Unforgivable Sinner
– Imperdonabile Peccatore
(§°Deidre°§)
Kinda lose your sense of time
'Cause the days don't matter no more
All the feelings that you hide
Gonna tear you up inside
You hope she knows you tried
Follows you around all day
And you wake up soaking wet
'Cause between this world and eternity
There is a face you hope to see
You know where you've sent her
You sure know where you are
You're trying to ease off
But you know you won't get far
And now she's up there
Sings like an angel
But you can't hear those words
And now she's up there
Sings like an angel
Unforgivable Sinner
You've been walking around in tears
No answers are there to get
You won't ever be the same
Someone cries and you're to blame
Struggling with a fight inside
Sorrow you'll defeat
The picture you see it won't disappear
Not unpleasant dreams or her voice you hear
You know where you've sent her
You sure know where you are
You're trying to ease off
But you know you won't get far
And now she's up there
Sings like an angel
But you can't hear those words
And now she's up there
Sings like an angel
Unforgivable Sinner
Maybe one time lost
But now you're found
Stand right up before
You hit the ground
Maybe one time lost
But now you're found
Stand right up before
You hit the ground - hit the ground
You know where you've sent her
You sure know where you are
You're trying to ease off
But you know you won't get far
And now she's up there
Sings like an angel
But you can't hear those words
And now she's up there
Sings like an angel
Unforgivable Sinner
(Lene
Marlin- Unforgivable Sinner)
(nota:
la traduzione la potrete trovare nell’ultimo capitolo)
CAPITOLO
PRIMO:
“Imperdonabile
Peccatore”
(§°Deidre°§)
Sprofondò nel sedile
posteriore appena riconobbe il paesaggio, in totale panico.
Come se fin’ora
non si fosse reso conto di ciò che stava succedendo.
Erano passati
vent’anni da quel giorno di metà settembre in cui aveva abbandonato il suo
cuore per lasciare che il suo amore vivesse una vita normale.
Per vent’anni la
tentazione di tornare da lei, la sua Bella, era stata forte, a tratti
insopportabile.
Ma si era
trattenuto. Aveva resistito nella sua folle convinzione che per lei sarebbe stato
meglio così.
Ma alla fine,
quando i suoi famigliari glielo avevano proposto, aveva ceduto alla tentazione
di rivederla almeno per un’ultima volta.
Non sarebbero
tornati a Forks ufficialmente, nessuno avrebbe saputo
del loro ritorno, non era concepibile. Come avrebbero spiegato a quei fragili
umani il fatto che non erano cambiati di una virgola?
La scusa per
quel ritorno in incognito era il semplice fatto di dover tornare a prendere le
loro cose, prima di trasferirsi altrove.
Era tempo di
tornare a vivere stabilmente in un’altra piccola cittadina dimenticata da
tutti, su al nord.
Anche se per lui
la parola vivere sembrava così ironica.
-Tutto bene?
Esme si voltò a
guardarlo dal sedile anteriore.
-Si, bene.
Si allungò tra i
sedili dove erano seduti i suoi genitori e alzò il volume della musica poi si
risedette e ricominciò a guardare fuori dal finestrino.
Nessuno dei due
insistette. Avevano da tempo perso le speranze di ritrovare l’Edward di un
tempo.
Ma la cosa era
stata irritante anche per lui.
Si, forse per i
suoi familiari vederlo impassibile, non sentirlo più parlare, suonare, non
vederlo più sorridere era stato difficile.
Ma da parte sua
sentire tutti i loro pensieri preoccupati all’inizio, poi frustrati e irritati col
passare del tempo era stato peggio.
Con gli anni,
però, ci avevano fatto tutti l’abitudine. O almeno per lui era così.
Non gli
importava più nulla di ciò che pensavano di lui, niente aveva più importanza.
Carlisle sbattè la portiera della macchina e si accorse che erano
arrivati.
Smontò. Dietro
di loro si fermò la macchina con il resto dei suoi fratelli.
Li ignorò e si
guardò attorno.
La casa era come
la ricordava ed anche la foresta. Impaziente aspettò che Carlisle
aprisse la porta e si fiondò nella sua camera.
Lo stereo, i cd,
il divano, era tutto come l’aveva lasciato. Con la coda dell’occhio gli parve
di rivederla immersa negli scaffali con la sua collezione di cd.
-In che ordine gli hai sistemati?
Scrollò le
spalle e tornò alla realtà.
Chissà com’era diventata.
Se si era
sposata.
Se era felice.
Sorrise
amaramente tra se e se. Non sapeva nemmeno se viveva ancora a Forks.
Forse era
tornata dalla madre in sua assenza.
O forse,
sussurrò una vocina nella sua mente, era andata a vivere con suo marito.
Ma perché questo
pensiero lo infastidiva?
Non era stato
forse lui a lasciarla? Non le aveva forse detto di dimenticarlo?
-Posso?
Preso com’era
dai suoi pensieri non aveva nemmeno sentito bussare.
-Entra, Alice.
-Mmm, non hai
nemmeno cominciato a preparare la tua roba.- Si
sedette di fianco a lui.
-Non ci metterò
molto.
-Tranquillo,
rimarremo qui un paio di giorni. Dobbiamo prima decidere dove ci trasferiremo,
organizzare tutto.
-Cos’è, l’avete
fatto a posta?- La mia voce risultò più amara di ciò che avrei voluto. In
fondo, loro mi volevano bene.
-Esattamente- ribattè Alice ostinata. La guardai stupito, poi ridacchiai,
mio malgrado.
-Sei sempre la
solita.
Il sorriso svanì
dalle sue labbra. –Tu no.
Mi voltai
dall’altra parte.
-Sei venuta solo
per curiosare?-Tornai a guardarla, la mia maschera imperturbabile mi ricopriva
di nuovo il viso.
-In verità noi
andiamo a fare una partita. Arriva un temporale ed è da secoli che non
giochiamo. Così sono venuta a prenderti.
-No, grazie. Non
credo che…
-Ora basta!
Edward Cullen smettila di pensare solo a te stesso! Esme è distrutta, Carlisle anche
peggio. Con molta probabilità tra qualche ora la vedrai e ti metterai il cuore
in pace. Tutto questo l’hai deciso tu, ma è tempo che ti prenda le tue
responsabilità. Ed ora muoviti, gli altri sono già partiti.
La vidi alzarsi
e tenere aperta la porta. Non lo dimostravo, ma le sue parole mi avevano
colpito. Senza dire una parola, la seguii.
Quando arrivammo
allo spiazzo Emmett mi lanciò uno sguardo sorpreso,
mentre Esme sorrise di gioia.
Presi posto
velocemente, imbarazzato. Non me ne ero accorto, davvero avevo provocato loro
tanto dolore?
Non osai alzare
lo sguardo su Carlisle, in quel momento mi vergognavo
troppo.
Il cielo tuonò e
la partita ebbe inizio.
Forse non lo
volevo ammettere, ma un po’ cominciavo a divertirmi. Mi stupii di riuscire così
bene a fingere che tutto fosse tornato normale.
Cominciai a
prendere in giro Emmett e Jasper mi diede man forte.
Presto l’imbarazzo di tutti si sciolse e tornammo per qualche ora ad essere
spensierati come un tempo.
Eravamo pari,
quando Alice battè un fuoricampo sensazionale. Carlisle corse a recuperare la palla, ma a quel punto sia
io, fermo in seconda base, che Alice riuscimmo a completare il giro.
Carlisle tornò solo un
secondo dopo e sorrise rassegnato.
Fu in
quell’istante che la voce rotta di Esme raggiunse le
nostre orecchie.
-Oh Dio.
Corremmo tutti
verso di lei e in un secondo la raggiungemmo. Ma lei non badò a noi, il suo
sguardo era perso nella radura.
Lo seguii e
rimasi senza fiato.
A pochi passi
dalla foresta se ne stava lei, bella e giovane esattamente come la ricordavo.
Solo i capelli
sembravano un po’ più chiari, ma per il resto era identica, identica come nei
miei ricordi, come nei miei sogni.
Fu Emmett a dar voce ai miei pensieri, ai pensieri di tutta la
mia famiglia.
-Ma è
impossibile.