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Autore: PeterLinus    27/11/2012    0 recensioni
Credo nei momenti, quei momenti che rimbombano in testa, quelli che permangono, che la mente rivive milioni di volte, quegli attimi sono immagini vivide, credo nell'attesa, nell'agonia del dubbio, quando sei li con il telefono in mano indecisa se fare quella telefonata, senza fiato, quando quel qualcuno dall'altra parte della cornetta risponde...e poi?
Non è solo una storia, è un insieme di emozioni di ragazzi e ragazze che casualmente si incontrano, si conoscono, stringono amicizie, si innamorano. Ogni personaggio ha un ruolo ognuno è unico. e io mi sono permessa di leggere nella loro mente e scrivere tutto sulla pagina bianca. Perchè Marco, Francesca, Eleonora, Valentina, Alessandro, sono ragazzi che amano, come tutti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Amare, questione di un attimo.

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Premetto che avrei dovuto chiamare questa storia in un altro modo, frammenti forse, perché è così, sono piccoli frammenti che mi vengono da dentro proprio quando mi metto davanti allo schermo del pc e comincio a scrivere,

Non lasciatevi fuorviare però questa storia ha una sua trama: inizia e prosegue con un suo senso logico, sono i punti di vista che cambiano, le impressioni e le emozioni dei personaggi che variano continuamente, senza fermarsi mai, proprio come succede, nella realtà.

E così i punti di vista cambiano: terza persona, prima persona singolare, e una volta saremo nella testa di Francesca, un'altra in quella di Marco, e così via, separandoli con una linea continua

cercherò di far capire abbastanza rapidamente ogni volta qual'è il punto di vista dal quale sto raccontando perché mettendomi nei panni di un lettore so che questo in certi casi potrebbe risultare complicato.

Vi lascio alla lettura, spero recensiate

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Capitolo 0: Prologo

 

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Era sul treno Marco, i pensieri volavano fuori dal finestrino, avanti e indietro,
quasi volessero seguire i binari di quel percorso, tornavano indietro su quella spiaggia fino alla precisa immagine di lui seduto da solo a contemplare il mare, solo.

Andavano avanti, superavano incerti la stazione, salivano sul pullman, percorrevano le stradine del centro e quelle della periferia, entravano indiscreti dentro casa sua e nel suo letto.

Nei suoi pensieri Marco non era solo, c'era lei con lui.

Quella continuava ad essere la sua idea della perfezione, loro due, lei,

Francesca.

Nonostante fosse solo ormai da mesi, e non l'avesse più vista e sentita solo raramente,

nonostante lei l'avesse lasciato, tradito, ferito, mortificato,

nonostante tutto questo nella sua testa le immagini del paesino dove aveva passato gli ultimi 20 anni,  di casa e della sua cameretta erano indissolubilmente legate a Francesca.

Quel letto ad una piazza dove anche lui da solo stava stretto ma se era stretto a lei immensamente bene…

Tutto ciò che lo aspettava davanti a quel treno alla fine di quei maledetti binari.

Solo un nome che rimbombava, echeggiava, lo ossessionava, di continuo,

solo un nome, Francesca.

 

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Entrò, posò le chiavi sul mobile all'ingresso che era sempre stato troppo alto per i suoi gusti, si tolse il piumino che aveva comprato pochi giorni fa in un negozio al centro di Roma e che probabilmente aveva pagato più di quanto realmente valesse, e si distese sul letto, pensando che fosse nata stanca.

Pensò alle stranezze del caso, a quando hai tanti ragazzi che farebbero follie per te e un momento dopo non c'è nessuno fuori dalla tua porta, né nessuno a cui interessa come stai, che ti manda messaggini prima di addormentarti, che ti ripete che ti ama.

Tre ragazzi le avevano detto di amarla solo pochi mesi prima, perché allora era sola, adesso?

Aveva scelto quello sbagliato perché aveva quel dannato sorriso, ingenuamente pensò che qualcuno con un sorriso così non poteva che essere una persona meravigliosa.

E invece lui non contento di averle fatto chiudere una relazione di due anni se l'era spassata con lei per qualche mese e poi gli aveva confessato di non volere avere un rapporto stabile perché non era il tipo d'uomo da una "fidanzata" per volta .

ovviamente non usando queste testuali parole.

Ed ora distesa sul letto, dopo una giornata intera passata a far shopping ma soprattutto a prender freddo aveva bisogno del calore di sentirsi dire parole belle, così chiamo l'unica persona che non avrebbe mai dovuto chiamare, l'unica che non aveva parole belle da dire, non più.

Aspettò pazientemente la risposta sapendo che lui era il tipo da avere sempre il cellulare vicino e che non stava rispondendo perché non voleva rispondere.

Aspettò, riprovò e come succedeva sempre alla fine ottenne quello che voleva:

"Pronto"

"Ehm…ciao Marco"

"ciao"

"Com'è che non rispondevi?"

"Non lo so...Te com'è che chiami?"

Silenzio.

Non poteva di certo dirgli che aveva un estremo bisogno di essere consolata, rassicurata, amata.

No, non glielo poteva dire, soprattutto perché non voleva essere amata da lui.

"Dove sei?"

"In treno, sto tornando a casa"

"Dove sei andato di bello?"

"In spiaggia"

"Marco al mare ci si va d'estate, non a Novembre"

"Quindi?" Cominciava ad essere infastidito

"Quindi perché? Perché devi sempre capovolgere l'ordine delle cose? La gente va al mare a divertirsi, prende un po’ di sole, cose da mare insomma, te no, d'estate il mare manco lo tocchi! Ti chiesi di venire al mare due giorni con me tempo fa e sembrava ti volessi torturare! "

"E io son venuto per stare con te non di certo per prendere il sole, sai che lo odio.
Devo sempre capovolgere l'ordine delle cose perché son fatto così, e oggi volevo stare da solo. Ma perché chiami? Vuoi rinfacciarmi il fatto che son disturbato, pazzo, malato e tutte quelle cose li?"

"No, scusa io volevo…

…vedi sto passando un periodo complicato, ed è novembre, e fa freddo, e io…

…volevo…

…volevo sentirmi dire qualcosa di bello, di buono, di reale e sincero da qualcuno come te che mi è sempre rimasto vicino"

 

...



Aveva attaccato il telefono, prevedibile.

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Somma qui, sottrai li, uffa.

Perché mi ci sono iscritta?

La più talentuosa studentessa di matematica della classe, ma lo diceva la mia professoressa. Ovvio che non l'avrebbero poi pensato tutti gli altri professori, e mentre i miei compagni credevano fossi una specie di genio in gonnella, io studiavo duramente perché volevo riuscire.

I miei genitori hanno sempre creduto fossi riuscita a fare qualunque cosa avessi desiderato, non volevo deluderli. Io mi sono posta limiti già svariate volte, non loro, io ho sempre pensato di non essere in grado e ho scelto quello che mi dicevano "sapevo fare meglio" non quello che volevo.

Ma, perlomeno dovevo farlo meglio.

Squillò il cellulare, un buon motivo per non studiare.

Ale era un buon motivo per non studiare

"oi ciao" Perché la mia voce sembrava ogni volta così maledettamente squillante quando rispondevo al cellulare con la scritta sullo schermo?

"Ciao Ele, Che combini?"

"Studio" constatazione che mi fece tornare alla realtà, uffa

"Senti ti volevo dire che sto passando dalle tue parti, se ti va ci prendiamo un caffè.."

"ok" non ero stata abbastanza enfatica

"Ok allora tra poco passo, fatti trovare pronta! A dopo"

Solo io potevo avere una cotta stratosferica da un anno per quel bastardello del mio migliore amico. Non che io significassi davvero qualcosa per lui, ma ero l'unica amica che aveva, l'unica ragazza almeno.

Quel giorno mi convinsi che gli avrei detto che lo amavo, si lo avrei guardato negli occhi e gli avrei detto: "Ti voglio più bene di quanto voglio dimostrare. non vorrei per nessun motivo al mondo che ti allontanassi perché non puoi ricambiare quello che provo, ma lo provo e non ci posso fare niente, non posso fare a meno di amarti, volevo dirtelo. "

sisi, così avrei detto, proprio così.

Ripetendo queste parole più volte nella mia testa mi feci forza e mi autoconvinsi che stavo facendo la cosa giusta, e poi dovevo essere sincera con lui, soprattutto dopo tutto quello che avevamo passato, insieme.

 

Ho creduto che sarebbero passati più velocemente venti minuti,

e invece dopo essermi sistemata a dovere cercando di sembrare abbastanza carina, senza lasciare intendere di essermi preoccupata del mio aspetto per più di cinque minuti non avevo più niente da fare se non fissare il vuoto e aspettare, aspettare e fissare il vuoto, fissare il vuoto e pensare ad Alessandro, al suo sorriso, a quello che sarebbe cambiato dopo la mia "rivelazione", a cosa avrei molto probabilmente perso, anche se non volevo:

lui, il suo modo di prendermi in giro, la sua voce al telefono, di giorno o di notte. Chiamava quando voleva.

In istanti casuali della sua giornata si ritrovava inconsciamente a cambiare la mia, migliorandola.

 

Salì in macchina e lui mi salutò e mi sorrise.

Il cuore stava impazzendo insieme a tutto il resto del mio corpo, persino il cervello che di solito se ne stava in disparte, scettico e diffidente: adorava starsene su un piedistallo a guardare il mio cuore soffrire e aspettare il momento giusto per infierire con un "te l'avevo detto", sadico.

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Questa è la mia prima storia su questo sito
sebbene io scriva storie da una vita raramente le ho pubblicate, perché spesso mi vergogno che magari sono un po’ personali, perché mi scoccia, o perché boh.

Non l'ho pubblicizzata quindi non mi stupirei molto se nessuno la troverà magicamente tra la lista delle nuove storie e si incuriosisca per quella sottospecie di "intro" che ho scritto.

Ma se capita, e vi piace, vi prego di farmelo sapere, così continuo con molte più motivazioni (non nego che essendo un esperimento potrei "abbandonare" notando dopo un po’ che a nessuno piace/interessa).

Mi metto in gioco perché mi piace e mi piacerebbe ricevere opinioni, discutere insieme di cose che vanno o non vanno. Mi piacerebbe migliorarmi, con il vostro aiuto…

Ora torno a scrivere J

Saluti

 

 

   
 
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