Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Trick    24/11/2012    7 recensioni
«Ecco perché mi servi. Se tuo fratello dovesse vincere questa guerra, ho bisogno che tu convinca la lady tua madre a non tagliarmi la testa».
«Mia madre non vi taglierebbe mai la testa».
La risata di Ditocorto risuonò quasi liberatoria.
«Oh, mia cara... permettimi di dissentire. Tua madre non vede l'ora di tagliarmi la testa».

|Pre-SansaxPetyr|
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Petyr Baelish, Sansa Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Partiamo dal presupposto che non ci sono spoiler dei libri successivi alla seconda stagione di Game of Thrones, ma – io vi ho avvisato – avendoli io letti (fino a "Il Dominio della Regina", perlomeno, quindi niente spoiler degli ultimi libri o vi strozzo con candore) c'è il rischio che qualche elemento del libro si sia inavvertitamente intrecciato con il telefilm.
Quindi, ricapitoliamo: non possiedo alcun diritto su questa storia, tutti i diritti vanno all'accoppiata George R.R. Martin e HBO e questa storia si riferisce alla sola serie televisiva.

*

Alle mie maledette Muse,
che mi hanno convinto ad appassionarmi a questa straordinaria storia.


I grandi re non si schiacciano fra le dita

Talvolta gli capitava di rimanere immobile davanti alla ricca specchiera impreziosita di zaffiri per diversi minuti. Aveva fatto allestire sontuose stanze private in ognuno dei bordelli di sua proprietà, ma in nessuna di loro aveva permesso che la luce delle finestre illuminasse direttamente gli specchi. Eppure sapeva che il segno della lama di Brandon Stark sarebbe stato evidente anche nella penombra della sera.
Attraversava il suo petto pallido e magro dal fianco al costato, creando un'orrenda increspatura diagonale di pelle mal cicatrizzata. Ditocorto ne sfiorò la linea con il polpastrello dell'indice. C'erano occasioni in cui quasi gli pareva di sentirla bruciare sotto il suo tocco, come se la spada di Brandon Stark fosse ancora piantata nella sua carne insieme all'umiliazione e alla sconfitta che ne erano derivate. Ma non era così. Brandon Stark era morto, e mentre tutto la roccaforte di Delta delle Acque aveva già dato il piccolo Petyr Baelish per spacciato, quello era sopravvissuto. Ditocorto aveva sempre ammirato l'ironia del destino.
E ora anche Eddard Stark era morto, commettendo proprio l'errore che Ditocorto aveva supposto avrebbe commesso fin dal suo arrivo ad Approdo del Re. "Non fidarti di nessuno" gli aveva consigliato. "Non dovresti fidarti nemmeno di me". Ma il lord di Grande Inverno si era dimostrato un uomo di immensa tempra morale quanto di ristrette vedute, e se solo Ditocorto avesse avuto l'occasione di scommettere con Renly Baratheon sull'esito del Primo Cavaliere, i suoi forzieri si sarebbero notevolmente appesantiti.
La decisione di re Joffrey di riservare a Eddard Stark una condanna capitale gli era giunta del tutto inaspettata. Era raro che qualcosa lo cogliesse di sorpresa, eppure la sua morte non era mai rientrata nei piani. Ne fu stupito perfino Varys, e Ditocorto avrebbe baciato le mani del suo nobile e sciocco sovrano solo per ringraziarlo della meravigliosa vista del volto grassoccio e incipriato dell'eunuco contorcersi per lo sgomento. Lui era stato decisamente più abile a camuffare la sorpresa – lui era sempre più abile a camuffare ogni altra cosa.
Terminò di vestirsi con solerzia e fece preparare il proprio cavallo. Non aveva mai amato cavalcare, ma ancora di meno amava l'idea che avrebbe potuto farsi il popolino nel vedere un uomo del re girare con una carrozza talmente costosa da poter sfamare l'intera città per un'intera settimana.
Stava per raggiungere la sala del trono quando la voce flautata e ingannevole di Varys lo colpì alle spalle.
«Giungi a salvare la giovane lady in pericolo, mio caro amico?».
Ditocorto si fermò in mezzo al corridoio, ruotò appena la testa verso di lui e gli rivolse il più affettato dei sorrisi.
«E chi, se non lei?».
Varys scivolò al suo fianco con uno svolazzare di sete variopinte e un pungente odore dolciastro.
«Mi riferivo a una giovane lady del nord dagli occhi azzurri».
«Ed io a una meravigliosa puttana chiamata economia, Varys. Non ha gli occhi azzurri, ma dovresti vedere con quale abilità usa la lingua... oh, perdonami» aggiunse irriverente. «Dimentico sempre che non possiedi gli attributi».
Le sottili labbra di Varys si storsero in un sogghigno divertito.
«Continuate a dedicare un po' troppa attenzione a ciò che celo in mezzo alle gambe».
«O piuttosto a ciò che non celi. Tu che dici?».
«Dico che vi state mettendo in una sgradevole posizione».
Si bloccò di nuovo. Sentì la presa delle proprie dita sulle rigide copertine dei libri contabili farsi più forte. Il suo volto rivelò comunque nulla più di una maschera di lieve confusione.
«Quale posizione è più sgradevole del far quadrare i conti degli sperperi del nostro amato e trapassato re Robert?».
«Complottare con la figlia di un traditore del regno potrebbe essere una di loro, ad esempio. A sua maestà Joffrey non è certo sfuggita l'attenzione che hai dedicato a Sansa Stark dal giorno dell'esecuzione di suo padre».
"Vorrai dire che non è sfuggita alla regina sua madre" pensò Ditocorto con ferocia. «È solo una bambina che ha dovuto assistere alla decapitazione di suo padre. Sarò anche un maestro del conio venale e un proprietario di bordelli privo di scrupoli morali, Varys, ma questo non significa che non abbia un cuore».
«Non è il tuo cuore che viene messo in discussione, ma le tue intenzioni».
«Le mie intenzioni sono al servizio di sua maestà. Se è vera la voce che il giovane Robb Stark sta armando un esercito pronto a proclamarlo "re del Nord" e marciare dietro di lui alla volta di Approdo del Re...» mosse vagamente la mano con aria disinteressata. «Credo potrebbe essere un considerevole vantaggio poter mostrare loro che qualche membro del Concilio si è prodigato nell'alleggerire il triste peso del lutto dal petto acerbo della sua amatissima sorella».
La vaga risatina di Varys risuonò fra le mura del tutto priva di allegria.
«Un condono nel caso in cui re Joffrey e la Casa Lannister dovessero perdere una guerra che ancora non è iniziata... devo proprio ammetterlo, amico mio: tu sei sempre un passo avanti a tutti noi».
«Al contrario. Non mi sognerei mai di volgere la schiena a una folla tanto numerosa e assettata di sangue».

*

Il filo per il ricamo giaceva abbandonato sul tavolo. Sansa tentava di distrarsi da giorni, ma le mani continuavano a tremare e l'ago non faceva che scivolarle fra le dita. Non aveva trovato altra soluzione se non restarsene completamente immobile alla sedia che tante volte aveva condiviso con septa Mordane, a fissare senza realmente vedere l'andirivieni di gente nei cortili interni della Fortezza Rossa.
I ricordi della morte di suo padre erano avvolti da una nube di vaga incertezza. Ricordava di essere stata serena fino a quando non aveva capito. E con la comprensione di cosa stava per accadere a Eddard Stark sembrava che un pugnale avesse stracciato il velo che ricopriva i suoi occhi.
Non avrebbe mai potuto dimenticare l'inesorabile vista del corpo mozzato di suo padre scivolare in terra, mentre il sangue ancora zampillava frenetico laddove prima vi era il suo capo. Era lì, con il viso ricoperto di lacrime, urlante e disperata, e non se ne era nemmeno accorta.
Le serve della regina Cersei le avevano detto che lo shock era stato talmente insostenibile da farle perdere i sensi pochi istanti dopo l'esecuzione. In un primo momento, quando il dolore aveva appena iniziato a straziarle le viscere, si era chiesta per quale motivo gli antichi dèi non le avessero concesso di perdere anche la memoria. Ma poi aveva capito anche quello.
Rigida davanti alla testa mozzata del lord suo padre e allo sciocco sogghigno vittorioso di Joffrey, aveva capito. Come aveva potuto essere tanto stupida e cieca? Come aveva potuto vedere un principe nascosto sotto le ricche vesti di sua maestà Joffrey Baratheon? Non era un leone, non lo era mai stato... era un verme con i riccioli dorati, gli occhi languidi e viscidi.
Non era il suo re.
"Il mio unico re è Robb" si ripeteva spesso. Le sue labbra articolavano parole ben differenti, ma il suo cuore era totalmente cambiato. Si sentiva vuota, fredda, tradita dai propri sciocchi sogni. Era giunta ad Approdo del Re sull'onda di una canzone di cavalieri e principi che non era mai esistita. Non avrebbe commesso ancora lo stesso errore.
"Robb vincerà" pensò per l'ennesima volta. "Joffrey può colpirmi finché gli compiace, ma un giorno avrò la sua orrenda testa riccioluta stretta fra le mani".
La porta si aprì. Una delle due guardie a cui Cersei Lannister aveva ordinato di controllare ogni movimento di Sansa fece la sua apparizione sull'uscio.
«Lord Baelish chiede di avere udienza con voi, mia signora».
La gabbia nella quale era finita era indubbiamente una bellissima gabbia dorata. Gli uomini del re e della regina erano sempre educati e cortesi – quando non era Joffrey a ordinare loro di agire in maniera differente, perlomeno – e il timore di ritrovarsi in una delle celle sotterranee o fra le mani di ser Ilyn Payne era svanito non appena aveva scoperto che Arya era svanita.
"È riuscita a fuggire. Déi, fate che sia riuscita a fuggire".
Lei era l'unico ostacolo che ancora impediva a Robb di distruggere Approdo del Re e fin quando fossero riusciti a tenerla bloccata fra quelle mura di pietra, suo fratello non avrebbe mosso il più debole dei suoi alfieri.
«Sarò lieta di vederlo».
Non era ancora riuscita a capire che genere di uomo fosse Petyr Baelish. Era l'unico membro del Concilio a farle visita di tanto in tanto – c'erano giorni in cui si intratteneva più a lungo dello stesso Joffrey – ed era solito ordinare alle ancelle di portar loro del buon vino dolce di Arbor. Sansa non aveva idea di come avesse fatto Ditocorto a scoprire quale fosse il suo vino preferito.
Di principio, aveva trovato le sue chiacchiere particolarmente stancanti. Sembrava che Ditocorto non avesse intenzione né di parlarle di cosa stesse accadendo per i Sette Regni né di cosa fosse accaduto a sua sorella. I suoi discorsi giravano attorno a sciocchi pettegolezzi di corte che alle orecchie di Sansa suonavano vuoti e distanti, ma talvolta le sue battute di spirito riuscivano a strapparle un mezzo sorriso. Con il trascorrere delle giornata, la sua compagnia era inspiegabilmente diventata piacevole.
Ditocorto fu preceduto da una giovane servetta dagli occhi slavati che reggeva fra le mani un piccolo vassoio di legno. C'erano formaggi chiari, pane tostato e una ciotola ricca di lamponi e frutti di bosco.
«Un uccellino mi ha detto che ieri non avete toccato cibo, mia Lady» disse Ditocorto con un sorriso gentile. Attese che la serve si fosse richiusa la porta alle spalle e aggiunse: «Sei molto pallida, Sansa. Mangia qualcosa».
Sansa prese fra le dita una delle bacche più rosse e la contemplò distrattamente per qualche istante. La pressione fra i suoi polpastrelli si fece sempre più forte, fin quando il frutto non si schiacciò. Il succo le scivolò lungo il palmo della mano, scendendo in una piccola goccia sanguigna fino al polso pallido. Ditocorto si accomodò con compostezza accanto a lei, senza dire nulla. Rimase a fissarla con morbosa intensità. Le sua labbra erano arricciate in un sorriso, ma i suoi occhi grigio-verdi sembravano freddi e distanti.
«I grandi re non si schiacciano fra le dita, mia cara».
«Joffrey non è un grande re» disse senza riflettere, afferrando un tovagliolo candido e ripulendo lentamente la mano. «E questo era solo un lampone».
«E vostro fratello non era che un giovane del Nord, eppure sulla sua testa è stata posta una pesante corona».
Sansa s'immobilizzò. I suoi grandi occhi azzurri guardarono Ditocorto con espressione disorientata. Per la prima volta, Lord Baelish parlava con lei di qualcosa esterno alla frivola quotidianità della Fortezza Rossa. Voleva parlare di Robb, di suo fratello, della più grande e incombente minaccia al Trono di Spade... con lei.
«Non vedo mio fratello da quando ho lasciato Grande Inverno in compagnia del lord mio padre e di mia sorella minore» rispose con gelida educazione, inclinando appena il capo. «Robb è un traditore quanto lo era mio padre. Sua maestà Joffrey avrà la sua testa».
Ditocorto si coprì la bocca con il dorso della mano destra, ma a Sansa non sfuggì il suo inopportuno sorriso divertito. Si avvicinò lentamente a lei, talmente vicino che quasi poteva sentire il suo fiato sul collo. Le scostò un ciuffo rosso dall'orecchio. Il suo sussurro fu appena udibile, ma ogni parola sembrava scandita da pesante sarcasmo.
«O tu avrai la sua?».

*

Aveva gli occhi azzurri, la pelle candida e i soffici capelli ramati dei Tully, eppure quando le aveva rivolto parola per la prima volta era stato costretto a soffocare in gola la spiacevole delusione provocata alla vista di quella ragazzina. Era sciocca e frivola, e l'unica cosa che sembrava aver ereditato da Catelyn era la sua bellezza... una virtù di per sé vuota. Alla sua età, gli occhi di Catelyn brillavano di vivace sagacità.
Ma poi l'aveva vista.
Ilyn Payne aveva appena sollevato la testa di Eddard Stark e la piccola Sansa non faceva che dimenarsi fra le braccia del Mastino, con il bel viso contorto dal dolore e gli strilli acuto che le si strozzavano in gola. Era stata questione di un secondo. Ditocorto aveva appena voltato la testa verso di lei con estrema leggerezza, ma ciò che aveva veduto nei suoi occhi lo aveva tremendamente stupito.
Per un solo secondo di cui nessuno eccetto lui sembrava aver serbato ricordo, nel suo sguardo da innocente uccellino si era accesa una luce ben diversa. I meravigliosi occhi azzurri che Sansa aveva ereditato dai Tully si erano riempiti dell'orgoglio e della freddezza del Nord. Per un istante, gli occhi con cui aveva guardato Re Joffrey Baratheon erano stati quelli di una Stark.
Gli occhi di un lupo affamato.
In quella ragazzina dalle ciglia lunghe c'era molto più di quanto Cersei non credesse; probabilmente c'era più di quanto tutti gli Stark non avessero mai creduto. Ma Ditocorto l'aveva vista, aveva visto il suo sguardo ferino, e aveva avvertito un brivido di insana paura nel vedere gli occhi di Sansa – gli occhi di Cat, per gli déi – colmarsi di una tale furia. Gli era bastato quel secondo per comprendere cosa celasse la natura fragile e ingenua della fanciulla.
Mentre il sangue ancora zampillava dal corpo mozzato di Lord Eddard Stark e l'agitazione della folla copriva ogni suono, Ditocorto non era riuscito a camuffare il proprio sbigottimento.
"Così incredibilmente diversa da Cat" si era detto, "...così tremendamente più bella di lei".
Quando aveva incontrato per la prima volta Margaery Tyrell, ne era stato incantato nello stesso modo. Era bella e ambiziosa quanto la rosa del suo stendardo. La sua dichiarazione d'amore al viscido Joffrey era stata lodevole – e se Ditocorto fosse stato uno qualunque della corte, di certo avrebbe creduto ad ognuna delle sue moine.
Aveva immaginato che Margaery avrebbe avanzato le sue proposte di nozze floreali ai piedi del proprio re, ma aveva sottovalutato l'orgoglio dei Lannister. Con Approdo del Re in profonda guerra con il Nord e con Stannis Baratheon apparentemente sconfitto, Sansa Stark era ancora un bottino prezioso. Se Robb Stark fosse caduto in battaglia – cosa che certamente ogni leone sperava con avidità – Grande Inverno sarebbe finito fra le candide mani della giovane ragazza. L'alleanza con i Tyrell non era forte quanto si sarebbe potuto credere, ma ancor più forte sarebbe stata la presa dei Lannister sul Nord, se quello stupido Joffrey avesse sposato Sansa.
Non credeva che Cersei sarebbe stata così sciocca da rifiutare l'incredibile valore di Sansa. Rifiutare lei come promessa sposa di Joffrey significava rifiutare la conquista dello stesso Nord.
"Cersei è convinta di poter assediare il Nord con le spade dei Tyrell..." aveva sogghignato nell'ombra. "Se solo avesse fatto più attenzione ai consigli di Ned Stark, avrebbe capito che l'inverno sta davvero arrivando. E il Nord non si piegherà mai a una regina del Sud".
Le guardie avevano smesso di presidiare giorno e notte le stanze di Sansa. Ditocorto sapeva che c'erano occhi a tutte le pareti e le mille orecchie di Varys erano sicuramente appostate ovunque, ma non per lui. Varys non era mai stato un nemico alla sua altezza.
Le serve di Sansa erano già rientrate nei rispettivi alloggi. La giovane aveva già indossato una leggera sottoveste da notte di un pallido verde, con l'orlo delle maniche arricchito con pizzo di Myr. Era una tonalità che faceva risplendere i suoi capelli rossi. Ditocorto non poté non notare con quanta rapidità il corpo di Sansa si stessa trasformando in quello di una donna meravigliosa. Nel vederlo varcare la soglia, Sansa si affrettò a prendere uno lungo scialle di seta celeste e ad avvolgerselo attorno alle spalle e al seno.
Se la sua intenzione era quella di apparire più signorile e meno nuda, aveva fallito. Ma con il trascorrere del tempo si era abituata a vederlo comparire nelle sue stanze perfino nelle ore serali, e l'imbarazzo iniziale era svanito in fretta.
«Continuo a credere sia pericoloso che continuiate a venire da me a quest'ora tarda» gli ripeté Sansa per la centesima volta. «Qualcuno potrebbe scoprirci».
«E cosa mai dovrebbero scoprire, mia cara?» ridacchiò lui, avvicinandosi al tavolino e riempiendo due calici d'argento di vino di Arbor. «Ho forse attentato alla tua virtù senza essermene accorto? Quale peccato, avrei preferito serbarne un ricordo più vivido».
Le gote di Sansa si tinsero di un'adorabile sfumatura rossa e lui non riuscì a trattenere un lieve sogghigno.
"Non hai idea di quanto vorrei fosse vero, mia cara".

*

«Non vi è che sincerità in me» riprese Ditocorto, porgendole il vino con fare accattivante. «Tu sei la sorella di Robb Stark, l'acclamato "re del Nord". Ora che la minaccia rappresentata da Stannis Baratheon è svanita, credo che Lord Tywin Lannister possa sperare in una lesta vittoria sul tuo ribelle fratello. Ma se così non fosse?».
Sansa scosse confusa la testa.
«Se così non fosse...?».
«Se così non fosse, molte teste di Approdo del Re rischierebbero di perdere il proprio collo. E suppongo sia inutile sottolineare che fra le teste in questione, potrebbe esserci anche la mia». Diticorto si sfiorò eloquentemente la gola. «Ecco perché mi servi. Se tuo fratello dovesse vincere questa guerra, ho bisogno che tu convinca la lady tua madre a non tagliarmi la testa».
«Mia madre non vi taglierebbe mai la testa».
La risata di Ditocorto risuonò quasi liberatoria.
«Oh, mia cara... permettimi di dissentire: tua madre non vede l'ora di tagliarmi la testa».
Sansa aprì la bocca per dire qualcosa, ma lui le posò un dito sulle labbra e le fece un rapido cenno di diniego con la testa. Si chinò sulla sua spalla fin quando non fu a pochi centimetri dal suo orecchio. La giovane sollevò una mano e si strinse allo scialle, ma sapeva che lo avrebbe lasciato scivolare in terra, se solo lui glielo avesse chiesto.
Non riusciva a capire cosa le stesse accadendo. Ditocorto non era nemmeno lontanamente riconducibile ai cavalieri dorati che un tempo avevano arricchito i suoi sogni di bambina. Aveva quasi vent'anni in più di lei e i capelli sulle tempie avevano già iniziato a ingrigire. Quando le sussurrava all'orecchio, sentiva i brividi correrle giù per la schiena, eppure non era ancora riuscita a capire se ne fosse infastidita o attratta.
"Ti riporterò a casa, Sansa" le bisbigliava ad ogni congedo. "Per l'amore che ho nutrito per tua madre, ti riporterò a casa".
Lei non sapeva se fidarsi o meno di lui, ma non vedeva altra scelta: non c'era nessun altro di cui potesse fidarsi. E il modo in cui le assicurava che sarebbe tornata a casa, che lui l'avrebbe riportata a Lady Stark in qualunque circostanza... talvolta si sentiva tremare.
Lui era tutto ciò che lei non avrebbe mai nemmeno immaginato.
«Vuoi la verità?» le sussurrò in un orecchio. Le sue dita iniziarono a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli rosso. «La verità è che tu sei destinata ad essere molto più di ciò che credi, Sansa... molto più di ciò che è tua madre. Molto più di ciò che né Cersei Lannister né Margaery Tyrell potranno mai essere». Le labbra di Ditocorto le sfioravano il collo, la sua sottile barbetta le solleticava piacevolmente la pelle. «La verità, mia cara, è che sei destinata ad essere la più grande delle regine».
«Non sarò io a sposare Joffrey...» contestò lei in un filo di voce.
«Joffrey non è mai stato un grande re».
Il sorriso di Ditocorto ricordava il malevolo sogghigno di una volpe. Le accarezzò la gola e rimase immobile con l'indice sotto il mento di Sansa. Nei suoi occhi c'era una luce di raggelante avidità, ma per l'ennesima volta, lei non fu in grado di dire nulla. Le sue mani risalirono lungo il petto dell'uomo senza che lei ne avesse sul serio intenzione. D'un tratto non fu più in grado di sostenere il suo sguardo. Si ritrovò a contemplare la sua spilla d'argento.
"È un tordo beffeggiatore" le aveva spiegato una volta. "Inganna i propri predatori con il suono della loro stessa voce".
«Davvero mi riporterete a casa?».
Le labbra di Ditocorto si appoggiarono alla sua fronte.
«Molto meglio. Io ti renderò una regina che nessuno potrà mai schiacciare».
Alla penombra delle candele, il timido sorriso di Sansa avrebbe potuto essere facilmente confuso con lo stesso avido sogghigno dell'uomo che la stava abbracciando.
   
 
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