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Autore: LaUrA43587    26/11/2012    2 recensioni
Questa fiction è il seguito della storia "Innamorata Di Una Stella"... Non pensavo di farne un seguito, e invece eccolo qua. Ania e Jennifer ora sono felici, hanno una nuova vita e due figlie meravigliose. Ma delle vecchie ombre del passato torneranno a fare loro visita, tormentandole e strappando loro una delle cose più importanti
"Ti prego non farle del male, è piccola, ha bisogno della sua mamma!"
"Questa è la mia vendetta"
"RIDAMMI MIA FIGLIA!"
Può il male lasciarsi abbindolare dall'amore?
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo Personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Urla

 

Undici anni di carriera.

Undici anni passati a fare concerti, suonare, cantare davanti a un numero indefinito di persone, eppure ogni volta che ciò accedeva poteva chiaramente avvertire il cuore battere all’impazzata. L’adrenalina salire ad ogni passo, quei riflettori che continuavano a far schiarire la sua immagine seguendo anche il più piccolo dei suoi movimenti.

Pronuncia il testo di quella melodia, ancora una volta. Non si stancherà mai di cantarla, non lo stuferà mai ballare.

Ma…Stavolta c’è qualcosa di diverso. Non capisce, non riesce a capacitarsi del perche adesso il cuore sembra aver perso un battito, sembra esser rallentato, come se qualcosa gli fosse stato brutalmente strappato dal petto.

C’è qualcosa che manca, qualcosa di diverso…

Ha una brutta sensazione, non riesce a scacciare via il pensiero che stia succedendo qualcosa di brutto.

Wueee

Wueee

I suoi movimenti s’interrompono improvvisamente, smette di ballare e fissa un punto indefinito del luogo: vede centinaia di persone che lo fissano sorpresi, alcuni sono addirittura stupefatti, mentre altri lo incitano a continuare.

Gli altri membri della band continuano a ballare, cercano di sorridere sperando che il maknae si riprenda, ma quest’ultimo non sembra essere intenzionato a muoversi.

Aveva sentito il pianto di una bambina, della sua bambina rimbombare nella mente e quel suono diveniva via via più forte. Non udiva più musica, solo quel continuo piangere che non si sapeva spiegare finche quel suono non divenne così potente da obbligare Taemin ad andarsi a tappare entrambe le orecchie con le mani, inginocchiandosi a terra.

Fu allora che la musica s’interruppe del tutto e Minho fu il primo ad inginocchiarsi accanto al minore, dandogli una lieve pacca sulla spalla per farlo riprendere.

Dal dietro le quinte apparvero innumerevoli medici, tutti pronti ad aiutare i cantanti in casi di urgenza.

Ma nessun dottore sarebbe stato in grado di guarire quella ferita

Nessuna cura contro la sofferenza

Quel continuo piagnisteo non si decideva a scomparire, Taemin non riusciva a trovare la forza per rialzarsi. Aveva troppa paura, non ce la faceva…

< Taemin, cos’hai!? > chiese il leader accucciandosi davanti al biondo, cercando di fargli alzare lo sguardo, provando a rimuovere quelle mani dalle sue orecchie.

< F-falla smettere, ti prego… > sussurrò, ma a causa del microfono ancora avvolto attorno alla sua nuca, tutti i presenti riuscirono ad udire le sue parole.

< Chi!? Taemin, che stai dicendo? > domandò ancora Onew.

< FALLA SMETTERE DI PIANGERE! > urlò ed allora Minho lo prese in braccio portandolo dietro le quinte. Voleva farlo calmare, voleva capire cosa stesse succedendo e per la prima volta durante la loro carriera, gli SHINee lasciarono un concerto in sospeso con chissà quanti fans a bocca asciutta.

_

Era dietro la scrivania da due ore ormai. Stava mettendo apposto le cartelle cliniche di ogni singolo paziente, analizzando attentamente ogni caso capitatole durante gli ultimi mesi.

Ma.. le mani avevano preso a tremare. Non sapeva cosa le stesse accadendo, non riusciva neanche ad aprire un cassetto senza fare una fatica fuori dal normale.

Proprio quando si stava alzando per andarsi a prendere un caffè, la porta del suo ufficio si aprì con forza facendola sobbalzare. Un uomo alto, dai capelli bruni e gli occhi scuri si era presentato nella stanza, così senza neanche bussare o chiedere il permesso. Non era per nulla normale visto e considerato il fatto che in un luogo come quello era importante l’educazione nei confronti degli altri colleghi, ma l’uomo appariva impallidito, aveva il fiatone e guardava Ania quasi terrorizzato.

< Victor, che succede? Devi bussare, sai?  > disse lei alzandosi e cercando di calmarsi portandosi una mano al petto. Non era stata la comparsa improvvisa dell’uomo a farla spaventare, c’era qualcos’altro che Ania non riusciva a definire.

< Signorina Lee, c’è stato un incidente durante il concerto di suo marito. > pronunciò Victor tutto d’un fiato. A quel punto la mora spalancò gli occhi in maniera anormale e corse verso il collega che era rimasto immobile davanti alla porta.

< Che cazzo stai dicendo!? > gli urlò contro afferrando intanto il telecomando di quella televisione che prima usava solo in casi rari, magari per aggiornarsi sulla violenza nella quotidianità, o guardando video per il lavoro. Stavolta non ci pensò due volte prima di andare sul canale delle news delle star e… lo vide, suo marito inginocchiato a terra, con entrambe le mani a coprirsi le orecchie.

Lo guardò per innumerevoli secondi, mentre gli occhi si appannavano a causa delle lacrime che si stavano facendo spazio sul suo viso. Non sapeva cosa gli fosse accaduto, ma era cosciente del fatto che si trattava di qualcosa di grave. Se lo sentiva.

< Ad un tratto ha smesso di ballare… e poi ha urlato… > non ci fu il bisogno per Victor di dire cos’avesse urlato, poiché fu la televisione stessa a continuare il suo discorso

FALLA SMETTERE DI PIANGERE!

Non occorse ascoltare i pareri dei giornalisti.

Ania corse fuori dal suo ufficio, fuori dall’edificio mentre piangeva e non ne sapeva neanche la ragione.

Per la prima volta in vita sua, le gambe si stavano muovendo senza avere il consenso del cervello, era il cuore a guidarla, a portarla dov’era giusto stare in quel momento.

Quelle scarpe coi tacchi rendevano difficile correre, perciò se le tolse senza neanche pensarci, senza neanche ricordare che erano state un regalo di compleanno da parte di Jennifer, adesso tutto sembrava essere irrilevante.

Arrivò fino ai parcheggi, sotto la pioggia.

Entrò in macchina e subito il cellulare prese a squillare, lo impugnò e lesse sul display il nome di Jennifer, della sua migliore amica, ma non rispose. Di solito non la chiamava sul lavoro, a meno che non ci fosse stata un’emergenza e Ania sapeva che c’era qualcosa che non andava.

Mise in moto la macchina e partì a tutta velocità verso la villa. Sarebbe stato meglio forse se si fosse diretta nel luogo in cui gli SHINee avevano fatto il concerto, ma qualcosa in lei la spinse a tornare in casa, aveva capito che era meglio.

Con la mano ancora tremante cercava di comporre il numero di Onew, portandosi poi il cellulare all’orecchio, ma il leader non rispose, continuava a lasciarlo squillare..

< Porca puttana, Onew! Rispondi, ti prego! > urlò tirando un forte pugno al volante.

Guidava a tutta velocità e non le importava di prendersi una multa, non aveva il timore dei carabinieri. Voleva solo arrivare il prima possibile.

Lanciò il cellulare nei sedili posteriori della macchina quando si rese conto che nessuno dei cinque le avrebbe risposto.

Quando arrivò, parcheggiò malamente la macchina, non richiuse neanche la portiera e si precipitò davanti alla porta d’ingresso, mentre del frattempo cercava le chiavi. Quando vide che la porta però era già aperta potè chiaramente sentire i battiti del suo cuore accelerare e per diversi istanti rimase lì, impalata davanti alla porta.

Quando un barlume di buonsenso tornò in lei, si decise ad entrare in casa iniziando subito a guardarsi intorno: la casa era completamente disordinata. Per terra vi erano fogli, soprammobili, sedie, la televisione, niente si trovava più al suo posto.

< ISABEL! > urlò svuotando completamente i polmoni e correndo al piano di sopra dove notò che anche lì la situazione era la stessa.

Chiunque fosse entrato in quella casa non aveva avuto il minimo tatto, non si era per nulla risparmiato. Aveva gettato all’aria qualunque cosa.

< MISAKI! Dove sei!? > gridò correndo verso la cameretta della bambina, ma non trovò nessuno. Ancora un casino infernale trionfava anche in quella stanza.

E pianse ancora quando corse verso l’ultima stanza che voleva controllare. Le lacrime si posavano imperterrite sul pavimento sotto i suoi piedi scalzi.

Aprì con forza la porta della camera di Serena, la guardò e la trovò vuota. Si, come il suo cuore in quel momento, come la sua anima che sembrava essere volata via, altrove.

Le gambe che non avevano più la forza di sorreggerla, perche il peso di tutta quella sofferenza era troppo eccessivo. Non ce la poteva fare.

< SERENA! > gridò tra le lacrime. Ormai aveva capito cos’era successo.

Restò inginocchiata per terra a piangere per cinque minuti, finche non potè chiaramente avvertire il suono di passi salire le scale. Fu allora che si alzò in piedi e cautamente si avvicinò verso la direzione del suono. La camminata silenziosa divenne presto corsa e si parò davanti a due figure che però riconobbe immediatamente: uno era Lee Soo Man, l’uomo che aveva reso possibile la creazione degli SHINee, mentre l’altra era Misaki e… stava piangendo anche lei, ma appena vide Ania le corse incontro, abbracciandola.

< Zia, Ania! > disse avvinghiandosi alle sue gambe, con le lacrime agli occhi.

< Signorina Lee, che è successo qui? > domandò l’uomo guardandosi intorno.

< P-Perche Misaki era con lei!? > gli stava urlando contro, non l’aveva mai fatto, non con una persona così importante < Dov’è mia figlia!? > insistette senza abbassare un minimo la voce.

< Signorina, ho trovato Misaki per strada… Non so dove sia sua figlia… > rispose l’uomo un po’ titubante.

La bambina stava per dire qualcosa quando all’improvviso il telefono di casa squillò. Ania corse a rispondere e si sorprese nel riascoltare una voce che pensava di aver dimenticato da tempo.

< Hai visto che è successo? > era una voce cupa, ma conteneva al suo interno una nota di insopportabile ilarità.

< N-non dirmi che tu… > da quanto tempo era che non parlava in italiano al telefono? Davvero molti anni, ma avrebbe di gran lunga preferito non farlo mai più piuttosto che avere un’altra conversazione con lui.

< E’ inutile che cerchi tua figlia. Ma non ti preoccupare, è qui con me… Non le torcerò neanche un capello, a meno che tu non faccia tutto quello che ti dico.

Sei in mio potere >

 

Note dell’autrice: scusate l’immenso ritardo. Spero che aumentiate a seguire questa ficcy, altrimenti credo proprio che la eliminerò, anche se mi dispiace perche ci tengo davvero tanto.

Grazie mille comunque alle poche che la leggono.

Un bacione!

  
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