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Autore: Sparrowhawk    24/11/2012    2 recensioni
«…trovi sia divertente, tutto questo?» chiese Emanuele, sconvolto «Io non mi sto divertendo. Non…non so neanche che mi succede…»
«Oh, io lo so…»
Si alzò in piedi anche lei e, sparendo dalla loro vista, ricomparve alle spalle di una delle cameriere che erano rimaste vicino al muro sino ad allora. Senza preavviso, e di fronte agli occhi increduli dei tre, morse la giugulare della povera ignara vittima, facendo sgorgare a fiotti un liquido rosso ed intenso. Ci volle poco affinché un dolce profumo raggiungesse le loro narici, comprimendo gli stomaci e tormentandoli. Light sapeva cosa volevano, era così chiaro che quasi le sembrava assurdo il fatto che non lo avessero compreso da soli.
Lanciò il corpo della ragazzina ai loro piedi, muovendo qualche passo verso di loro. La servetta ancora respirava, ma la cosa sarebbe durata poco a giudicare dalla grande ferita che le aveva causato.
«Hai fame.»
«…no.»
«Tanta fame.»
«Ti sbagli, io…io non…»
«Tutti voi avete fame…» disse, gettandogli le braccia al collo e baciandolo senza preavviso «…fame di sangue.»
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Different ways of approaching you



“A guardarti non si direbbe che tu sia cattiva.”
“Mi dai fastidio quando fai i capricci.”
“Vivo per servirvi, no?”

 
Cominciando a vivere tutti sotto allo stesso tetto, le difficoltà e le divergenze non avevano di certo tardato ad arrivare. Con sua grande sorpresa, Light dovette scoprire quanto fosse difficile entrare in contatto con persone che non si potevano assoggettare e che, soprattutto, riservavano nei suoi confronti un certo disprezzo per via delle azioni che era stata capace di compiere pur di avere ciò che desiderava. Se da una parte i suoi tre cavalieri rispettavano le sue decisioni e facevano il loro dovere, dall’altra, ogni volta in cui si avvicinava ad uno qualsiasi di essi, ecco che partivano le occhiatacce, le parole non dette e quella spiacevole sensazione di aver appena guastato l’intera giornata raggelando l’atmosfera.

«…non mi sto divertendo per niente.» si disse un giorno, rotolando senza gioia nel suo enorme, comodissimo letto a baldacchino.
Aveva passato l’intera giornata in quello stato, senza uscire dalla propria stanza e senza lasciar entrare nessuno. Perfino la fame, che era solita soddisfare con fin troppo zelo, era passata in secondo piano dinanzi al grande problema che le si prospettava or ora.
Non le andava l’idea che, proprio i suoi cavalieri, la detestassero a quella maniera.
Per un po’ aveva fatto buon viso e cattivo gioco, ascoltando per una volta la sua coscienza e rendendosi conto della difficoltà che era, per loro, il starle accanto, ma adesso che erano passati già alcuni mesi dall’inizio di quella convivenza Light non poteva più soffrire un simile trattamento.
Mai, nella sua lunga vita, qualcuno le aveva tenuto il muso per così tanto tempo.
Di litigi e discussioni ne aveva avute molte con Simon, per esempio, e capitava spesso che non si parlassero per ore dopo che avevano avuto la grande idea di darsi battaglia, però la cosa finiva non appena avevano modo di incrociarsi per i corridoi del castello. Qualche moina, delle scuse appena biascicate, e le cose tornavano normali in un batti baleno.
…questa volta, invece, pareva non esserci soluzione.
Andrea, Alberto ed Emanuele l’avrebbero odiata per sempre?
Fissò lo sguardo sul soffitto quasi impaurita a tale pensiero.
Aveva sempre creduto che guadagnarsi l’affetto di qualcuno fosse semplice quando si possedevano bellezza, ricchezza e vita eterna, ma probabilmente si era sbagliata.
Quei tre non apprezzavano niente di ciò che era, e la trattavano con un distacco tale da farla finire sempre in pianti a fine della giornata, rammaricata di non poter più vivere con i propri fratelli che mai l’avevano lasciata sola prima d’allora.
Li rivoleva indietro.
Adesso.
Non ne poteva più di quella situazione.
«Cosa posso fare?» mugugnò, iniziando a piangere sommessamente su quel materasso «Cosa…?»
TOC TOC!
Light non disse più niente e si zittì del tutto, senza neanche muovere un muscolo se non per respirare. Le mancava la voglia di vedere qualcuno e, anche se si fosse trattato di Kame – persona per cui chiaramente stravedeva – non avrebbe perso tempo a proferire un bene educato “Avanti”.
Attese dunque che quel visitatore se ne andasse, leggendo tra le righe ed intuendo il suo stato d’animo.
TOC TOC!
Alzò gli occhi al cielo e diede la schiena alla porta, ignorando tutto e tutti.
TOC TOC!
«Vattene, Andrea.» esclamò infine, senza però spostarsi di un millimetro.
Aveva sentito e riconosciuto i suoi passi per il corridoio ancora prima che lui si avvicinasse alla sua camera. Ad  una come lei difficilmente sfuggivano cose di questo genere.
Era o non era una degli originali?
«Sono venuto a vedere come state, padroncina.»
Rise a sentirgli dire questo. Sin dal primo istante le aveva fatto capire che gli importava poco della sua vita ed ora, come niente, se ne usciva con una simile affermazione?
Forse si stava semplicemente divertendo alle sue spalle.
«Non mi credete?»
«Esatto.»
«Beh, non ho nessun potere sulla vostra mente.»le rispose «Siete liberissima di credermi o meno. Io soquando sono sincero.»
La vampira strinse le manine sulle lenzuola sfatte, digrignando i denti: non le piaceva il modo di fare di quel giovane, così austero e palesemente ostile da non lasciarle alcuno scampo dalla consapevolezza di avergli distrutto l’esistenza. Lo odiava. Sia perché riusciva a farla sentire in colpa con un semplice sguardo sia perché, ovviamente, non le donava mai un sorriso.
Neanche uno.
“E pensare che sono i suoi sorrisi ad avermelo fatto piacere…” pensò, in tempo per sentire il familiare clack! della porta mentre veniva spalancata senza tanti complimenti.
Girandosi di scatto, alzata sui gomiti com’era, Light vide la figura di Andrea oltrepassare la soglia dell’entrata, richiudendosi l’uscio alle spalle. Fece qualche passo verso il suo letto, posizionato al centro della grande stanza nivea e colorata interamente di bianco, e solo quando fu a pochi metri da lei decise di fermarsi.
«…non mi pare d’averti detto d’entrare.» sibilò Light, riducendo gli occhi in due fessure.
L’altro scrollò le spalle.
«Il mio compito è di prendermi vostra cura. Da ieri non vi vedo girare per il maniero ed ho reputato fosse giusto dare un’occhiata.»
«Bene. L’hai data.»
Tornando a dargli le spalle si rannicchiò su se stessa e chiuse gli occhi, gonfiando infantilmente le guance.
«Sto benissimo, come puoi vedere.»
«Non vi nutrite da due giorni.»
«E allora?»
«Perderete le vostre forze, presto o tardi.»
E, di fatti, come ogni vampiro che si rispettasse, perfino lei cominciava a sentire ben chiara la fame. Proprio perché era così potente avrebbe dovuto sapersi trattenere meglio di altri, ma Light era diversa e anche questo era uno degli esempi che lo provava: se si sentiva scossa o agitata per un qualsiasi motivo, se la rabbia prendeva il sopravvento o la tristezza si impossessava di lei, bere del sangue diventava l’unica maniera che aveva per calmarsi. Era un po’ come il rapporto fra un drogato e la sua dose di cocaina. Poteva tentare in tutti i modi di non pensarci, di cercare di fare senza, ma quando finalmente cedeva e ci metteva le mani sopra si sentiva così bene che metà dell’angoscia svaniva anche a quel modo.
«…forza, venite con me.» disse Andrea, appropinquandosi al bordo del letto e piegandosi in avanti verso il suo corpo disteso «Vi accompagno a caccia.»
Fece per toccarla, di modo da aiutarla ad alzarsi, ma lei scacciò la sua mano in malo modo ringhiando quasi. Mettendosi seduta, si mise poi in ginocchio, guardandolo dritto negli occhi verdi e puntando il dito contro il suo petto, indignata.
«Non mi serve la tua pietà.»
Esordì con queste parole per quanto, a dire il vero, un po’ era felice di quell’improvviso interessamento da parte sua. Il fatto che stesse reagendo a quella maniera era dovuto alla dose massiccia di stress cui lui e gli altri due l’avevano sottoposta. Una come Light, infatti, non sopportava di buon grado d’essere messa di fronte ai propri errori così subdolamente.
«So badare a me stessa.»
«Ma davvero…?»
Corrugando la fronte, la ragazzina sgranò gli occhioni a sentire un simile tono.
Ancora la sfidava.
Ancora sembrava deciso a beffarsi di lei.
«Se sapete badare a voi stessa davvero non mi spiego la mia presenza qui.» continuò Andrea «Anzi, la nostra presenza qui. Perché non si parla solo di me, ci sono altre due persone che voi avete costretto a questa vita.»
Senza preavviso le afferrò la mano che gli aveva puntato contro e, stringendo la propria attorno a quell’esile polso, inclinò leggermente il capo da una parte mentre si avvicinava piano al viso di lei. Si fermò ad un respiro dalle sue labbra, prendendo a scrutarla con iridi che, ora, non erano più chiare e verdissime, bensì di un rosso innaturale ed inquietante.
«Ho capito che cosa vi è preso, e sono felice che vi sentiate triste. Arrabbiata.» aggiunse «Forse capirete i nostri sentimenti, adesso. Comprenderete la nostra frustrazione.»
Light avrebbe voluto staccarsi, ma prima ancora che ci provasse lui prese anche l’altro suo braccio e la costrinse là, vicina al suo corpo, pronta ad udire la ramanzina che le stava facendo.
«Donandomi questa vita eterna…vi siete condannata da sola. Non passerà giorno in cui non vi ricorderò, con il mio comportamento, l’odio profondo che provo nei vostri confronti.»
Il sorriso che fece apparì più come un ghigno. Un ghigno spaventoso e simile a quello di una bestia affamata.
Vendetta, sangue, desiderio… Non importava che andasse cercando, ciò che contava era che la piccola Light si sentiva spaesata e senza vie di scampo ad osservarlo. Andrea, come quel lontano giorno al suo arrivo al castello, la spaventava enormemente. Quando i suoi occhi si tingevano di quel colore diventava difficile guardarlo.
«Vi punirò in ogni modo possibile per ciò che mi avete fatto.»
Per un attimo avrebbe potuto giurare di sentirlo farsi ancora più vicino, intenzionato a fare chissà che cosa, ma quando invece lo vide allontanarsi e tornare verso l’uscita tirò un sospiro di sollievo e distese tutti i nervi. Con le mani si strinse nelle spalle ed abbassò lo sguardo, ancora tremante per via di quello che era appena accaduto.
Fra i due era lei a possedere più potere, più forza, ma allora come mai Andrea riusciva a ridurla in quello stato pietoso?
Erano forse le sue iridi prive di pietà a darle l’impressione di essere in gravissimo pericolo?
«Se non volete cacciare con me…» sussurrò, stringendo la mano sul pomello con una forza che non passò inosservata alla sua padrona «…chiamate uno degli altri. La prossima volta che tornerò da voi, esigo che vi siate nutrita.»
 
Alla fine era uscita dalla sua stanza, rigorosamente con indosso la veste leggera che usava per dormire, per mangiare, del tutto desiderosa di evitare che Andrea tornasse per sgridarla di nuovo.
Un po’ si sentiva sciocca nel temerlo, però al tempo stesso non riusciva ad evitarsi di farlo.
Se Simon l’avesse vista a prendere ordini da un suo subordinato come minimo sarebbe scoppiato a ridere o, addirittura, sarebbe arrivato a disconoscerla come sorella per una simile offesa al suo casato.
Poteva capirlo. Lei stessa sapeva di non avere avuto un minimo d’amor proprio quando aveva permesso a quel ragazzo di trattarla a quel modo. Anche se aveva avuto paura, anche se quello sguardo riusciva a bloccare ogni suo muscolo, Light non avrebbe mai dovuto lasciare che le venissero messi i piedi in testa. Insomma, andava bene essere ingenua e un poco toccata nella testa, ma questo andava ben oltre il limite.
Si mosse leggiadra ed elegante come suo solito, scendendo il grande scalone che portava al salone d’entrata, e quando fu a tanto così dall’aprire il portone sentì indistintamente l’odore del sangue penetrarle nelle narici. Come un segugio annusò l’aria, cercò di individuare la scia di quel profumino tanto invitante, e quando finalmente ci riuscì lo seguì senza troppi complimenti, addentrandosi nelle svariate stanze del castello di famiglia.
Camminò per alcuni minuti prima di arrivare a destinazione.
Inutile dire che, ciò che ebbe modo di vedere, la sorprese non poco.
Sgranò gli occhi marroni e chiuse la porta che aveva aperto con un tonfo, come a voler distrarre dal proprio intento un povero cavaliere sprovveduto che, per via della fame, non aveva saputo dire di no ad un piccolo spuntino.
Alberto stava stringendo fra le braccia una delle cameriere, osservando lei con sguardo colpevole e pieno di vergogna. Con difficoltà la lasciò andare, sistemandole addirittura la camicetta sbottonata prima di farla congedare.
«Non…non ti ho sentita arrivare…»
Light sorrise debolmente a sentirsi dare del tu.
Una delle cose che aveva notato era che tutti, a loro modo, si rivolgevano a lei in maniera differente. Chi le dava del tu, chi del voi, e chi – non facciamo nomi – la chiamava semplicemente “piccola viziata”.
Ovviamente, dietro ad ogni nomignolo stava una storia…ma non è ancora tempo per raccontarle.
«Sei il vampiro più sbadato che io abbia mai conosciuto, Alberto.» disse lei, lanciando appena appena un’occhiatina alla servetta che fuggiva barcollando, lasciandoli finalmente da soli «…e anche quello più affamato, oserei dire.»
Il giovane non rispose, si limitò a fissare il pavimento con le guance tutte rosse, colpito ed affondato da quella sua uscita: era ben vero, da quando lo aveva trasformato non aveva mai conosciuto pace se non nei brevi attimi in cui succhiava sangue dal collo di una vittima. Certo, era brutto da dire e già da solo si sentiva una bestia nell’essersi riscoperto tanto legato ad una simile, orribile, abitudine, ma non ci si poteva fare molto ora come ora.
Era un vampiro. Lo avrebbe dovuto accettare prima o poi.
«Sei sporco.»
Light gli si era avvicinata con una tale velocità che lui, nel vedersela arrivare di fronte così all’improvviso, indietreggiò di qualche passo finendo goffamente contro al muro della stanza. Adesso era anche più rosso di prima e, a vedere la mano tesa in alto della sua padroncina, cercò di capire da solo dove avesse intenzione di appoggiare quelle dita affusolate, magari per prevenire ogni contatto e pulirsi autonomamente.
«D-Dove…?» chiese, sentendola mentre ancora si faceva vicina, ridendo «Dove sono…sporco?»
«Qui.»
La vampirella posò il pollice all’angolo delle sue labbra, togliendo il rivolo di sangue che colava a bordo bocca con lentezza e pacata delicatezza. Piano, poi, ritrasse la manina e la portò sulle proprie labbra, leccando il dito con una tale sensualità che il povero Alberto dovette distogliere lo sguardo.
«Haha! La tua faccia è davvero divertente, Aberto!» esclamò lei, lasciandosi sfuggire quella dolce, dolcissima risata.
Lui tornò a guardarla e, ancora una volta, si domandò come una persona che all’apparenza sembrava tanto simpatica e carina potesse essere, in realtà, lo stesso mostro che gli aveva stroncato la vita per semplice capriccio. Ricordava ancora il giorno in cui la aveva conosciuta, le sensazioni che aveva provato nello starle accanto, il desiderio che aveva avuto di stringerla senza lasciarla più andare. Al tempo aveva creduto davvero che fosse una creatura innocente, indifesa contro il resto del mondo.
«A che pensi?»
Si riscosse, cercando di cancellare simili pensieri dalla sua mente.
Doveva odiarla, non tentare di capirla.
«…a niente.» rispose «Niente di importante.»
«Sicuro?»
«Sicuro.»
Annuendo, Light lo prese sotto braccio e lo costrinse – beh, era più forte di lui alla fine della fiera – a seguirla, stringendosi a lui neanche ne andasse della sua stessa vita. Le piaceva quel ragazzo, come del resto le piacevano tutti i suoi cavalieri, e come per ognuno di loro aveva qualcosa in particolare da amare più del resto. Nel suo caso, per quanto scontato, era il suo corpo. Alberto era alto, muscoloso, le dava l’impressione di poterla difendere da tutto e da tutti con la sua forza bruta e, al contempo, di saperla abbracciare con una dolcezza tanto infinita quanto dolorosa. Fosse stato per lei si sarebbe beata di quel genere di attenzione per la vita, però, purtroppo, non erano ancora abbastanza uniti per arrivare a chiedere tanto.
«Sai, non mangio da due giorni e quel prepotente di Andrea mi ha ordinato di andare a caccia…»
«…Andrea ti ha ordinato di…andare a caccia?»
«Sì.» annuì vigorosamente.
«…scusa ma non sei tu la nostra padrona?»
«Beh…sì.»
«E allora come mai ti fai comandare da l-»
«Lo so che è strano, non serve che me lo dici anche tu!» asserì Light, mettendo il muso come una bambina pur non essendo veramente arrabbiata con lui.
Alberto scoppiò a ridere a vederla, di gusto, e questo fece sì che lei si voltasse ed alzasse lo sguardo per poterlo osservare: stavolta toccò alle sue di gote diventare di un colore decisamente non naturale e, subito, si vide costretta a cercare un altro soggetto cui dare attenzione.
«Non…non ridere di me…» disse, in un sussurro, stringendo di più quel braccio a sé, come alla ricerca di un appoggio.
«Scusami, ma la tua faccia, assieme alla situazione, è alquanto…divertente, ecco.»
«…ti faccio divertire?»
«Molto.»
«…quindi non sei più arrabbiato con me, Alberto?»
Arrivati di fronte all’uscita che dava sul giardino principale, i due si fermarono, uno di fronte all’altra. Si scrutarono in silenzio per un paio di interminabili secondi, ognuno studiando le iridi scure e marroni dell’altro senza riuscire a mettere chiarezza nei propri pensieri. C’erano tante di quelle cose che potevano dirsi, posti dinanzi alla possibilità di spiegarsi, che adesso le parole apparivano quasi troppo complicate.
O, forse, apparivano semplicemente troppe.
Fu Light a farsi avanti, staccandosi da lui e portando le mani al petto.
«So che…tutti voi avete ogni diritto di detestarmi.» cominciò, sentendo subito le lacrime ad inumidirle gli occhi «Ma davvero io…io non ce la faccio più a sostenere questa situazione. Ho bisogno di voi. Un bisogno disperato.»
Stringendosi nelle spalle prese a singhiozzare, impaurita, indifesa, proprio come Alberto, la prima volta quando ancora era umano, la aveva vista.
«Non voglio stare da sola, non ora che i miei fratelli sono lontani e non hanno più tempo da spendere per me. Ho paura! Tanta, tanta paura! Voglio solo che stiate con me, Andrea, Emanuele e…e tu.»
Si portò le mani al viso e scacciò le lacrime, senza però ottenere molto successo. Quelle, infatti, continuavano a cadere, ribelli, ricordandole tutta la disperazione che aveva provato in quei mesi passati senza potersi sfogare con nessuno. La rabbia aveva tenuto quei tre così lontani che lei, alla fine, si era sentita come se stesse invocando aiuto a squarcia gola senza la possibilità di essere sentita da anima viva. Non ne poteva più, la cosa doveva finire. Almeno uno di loro doveva perdonarla!
Poteva anche fare finta, andava bene perché ciò che contava era non essere più lasciata in disparte.
Avrebbe accettato perfino delle menzogne, se accompagnate da un abbraccio.
«Avanti, smettila di piangere…»
Il ragazzo la avvicinò e la strinse forte, titubante a dire il vero – e oserei dire un peletto in imbarazzo – ma lo fece. Appoggiò il mento al suo capo, carezzandole i lunghi capelli ricci pieno di riguardo.
«Smettila, su.» la supplicò quasi, non sopportando di vederla in quelle condizioni «Va tutto bene. Io non…non credo di odiarti più.»
L’altra scosse il capo, piangendo più forte.
«Lo dici solo per farmi contenta!»
«N-No, no, sono sincero! Guarda.»
Le prese il volto fra le mani e lo attirò vicino al suo, per farle vedere il piccolo sorriso che era appena comparso.
«...hai visto?»
«S-Sì…ho visto.»
Ancora mezza piangendo, non smise di guardarlo neanche per un istante: fissò quel volto dimentica delle buone maniere e di tutto quanto il resto. Voleva imprimere nella memoria quella sua espressione, apposta per poterla ricordare nei momenti in cui, lo sapeva, non gliela avrebbe mostrata.
Senza accorgersene, gli accarezzò una guancia mentre studiava l’increspatura delle sue labbra, le quali ora stavano tremando leggermente per via del suo tocco.
«Grazie. Sei sempre stato gentile con me.»
«Pre-Pre-Prego…» balbettò lui, tutto preso nell’intento di allontanarsi da lei ma totalmente incapace di farlo.
«Ti ho scelto anche per questo, sai? Perché sei gentile.»
Qui, guardandolo nuovamente dritto negli occhi, ricambiò il sorriso donandogliene uno tanto stupendo quanto strappa cuore. Non c’è da stupirsi se, in un batter d’occhio, nel vederlo, Alberto decise di baciarla seduta stante.
Light si irrigidì tutta, sorpresa, i palmi aperti sul largo petto del vampiro mentre quest’ultimo, con le guance ancora una volta tinte di un tenue rosa scuro, trasformava un contatto tanto improvviso e casto in qualcosa di assai più passionale. La strinse ancora di più fra le braccia, facendo passare le mani dalle sue spalle esili ai fianchi, felice nel non trovare la minima resistenza da parte della compagna. Ben presto di fatti fu lei a gettargli le braccia al collo, ridendo fra un bacio e l’altro, appagata per quelle bene accette attenzioni.
Era bello…baciarlo.
Così bello che, possibilmente, non avrebbe mai smesso.
«Ok, ok…a-adesso io…io vado.»
Alberto si staccò e si grattò la testa, impacciato. Stava talmente tanto in imbarazzo che non riusciva neanche più a guardarla, poverino.
«Ho…delle cose da fare e…non mi pare il caso di perdere tempo così.»
Poi, allarmato, alzò le mani come a volersi discolpare.
«N-Non che consideri il baciarti una perdita di tempo o…o qualcosa di brutto!» lo urlò quasi, questo «Perché non è brutto! Anzi, è…è stato bellissimo…e le tue labbra erano tanto soffici e…e…E IO ADESSO DEVO PROPRIO ANDARE.»
Ovviamente lei rise a vederlo, lasciandolo andare nonostante si fosse dimenticata di chiedergli di accompagnarla a caccia. Dopo il bel regalo che le aveva fatto poteva anche cavarsela da sola, permettendogli di calmare i nervi e darsi di nuovo un contegno per quanto, a giudicare dallo stato in cui verteva, potesse apparire difficile.
 
Ovviamente, quando si usciva a quell’ora di sera e si possedevano le sue intenzioni, le vittime ideali non erano mai abbastanza e, anche ammesso che riuscisse a trovare qualcuno nelle condizioni ideali, questo o non era solo o non era di suo gusto.
Eh sì, perché come ogni signorina di buona famiglia che si rispettasse, Light aveva i suoi gusti e non apprezzava molto il doverli ignorare per qualcosa che riusciva benissimo a trattenere. La fame, infondo, non era ancora così pressante per lei da costringerla ad agguantare e mordere la prima ameba dalle sembianze umane che le si presentavano di fronte agli occhi.
Poteva resistere, andare avanti e cercare dell’altro.
E fu proprio grazie a questo suo chiodo fisso che, per fortuna, riuscì ad incappare in una coppietta di amanti.
Nascosta fra i cespugli, celata a loro con la sua solita innegabile maestria, li fissò per qualche istante, studiando ogni loro mossa. Ogni più piccolo respiro.
Seguì con lo sguardo le mani di lui, che piano si univano a quelle della giovane fra le sue braccia. Ascoltò rapita le frasi che si scambiavano, chiedendosi come tutto quell’amore, dopo un po’, non li stufasse. Osservò senza timore d’essere invadente le loro effusioni, sentendosi ora gelose ed ora intenerita.
Perfino a lei sarebbe piaciuto avere quel genere di rapporto con qualcuno. Non pretendeva che accadesse ora, all’istante, ma sperava che, un giorno, un ragazzo avrebbe trovato la sua persona interessante e non orribile. Quel ragazzo sarebbe apparso come in un sogno e la avrebbe sempre fatta sentire amata, ben voluta, richiamandola sulle cose che sbagliava ma conservando pur sempre una parola carina.
Sognava questo come ogni altra ragazza della sua età – per modo di dire, sempre –.
«Cosa fai, adesso mi diventi pure guardona
Light sospirò ed abbassò, rassegnata, lo sguardo a terra.
Non le serviva neanche girarsi, per capire chi o che cosa le aveva riferito simili parole poco gentili. Quando si trattava di prenderla in giro o di insultarla, solo due persone, fra quelle che conosceva e che le stavano attorno, affioravano alla sua mente: la prima era Simon, ma essendo lui in un altro continente lo aveva scartato subito, e la seconda…
«Emanuele, io non sono una guardona, sto solo aspettando il momento giusto per attaccare.»
Anche senza guardarlo sapeva che la stava fissando con occhi pieni di scherno. Di certo non lo avrebbe convinto di qualcosa che lui non credeva possibile e, anche se ci avesse provato, alla fine lui avrebbe continuato a pensare ciò che voleva. In un modo o nell’altro, era sempre Emanuele ad avercela vinta.
«Chissà come mai sono convinto che le tue siano solo scuse, principessina
Gli fece il verso, mettendosi seduta a gambe incrociate e prendendo a guardarlo dal basso.
«Oh, certo, perché secondo te io passo il mio tempo a spiare tizi che neanche conosco mentre si sbaciucchiano.»
«Probabile, sì.»
«E quale sarebbe il motivo che mi spinge a tanto?»
Lui si chinò di scatto e, sorridendo a modo suo, scrollò un attimo le spalle.
«Non lo so…magari sei invidiosa. Oppure curiosa.» disse, prendendole il mento con una mano «Sì, la curiosità è una buona scusa. Hai voglia di sperimentare, eh?»
«…forse.»
«Accidenti, mi chiedo con chi arriveresti a tanto.»
Si sporse in avanti e lo colse alla sprovvista, divertendosi come sempre a dargli quegli inconcludenti baci stampo che, al posto di soddisfare qualcuno, lo rendevano ancora più affamato d’attenzione da parte della persona amata. Emanuele rimase interdetto per un secondo, anche se non abbastanza da darle molta soddisfazione.
«Magari con te.»
Sorridendogli, fece tanto d’alzarsi in piedi che già era arrivata alle spalle dei due innamorati. Veloce come un fulmine attaccò prima l’uomo, il quale non aveva neanche fatto in tempo a vederla che già si era ritrovato con i suoi canini ben conficcati nel collo. Lo prosciugò dopo qualche minuto, i quali erano passati tutti con il sottofondo delle urla della sua sfortunata consorte. Lei, come ovvio, fu la seconda a morire. Light, dopo aver gettato a terra la carcassa di quello che aveva appena ucciso, afferrò il suo volto senza farsi tanti complimenti, inclinando da un lato la testa e sussurrando un infastidito “Non è molto educato fare tutto questo chiasso quando qualcuno sta mangiando, le pare?” prima di nutrirsi anche del suo sangue. Questa emise un ultimo gemito strozzato prima di afflosciarsi malamente sulla figura candida e minuta della vampira.
Terminato il pasto, controllò di non aver sbavature e poi, noncurante, si mise seduta sulla stessa panchina occupata da quei due solo qualche attimo prima che arrivasse lei, nella sua furia omicida.
Sospirò.
«Temo che tu sia figlia del Demonio o di qualcosa di molto simile.»
Emanuele uscì dal nascondiglio e, mani in tasca, giocò con un braccio della giovane usando la punta del piede prima di tornare e dedicare a lei la sua attenzione.
«Insomma, dire cose del genere ad una persona che stai per uccidere come a volerla far sentire in colpa…non è tanto normale, sai?»
«Bla bla bla…» dondolò la testa mentre lo diceva, muovendo la mano come fosse la bocca del suo cavaliere «…continuo a sentire domande inutili, provenire da te. Possibile che tu non capisca quando una persona non ha voglia di essere interrogata senza motivo? Sei davvero insopportabile.»
«Abbiamo idee ben diverse su chi, fra di noi, è insopportabile.»
«Oh beh, tanto scommetto che non tarderai a rendermi partecipe dei tuoi pensieri quindi…fai pure.»
Il suo gesto sembrò invitarlo a proseguire e lui, ghignando appena, lo raccolse subito.
«Naaa, sono mesi che continuo a dire le stesse cose, ormai le saprai a memoria.»
«In quest’ordine i punti chiave dei tuoi discorsi sono: disappunto, rabbia, tentativo di farmi sentire in colpa, rabbia, odio nei miei confronti, di nuovo rabbia e…» si portò l’indice sulla guancia, facendo finta di pensarci su «…e poi concludi in bellezza sbattendo le porte di casa.»
«E io che pensavo che tu non mi ascoltassi…»
«Ci sono tante cose che dai per scontate.»
«Del tipo?»
Aprì la bocca per rispondere, ma lì per lì non riuscì a proferire parola: aveva un sacco di cose da dire, eppure non poteva lasciarsele sfuggire, un po’ perché tanto lui non la avrebbe capito ed un po’ perché era sicura di non avere abbastanza tempo a disposizione per elencarle tutte. Avrebbe per esempio potuto fargli notare che, un cuore, lo aveva anche lei. Magari funzionava a giorni alterni e forse era un poco inaridito, però c’era, e anche il suo sapeva soffrire. Tutte le volte che lo sgridava, che la riempiva di velati insulti, era quello a sanguinare, non certo il suo orgoglio – che comunque, ricordiamolo, era bello smisurato –. Oppure gli avrebbe potuto dire che, al loro primo incontro, non aveva mentito neanche una volta. Era stata sincera, era stata se stessa, e anche se lui ora credeva il contrario non aveva agito in quel modo con il preciso intento di ferirlo.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua, padroncina
Ah, perfino quella parola, se detta da Emanuele, appariva come una presa in giro.
«Qualcosa del genere.»
«Peccato. Morivo dalla voglia di scoprire cosa avessi da dirmi.»
Light distolse lo sguardo e portò le ginocchia al petto, dondolandosi un poco sulla panchina in legno. Era stufa di giocare a chi ribatteva prima. Stufa di quei punzecchiamenti continui. Improvvisamente aveva voglia di chiudersi nuovamente in camera sua.
«Mi occupo io dei cadaveri.» disse l’altro, strappandola alle sue solitarie congetture «Tu torna al castello. Non mi va che tu te ne stia fuori da sola.»
Ridendo, gli trotterellò incontro e lo abbracciò da dietro, appoggiando il volto alla sua schiena ed unendo le mani di fronte al suo petto. Non capitava spesso che le dicesse cose di quel tipo ma, per Dio, quando succedeva si sentiva felice. Si era appena preoccupato per lei!
«Sei in pensiero?»
«…qualcuno potrebbe capire cosa sei e chiamare chi di dovere.»
«E tu non vuoi che succeda perché…?»
«…perché voglio essere io ad avere l’onore di ficcarti un paletto nel petto.»
La ragazzina strinse di più la presa su di lui e, rabbuiandosi, si morse un labbro.
Doveva sempre, sempre rovinare tutto.
«Sono figlio di un Cacciatore e tu…mi hai fatto questo.» continuò «Solo io, fra tutti, merito di farlo.»
Divincolandosi riuscì a liberarsi, ma invece di andarsene con i corpi in spalla, senza più dire nulla, si voltò verso di lei e la costrinse a guardarlo dritto in faccia. Non c’era la solita rabbia, in quelle iridi grigie, bensì tanta disperazione. Lo vide combattuto, per la prima volta da che lo conosceva…incapace di capirsi per davvero.
Forse era confuso.
«Mi odi?» gli domandò, senza attendere oltre.
Per lungo tempo era stata certa di ottenere una risposta positiva a quella questione in particolare, ma ora le pareva che qualcosa fosse cambiato.
«Non più per gli stessi motivi di un tempo.»
«E per quali, allora?»
Emanuele abbassò la mano su una ciocca dei suoi capelli e, portandola alle labbra, la baciò delicatamente. Le sorrise tristemente, poi, stringendole il cuore in una morsa crudele.
«Ti odio perché ti amo.»
Ad una simile rivelazione, Light non poté proprio evitarsi di lasciarsi percorrere da una fastidiosissima scarica elettrica. Non lo aveva assoggettato, né aveva posto qualche condizione affinché le dicesse quella cosa in particolare…ma allora come mai, quel “ti amo”, gli era uscito dalle labbra?
«La sera in cui ci siamo conosciuti…è iniziato tutto quel giorno, a quella festa in maschera. Eri diversa dalle altre, spensierata e bellissima.» la strinse a sé, baciandola senza preavviso «E io sapevo che portavi guai…ma ti ho desiderata lo stesso.»
«Quindi…tutto questo tempo passato a dirmi quelle cose cattive…»
Le diede un altro bacio e poi, riavviandosi i capelli, sospirò.
«Io mi devo pur difendere, Light.»
Non tentò di fermarlo quando, stavolta per davvero, lui se ne andò.
Gli permise di prendersi i cadaveri e di allontanarsi perché, anche se terribilmente viziata e testona, perfino una come lei riusciva a capire quanto coraggio aveva dovuto impiegare per ammettere non solo alla diretta interessata, ma perfino a se stesso, di provare qualcosa proprio per colei che lo aveva trasformato nel peggiore dei suoi incubi.
 




La voce dell'Autrice: ...A dirla tutta non ricordo bene cosa volessi dire, qui. Ho scritto questo capitolo talmente tanto tempo fa - dimenticandomi di postarlo - che tutti i bei commenti che mi ero ripromessa di inserire a fine storia sono stati bellamente dimenticati. C'est la vie.
Credo siano evidenti le solite dinamiche da shojou-harem di cui credo di aver parlato il capitolo precedente. Tutti, nessuno escluso, stanno cominciano a sentirsi legati ed attratti, loro malgrado, da Light. C'è chi lo dimostra bene, nel modo consono, e chi invece sta partendo per la tangente in un modo tutto suo.
Alla prossima!
  
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