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Autore: Lady Snape    28/11/2012    0 recensioni
"Se avesse dovuto decidere da solo cosa considerare giusto e sbagliato, ‘giusto’ sarebbe stato poter finalmente agire come più gli pareva, ‘sbagliato’ dover necessariamente collaborare con quel nano malefico, caduto per errore nella candeggina."
Mello e Near, sempre e comunque rivali. Il complesso d'inferiorità contro un'autostima infallibile. Ci sarà un vincitore?
Dedicata a mia sorella, perché siamo tutti in eterna lotta, ma ci sono dei legami capaci di superare qualsiasi ostacolo, legami rari.
Genere: Generale, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mello, Near
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A mia sorella.

Perché i legami di sangue sono inestinguibili.

 

L’eterna lotta

 

                Se avesse dovuto decidere da solo cosa considerare giusto e sbagliato, ‘giusto’ sarebbe stato poter finalmente agire come più gli pareva, ‘sbagliato’ dover necessariamente collaborare con quel nano malefico, caduto per errore nella candeggina.

            Non riusciva davvero a capire perché fosse costretto a collaborare con quel pidocchio. Non erano mai riusciti a combinare niente di buono insieme. Lui non era mai stato capace di mantenere quell’aplomb tipico dell’altro che, pareva, niente riuscisse a scalfire. Fosse stato per lui, lo avrebbe mandato sonoramente al diavolo e via!

            Quel pomeriggio era sdraiato sul suo letto, i capelli biondi sparsi sul cuscino e le braccia incrociate al petto. Fissava il bianco del soffitto senza vederlo, riflettendo sull’esercizio da portare a termine. Gli mancava qualche indizio per poter giungere ad una conclusione ragguardevole e sicuramente avrebbe passato parte della nottata in biblioteca, quando tutti se ne sarebbero andati nelle loro stanze e lui avrebbe potuto girare tra gli scaffali a piacimento e occupare tutte le scrivanie che voleva.

Qualcuno bussò alla sua porta. Un tocco leggero, delicato e a Mello saltarono già i nervi: era sicuramente lui.

«Near, vattene!» gli urlò senza muoversi da lì.

«Stiamo perdendo tempo.» rispose monotono quell’altro.

«Tu mi fai perdere tempo…» disse tra sé a denti stretti.

Il ragazzo dietro la porta andò via, o almeno così parse a Mello.

Si mise a sedere sul letto con un colpo di reni, passò una mano nervosa tra le chiome dorate e decise di rovistare in uno dei suoi cassetti. Se non ricordava male, avrebbe dovuto avere un piccolo registratore, di quelli portatili. Gli era venuto in mente che, per praticità, avrebbe potuto registrare parte dei suoi ragionamenti. Di solito ‘usava’ Matt come mezzo per rivedere le sue conclusioni, ma l’amico si era rotto una gamba per fare l’idiota dal balcone del piano di sopra e l’avevano ricoverato in ospedale, il demente!

            Mentre lanciava per aria tutto il contenuto di quel cassetto, gli capitò tra le mani un vecchio quaderno. Guardando la data scritta in copertina con la grafia di un adulto, doveva essere stato uno dei suoi primi quaderni all’orfanotrofio. Era così: sfogliandolo notò la sua scrittura infantile. Risaliva all’inizio della sua permanenza in quel posto, il periodo in cui lui era il numero uno.

Schioccò la lingua con disapprovazione. Inutile pensare a quando c’era lui a dare lustro alla baracca, adesso avevano Mr. Genio Impedito!

Stava per chiudere di scatto il quaderno e lanciarlo alle spalle come gli altri oggetti trovati, ma l’occhio azzurro cadde su una parola emblematica all’interno di quello che doveva essere un suo tema.

Near

Una persecuzione già allora evidentemente. Cominciò a leggere.

            Era descritto l’arrivo di Near all’istituto. Mello rivide sé stesso bambino e ripensò a quei momenti, quando ancora non sapeva di cosa era capace quel nanerottolo. Era nano già allora, quantomeno in confronto a lui, sempre stato alto per la sua età. Pur essendo piccolo, Near non aveva mostrato di essere spaventato da questo cambiamento. Il biondino non sapeva che storia avesse alle spalle e, pensandoci, nemmeno ora sapeva bene da dove venisse. Probabilmente era vissuto già in un orfanotrofio perché, ricordò, si era adattato facilmente alle regole, al coprifuoco e alla routine tipica di quei luoghi. Mello aveva fatto molta più fatica, avendo avuto un padre assente che praticamente lo lasciava allo sbando, libero di fare quello che più gli pareva, nel bene e nel male.

Quel periodo però Near girava con una coperta appresso, che gli partiva dalla testa, quasi fosse un fantasmino. Essere albino non lo aiutava a levarsi questa parvenza di dosso. Sembrava poi che le assistenti dell’istituto si divertissero a vestirlo con colori pastello, dandogli l’aria di un poppante più di quanto non fosse.

Mello ricordò che in un primo tempo si era sentito in dovere di proteggere quel moccioso. Non ricordava chi lo avesse preso di mira, fatto sta che lo aveva difeso dall’essere menato con la testa nel cesso e di essere chiuso fuori mentre diluviava. Bambini intelligenti sì, ma pur sempre bambini, con un abbandono nel passato e una sofferenza latente. In risposta gli era arrivato un ‘grazie’ sussurrato appena, quasi che il piccolo non fosse abituato a parlare.

Poi avvenne il disastro. Umiliato, umiliato da un poppante. Ok, la prima volta poteva essere stato un caso, si era distratto, certo. La prossima volta sarebbe andata meglio.

Illuso. Iniziò la guerra tra loro. No, non è esatto. Mello sapeva benissimo che quello ad avere problemi era lui con Near, ma l’altro pareva totalmente indifferente a quella che effettivamente era una gara a chi fosse il più bravo.

Mello viveva nella fossa dei leoni, sempre a guardarsi le spalle, a valutare la pericolosità degli altri concorrenti, a capire come farli diventare innocui. Near passava il tempo in eterno relax. Aveva la calma dalla sua, quella che non gli faceva perdere di vista l’obiettivo e, come una piccola formichina, metteva da parte le briciole che avrebbero formato la soluzione finale dei problemi che affrontava.

L’autostima di uno e il complesso di inferiorità dell’altro si davano battaglia nella mente di Mello e non era sicuro di riuscire a sopravvivere. A volte si era chiesto chi fosse questo ideale a cui sperava di ascendere. L o Near? Si sforzava di pensare che fosse L, ma una vocina piccola piccola gli diceva che non era così, era Near il suo problema.

Essere cosciente di questo suo complesso non lo aiutava a liberarsene e peggiorava pesantemente il suo rapporto con gli altri, cosa di cui Roger, il loro tutore, si lamentava ogni giorno. Aveva iniziato a vessare chiunque che, secondo lui, lo stesse puntando o infastidendo. La sua arroganza arrivò a sfondare il soffitto e, quando un semplice elenco affisso in una bacheca lo faceva sprofondare al secondo posto, avrebbe decisamente ucciso il primo cretino che avrebbe aperto bocca sull’accaduto.

Mello si riscosse da ricordi e conclusioni ridicole. L’autocritica che a volte emergeva, veniva seppellita sotto una dose di arroganza che lo aiutava a sopravvivere.

Quella notte portò avanti il suo piano di studiare in biblioteca e solo verso l’alba decise che qualche ora di sonno poteva concedersela.

            Tornò in camera sua, chiuse la porta e sprofondò in un sonno agitato. La sua mente vagò tra le mille informazioni, numeri, termini, indizi, parole, frasi, conclusioni fino a che un forte calore non lo avvolse. Aprì gli occhi liberandosi del piumone che lo stava soffocando. Si ritrovò sul pavimento di una stanza buia, una porta sulla parete di fondo. Forse era aveva avuto un attacco di sonnambulismo, cosa che si era verificata già altre volte, quando era più inquieto del solito. Si alzò e si diresse da quella parte e provò a girare la maniglia, ma era chiusa a chiave. Si guardò intorno: non c’erano mobili, a parte una sedia. Sbuffò per essere in una situazione antipatica. Ad un tratto sentì qualcuno piangere … un bambino … provò a capire da dove provenisse: poteva chiamarlo e farsi aprire, poi però fece un salto: la sua coperta si muoveva ed era da lì che proveniva quel pianto!

Gli si rizzarono i capelli in testa. Gli occhi erano dilatati in un’espressione di puro terrore. Non era possibile, lì c’era stato lui fino a qualche secondo fa. La coperta si mosse ancora, poi una manina bianca strisciò tra le coltri, lenta, e si tese nella sua direzione.

Mello si appiattì contro la porta. Non era un fifone, però, in questo caso pensò che poteva fare un’eccezione.

«Mello» sentì provenire il suo nome soffocato dall’ammasso di stoffa e di piume d’oca.

Poi la coperta ‘si alzò’ e avanzò verso di lui come se avesse le ruote, pareva galleggiare a mezz’aria.

«Mello» un’altra volta la voce del bambino pronunciò il suo nome.

«Chi sei? Che vuoi?» disse il biondino, la voce più ferma possibile.

Ancora quel pianto.

Ok, la situazione era ridicola, il panico lo stava divorando e le ginocchia cominciavano a tremare.

Decise che per il suo bene era il caso di farsi forza. Deglutì a fatica e si staccò lentamente dalla porta. Era uno di quei momenti rari nella vita che si pentiva di essere scalzo. Avanzò con circospezione verso la coperta e tese la mano ad afferrare il piumone.

Lo strappò via con forza, temendo cosa avrebbe trovato lì sotto.

«Near?!» la voce gli morì in gola e subito dopo si fece spazio la voglia di prenderlo a pugni «Tu devi essere veramente idiota, razza di impedito e nano!»

Near aveva addosso il suo pigiama bianco, un classico, e i capelli arruffati. Gli occhi non erano lucidi e il volto non era rigato di lacrime come aveva immaginato Mello. Era sicuro di aver sentito qualcuno piangere.

«E sei anche un piagnone!»

«Io non stavo piangendo. Ho sentito piangere te.»

Mello sollevò un sopracciglio.

«Io?! Ma sei scemo?»

«No.» disse secco quello «Eri proprio tu.» aggiunse monotono.

Mello fece un respiro profondo. Aveva voglia di mettergli le mani al collo, ma non era il caso di lasciarsi alle spalle dei cadaveri.

«Non ho tempo di discutere con te, nanerottolo. Non voglio nemmeno sapere come diavolo facevi ad essere lì sotto. Abbiamo un problema, siamo chiusi a chiave qui dentro.»

 Near si guardò intorno e gli sfuggì dalle labbra un ‘oh’ di sorpresa. Con la faccia di uno che constata che ha finito tutte le caramelle, si risedette per terra.

C’erano momenti in cui Mello pensava che quel coso fosse pure autistico.

«C’è una sedia.» constatò lo gnomo.

«Bravo, sai contare.» rispose il biondino seccato. Roteò gli occhi al cielo, vedi che cosa gli doveva capitare: prima un infarto, poi sopportare questo demente. Gli venne in mente una cosa. Se quella fosse una stanza dell’istituto, allora doveva esserci una chiave di riserva nascosta in alto, sull’architrave della porta.

Prese la sedia e l'avvicinò ad essa quanto potette. Montò su con un balzo felino e si stiracchiò il più possibile. Niente, non riusciva a raggiungere, anzi, nemmeno a sfiorare la cornice sporgente. Forse saltando …

Ci provò, ma l’atterraggio fu un disastro. Ricadde in un punto diverso della sedia che capitombolò all’indietro e lo scaraventò con violenza sul pavimento.

Mello batté la testa parecchio forte, tanto che il tonfo fu perfettamente udibile per chiunque si fosse trovato nei paraggi.

«Ti sei fatto male?» chiese Near.

«No, mi sono fatto bene!» urlò l’altro, ormai con la rabbia che gli faceva fumare le orecchie, un mal di testa che gli faceva vedere le stelle e un pressante istinto omicida.

«Posso dare un suggerimento?» non attese risposta «Se mi prendi sulle spalle e saliamo sulla sedia, dovremmo riuscirci.»

Massaggiandosi ancora la testa, Mello convenne che andava bene tutto per non restare ancora solo nella stanza con quello.

«Va bene, ma sbrigati.» accettò il biondino.

Con una certa fatica Near riuscì a montargli sulle spalle. Per fortuna era leggero e Mello non fece fatica a salire sulla sedia, pur se l’equilibrio ebbe bisogno del suo tempo.

La manina bianca di Near si stese e perlustrò l’architrave con meticolosità.

«Trovata.» e una chiave argentata luccicò tra le sue mani.

Scesi, fu Mello a strappargli di mano l’oggetto.

«Se aspettiamo che centri il buco, facciamo l’alba!» e la porta si aprì.

Un tonfo provenente dal giardino fece svegliare di soprassalto Mello. Era nel suo letto, nella sua stanza, al calduccio. Niente Near in giro. Era stato solo un sogno. Un mezzo incubo, convenne, dopo un attimo di riflessione. Ritrovarselo anche nell’inconscio era allucinante. Si sdraiò nuovamente e ripensò agli avvenimenti onirici. Si erano aiutati a vicenda. Ecco, poteva essere giusto un sogno!

   
 
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