I pensieri di Carlisle sembrano essere appena collegati fra loro, passando da un'analisi estetica di se stesso fino ad una più intima.
E' un percorso in cui le mani sono simbolo dell'esteriorità mentre Edward funge da tramite con l'anima.
Le frasi in obliquo sono pensieri di Carlisle.
Alle
volte, come oggi, mi sdraio nel letto e chiudendo gli
occhi con fare umano ripenso alla mia vita.
E’
fatta di pelli lisce, marmoree come le statue rinascimentali,
tempestate di diamanti al sole, scheggiate per amore.
E’
fatta di lievi tocchi per
non ferire nessuno, per non sciupare i
fiori appena raccolti; di decise carezze per
scaldare corpi gelidi le cui
anime, ovunque siano, hanno sete di
compassione.
Poi
riapro gli occhi e sollevando le braccia verso l’alto mi
guardo le mani.
Le
dita lunghe, con le quali bloccai i miei amati prima di
morderli, mi sembrano ragnatele e non vedo il confine preciso tra il
mio essere
ragno e il mio essere mosca in trappola.
Ho
ancora le braccia alzate quando Edward si affaccia in
camera; ha sentito i miei pensieri, appoggia la testa allo stipite
della porta
e dopo qualche secondo si
volta a
guardarmi.
Vorrebbe
dire qualcosa, è palese, ma non sa bene cosa; alla
fine si decide:
“Carlisle,
le tue mani hanno salvato tante vite umane”.
In
silenzio abbasso le braccia e mi metto seduto. I piedi
nudi aderiscono al parquet.
Non è questo a cui
pensavo.
“Non
hai mai fatto del male a nessuno” continua lui.
Un
mezzo sorriso amaro si stampa sul mio viso chino a terra,
mentre nella mia testa è ancora viva l’immagine
del dolore di
Edward durante la trasformazione.
Lui
vede la mia sofferenza. “Mi ricordo
le tue mani” dice con un filo di voce.
Non
ho la forza di parlare, ma i pensieri vanno da soli.
Anche io. Ti tenevo la
faccia voltata per morderti meglio e
la
spingevo di lato, assicurandomi che non potessi emettere alcun grido.
Lui
prende fiato, pur non avendone bisogno, e gli sento
dire qualcosa che non mi sarei mai
aspettato.
“No.
Ricordo le tue mani che stringevano con
affetto le mie, mi accarezzavano i
capelli, mi sorreggevano la testa e poi … dopo tanti anni mi
riaccoglievano
con gioia sincera”.
Mi
volto a guardarlo, per un attimo abbassa lo sguardo.
Mi
vergogno di me stesso mentre spiego: “Oh, Edward! Erano
le mani di un vampiro egoista che non voleva più vivere da
solo …”, ma lui non
mi lascia finire.
“Erano
le mani di un ragazzo che ha saputo essere umano in
un secolo in cui c’erano tante bestie fra gli uomini quanto
fra le altre razze,
le mani di un uomo che ha saputo essere uomo fra gli uomini e uomo fra
i
vampiri”.
Quelle
parole mi colpiscono profondamente, lui non mi
vede come un vampiro ma come un uomo.
Eppure anche io sono
un vampiro.
“Ma
non c’è nessun male nel tuo essere vampiro”.
Edward
è irremovibile, come lo sono anche io. La discussione
avrà un seguito, forse fra un giorno, fra un anno o fra
dieci anni. Mi sollevo
in piedi sfregandomi le mani sul viso, ancora una volta le osservo e i
miei
occhi cadono sull’anello con lo stemma dei Cullen.
Sempre rimarrà in me
il dubbio di aver creato la mia famiglia per egoismo e non per amore,
non per
un istinto umano ma per un bisogno vampiresco.
“Uomo
o vampiro?” chiede Edward e senza aspettare si dà
la
risposta da solo: “Se vuoi sapere chi sei non guardarti le
mani, ma il viso”.
La
mia testa si gira verso lo specchio che Esme mi ha
regalato 30 anni fa: la mia pelle è liscia, marmorea e i
miei occhi sono di una
luminosa tonalità ambrata che racchiude la mia essenza
più intima lasciando
irrisolti i miei dubbi.