Urla
Undici anni di carriera.
Undici anni passati a fare
concerti, suonare, cantare davanti a un numero indefinito di persone,
eppure
ogni volta che ciò accedeva poteva chiaramente avvertire il
cuore battere all’impazzata.
L’adrenalina salire ad ogni passo, quei riflettori che
continuavano a far
schiarire la sua immagine seguendo anche il più piccolo dei
suoi movimenti.
Pronuncia il testo di
quella melodia, ancora una volta. Non si stancherà mai di
cantarla, non lo
stuferà mai ballare.
Ma…Stavolta
c’è qualcosa
di diverso. Non capisce, non riesce a capacitarsi del perche adesso il
cuore
sembra aver perso un battito, sembra esser rallentato, come se qualcosa
gli
fosse stato brutalmente strappato dal petto.
C’è
qualcosa che manca,
qualcosa di diverso…
Ha una brutta sensazione,
non riesce a scacciare via il pensiero che stia succedendo qualcosa di
brutto.
Wueee
Wueee
I suoi movimenti
s’interrompono
improvvisamente, smette di ballare e fissa un punto indefinito del
luogo: vede
centinaia di persone che lo fissano sorpresi, alcuni sono addirittura
stupefatti, mentre altri lo incitano a continuare.
Gli altri membri della
band continuano a ballare, cercano di sorridere sperando che il maknae
si
riprenda, ma quest’ultimo non sembra essere intenzionato a
muoversi.
Aveva sentito il pianto di
una bambina, della sua bambina
rimbombare nella mente e quel suono diveniva via via più
forte. Non udiva più
musica, solo quel continuo piangere che non si sapeva spiegare finche
quel
suono non divenne così potente da obbligare Taemin ad
andarsi a tappare
entrambe le orecchie con le mani, inginocchiandosi a terra.
Fu allora che la musica
s’interruppe
del tutto e Minho fu il primo ad inginocchiarsi accanto al minore,
dandogli una
lieve pacca sulla spalla per farlo riprendere.
Dal dietro le quinte
apparvero innumerevoli medici, tutti pronti ad aiutare i cantanti in
casi di
urgenza.
Ma nessun dottore sarebbe
stato in
grado di guarire quella ferita
Nessuna cura contro la
sofferenza
Quel continuo piagnisteo
non si decideva a scomparire, Taemin non riusciva a trovare la forza
per
rialzarsi. Aveva troppa paura, non ce la faceva…
< Taemin,
cos’hai!?
> chiese il leader accucciandosi davanti al biondo, cercando di
fargli
alzare lo sguardo, provando a rimuovere quelle mani dalle sue orecchie.
< F-falla smettere, ti
prego… > sussurrò, ma a causa del
microfono ancora avvolto attorno alla sua
nuca, tutti i presenti riuscirono ad udire le sue parole.
< Chi!? Taemin, che
stai dicendo? > domandò ancora Onew.
< FALLA SMETTERE DI
PIANGERE! > urlò ed allora Minho lo prese in braccio
portandolo dietro le
quinte. Voleva farlo calmare, voleva capire cosa stesse succedendo e
per la
prima volta durante la loro carriera, gli SHINee lasciarono un concerto
in
sospeso con chissà quanti fans a bocca asciutta.
_
Era dietro la scrivania da
due ore ormai. Stava mettendo apposto le cartelle cliniche di ogni
singolo
paziente, analizzando attentamente ogni caso capitatole durante gli
ultimi
mesi.
Ma.. le mani avevano preso
a tremare. Non sapeva cosa le stesse accadendo, non riusciva neanche ad
aprire
un cassetto senza fare una fatica fuori dal normale.
Proprio quando si stava
alzando per andarsi a prendere un caffè, la porta del suo
ufficio si aprì con
forza facendola sobbalzare. Un uomo alto, dai capelli bruni e gli occhi
scuri
si era presentato nella stanza, così senza neanche bussare o
chiedere il
permesso. Non era per nulla normale visto e considerato il fatto che in
un
luogo come quello era importante l’educazione nei confronti
degli altri
colleghi, ma l’uomo appariva impallidito, aveva il fiatone e
guardava Ania quasi
terrorizzato.
< Victor, che succede?
Devi bussare, sai? >
disse lei
alzandosi e cercando di calmarsi portandosi una mano al petto. Non era
stata la
comparsa improvvisa dell’uomo a farla spaventare,
c’era qualcos’altro che Ania
non riusciva a definire.
< Signorina Lee,
c’è
stato un incidente durante il concerto di suo marito. >
pronunciò Victor
tutto d’un fiato. A quel punto la mora spalancò
gli occhi in maniera anormale e
corse verso il collega che era rimasto immobile davanti alla porta.
< Che cazzo stai
dicendo!? > gli urlò contro afferrando intanto il
telecomando di quella
televisione che prima usava solo in casi rari, magari per aggiornarsi
sulla
violenza nella quotidianità, o guardando video per il
lavoro. Stavolta non ci
pensò due volte prima di andare sul canale delle news delle
star e… lo vide,
suo marito inginocchiato a terra, con entrambe le mani a coprirsi le
orecchie.
Lo guardò per
innumerevoli
secondi, mentre gli occhi si appannavano a causa delle lacrime che si
stavano
facendo spazio sul suo viso. Non sapeva cosa gli fosse accaduto, ma era
cosciente del fatto che si trattava di qualcosa di grave. Se lo
sentiva.
< Ad un tratto ha
smesso di ballare… e poi ha urlato… > non
ci fu il bisogno per Victor di
dire cos’avesse urlato, poiché fu la televisione
stessa a continuare il suo
discorso
FALLA SMETTERE DI PIANGERE!
Non occorse ascoltare i
pareri dei giornalisti.
Ania corse fuori dal suo
ufficio, fuori dall’edificio mentre piangeva e non ne sapeva
neanche la
ragione.
Per la prima volta in vita
sua, le gambe si stavano muovendo senza avere il consenso del cervello,
era il
cuore a guidarla, a portarla dov’era giusto stare in quel
momento.
Quelle scarpe coi tacchi
rendevano difficile correre, perciò se le tolse senza
neanche pensarci, senza
neanche ricordare che erano state un regalo di compleanno da parte di
Jennifer,
adesso tutto sembrava essere irrilevante.
Arrivò fino ai
parcheggi,
sotto la pioggia.
Entrò in macchina e
subito
il cellulare prese a squillare, lo impugnò e lesse sul
display il nome di
Jennifer, della sua migliore amica, ma non rispose. Di solito non la
chiamava
sul lavoro, a meno che non ci fosse stata un’emergenza e Ania
sapeva che c’era
qualcosa che non andava.
Mise in moto la macchina e
partì a tutta velocità verso la villa. Sarebbe
stato meglio forse se si fosse
diretta nel luogo in cui gli SHINee avevano fatto il concerto, ma
qualcosa in
lei la spinse a tornare in casa, aveva capito che era meglio.
Con la mano ancora
tremante cercava di comporre il numero di Onew, portandosi poi il
cellulare all’orecchio,
ma il leader non rispose, continuava a lasciarlo squillare..
< Porca puttana, Onew!
Rispondi, ti prego! > urlò tirando un forte pugno al
volante.
Guidava a tutta
velocità e
non le importava di prendersi una multa, non aveva il timore dei
carabinieri.
Voleva solo arrivare il prima possibile.
Lanciò il cellulare
nei
sedili posteriori della macchina quando si rese conto che nessuno dei
cinque le
avrebbe risposto.
Quando arrivò,
parcheggiò malamente
la macchina, non richiuse neanche la portiera e si precipitò
davanti alla porta
d’ingresso, mentre del frattempo cercava le chiavi. Quando
vide che la porta
però era già aperta potè chiaramente
sentire i battiti del suo cuore accelerare
e per diversi istanti rimase lì, impalata davanti alla
porta.
Quando un barlume di
buonsenso tornò in lei, si decise ad entrare in casa
iniziando subito a
guardarsi intorno: la casa era completamente disordinata. Per terra vi
erano
fogli, soprammobili, sedie, la televisione, niente si trovava
più al suo posto.
< ISABEL! >
urlò
svuotando completamente i polmoni e correndo al piano di sopra dove
notò che
anche lì la situazione era la stessa.
Chiunque fosse entrato in
quella casa non aveva avuto il minimo tatto, non si era per nulla
risparmiato.
Aveva gettato all’aria qualunque cosa.
< MISAKI! Dove sei!?
>
gridò correndo verso la cameretta della bambina, ma non
trovò nessuno. Ancora
un casino infernale trionfava anche in quella stanza.
E pianse ancora quando
corse verso l’ultima stanza che voleva controllare. Le
lacrime si posavano
imperterrite sul pavimento sotto i suoi piedi scalzi.
Aprì con forza la
porta della
camera di Serena, la guardò e la trovò vuota.
Si, come il suo cuore in quel
momento, come la sua anima che sembrava essere volata via, altrove.
Le gambe che non avevano
più la forza di sorreggerla, perche il peso di tutta quella
sofferenza era
troppo eccessivo. Non ce la poteva fare.
< SERENA! >
gridò tra
le lacrime. Ormai aveva capito cos’era successo.
Restò inginocchiata
per
terra a piangere per cinque minuti, finche non potè
chiaramente avvertire il
suono di passi salire le scale. Fu allora che si alzò in
piedi e cautamente si
avvicinò verso la direzione del suono. La camminata
silenziosa divenne presto
corsa e si parò davanti a due figure che però
riconobbe immediatamente: uno era
Lee Soo Man, l’uomo che aveva reso possibile la creazione
degli SHINee, mentre
l’altra era Misaki e… stava piangendo anche lei,
ma appena vide Ania le corse
incontro, abbracciandola.
< Zia, Ania! >
disse
avvinghiandosi alle sue gambe, con le lacrime agli occhi.
< Signorina Lee, che
è
successo qui? > domandò l’uomo guardandosi
intorno.
< P-Perche Misaki era
con lei!? > gli stava urlando contro, non l’aveva mai
fatto, non con una
persona così importante < Dov’è
mia figlia!? > insistette senza abbassare
un minimo la voce.
< Signorina, ho trovato
Misaki per strada… Non so dove sia sua figlia…
> rispose l’uomo un po’
titubante.
La bambina stava per dire
qualcosa quando all’improvviso il telefono di casa
squillò. Ania corse a
rispondere e si sorprese nel riascoltare una voce che pensava di aver
dimenticato da tempo.
< Hai visto che
è
successo? > era una voce cupa, ma conteneva al suo interno una
nota di insopportabile
ilarità.
< N-non dirmi che
tu…
> da quanto tempo era che non parlava in italiano al telefono?
Davvero molti
anni, ma avrebbe di gran lunga preferito non farlo mai più
piuttosto che avere
un’altra conversazione con lui.
< E’ inutile
che cerchi
tua figlia. Ma non ti preoccupare, è qui con me…
Non le torcerò neanche un
capello, a meno che tu non faccia tutto quello che ti dico.
Sei
in mio potere >
Note dell’autrice: scusate l’immenso ritardo. Spero che aumentiate a seguire questa ficcy, altrimenti credo proprio che la eliminerò, anche se mi dispiace perche ci tengo davvero tanto.
Grazie mille comunque alle poche che la leggono.
Un bacione!