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Autore: Vampilica    24/11/2012    1 recensioni
Sono una ragazza di vent'anni che ha abbandonato il paradiso per tornare all'inferno. Sono alla perenne ricerca del lume della ragione e nel mentre mi diletto nella scrittura. Questa, è la mia storia.
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giornata a Milano
 
Sveglia alle 5.30 di mattina. Spalanco gli occhi e spengo quella musichetta infernale del cellulare. Come ogni giorno mi riprometto di cercare una sveglia decente, che magari intona una bella canzone briosa e piena di energia stimolante. Invece no, quella canzoncina idiota mi fa solo venir voglia di rotolarmi sotto le coperte e continuare a sbavare sul cuscino come facevo un attimo prima. Poi in un batter d’occhio ci ripenso, ricordandomi tutte le mie responsabilità che consistono nell’unico fatto di aver speso 700 euro per andare all’università. Che cazzo di idea. Allora scendo giù dalla scaletta del letto a castello e per poco non mi ammazzo, per via dei muscoli ancora flosci e dormienti. Ebbene sì. Io a vent’anni dormo ancora sul letto a castello. Uno dei difettucci della mia cazzutissima vita. Mi avvio in bagno faccio quel che devo fare, mi lavo, mi vesto, tento di mettermi il mascara e mi macchio le palpebre di nero. Truccarmi non è mai stato il mio forte, ma come dicono mia madre e mia sorella “E’ ora che ti dai un contegno”. Senza mascara spavento i bambini per strada. Quella roba appiccicosa sulle ciglia a quanto pare fa una bella differenza. Insomma dopo essermi data un filo di “contegno”, faccio colazione. Tazzone enorme al grado massimo con un filo di caffè e tanto latte fino al bordo. Dio che goduria. Poi rovisto nella credenza. Che palle non c’è niente di sfizioso. Agguanto una brioche all’albicocca dopo aver scartato quella vuota. E’ morbida e la marmellata è buona, ma finisce troppo in fretta. Prendo dei cracker, un’insalata già pronta e la bottiglietta d’acqua come pranzo al sacco. Poi mi fermo davanti alla credenza. Devo decidere in fretta. Mi sta chiamando la sento. “Vaffanculo!” dico ad alta voce e poi apro l’armadio e prendo la brioche vuota che avevo scartato. Esco di casa e l’azzanno come se fosse la prima cosa che mangiassi dopo mesi. Dio non sono normale.
Passeggio veloce, devo camminare un bel po’ per arrivare in fermata. Ebbene sì per andare a Milano prendo il pullman. A quanto pare va di moda andarci in treno. Io invece non sono alla moda, quindi prendo il bus per ripicca. In realtà non so come arrivare in stazione visto che non ho la macchina. Quindi alle 6.24 in punto salgo sul pullman e mi stampo il sorriso più sincero che ho in repertorio dicendo “Buongiorno” (con tanto brio) al conducente. Quello manco alza lo sguardo e borbotta qualcosa chiudendo le porte dietro di me. Che cafone. Mi siedo al solito posto, e guardo fuori dal finestrino. Non che ci sia molto da vedere. E’ ancora buio, la campagna è rivestita di nebbia, si vede poca gente in giro. Passiamo davanti a due paesi senza che nessuno salga sul bus, poi ad un tratto la luce invade il cielo e le persone invadono il pullman. La maggior parte è formata da scolari delle superiori. Ce n’è uno che sale tutti i giorni e parla con una ragazza tutto il contrario di lui. Insomma lui porta gli occhiali, ha tanti brufoli e una voce da “So-tutto-io”, tipico ragazzo NERD. Lei invece carina, ben curata, con qualche piercing. Mi chiedo che ci facciano loro due assieme. Ma è da un po’ che li trovo carini. Insomma una ragazza che caga un Nerd rompi balle. C’è qualcosa di più romantico? Dio se sono figlia di una società piena di pregiudizi.
Passano quaranta lentissimi minuti, in cui mi ripeto di non vomitare. Ho sempre sofferto di macchina, e ho scoperto da poco di soffrire anche il pullman. Mi scordo ogni mattina di non farmi tutto quel latte. Mannaggia. Tutta colpa di quei cazzo di conducenti che alle curve, alle rotonde e ai dossi vanno veloci; mentre sul rettilineo vanno pianissimo. Che rabbia. Insomma dopo le montagne russe arrivo alla prima stazione con la metro. Alleluia fratelli. Tutti vanno di corsa, si ammazzano per passare per primi e io tranquilla mi faccio le scale, e prendo il posto sulla banchina per entrare prima di tutti a sedermi. Quanto sono malvagia. Mi guardo a fianco per vedere con chi devo competere i posti liberi. A destra ho un gigante, un uomo sulla trentina. Sembra in forma, ma ha la ventiquattrore e sta leggendo il giornale mentre attendiamo il treno. Una bazzecola. A sinistra ho una ragazzina di forse dieci anni, con capelli lunghi sciolti che le coprono il viso e zaino in spalla. Perderà sicuramente tempo a spostarsi quella tenda dalla faccia. Allora oggi mi siedo!. Mi cancello quel pensiero dalla testa. Non si deve mai e poi mai essere felici per qualcosa che ancora non si ha. E’ una regola che mi sono imposta. Eccolo arriva il treno. Si aprono le porte. Quello a sinistra sta ancora chiudendo il giornale, quella a destra si leva i capelli dalla faccia. Entro, velocizzo il passo adocchiando il posto libero più esterno. Ed eccomi seduta!. Esulto, mi vien voglia di alzarmi e ballare. Sento nelle orecchie il pubblico che mi acclama. Sì ce l’ho fatta! Alzo le mani ai mie fan come una vera vincitrice. E poi..
“Scusi signorina, posso sedermi?”
 La vecchiettina malandata di turno. Un po’ incurvata con gli occhi dolci e gentili. “Ma certo” rispondo io senza pensarci. Mi alzo le lascio il posto. CAZZO. Mi appoggio alle porte chiuse e mi consolo dicendomi che sicuramente il karma mi premierà per la mia buona azione. Poi guardo la vecchiettina bella comoda sul posto che mi ero guadagnata. E a quel punto mi sembra meno curva e il suo viso è più giovane. Poi vedo i suoi polpacci forti e i piedi robusti abbastanza per reggerla mentre sta in piedi. La fisso incredula mentre apre il giornale, soddisfatta del suo posticino. Allora socchiudo gli occhi mandandole lo sguardo più fulminante che conosco. Bastarda. Distraggo la rabbia fissando la gente del treno. Una signora di mezza età è seduta in mezzo ad altre due che stanno sbirciando il libro che sta leggendo. Strabuzzo un attimo gli occhi per vedere il titolo. “Cinquanta sfumature di grigio”. Oh santi numi. Se lo leggono quelle signore, forse è ora che una lettrice affamata come me, lo legga. Ma le cose tanto porche non mi piacciono. A meno che le abbia scritte io. Rido maligna nella mia testa. Diciamo che mi diletto nella scrittura, non che mi riesca troppo bene. Mi manca ancora quella particella individuale, che hanno gli autori stimati. Anche se ormai la lettura del libro è diventata commerciale. Che sacrilegio. Siamo nell’era del vampiro. Anche se credo che tra poco grazie a “Cinquanta sfumature di grigio” entreremo nell’era del porno libro. Ora pure i libri si leggono per moda. Allora leggerò quel libro, solo quando non sarà più letto dalle signore in menopausa poco soddisfatte dei loro mariti ormai impotenti. O lo leggerò quando sarò una di loro. A quel pensiero mi vengono i brividi. Volto lo sguardo da un’altra parte. Una signora che si sta limando le unghie. Cosa che potrebbe fare a casa sua. E poi tutti o leggono o stanno al cellulare. Poca gente che chiacchiera col vicino. No proprio nessuno. E’ un po’ triste. Mi metto a leggere la copertina del giornale che tiene in mano uno che mi sta vicino. Cronaca, cronaca e che palle. Chissà se c’è il cruciverba.
Finalmente dopo venti minuti sono a Duomo. Da quando non è più ricoperto da ponteggi e cartelloni pubblicitari, devo proprio ammettere che è un capolavoro. Nessuno lo può negare. Agguanto il giornale gratis e salgo in superficie. Cammino e fisso le statue che decorano la chiesa. Cerco di memorizzarle, ma sono troppe. Attraverso la piazza, passando davanti all’entrata già sorvegliata da cinque militari in divisa mimetica. Dio se non li sopporto. Mi guardano. Ormai è un mese che li vedo e loro mi vedono, a me quasi viene d’istinto di salutarli, ma poi mi impongo il silenzio. Anche perché li trovo davvero antipatici. Ti guardano come se fossero i capi del mondo solo perché indossano una divisa verde. Continuo il mio percorso fino ad arrivare al tram che mi porta all’università. Mi distraggo leggendo il giornale. E cerco le soluzioni del cruciverba. Cazzo se è difficile. Finalmente arrivo all’università e passo una lunga giornata ad ascoltare lezioni interessanti, a parlare con delle ragazze che sono riuscita a conoscere, a fissare il vuoto e ripetermi di aver fatto la scelta più idiota di tutta la mia vita. Solo qualche mese prima, ero in un posto lontano ed ero felice nel pieno dell’ispirazione. Forse avrei scritto un nuovo libro che avrebbe segnato una nuova era. Mi ritrovo invece nella “Bella Italia”, paese che per quanto mi abbia visto nascere e crescere, mi sembra del tutto inadatto alla mia persona. C’è chi si sente nato nel corpo sbagliato, nella famiglia sbagliata, io mi sento nata nel posto sbagliato. Potrei anche aggiungere la famiglia. Ma mi accontento. D’altro canto nulla è perfetto nella vita e da soli bisogna cercare di perfezionarla. Il mio intento è quello di andare in un posto lontano e incontrare la mia famiglia durante le festività. Sono sicura che ci vorremmo molto più bene. Ne sono sicura anche perché l’ho già sperimentato. Durante le ore di pausa riesco a studiare un po’, poi vado all’ultima lezione e finalmente alle 18.05 il professore dice quel “ci vediamo domani” che mi autorizza a correre fino alla fermata del tram. Cerco di uscire il prima possibile, per non beccare il pienone. Ma non mi riesce mai. Tutte le persone che erano a lezione con me riescono a prendere il mio stesso tram. Che palle. Allora mentre la gente chiacchiera, io li fisso. E mi viene l’idea di accoppiare i ragazzi tra di loro. Nella mia facoltà sono tanti i gay, e si esprimono in tutta libertà e senza paura. E questa cosa mi piace un sacco. Ma sono convinta che la maggior parte di loro sia single. Ce ne sono due in particolare che mi hanno colpito. Uno vestito un po’ alla anni ottanta con i capelli biondi e ricci e un altro più piccolo di età, ma molto alto e magro, che si veste molto meglio di me. Loro due farebbero una coppia perfetta. Cerco di tenermi in equilibrio ad ogni frenata brusca del tram, ma sono completamente imbranata. Schiaccio il piede ad un tizio e vado addosso ad una signora. Eppure mi tenevo ad una sbarra con tutte e due le mani. Mistero. Arrivati a Duomo scendo e aumento il passo. Devo attraversare tutta la piazza per entrare in metro. E le distrazioni sono da ogni parte. Extra-comunitari che per vivere lanciano degli aggeggi blu nell’aria, che cercano di venderti, la chiesa illuminata dai lampioni, i turisti che ammirano la sera romantica. E i piccioni. Non esiste un animale più obbrobrioso. Svolazzano sopra la mia testa e io alzo gli occhi per controllare che non siano sulla mia stessa traiettoria, prima che mi lancino in volo qualche macchia bianca schifosa. Poi ci sono quelli a terra grassi, che beccano tra le fughe del pavimento per prendere quelle briciole incastrate, che nessun altro essere grigio come loro era riuscito a raggiungere. Ma i peggiori sono quelli che ti guardano mentre cammini veloce, e strabuzzano gli occhi fetenti, sicuri che hai qualcosa da mangiare. Mi metto a correre per qualche tratto, finché finalmente scendo giù dalle scale e scompaio negli anfratti sotterranei. Più che altro mi sommo alla massa di pendolari, studenti e esseri inutili che vanno a fare shopping. Tutti in fila per beccarsi il posto a sedere. Tutti ammassati sulla stessa linea per saltare sul treno e sedersi. Io neanche ci provo. Voglio solo andarmene a casa. Quindi salgo sul treno e mi appoggio alla parete senza dare fastidio a nessuno. Cerco di perdermi nei miei pensieri, ma vengo fermata da una discussione tra due signore.
“No, ma è un uomo per bene, c’è da fidarsi”
“Ah sì? E lo hai conosciuto su facebook?
“No, su un sito apposta. E’ anche controllato bene”
“Ah sì? E vi rivedrete?”
“Sì certo questa sera”
“Quasi, quasi mi iscrivo pure io su questo sito”
Le guardo, cercando di non farmi notare. Avrò sicuramente gli occhi spalancati. Mi do un contegno. Dio o chiunque decida le sorti di questo mondo di merda, fai in modo che io mai e poi mai sia così disperata da rivolgermi ad un sito internet per trovare un uomo. Non ho niente contro gli incontri su internet, davvero. Ma non per me. Ma poi chi se ne frega di sti cazzo di uomini. La stanchezza mi assale tutta di un colpo. Allora controllo l’orologio per essere sicura di prendere il pullman in orario, poi fisso il cartello con le fermate e inizio il conto alla rovescia. Ne mancano ancora 5..4..3.. il treno si svuota pian piano ..2..1.. Mi preparo davanti alle porte. Poi il treno si ferma e io mi fiondo sulle scale ed esco dalla metro, corro fino alla fermata dove il bus è già arrivato e finalmente ci salgo sopra e trovo addirittura un posto libero! Che soddisfazione. Poi ci ripenso. In realtà sul pullman trovo sempre un posto libero. Sbuffo, perché non è poi chissà che soddisfazione. Mi rilasso sul sedile e penso che potrei studiare, ma boccio l’idea perché soffro troppo il pullman. Potrei ricordare cosa ho studiato, ma sono troppo stanca. Potrei chiudere un po’ gli occhi così da avere la forza necessaria per mangiare quando arrivo a casa, ma ho paura di addormentarmi. E che palle non posso fare niente. Allora passo il tragitto a fissare fuori dal finestrino, cercando di ignorare i dossi e le curve veloci. Finché rimango da sola sul bus, e finalmente arriva la mia fermata. Sono le 19.50. Questa è la sera in cui andrò a letto presto. Cammino per le strade deserte del mio paese del cavolo, illuminate solo da qualche lampione ancora sano. E’ buio pesto, mi potrebbero rapire, violentare o uccidere e nessuno si accorgerebbe di nulla. Velocizzo il passo e mi dico che non c’è proprio nessuno, neanche maniaci assassini o serial killer. Poi finalmente sono a casa. Rispondo con qualche parola ai convenevoli dei miei genitori, e ingoio la mia cena guardando C.S.I. Poi posso andarmene a letto. Mi metto il pigiama e mi infilo sotto le coperte. Sono le 21.00 quando sono finalmente al calduccio e sdraiata sul materasso comodo, mi viene in mente che.. ho sete, devo fare la pipì, mi devo struccare, lavare i denti, preparare i vestiti per il giorno dopo,e soprattutto mettere la sveglia alle 5.30. Fanculo. Mi rialzo e faccio quello che devo fare, distraendomi vedendo qualche brufolo pronto per essere strapazzato. Poi guardo l’orologio. Sono le 10.45. Cazzo. Meno male che dovevo andare a letto presto.
 
   
 
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