveva parlato di quel viaggio per giorni, prima della partenza, decantando il Titanic in ogni suo aspetto. Dicevano addirittura che fosse inaffondabile, aveva esclamato a un certo punto, su di giri. David gettò un’occhiata al ponte: se era inaffondabile, perché c’erano delle scialuppe di salvataggio?

Fece spallucce; non gli importava che il Titanic fosse inaffondabile come dicevano, quello che gli interessava era che non affondasse durante quel tragitto.

Kathryn continuava a lanciare occhiate tutt’intorno, indicandogli eccitata ogni minimo particolare. David si sforzò di sorridere, e la prese sottobraccio. Ancora una volta, si chiese se ciò che stavano facendo fosse giusto. David Nolan era reduce da una brutta influenza che l’aveva costretto a letto per mesi e che, oltre al fisico, aveva colpito anche la sua psiche. Per diverso tempo aveva avuto problemi di memoria, amnesie, deliri senza capo né coda, e ancora adesso che la convalescenza stava volgendo al termine faticava a ricordare alcuni avvenimenti, anche importanti, della sua vita.

Il suo matrimonio ne aveva risentito.

Spesso si trovava a pensare a sua moglie come un’estranea, una sconosciuta che era entrata nella sua vita senza che lui sapesse come e perché. Kathryn se n’era accorta, e aveva fatto di tutto perché le cose si sistemassero. Se ci fosse riuscita, questo lui non lo sapeva.

Sapeva solo che, se avevano deciso di imbarcarsi per l’America, era solo per salvare il loro matrimonio. Suo suocero, il padre di Kathryn era un imprenditore molto facoltoso, che non avrebbe esitato a offrirgli un posto in una delle sue ditte. Avrebbero cambiato aria, aveva detto Kathryn. Era quello che ci voleva. Posti nuovi, persone nuove. Tutto sarebbe andato per il meglio. David lo sperava tanto.

La signora Nolan era talmente impegnata ad ammirare l’imbarcazione che non si rese conto che una giovane donna le stava passando proprio a fianco. L’urtò inavvertitamente, facendola cadere a terra. La sua valigia si aprì, e ne fuoriuscirono abiti e libri.

- Oh, cielo! Mi dispiace!- Kathryn si gettò in ginocchio accanto alla ragazza. David corse in suo soccorso, aiutandola a rialzarsi.

- Grazie…- la giovane gli sorrise. Era molto graziosa, con i capelli neri tagliati corti e gli occhi castani, snella, e con un colorito pallido. David sentì uno strano tuffo al cuore.

- Sono mortificata, mi dispiace infinitamente!- Kathryn si affannò a raccogliere gli oggetti sfuggiti dalla valigia della ragazza.

- Non fa niente, davvero…- disse quella gentilmente, raccattando i propri abiti.

- Sul serio, mi dispiace, ero distratta e…

- C’è così tanta confusione, può capitare. Davvero, non è successo nulla…

La ragazza chiuse la propria valigia, rialzandosi quasi all’unisono con Kathryn. Le tese la mano.

- Io sono Mary Margaret Blanchard, molto piacere.

- Kathryn Nolan, il piacere è tutto mio - sorrise la donna, stringendole la mano con vigore.- E lui è mio marito David.

David le strinse la mano a sua volta.

- Molto lieto. Anche lei a bordo del Titanic, immagino…

- Proprio così…- Mary Margaret sorrise; si chiese perché fosse arrossita.

- Noi siamo in prima classe, lei?- domandò Kathryn.

- Seconda.

- Oh, che peccato…! Sarebbe stato molto piacevole trascorrere il viaggio in sua compagnia…Beh, magari ci vedremo sul ponte!- sorrise Kathryn.- Arrivederci, signorina Blanchard, e buon viaggio!

- Grazie, buon viaggio anche a voi!- Mary Margaret salutò con la mano.

David le rivolse un timido sorriso, prima di voltarsi nuovamente verso sua moglie.

La ragazza rimase un attimo inebetita a causa di quel sorriso, ma subito s’impose di riscuotersi e afferrò con più vigore la valigia, dirigendosi con decisione verso la passerella. Era diretta a New York, dove l’aspettava un posto d’insegnante in una scuola elementare.

 

***

 

Leroy sbuffò, posando pesantemente a terra un sacco di carbone.

- Fra quanto si parte?- gridò a un suo collega per sovrastare il rumore dei motori.

- Mezz’ora, quarantacinque minuti al massimo!

Leroy grugnì, chiedendosi perché mai avesse accettato di spalare carbone su quella nave per uno stipendio da fame. Non appena fosse arrivato a New York, si ripromise, si sarebbe licenziato e avrebbe cercato un posto migliore. Anche se giravano parecchie voci sul fatto che quelli come lui, al massimo, potevano aspirare a lavorare in miniera.

Leroy afferrò la bottiglia di vino, aprendola e tracannandone un sorso.

- Ehi, ubriacone! Non si beve in servizio!- fece uno dei superiori.

Leroy imprecò, ritirando la bottiglia e salendo le scale per prendere un altro sacco di carbone.

Udì un rumore di oggetti spostati, quindi un gemito.

Sgranò gli occhi quando una giovane donna cadde letteralmente ai suoi piedi, gli abiti sporchi di carbone.

- Oh, buon Gesù, guarda che disastro!- gemette la donna, tentando di rialzarsi.

Leroy venne in suo soccorso, aiutandola a rimettersi in piedi.

- Grazie…- disse quella, con un sorriso di gratitudine. Aveva un bel viso, dolce, gentile, incorniciato da dei capelli castani raccolti in una crocchia. Indossava degli abiti molto semplici, sobri, e una mantella blu macchiata di carbone. Se ne accorse, e tentò di ripulirlo.

- Oh, cielo, che sciocca!- gemette.

- Non è nulla - fece Leroy.- Un po’ di sapone e torneranno come nuovi.

La donna sorrise. Leroy rimase un attimo imbambolato, ma subito si riscosse.

- Ehm, mi dispiace, signora, ma lei non può stare qui…

- Oh, sì, certo!- esclamò quella.- E’ che…mi sono persa, stavo cercando la seconda classe, e…

- Deve salire le scale, poi sempre dritto fino in fondo al corridoio, quindi svolti a destra - spiegò Leroy.- E’ a pochi metri da lì, non può sbagliarsi…

- Grazie! Lei è il mio eroe!- esclamò la donna.

Leroy sorrise.

- Io…io sono Leroy…- borbottò, tendendole una mano. - Lavoro nella sala macchine.

- Molto lieta di conoscerti, Leroy.

- Passeggera o dipendente?

- Passeggera. Mi chiamo Astrid, sono diretta a New York per diventare una suora - disse la donna.- Entrerò in convento e spero di prendere i voti.

Una suora. Peccato, era carina.

- Beh, spero di rivederti, Leroy…

- Lo spero anch’io…

Astrid sorrise e salì le scale. Leroy rimase imbambolato finché un’urlata del suo superiore lo riportò all’ordine.

 

***

 

Il signor Gold scese dalla sua automobile, sollevando lo sguardo verso il Titanic mentre i suoi bagagli venivano portati a bordo. Non poté trattenere un sorriso, quel suo sorriso molto simile a un ghigno che era divenuto famoso fra i suoi debitori e in generale nella cerchia di chi lo conosceva.

Il signor Gold era un uomo d’affari, cinico e spietato, tanto che epiteti come bestia e mostro non gli erano nuovi, soprattutto quando stringeva accordi infami con disperati che, dopo avergli dato quanto per loro era più importante, si ritrovavano ancor più miserabili di prima.

Il signor Gold sapeva della sua fama di usuraio, ma gli importava ben poco. Ciò che gli interessava veramente era il denaro, il potere. E l’avrebbe certamente trovato, molto più che in Inghilterra, a New York. Iniziò a salire la passerella che conduceva agli alloggi di prima classe, vestito completamente di nero nonostante la giornata primaverile, appoggiandosi al suo bastone per sostenersi.

Di nuovo, un ghigno di soddisfazione solcò il suo volto.

 

***

 

- Ti senti bene?- fece Sean, preoccupato, notando la smorfia di Ashley mentre si accarezzava il pancione.

- Sì, sto bene. Scalcia - sorrise la ragazza, poco più che diciannovenne. Sean sorrise a sua volta, ma era preoccupato.

- Speriamo che le doglie non comincino proprio durante il viaggio…

- Beh, se anche fosse, c’è un medico a bordo, no?

- Sì, ma preferirei non succedesse. Vorrei che il bimbo nascesse in America, in una bella casetta dipinta di bianco con un giardino…- Sean sorrise a quell’idea, e strinse a sé la fidanzata. Si sarebbero sposati non appena fossero sbarcati, avevano stabilito. Lui avrebbe trovato un buon posto di lavoro e sarebbero stati una famiglia felice, lui, Ashley e il loro piccolino.

 

***

 

- Grace! Grace, non ti allontanare!- Jefferson corse incontro a sua figlia, prendendola per mano. - Stammi vicino, con tutta questa confusione non vorrei che ti perdessi…

La bambina annuì, tornando a guardare la nave.

- E’ lì che dobbiamo salire, papà?

- Proprio così - Jefferson sorrise e prese in braccio sua figlia, facendosi strada fra le persone che affollavano la passerella della terza classe.- E fra quattro giorni ti sveglierai e saremo in America.

- Com’è l’America, papà?

Jefferson si fece serio, prendendosi qualche istante prima di rispondere.

- L’America è…è una specie di Paese delle Meraviglie…- mormorò infine.- Un luogo bellissimo dove tutti i sogni si avverano…

- Non vedo l’ora di essere là!- sorrise Grace con aria sognante.

Jefferson si sforzò di sorridere, e continuò a salire. Aveva raccontato a sua figlia ciò che dicevano tutti, e lui sperava con tutto il cuore che le dicerie che volevano l’America come un luogo di grandi speranze fossero vere. Era l’unica possibilità che gli era rimasta. L’unica possibilità per uscire dalla miseria e dare una vita dignitosa alla sua bambina. L’unica possibilità per rendere felice la sua Grace.

E lui l’avrebbe colta. Il Titanic era la sua possibilità.

Avrebbe fatto di tutto, perché sua figlia fosse felice.

 

***

 

Belle French corse a perdifiato, facendosi strada fra la folla, stringendo la valigia in una mano e il polso di suo padre nell’altra.

- Forza, papà! La nave parte fra cinque minuti!

Moe sbuffò, arrancando con due valige fra le braccia, tentando di stare dietro alla figura di sua figlia vestita di azzurro che si faceva largo fra le persone. Belle scorse la fila di persone sulla passerella di terza classe e si unì alla coda, cercando di riprendere fiato insieme a suo padre.

- Hai visto? Quanta fretta, ci saranno almeno ancora trenta persone!- borbottò Moe.

- Scusa, è che temevo di fare tardi…

- Hai i biglietti?

- Sì!- Belle estrasse dalla tasca dell’abito i due lasciapassare per la terza classe. Tutto ciò che era rimasto loro dalla vendita della casa e del negozio di fiori. A quel pensiero, Belle avvertì una stretta al cuore. Le sembravano passati secoli da che sua madre era scomparsa, da che gli affari avevano iniziato ad andare male e da che suo padre si era ritrovato costretto a vendere il negozio.

Come tanti altri, loro erano disperati senza più nulla che li trattenesse a Southampton; come tanti altri, anche loro avevano un’ultima speranza. L’America, New York. Belle sperava con tutto il cuore che, una volta giunti lì, le cose sarebbero state diverse, che lei e suo padre potessero riaprire il Game of Thorns e cominciare una nuova vita.

Belle avanzò sulla passerella, sollevando lo sguardo sulla folla delle persone dirette alla prima classe. Scorse fra la gente una figura completamente vestita di nero, alta e slanciata, un po’ claudicante.

Lo riconobbe: era il signor Gold.

- Quel bastardo ha deciso di rovinarci la vita anche nel Nuovo Mondo!- imprecò suo padre.

- La nave è grande, papà, non lo vedremo neppure…- mormorò Belle.

- Lo spero tanto per lui.

Belle distolse lo sguardo. Il signor Gold era uno di quelli che più ci aveva guadagnato dalle disgrazie della famiglia French e, benché quanto era successo non fosse colpa sua, suo padre non l’aveva sopportato.

Belle sperò davvero di non incontrarlo, e tornò a guardare la nave dei sogni, sperando che il suo sogno si realizzasse davvero.

 

***

 

Mercoledì 10 aprile 1912, il Titanic salpò, andando incontro al suo tragico destino.

 

Angolo Autrice: Direi che le mie turbe mentali sono notevolmente peggiorate, ma ehi, in quanto malata mentale, dovete assecondarmi XD. Questa cosa mi frullava in testa già da un po’, se fa schifo, ditelo che la cancello subito. Comunque ci saranno diverse coppie, per citarne alcune, Snowing, Red Cricket, Hunter Swan, e (soprattutto!!!) Rumbelle. Ah, ci tengo a precisare, questo non è un remake del film del 1997, anche se inserirò alcune citazioni e copierò spudoratamente per la scena dell’affondamento XD. Rassicuro chi segue la mia long che non ho nessuna intenzione di abbandonarla e che aggiornerò presto :).

Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando :).

Ciao!

Dora93

  
Leggi le 27 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Beauty